Archivi del mese: febbraio 2011

Intervista

È lunedì mattina, per cui non potete aspettarvi da me un post intero :P . Per questa ragione, mi lascio con qualcosa da vedere: sabato scorso sono stata a Benevento per un incontro coi ragazzi del Liceo Scientifico Rummo. Per l’occasione, sono stata intervistata. Ho un’aspetto orrendo, probabilmente perché mi ero svegliata presto, non lo so, ma penso possa essere divertente lo stesso ascoltarmi. Enjoy!

Intervista

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Cose che “se solo me l’avessero detto prima…”

1.
Amica1, guardando una foto di Irene: “Wow, ma ha delle ciglia lunghissime!”
Io: “Le ha prese da mio marito, vedessi…”
Amica1, guardandomi stupita: “Cioè, tuo marito ce le ha più lunghe delle tue?”
Io, perplessa: “Beh…sì…”
Amica1: “No, perché io le tue ciglia lunghe te le invidio tantissimo! A scuola lo dicevo sempre: Ma guarda te che belle ciglia che c’ha Licia”.
Resto decisamente sconcertata.

2.
Io, spiegando perché porto i capelli rasati ad un amico: “E quindi niente, prima li ho tagliati corti, poi ho visto questa ragazza sotto Castel Sant’Angelo che era rasata, mi è piaciuta e ho fatto il grande salto”
Amica2, sempre rivolta a lui: “Che poi vedessi che bei capelli che aveva…”
Mi giro.
Amica2 continua: “Sì sì, tanti, lucidi, lisci lisci, coi riflessi…”
Resto nuovamente sconcertata.

3.
Truccatrice televisiva, mettendomi il gloss: “Certo che hai delle labbra secchissime…”
Io: “Ok, devo ammetterlo, non sono una tipa che si curi molto”
Truccatrice: “Ed è un peccato, perché hai un bel viso”.
E qui la perplessità raggiunge vette mai raggiunte.

Epilogo
Sento che se me l’avessero dette prima, queste cose, forse la mia adolescenza sarebbe stata più movimentata…

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Hunger Games

Ho finito pochi giorni fa di leggere Mockingjay, il terzo e conclusivo libro della saga Hunger Games di Suzanne Collins. Che la serie mi piacesse ho avuto modo di dirvelo in varie occasioni: dietro la copertina del primo volume c’è un mio strillo, la pubblicità del secondo, che tra l’altro è uscito da poco, la potete trovare nel segnalibro allegato a Gli Ultimi Eroi.
Ecco, adesso che ho letto la serie completa, posso dirvi senza timore che si tratta di una delle saghe più belle che abbia mai letto. Dopo aver chiuso il libro, a lungo m’è rimasta addosso una sensazione di tristezza e al tempo stesso quasi di pace. Pensi a questa cavalcata lunga tre libri, pensi a Katniss e a tutti gli altri, alla pace, alla guerra, al mondo di Panem e al nostro, di mondo. Poche volte sono riuscita a trovare in un libro tutto sommato per ragazzi un’analisi così veritiera, così spietata di cosa sia la guerra, dei labili confini tra i combattenti, su come il potere corroda sempre, e porti inevitabilmente alla follia. Niente viene edulcorato, tutto ci viene presentato nella sua cruda realtà. L’ultimo libro che ha saputo farmi sentire nella ossa la guerra è stato Macchine Mortali, di cui non finirò mai dir bene. Ecco, la saga di Hunger Games è così: spietata e vera, terribilmente efficace.
Ma se si trattasse solo di questo, forse i libri non sarebbero quei capolavori che sono. Hunger Games avvince. Hunger Games ti costringe letteralmente a leggere oltre, ad andare avanti, perché ormai vivi nella testa dei personaggi, sei loro, e davvero non puoi mettere giù il libro solo perché devi andare a lavorare, o perché bisognerà pur dormire ad un certo punto. E sapete che questa è una cosa che mi capita sempre meno spesso, di recente. Con Hunger Games mi è successo. I personaggi sono veri, vividi, ti interessa di loro, vuoi sapere come va a finire.
Insomma, io ve lo consiglio caldissimamente, è una delle cose più belle che si possono leggere di questi tempi, e dimostra che la fantascienza è vivissima, e ha ancora molte cose da dire sulla condizione umana e il nostro mondo.

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Una buona notizia per Ale Poli’

Interrompo il mio silenzio domenicale per cercare di diffondere una notizia importante. Vi ricordate di Ale Poli’? Ne avevo discusso qualche tempo fa. Ebbene, c’è una buona notizia: sono stati trovati due donatori tedeschi compatibili al 100% con Alessandro. Il registro dei donatori tedesco ha però difficoltà a rintracciarli. Per questo pubblico qui la notizia, in italiano e in tedesco, in modo da farla circolare il più possibile, e rendere più facile rintracciare queste due persone. Fate girare anche voi, grazie

An alle, die sich mal in Deutschland für eine Knochenmarkspende haben typisieren lassen: Bitte kontrolliert, ob im Register des DMKS Eure aktuelle Adresse gespeichert ist! Meldet Euch! Wir wissen, dass es in Deutschland 2 Menschen gibt, die eine erste Übereinstimmung von 6/6 also 100% mit einem 10-Jährigen Jungen in Südtirol haben, der die Spende dringend braucht.
Schaut Euch den Link an, schaut Euch die Fotos an, lasst euch von der Hoffnung und der Liebe anstecken, und MELDET EUCH! DANKE … im Namen von Familie Poli`

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Intervista per Libri e Bit

Oggi sono piuttosto incasinata, indi per cui vi lascio con qualcosa da leggere: questa intervista per Libri e Bit. È un po’ diversa dal solito, perché si parla di argomenti sui quali in genere gli intervistatori non si soffermano. Insomma, qualcosa di nuovo. Enjoy!

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Di giovani ed eternità

Ieri ho visto il season finale della prima stagione di Misfits. Sono ufficialmente innamorata. Sei puntate senza una caduta di stile, anzi in crescendo. La dimostrazione che anche con quattro lire si possono realizzare prodotti degnissimi, anzi ottimi, se ci sono le idee. E le idee ci sono eccome, a pacchi.
Gli attori sono sempre all’altezza, scelti con cura, perfetti. E hanno le facce giuste. Questa è una delle cose che mi piacciono delle serie europee: gli attori non sono fighi allucinanti, che mai incontreresti per strada, come in una qualsiasi serie americana. Non so, in Lost, ad esempio, pare che siano sopravvissuti solo i bonazzi, fatta esclusione per il povero Hurley. Nelle serie europee no. I protagonisti sono persone comuni. Girando per il mio vecchio quartiere, è pieno di gente come Kelly. E anche Alisha, la “bella” del gruppo, è una ragazza carina, ma nulla di straordinario, niente che tu non possa vedere mentre fai due passi in città.
La scrittura è perfetta, senza sbavature. Certo, è volgare, ma è giusto che lo sia. Da cinque teppistelli pieni di problemi non ti aspetti un eloquio da principe del foro, ma il linguaggio della strada. E i continui riferimenti al sesso sono giusti: quando, se non nell’adolescenza, il sesso è il chiodo fisso, che spaventa e attrae, esorcizzato con la volgarità, sempre inseguito, a volte catturato, ma quasi sempre nel modo sbagliato?
Le location sono quattro in croce, ma filmate da dio. Lo squallore degli ambienti urbani, il grigio del cemento, il colore dei graffiti, l’acqua. Ambienti che dicono molto dei personaggi, che non sono mero sfondo, ma parte integrante della narrazione.
Musiche scelte sempre con attenzione, ossessive o dolci, tamarre o raffinate.
Effetti speciali dosati con cura, messi solo lì dove davvero serve.
Insomma, in sei episodi io non sono riuscita a trovarci un difetto. Finalmente una serie che parla di adolescenza senza ipocrisie, con pacchi di sano cinismo e humor nero, mostrandoci i giovani per quel che sono: gente che si cerca disperatamente, senza trovarsi mai. E non occorre essere cresciuti in borgata per riconoscersi in Nathan, Curtis, Alisha, Kelly e Simon. Siamo tutti stati come loro, alcuni di noi lo sono ancora. Io, per dire, lo sono ancora, forse l’adolescenza non mi abbandonerà mai, forse sarò sempre la ragazzina che proprio non ci riesce a crescere, e per questo scrive quel che scrive.
Il tutto è riassunto perfettamente dal discorso di Nathan, in cima al tetto, verso la fine dell’episodio. La libertà di sbagliare, l’ebbrezza di sentirsi eterni ed onnipotenti, il diritto a essere liberi. Non è questo che volevamo, quando avevamo sedici anni? E i genitori non ci facevano arrabbiare perché invece sapevano sempre la verità, e ce la sbattevano in faccia ogni volta che sbagliavamo? Ecco, il discorso di Nathan è questo. Vi incollo la clip qui sotto, perché vale; è in inglese, ma per quelli di voi che conoscono la lingua non dovrebbe essere troppo un problema, Nathan ha una parlata abbastanza comprensibile. Per quelli di voi che invece non capisco, sotto metto una mia traduzione approssimativa. Ho censurato un po’ di roba, giusto per preservare le menti dei più giovani :P . Enjoy

Questa tipa vi sta facendo credere che questo è il modo in cui dovreste essere. Non lo è. Siamo giovani. Siamo fatti per ubriacarci. Siamo fatti per comportarci male e sco**re fino alla morte. Siamo fatti per fare casino. Lo dobbiamo a noi stessi di fare davvero un sacco di casino. Lo dobbiamo l’uno all’altro. È così. Questo è il nostro tempo. Ok, qualcuno di noi finirà in overdose, o diventerà matto. Charles Drawin disse “non puoi fare una frittata senza rompere un po’ di uova”. Perché di questo si tratta – rompere uova – e per uova intendo fot***si il cervello con un coktail di prima classe. Se vi poteste vedere. Voglio dire, avete addosso dei fot**ti cardigan! Avevamo tutto. E abbiamo mandato tutto a put**ne meglio e più in grande di qualsiasi generazione prima di noi. Eravamo così belli…Siamo dei cogl**ni. E ho intenzione di rimanere un cogl**ne fino ai trenta, e magari anche dopo. E mi sc**o mia madre piuttosto che lasciare che lei, o chiunque altro mi levi questo!

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Non ci avrete mai come volete voi

Sebbene fare foto mi piaccia molto, il mio mezzo d’espressione più congeniale è la scrittura. E quindi, dopo il silenzio delle immagini che parlano da sole, un po’ di parole.
Domenica non me la sono goduta fino in fondo perché mi sono sentita male, ma quanto meno le vertigini e il batticuore non si sono portate via la soddisfazione di dire che c’ero. C’ero, in mezzo a gente di tutti i tipi: uomini, donne, bambini, adolescenti, anziani. Un po’ poche persone della mia età, devo dire, ma forse era il posto dove stavo io ad essere sfigato in questo senso. Erano le facce bellissime delle donne comuni: delle casalinghe, delle lavoratrici, delle mille sfumature del femminile. Ed erano belle perché erano varie, diverse. Perché è questo che ci vogliono togliere: la diversità, la libertà di essere tutto ciò che vogliamo. Pensate alla bellezza fisica, pensate alle veline, alle miss, alle donne che si vedono in tv: tutte identiche, pezzi di carne standardizzati su un modello di bellezza a senso unico, corpi dai quali si cerca a tutta forza di togliere l’anima. Le donne in piazza invece erano belle perché ci credevano, perché c’erano le alte e le basse, le bellissime e le bruttissime, le sane e le malate, le cattoliche e le atee, quelle coi capelli bianchi orgogliosamente sfoggiati, e quelle con la tintura appena fatta. E i loro occhi erano pieni di cose, di voglia di fare e di esserci, di dire “io sono qui, e sono diversa da come mi volete voi”. Non ci avrete mai come ci volete. E che belli anche gli uomini, accanto a noi e con noi, a supportarci, a riconoscere i nostri mille modi d’essere. Belli anche quelli come mio marito, che è rimasto a casa con Irene per permettere a me di andare. Avrei voluto portare anche lei, per farle capire la vertigine assoluta della folla, la potenza del popolo quando si riunisce a far festa, ma era una tale bolgia che non sarebbe stata una bella esperienza, per lei.
E l’urlo della folla, di quelle centomila persone che letteralmente traboccavano dalla piazza, faceva paura: faceva paura la gioia, perché il capitale ci vuole grigi e passivi, vuole che il sesso non sia amore, ma puro mercimonio di corpi, privato di qualsiasi allegria, di qualsiasi condivisione. La gente in piazza invece amava davvero, perché non era lì solo per sé, ma anche per tutte quelle che non erano potute venire, per quelle che non hanno voce, persino per quelle che non erano d’accordo.
Nella mia vita sono stata fortunata: sono sempre stata libera di esprimere me stessa in tutti i modi, ho potuto compiere studi che in passato venivano considerata roba da maschi, e quasi mai sul lavoro mi sono sentita discriminata per il mio essere donna. E allora perché sono scesa in piazza? Per chi non è così fortunata. Per le schiave sulle strade, per le donne abusate, per quelle che il marito non le fa uscire o non le permette di guidare la macchina, per quelle che sono convinte che solo il corpo ti permetta di andare avanti, per dire che le altre strade sono possibili, che si può essere libere, che si può essere diverse.
E paura la nostra folla deve averla fatta davvero, a sentire le critiche che sono piovute sulla manifestazione.
“Poche radical-chic”, dice la Gelmini. Eccole, le parole private di senso, ecco di nuovo il tentativo di metterci tutte sotto un’unico ombrello, di bollarci. Quando domenica si chiedevano certo le dimissioni di Berlusconi, ma non solo: si chiedeva alla società civile di svegliarsi, si diceva no al precariato, no alla discriminazione, no allo sfruttamento della prostituzione. Un sacco di no, impossibili da ridurre in unità. E di certo non eravamo poche, se tante come me si sono sentite male, strette da una folla veramente traboccante.
“Le donne scendano in piazza per ragioni vere”, dice La Russa. Certo, chiedere il rispetto dei diritti e della dignità delle persone non è una cosa seria. Minimizzare, questo è l’ordine. Lo sentite il disprezzo che trasuda da queste parole? L’offesa per centinaia di migliaia di cittadine che hanno dimostrato forte e chiaro di sapere esattamente cosa volevano e come chiederlo?
“Manifestazione faziosa frutto di una cattiva informazione” dice Berlusconi. Che dimostra di non sapere cosa significa il termine, visto che una manifestazione di piazza è sempre e orgogliosamente espressione di una fazione. Se non si esprimesse una chiara opinione non si scenderebbe in piazza.
Ma tutti, poi, più o meno velatamente ti fanno capire che centomila donne possono scendere in piazza solo se sono state manipolate: si parla di strumentalizzazione, di sinistra che cavalca il dissenso. Come a dire che una donna ha comunque bisogno di qualcuno che le dica come pensare e come manifestare. Perché è questo che fa paura: che per una volta le donne non sono state prone, sono state protagoniste, e con orgoglio hanno esibito non più solo corpi, ma idee, pensieri, passioni.
C’è chi dice che sarà un fuoco di paglia. Che è stata una festa dei pazzi, e resterà confinata ad un pomeriggio di febbraio. Io spero non sia così. È successo qualcosa, domenica, qualcosa di grande. La società civile ha dimostrato di esserci, e di non essere anestetizzata dalla disinformazione, dalla tv, dalla logica del “sono e siamo tutti uguali, per questo dobbiamo tacere e andare avanti”. Non è vero che “adda passa’ a nuttata”. Questa notte non passa se non la facciamo passare noi.
Una bella manifestazione ti lascia qualcosa addosso. Non si esaurisce in piazza, ma getta germogli. Io voglio credere che siano stati gettati dei semi. Che questa non sia la fine, ma l’inizio. Che rinascere è possibile, che possiamo ancora aspirare ad una politica che sia di nuovo passione, e a una società dedita alla sostanza, e non più all’apparenza.
Vi linko uno degli interventi più belli di domenica, quello di Suor Eugenia Bonetti. È la dimostrazione che lì in piazza c’erano tutte, anche chi in piazza di solito non si scende, e che eravamo tutte davvero unite.

Suor Eugenia Bonetti: “Riprendiamoci la dignità”

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Senza parole

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In attesa di domenica

Aderisco e diffondo

NOI VOGLIAMO TUTTO
Ombrelli rossi per i diritti di tutte le donne

Siamo donne, uomini, femministe, sex workers, disertori del patriarcato.
Viviamo sulla nostra pelle l’assenza di diritti, la precarietà, la mancanza di prospettive.
Vogliamo futuro. Vogliamo respirare. Vogliamo poter scegliere.

Siamo tutt* egualmente consapevoli dell’esistenza di regole economiche che favoriscono i ricchi e massacrano chiunque altr@.

Siamo in vendita.
Sono in vendita le nostre braccia, le nostre vite, la nostra testa, i nostri corpi.
Chi prova ad autodeterminare la propria vita diventa oggetto di repressione. Perché a pochi piace un mondo di soggetti liberi.

Si preferisce invece una società di operai, badanti, schiave, precarie, disoccupati, lavoratrici del sesso, alla mercé del primo manager pronto a cancellare diritti, reddito, casa, lavoro.

Nelle società decadenti, quelle in cui nessuno sa proporre una alternativa, chi ha poca fantasia ottiene potere attraverso iniziative autoritarie.

Perseguitare gli stranieri per fare finta di difendere la sicurezza economica degli italiani.
Perseguitare i gay e le lesbiche per fare finta di difendere il sacro valore della famiglia.
Perseguitare le donne per fare finta di difendere la continuità della specie, per fare finta di difenderne la dignità, il corpo, la vita.
Perseguitare chiunque esprima un libero pensiero per fare finta di difendere i potenti che governano.

Le vittime vengono descritte come carnefici. I carnefici si autodescrivono in quanto vittime.

Le donne lo sanno. Accade ogni giorno. In ogni luogo in cui un uomo uccide una donna mentre i media sono attenti a definirne la nazionalità o a giustificarlo affinché non si sappia che la violenza in famiglia è la prima ragione di morte violenta per tutte le donne.

Accade negli angoli bui in cui sono costrette le sex workers. Relegate nelle periferie fredde e insicure, da ordinanze di sindaci sceriffi armati a salvaguardia del decoro e della moralità. Ed è in quegli angoli che spesso le sex workers perdono la vita, mentre i media ignorano queste morti e nei titoli pronunciano chiara la parola “prostituta” e omettono di specificare che l’assassino è un cliente.

Accade alle straniere, lavoratrici del sesso, badanti, costrette ad obbedire ad un padrone, un uomo o lo Stato, per evitare di essere rinchiuse in un C.I.E.

Noi non ci riconosciamo nelle omissioni, nei moralismi, nelle bugie di chi consegna i nostri corpi autodeterminati allo Stato, alla nazione, in nome di una dignità che nessuno ci riconosce mai quando diciamo che non abbiamo patria, nazione, perché non abbiamo certezze economiche, prospettive di studio, libertà di scelta.

Noi non ci riconosciamo nella chiamata alle armi per una caccia alle streghe animata da misoginia e omertà a protezione dei veri responsabili del disastro italiano.

Non riuscirete a metterci le une contro le altre perché chi usa la guerra tra poveri in qualunque battaglia crea separazione sociale per dare credito a chi su quella separazione specula.

Vale per quelli che istigano la guerra tra stranieri e italiani.
Vale per quelle che istigano la separazione tra donne perbene e donne permale.

Scendiamo in piazza anche per dirvi questo.

Perché noi non vogliamo essere usat*.
Perché noi vogliamo di più.
Perché noi vogliamo tutto.

Femminismo a Sud
Comitato per i diritti delle prostitute

Per adesioni: femminismoasud@inventati.org oppure ombrellirossi@grrlz.net

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Sta arrivando

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