Archivi del giorno: 15 febbraio 2011

Non ci avrete mai come volete voi

Sebbene fare foto mi piaccia molto, il mio mezzo d’espressione più congeniale è la scrittura. E quindi, dopo il silenzio delle immagini che parlano da sole, un po’ di parole.
Domenica non me la sono goduta fino in fondo perché mi sono sentita male, ma quanto meno le vertigini e il batticuore non si sono portate via la soddisfazione di dire che c’ero. C’ero, in mezzo a gente di tutti i tipi: uomini, donne, bambini, adolescenti, anziani. Un po’ poche persone della mia età, devo dire, ma forse era il posto dove stavo io ad essere sfigato in questo senso. Erano le facce bellissime delle donne comuni: delle casalinghe, delle lavoratrici, delle mille sfumature del femminile. Ed erano belle perché erano varie, diverse. Perché è questo che ci vogliono togliere: la diversità, la libertà di essere tutto ciò che vogliamo. Pensate alla bellezza fisica, pensate alle veline, alle miss, alle donne che si vedono in tv: tutte identiche, pezzi di carne standardizzati su un modello di bellezza a senso unico, corpi dai quali si cerca a tutta forza di togliere l’anima. Le donne in piazza invece erano belle perché ci credevano, perché c’erano le alte e le basse, le bellissime e le bruttissime, le sane e le malate, le cattoliche e le atee, quelle coi capelli bianchi orgogliosamente sfoggiati, e quelle con la tintura appena fatta. E i loro occhi erano pieni di cose, di voglia di fare e di esserci, di dire “io sono qui, e sono diversa da come mi volete voi”. Non ci avrete mai come ci volete. E che belli anche gli uomini, accanto a noi e con noi, a supportarci, a riconoscere i nostri mille modi d’essere. Belli anche quelli come mio marito, che è rimasto a casa con Irene per permettere a me di andare. Avrei voluto portare anche lei, per farle capire la vertigine assoluta della folla, la potenza del popolo quando si riunisce a far festa, ma era una tale bolgia che non sarebbe stata una bella esperienza, per lei.
E l’urlo della folla, di quelle centomila persone che letteralmente traboccavano dalla piazza, faceva paura: faceva paura la gioia, perché il capitale ci vuole grigi e passivi, vuole che il sesso non sia amore, ma puro mercimonio di corpi, privato di qualsiasi allegria, di qualsiasi condivisione. La gente in piazza invece amava davvero, perché non era lì solo per sé, ma anche per tutte quelle che non erano potute venire, per quelle che non hanno voce, persino per quelle che non erano d’accordo.
Nella mia vita sono stata fortunata: sono sempre stata libera di esprimere me stessa in tutti i modi, ho potuto compiere studi che in passato venivano considerata roba da maschi, e quasi mai sul lavoro mi sono sentita discriminata per il mio essere donna. E allora perché sono scesa in piazza? Per chi non è così fortunata. Per le schiave sulle strade, per le donne abusate, per quelle che il marito non le fa uscire o non le permette di guidare la macchina, per quelle che sono convinte che solo il corpo ti permetta di andare avanti, per dire che le altre strade sono possibili, che si può essere libere, che si può essere diverse.
E paura la nostra folla deve averla fatta davvero, a sentire le critiche che sono piovute sulla manifestazione.
“Poche radical-chic”, dice la Gelmini. Eccole, le parole private di senso, ecco di nuovo il tentativo di metterci tutte sotto un’unico ombrello, di bollarci. Quando domenica si chiedevano certo le dimissioni di Berlusconi, ma non solo: si chiedeva alla società civile di svegliarsi, si diceva no al precariato, no alla discriminazione, no allo sfruttamento della prostituzione. Un sacco di no, impossibili da ridurre in unità. E di certo non eravamo poche, se tante come me si sono sentite male, strette da una folla veramente traboccante.
“Le donne scendano in piazza per ragioni vere”, dice La Russa. Certo, chiedere il rispetto dei diritti e della dignità delle persone non è una cosa seria. Minimizzare, questo è l’ordine. Lo sentite il disprezzo che trasuda da queste parole? L’offesa per centinaia di migliaia di cittadine che hanno dimostrato forte e chiaro di sapere esattamente cosa volevano e come chiederlo?
“Manifestazione faziosa frutto di una cattiva informazione” dice Berlusconi. Che dimostra di non sapere cosa significa il termine, visto che una manifestazione di piazza è sempre e orgogliosamente espressione di una fazione. Se non si esprimesse una chiara opinione non si scenderebbe in piazza.
Ma tutti, poi, più o meno velatamente ti fanno capire che centomila donne possono scendere in piazza solo se sono state manipolate: si parla di strumentalizzazione, di sinistra che cavalca il dissenso. Come a dire che una donna ha comunque bisogno di qualcuno che le dica come pensare e come manifestare. Perché è questo che fa paura: che per una volta le donne non sono state prone, sono state protagoniste, e con orgoglio hanno esibito non più solo corpi, ma idee, pensieri, passioni.
C’è chi dice che sarà un fuoco di paglia. Che è stata una festa dei pazzi, e resterà confinata ad un pomeriggio di febbraio. Io spero non sia così. È successo qualcosa, domenica, qualcosa di grande. La società civile ha dimostrato di esserci, e di non essere anestetizzata dalla disinformazione, dalla tv, dalla logica del “sono e siamo tutti uguali, per questo dobbiamo tacere e andare avanti”. Non è vero che “adda passa’ a nuttata”. Questa notte non passa se non la facciamo passare noi.
Una bella manifestazione ti lascia qualcosa addosso. Non si esaurisce in piazza, ma getta germogli. Io voglio credere che siano stati gettati dei semi. Che questa non sia la fine, ma l’inizio. Che rinascere è possibile, che possiamo ancora aspirare ad una politica che sia di nuovo passione, e a una società dedita alla sostanza, e non più all’apparenza.
Vi linko uno degli interventi più belli di domenica, quello di Suor Eugenia Bonetti. È la dimostrazione che lì in piazza c’erano tutte, anche chi in piazza di solito non si scende, e che eravamo tutte davvero unite.

Suor Eugenia Bonetti: “Riprendiamoci la dignità”

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