Come è ovvio che sia, non c’è niente che io senta di poter dire circa il terremoto di Haiti. Sono cose di cui non ha neppure molto senso parlare, perché sono avvenimenti nei quali è impossibile appunto trovarlo, un senso. Ma ieri guardavo il tg2 (lo so, non dovrei indulgere a certe perversioni, ma da quando sono in maternità guardo la tv mentre allatto, giuro che a breve troverò un passatempo meno deleterio), e c’era questo servizio sul boom di richieste di adozioni di bimbi haitiani. Successe anche con lo tsunami del 2004. Del resto, i media anche questa volta hanno spinto tantissimo sul dramma dei bambini: foto, racconti, tutto quanto possa commuoverci. E cosa ci commuove di più della sofferenza dei piccoli? E infatti tanta gente si commuove, si indigna.
Ora. Il servizio mi ha generato tutta una serie di spiacevolissimi pensieri che un po’ controvoglia condivido con voi. Ammetto che di Haiti non sapevo niente prima del fatto, a malapena lo collocavo sulla cartina geografica. Ma a quanto pare non ci voleva il terremoto per renderlo un posto invivibile. Ad Haiti i bambini morivano, erano orfani prima del terremoto, e lo saranno dopo. Ma, per qualche ragione, la povertà normale, il degrado, non ci commuovono abbastanza. Le immagini di bambini africani che muoiono di fame che giravano nei tg quando ero bambina (da qualche anno sono scomparse, suppongo per non rovinarci la cena intorno al desco familiare) non generavano ondate di sdegno, né aumenti nel numero di adozioni.
A volte penso che siamo un società della lacrima a comando. I media decidono su cosa e per cosa dobbiamo commuoverci. Terremoto, tsunami. Quelle sono tragedie che possiamo capire, un po’ perché l’Italia è zona sismica e tragedie del genere ne ha viste infinite nella sua storia, un po’ perché l’idea della natura matrigna fa sempre presa. Nonostante la tecnologia, siamo ancora in balia delle forze di Gaia, bla bla bla. La povertà invece no. Quella non è una catastrofe. Quella è la normalità della vita, è lo status quo. Meglio piuttosto distogliere lo sguardo e far finta di niente, per non dover ammettere che il sistema economico è fatto in modo tale che è necessario che qualcuno muoia di fame. E infatti i tg non ne parlano, e di conseguenza nessuno si commuove. O, se se ne parla, la gente è assuefatta: l’Africa è così, lì mancano le risorse (cosa assolutamente falsa, per altro), ci sono i dittatori, e poi, suvvia, quelli sono tutti selvaggi.
Ma poi la mia testolina va anche oltre. E si ricorda le immagini di Rosarno. Ok, non si tratta di bambini. Ma si tratta di gente che vive nel degrado più totale, uomini trattati come animali, spremuti finché producono, e gettati via quando non sono più in grado di farlo. Schiavi, a tutti gli effetti, che conducono vite miserabili sotto gli occhi di tutti. Voglio dire, non stanno sotto terra. Ognuno di noi vede le condizioni in cui sono costretti a vivere coloro che rendono possibile la sopravvivenza del nostro sistema economico, ma che non ne godono i frutti. Le conosciamo le loro baracche, li vediamo pulire i nostri vetri, costruire le nostre case, accudire i nostri anziani. Ma anche questo non ci commuove. Peggio, ci fa schifo. Invece di domandarci come sia possibile che vivano in mezzo a noi in quelle condizioni, invece di domandarci chi li riduce in quello stato, li consideriamo subumani. “Se vivono così, vuol dire che sono bestie”, ci diciamo. È il discorso che si applica ad esempio ai rom. Vivono nelle baracche, sono sporchi, vuol dire che sono meno uomini di me. Senza star lì a domandarsi se sono contenti di vivere così, se non preferirebbero vivere altrimenti.
Ecco. Un paio di giorni fa ho letto un post di Zucconi proprio su questi argomenti. Ed è proprio vero. È facile amare il prossimo quando vive a migliaia di chilometri da noi. È facile commuoversi davanti al televisore, che non ti trasmette la puzza del degrado, il fetore della povertà. Che soffrano pure, i nostri fratelli, ma lontano dai nostri occhi. Ci potremo commuovere, quando ci diranno di farlo, certo, ma che non vengano a contaminarci con la loro povertà. Perché nel nostro modo di vedere le cose, essere poveri è ancora una colpa.
P.S.
Non occorre dirlo, ma con tutto questo non sto ovviamente deprecando un atto d’amore come l’adozione, che per altro conosco perché ho dei parenti adottati. Il servizio del tg2 è stato solo il pretesto per le riflessioni che ho fatto. Ben venga l’adozione sull’onda dell’emozione, sempre, ovviamente, se chi la fa è consapevole di tutte le responsabilità che diventare genitore comporta, e non sta solo rispondendo ad un impulso “de panza”. Ma questo vale per chiunque desideri un figlio.
Aggiungo anche un consiglio di lettura: Bloody Mary, se qualcuno davvero non sa la frutta e la verdura che consumiamo ogni giorno da dove vengono. E finisco dicendo che probabilmente ho mancato il bersaglio, ma I Dannati di Malva di questo parlava: non si trattava solo di rifiuti in senso materiale, ma anche di tutte quelle persone che il nostro sistema economico trasforma in scorie, reificandole e gettandole via come rifiuti.