Non credo qualcuno si stupisca ancora per qualche scandalo sessuale legato al premier. Ormai per un italiano è pacifico: Churchill fumava il sigaro, Hitler dipingeva quadri di dubbio gusto, Berlusconi fa i festini con le minorenni.
Ok, il caso Ruby ha una serie di corollari gravi che prescindono i costumi sessuali del pres. del cons.: tipo che scopriamo che Berlusconi “aiuta chi è in difficoltà” (a patto che abbia almeno una bella quarta di reggiseno, aggiungo io) evitando il carcere ad una minorenne, per altro spacciandola per chi non è. Mah. Senza contare che ci si può interrogare sulla morale di uno che se ne approfitta di un’adolescente dal percorso esistenziale quanto meno travagliato.
Ma più che altro ci siamo rotti. Cioè, proprio non ne possiamo più. Soprattutto della continua barzelletta che questo governo è diventato. E prima il papi, adesso il bonga bonga. Mezza Italia se la ride, e suppongo lo faccia anche l’intera Europa. Ma la situazione è tragica, altro che, in un paese dove ormai tutto è ridotto al ridicolo, allo sberleffo da caserma. Per cui, Berlusco’, facci un favore: non ce ne frega niente di quel che fai nel privato, ma abbi la decenza almeno di non farcelo sapere, va bene? Risparmiaci i dettagli sulla tua squallida vita privata, non siamo interessati.
*******
Secondo la Merkel, il multisultiralismo “ha fallito. La Germania non ha manodopera qualificata e non può fare a meno degli immigrati, ma questi si devono integrare e devono adottare la cultura e i valori tedeschi”.
Se ha fallito da loro, vorrei sapere da noi cos’è successo, dove il multiculturalismo non abbiamo manco mai provato ad adottarlo. Comunque. La Merkel ha letto
questo sondaggio, ed è corsa ai ripari con un po’ di populismo buono per tutte le stagioni. Ma non mi interessa tanto la parte sul multiculturalismo, quanto quella successiva della dichiarazione. Ossia che gli stranieri si devono integrare, e fin qui, ma che poi devono adottare la cultura e i valori tedeschi. No. Questo, francamente, no. L’unica cosa che uno straniero deve fare quando è ospite di un paese diverso dal suo è obbedire alle sue leggi. Punto. Poi può continuare a mangiare kebab e pizza napoletana, mettersi l’hijab o il turbante dei sik, pregare Allah o Ganesh. Basta che rispetti la legge.
È la sottile differenza tra integrazione e assimilazione. Integrarsi vuol dire non sentirsi davvero stranieri: vuol dire trovarsi a proprio agio in un paese, essere connesso al tessuto sociale e lavorativo, in sintesi essere parte integrante di una società che ti accetta, ti rispetta e non ti giudica per l’abbigliamento, la fede o altro. È un processo a due binari: tu ti sforzi di rispettare usi e costumi del paese in cui sei ospite, quelli che ti ospitano si impegnano a rispettare i tuoi. È uno scambio reciproco.
Chiedere di adeguarsi ai valori e alla cultura tedesca vuol dire chiedere l’assimilazione, vuol dire chiedere di rinunciare alle proprie radici, che così a fondo determinano la nostra identità. Se mai andassi a vivere a Monaco non vorrei proprio rinunciare ad essere italiana, a parlare la mia lingua tra le mura domestiche, per dire, o cucinarmi la parmigiana. E il fatto che io coltivi la mia lingua madre non significa che non sono integrata.
Ma, diciamocela tutta, il problema sono i musulmani. Sono i loro usi e costumi, che nella nostra ignoranza riduciamo al disprezzo della donna e al fondamentalismo religioso, che ci danno fastidio. Ma la donna viene tutelata dalla legge tedesca, e dunque un musulmano che non rispetti la moglie, al pari di un tedesco che non lo fa, e non dubito che ce ne siano a palate, deve risponderne davanti alla legge. Ripeto, è solo questione di rispettare, e far rispettare, la legge. Stop.
Tra l’altro, anche da noi l’assimilazione va molto più di moda dell’integrazione. Avete mai conosciuto il proprietario di qualche ristorante cinese che si chiama Marco, o Paola? Ovviamente non si chiamano così. Ma si cambiano il nome. Così per gli italiani è più facile. Come sei io andassi a vivere in Germania e la gente iniziasse a chiamarmi Felicitas. Ma perché? Voglio dire, ma vi pare poco dover rinunciare al proprio nome per fare meno paura? Il mio nome è quel che sono, anche se non lo amo. Volente o nolente, fa parte della mia identità. E non ci voglio rinunciare, né mi piace che qualcuno ci debba rinunciare perché io ho problemi di pronuncia. Preferisco di gran lunga imparare a pronunciare un nome che alle mie orecchie suona diverso. Non è questo, il multiculturalismo?