Dilaga un po’ ovunque questa polemica sul “baby boom”, ossia sul fatto che di recente vengono pubblicati molti autori giovanissimi; per chi si fosse perso la nouvelle vogue posso fare qualche nome: Chiara Strazzulla, 17 anni, con Gli Eroi del Crepuscolo, Federico Ghirardi, ancora 17, con Bryan di Boscoquieto, Dorotea di Spirito, 16, con Destinazione Tokio Hotel, i gemelli Guptara, 20 anni, con I Regni di Calaspia.
Per chi invece si fosse perso la polemica, un paio di interventi recenti: Francesco Falconi e Loredana Lipperini. Io mi riferirò soprattutto all’intervento di quest’ultima, anzi, all’articolo linkato di Giorgia Grilli (qui e qui).
Premessa: sto facendo una cosa che non si fa. Io non ho ancora letto nessuno di questi libri. Li ho comprati e sono in coda di lettura, ma ancora non li ho letti. Per cui non entrerò nel merito del giudizio: non lo so se sono belli o se sono brutti. Le mie saranno opinioni, diciamo così, “metodologiche”.
Ma veniamo all’articolo della Grilli. Che dire. Nulla di nuovo sotto il sole. Intendiamoci; i giudizi della Grilli sono sacrosanti. Se i libri li ha trovati francamente brutti, beh, è il suo parere, valido come quello di tutti. Ma mi inquieta questa frase:
“Non dirò nulla di questi libri, perché appunto sono libri «falsi», costruiti a tavolino, creati per far colpo non in quanto libri, ma in quanto libri di ragazzini”.
Non viene messa in discussione la reale qualità dei libri, ma si nega persino l’individualità, la specificità dei singoli testi, che vengono invece infilati in un calderone unico e indistinto, i “libri di ragazzini”. E questo non si fa. Il mio punto di vista lo conoscete: un libro è un libro. Il contorno (la biografia dell’autore, l’editore) non dovrebbero entrare nel giudizio. Qui invece un tot di tomi vengono accorpati per età dell’autore, cancellando ogni possibile differenza. Ma allora infiliamoci anche Gli Indifferenti, Moravia l’ha scritto a diciassette anni, sarà anche quello un libro per ragazzini. Comunque.
Il secondo problema di quella frase è che sottende la consueta accusa di disonestà intellettuale, stavolta traslata sugli editori, visto che gli autori sono giovani e vengono visti solo come vittime del processo. Perché questi libri sarebbero falsi? Perché sono stati scritti da ragazzini. Ah beh. Convincente. Quando si parla di “libro commerciale”, “operazione commerciale” a me viene sempre da ridere. Perché io conosco un paio di libri nati come mere operazioni commerciali, ma nessuno li cita mai in queste discussioni. Poi, se questi sono “libri finti” perché sono così malamente contraffatti? Voglio dire, stiamo falsificando un prodotto, abbiamo chiamato quattro editor, li abbiamo messi intorno ad un tavolo dicendogli “scrivete a, b e c”, poi abbiamo preso uno sprovveduto ragazzino e abbiamo incollato la sua faccia alla copertina. Si suppone che quanto meno gli editor che abbiamo scelto siano scafati uomini di mondo, che conoscano bene l’editoria e le tecniche di scrittura. Perché allora questi libri, nel giudizio di chi li ritiene “operazioni commerciali”, sono sempre scadenti? Perché questi astuti ghost writer che abbiamo scelto non sanno produrre qualcosa di valido? Mistero.
Altra frase emblematica:
“Quando tutta la rassegna stampa, la campagna promozionale, il materiale informativo di anticipazione di un libro si incentra sulla giovanissima età dell’autore,è fin troppo ovvio dedurre che il libro non abbia poi molto di interessante o di memorabile in sé”.
Gli editori fanno il loro mestiere: vendere libri. “Creare il caso”, giocare sui contrasti che possano attirare l’attenzione dell’acquirente è il modo migliore per farlo. Per questo si punta sulla giovane età. Che non è comunque l’unica cosa su cui si punta. Io ho visto il materiale promozionale della Strazzulla, e faceva leva anche su altre cose che non fossero l’età; il richiamarsi al fantasy classico, il proporre al lettore un nuovo libro ambientato in terre fantastiche, con protagonisti credibili e nei quali immedesimarsi.
E, in ogni caso, la pubblicità è mentitrice. Sempre. Mi viene sempre da sbuffare quando, dopo almeno due decenni passati immersi nella società dei consumi, stiamo ancora lì a dire: “c’era scritto che il detersivo tot lava meglio di tutto il resto e non è vero, è una truffa”. Ma davvero non conosciamo i meccanismi della pubblicità? Davvero non sappiamo guardarci attraverso? La pubblicità sceglie le leve sulle quali insistere non in base alle reali caratteristiche del prodotto, ma a quelle qualità che più fanno presa sul pubblico. Un libro pubblicizzato come “l’opera prima di un adolescente” non è un’opera che non ha altro. Semplicemente gli addetti al marketing sanno che il genio precoce è un tasto che fa presa sul pubblico, che si incuriosisce e compra.
Infine, ultima perla:
“Forse non è un caso, in questo panorama, che i libri più «autentici», più seri, più sinceri, per ragazzi e con protagonisti ragazzi, i libri grazie ai quali si può tentare veramente di capire il loro animo e se ne può afferrare l’affascinante complessità siano quelli scritti non da un coetaneo degli stessi, bensì da un venerabile signore, nonché strepitoso scrittore, di 74 anni: Aidan Chambers”.
No. Dissento. Gli adulti non raccontano affatto l’essenza dell’adolescenza e della giovinezza. Gli scrittori adulti ci raccontano i giovani per come ci piacciono, per come vorremmo che fossero. Uno scrittore di settantaquattro anni non parla dei ragazzini di oggi; al massimo parla dei ragazzini dei suoi tempi.
La giovinezza si dimentica, nel ricordo si colora di aloni mitici che non le appartengono. È questo il senso del gap generazionale che fatalmente allontana e contrappone i genitori ai figli.
Per altro, non sto dicendo che la letteratura per infanzia “buona” è quella che “spiega i giovani”. Questa cosa pertiene ai saggi sociologici e non alla letteratura. Sto solo dicendo che i ragazzi sanno come sono fatti i ragazzi, non lo sappiamo certo noi, né glielo dobbiamo insegnare dall’alto della nostra consapevolezza. E che non è compito della letteratura per l’infanzia “spiegare la gioventù”. Gli unici compiti che la letteratura per l’infanzia può avere, a parte divertire, ovviamente, è avvicinare i giovani alla lettura, veicolare loro determinati messaggi e visioni della vita che l’autore ritiene importanti. Per questo l’età anagrafica non fa il bravo scrittore per ragazzi, e per questo a 74 anni si può essere splendidi autori per l’infanzia.
Comunque, al di là di queste critiche contingenti, quel che mi dà fastidio dell’articolo è la solita cosa: che si critica il contorno, il contesto, e non l’opera. Il problema è essere giovani. Avrei preferito una critica feroce, ma individuale, su ciascun testo, che magari distruggesse i libri parola per parola, ma quanto meno li prendesse sul serio, li considerasse appunto libri e non, testualmente, roba da ragazzini.
Come vedete, concordo sostanzialmente con la Lipperini. E concordo anche con lei che ai ragazzi poco gliene cale che il libro sia scritto da un loro coetaneo. Loro vogliono divertirsi, appassionarsi, e che questo obiettivo lo raggiungano grazie ad un Moccia quarantenne o a una Di Spirito sedicenne è per loro ininfluente. Quando vengono alle mie presentazioni non mi considerano affatto una di loro (dio mio, ho pur sempre 27 anni, la mia adolescenza è fatalmente dietro l’angolo): piuttosto mi danno del lei, mi trattano con la distanza che si riserva agli adulti. Ma le mie storie li divertono, su questo quantomeno possiamo convenire, visto che i miei libri vendono.
Mi tocca invece concordare con la Grilli su un altro punto. Questo boom degli scrittori giovani incoraggia al “successo facile”. Ce ne sono tanti, ma tanti di ragazzi che vogliono “diventare famosi come XXX”, ove XXX = un qualsiasi giovane scrittore di oggi, che vogliono essere pubblicati per essere famosi. Ecco, questo lo trovo triste. Resto convinta che si debba scrivere per divertimento e per esigenza, e che la pubblicazione debba essere un accidente, un esito del tutto collaterale al processo di scrittura. Non si deve scrivere con l’intento di pubblicare e diventare famosi. Non lo deve fare un adulto, figurarsi un ragazzo.
Ecco, la pubblicazione di tanti giovani incoraggia questo modo di vedere la scrittura: come una via alternativa per diventare famosi. C’è chi partecipa a Veline, e chi sfonda scrivendo un libro. Ecco, non è bello.
Precisazione: non dico che gli autori giovani pubblicati siano in qualche modo complici o partecipi di questo processo. Semplicemente il mercato e la società sono fatti in modo tale che la loro scrittura e il loro successo vengano percepiti in questa maniera distorta.
Dopo questa infinita tirata, forse vorrete sapere che ne penso io del baby boom. Niente. Niente perché io questi autori non li ho letti. Quando li leggerò saprò cosa pensarne. Ma poco mi cale che abbiano sedici anni. Non è un’aggravante, non è un’attenuante. Dal momento in cui arriva in libreria, il libro mi si mostra nudo, senza nome e senza passato. Per me è una storia, che in quanto tale va giudicata. E credo che ogni autore vorrebbe essere giudicato così. Io di sicuro vorrei essere giudicata così.
Per il resto, a livello meramente sociologico, per quanto possa valere, di sicuro c’è un interesse da parte delle case editrici per i giovani autori. Ha ragione la Lipperini; al solito, le case editrici cercano “il caso”. Vanno i giovani? Vai coi giovani. Vanno i calciatori? Vai coi calciatori. È il mercato. Ma io non credo che la cosa possa essere esaurita qui. C’è qualcosa, qui e ora, per cui i giovani improvvisamente sembrano avere sulla realtà uno sguardo più fresco rispetto a quello di altri autori. Non penso solo ai diciassettenni. Ci metto dentro anche altri autori giovani, dai venti ai trenta.
Poi, leggerò e vedrò. Magari non mi piaceranno. E allora pace, vorrà dire che avrò comunque imparato qualcosa. Si impara anche dai libri che non si amano. Ma sempre cercherò di avere uno sguardo scevro da pregiudizi. È una vita che ci provo.