Archivi del mese: giugno 2013

Intervistina

Dopo il megapolemicone di due giorni fa, che però mi pare abbia avvia una discussione interessante, oggi vado liscia: vi segnalo soltanto una mia intervista, questa qua. Buon week end!

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Pubblicare o non pubblicare

So di addentrarmi in territorio minato, ma vorrei dire due parole circa una discussione cui ho partecipato ieri. Riguarda questo post di Sandrone. Appena l’ho letto, l’altro giorno, sono rimasta abbastanza di sasso. Il mio primo pensiero è stato che se avessi letto una cosa del genere dieci anni fa, probabilmente avrei dato fuoco alle Cronache e morta là. Qualcuno probabilmente sarebbe stato contento :P , altri meno, e di certo non io né la casa editrice. Poi ho riletto, ho ponderato, e ho trovato cosa mi trova concorde e cosa no. Partiamo dal primo punto.
Quel che dice Sandrone, da molti punti di vista, è vero. Dipende certo dal carattere, e ognuno, dopo la pubblicazione, si fa il sangue amaro per ragioni differenti – le mie ve le ho sempre spiegate qua sopra – ma essere autori pubblicati non è per nulla rose e fiori, ci sono aspetti che da lettori non si riesce a immaginare, si entra in contatto in profondità con molta gente, e non sempre si è preparati. Vi faccio un brevissimo esempio: a Cava, una delle persone che è venuta ad incontrarmi lavorava nel reparto di oncologia pediatrica. Mi ha detto che a molti dei bambini passati di là ha raccontato le mie storie, e che molti di loro, purtroppo, non ce l’hanno fatta. È una cosa che inorgoglisce, ma al contempo non si può fare a meno di sentirsi toccati dal dolore che le mie storie hanno sfiorato, e non si può al tempo stesso evitare di sentirsene in parte coinvolti. La scrittura non è un gesto a senso unico, lo scambio è reciproco, e bisogna avere a volte le spalle larghe per riuscire a condividere qualcosa coi lettori. E qui si viene al punto fondamentale della lettera di Sandrone: a sedici anni si è giovani. Non è soltanto questione di saperne poco della vita, che è vero, ma quando abbiamo sedici anni non siamo in grado di capirlo né vogliamo accettarlo. Si tratta di non essere in grado di sostenere il confronto col pubblico, le critiche, i veleni, le delusioni, e persino le cose belle che l’esporre i proprio scritti comportano. Sono cose che possono far male quando si è adulti fatti e finiti, figurarsi da ragazzini. In seconda istanza, la critica di Sandrone credo sia volta al sistema, quel sistema che genera schiere di persone incapaci di accettare il rifiuto, chiusi in un delirio personale per cui non è mai colpa nostra, ma sempre degli altri. Lo slogan di uno dei siti di autopubblicazione più diffusi è “se l’hai scritto, va pubblicato”. No, per niente. C’è tantissima roba che ho scritto che è francamente senza né capo né coda, che resterà chiusa in un cassetto e sta bene là, e altra che invece forse potrebbe piacere, se letta, ma che io non ho alcuna intenzione di condividere, perché troppo intima, e che ho scritto solo per me. La pubblicazione non è un diritto: nella mia storia, la pubblicazione è stata un fortuito incidente di percorso. Non sognavo di fare la scrittrice, da bambina, volevo fare lo scienziato, e ho iniziato a scrivere le Cronache perché mi volevo divertire, perché volevo farlo da tantissimo tempo, era un bisogno. Poi, certo, ho ricercato la pubblicazione, ma non avevo nessuna certezza. Non pensavo di aver scritto il capolavoro del millennio e non avevo neppure un piano B, in caso Mondadori e l’altra casa editrice non avessero risposto. Volevo provarci, come forma di rispetto nei confronti di tutto il lavoro profuso in quelle 1200 pagine. Ed è andata bene. Ma questo non significa niente, purtroppo.
Io credo che l’umiltà, in questo lavoro, sia altrettanto importante di quel pizzico di superbia che è necessaria per spedire un manoscritto all’editore. Devi aver coscienza dei tuoi limiti, accettare il responso di chi, per forza di cose, se ne intende più di te, anche perché prima del lettore c’è l’editor, e dio solo sa quante volte m’ha irritata vedermi corretta, eppure ho inghiottito amaro, solo perché sapevo perfettamente di avere torto. Ma è nella nostra natura sentirci sempre nel giusto, e ci vuole fatica per forzarci ad accettare i consigli altrui.
Ecco, iniziare convinti di voler fare gli scrittori e poi scrivere non è un buon modo per iniziare. Prima, secondo me, deve venire il divertimento, perché se non ti diverti quando lo fai sostanzialmente solo per te, come farai a tollerarlo quando di mezzo ci sarà il pubblico, l’editor, l’editore e dio solo sa chi altro? Si dovrebbe scrivere perché si vuole farlo, non per essere pubblicati, e ancora più triste è non divertirsi a sedici anni, quando tutto dovrebbe essere scoperta. L’esaltazione di quegli anni là, ve lo dico, spesso non torna più, bisogna godersi le cose allora, perché la prima volta è una sola.
Io lo so cosa direte: facile per te che sei arrivata. Vi ho già detto che non è facile per niente, e ad arrivare non si arriva mai, perché questo è un cammino di insoddisfazione perenne. Ma quel che voglio dirvi non è di non provarci, ma di farlo con lo spirito giusto, con le giuste aspettative e con quel che po’ di consapevolezza che vi eviterà treni in faccia. E se proprio volete, fatelo pure a sedici anni, anche se di Moravia ce n’è uno ogni non si sa quanto: provateci, ma senza farne un’ossessione, senza farvi il sangue cattivo. E mettendovi ogni tanto pure in discussione.
Su cosa non sono d’accordo? Sull’utilità generale di consigli come quelli – sacrosanti – di Sandrone. Chi ha una certa sensibilità e un certo modo di vedere il mondo, queste cose le sa già, e anzi deve combatterci contro per trovare la forza di spedire il manoscritto. Incidentalmente, questa gente è anche quella che più probabilmente ha talento. Tutti gli altri, semplicemente non ci crederanno, o grideranno al complotto dell’editoria cattiva, o qualsiasi altra cosa che li confermi nell’idea di essere dei martiri perseguitati. E tra loro, probabilmente quelli bravi saranno pochissimi. Sì, in effetti anche questo mio interminabile pistolotto è inutile, anche perché si capiscono certe cose solo quando le vivi; se le racconti da fuori, nessuno ci crede.
Poi, ognuno fa quel che vuole, la vita è sua, il libro è suo. Il successo una cosa misteriosa, il talento è ancora più imperscrutabile e la vita, spesso, crudele. Basta saperlo.

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Star Wars Into Darkness

No, non è un refuso.
Come avrete capito, oggi vi parlo delle mia impressioni circa l’ultimo film di Star Trek, il secondo diretto da J.J. Abrams, un nome che ancora non ho capito se mi genera brividi di panico o di piacere, un po’ come la sua creatura Lost, che a tre anni dalla fine ancora non ho capito se c’ho fatto pace oppure no.
Comunque. Star Trek. Io non sono una trekker; mio marito però sì, e dunque ho visto un bel po’ di roba connessa al marchio. Molte puntate di TOS, una vagonata di quelle di TNG, tutti i film e tutta Enterprise. Direi che ho presente un po’ lo spirito della serie, via. E Into Darkness, banalmente, non ce l’ha. Star Trek la potremmo definire “fantascienza coi superproblemi”: il punto non è tanto il tecnoblablabla – che comunque c’è – o le astronavi – che comunque generano feticismo, come prova il modellino dell’Enterprise E di mio cognato -, ma il dilemma. I nostri sono esploratori, dunque si trovano di fronte all’indagine del diverso, al rapporto che con questo altro decidiamo di stabilire. Tutte le serie che ho visto – sì, pure Enterprise – girano intorno ai dilemmi etici, anche quando si menano come orbi. C’è gente che tutto ciò lo definisce buonismo, io francamente no. È fantascienza come se n’è sempre fatta nel periodo in cui Star Trek è nato, e il fatto che presenti la realizzazione di un’utopia è solo il punto di partenza e la cornice nella quale inserire un discorso più complesso sull’immutabilità della natura umana, anzi, degli esseri senzienti. Questo non vuol dire che non si menassero: si menano, perché comunque la fantascienza è intrattenimento, e non è neppure vero che non ci fossero le donne ignude, come dice qualcuno che si lamenta di questa scena di Into Darkness – andatevi a rivedere Uhura e il suo gonnellino… -, ma non era quello il punto. Il punto era quello che c’era sotto.
Ecco, Into Darkness invece marca perfettamente la distanza che ci separa da quel modo di raccontare storie e quello che va per la maggiore oggigiorno: oggi un film di fantascienza deve puntare solo ed esclusivamente sull’aspetto visivo, perché abbiamo la possibilità di produrre effetti speciali incredibili. Il resto, è contorno. E, va detto, dal punto di vista prettamente visivo a Into Darkness non manca niente. Non solo è proprio bello da vedere, ma ha anche tutta una serie di invenzioni a livello di azione che ho trovato pregevolissime: una per tutta, la scena finale dei nostri che si muovono nell’Enterprise che rotola. Solo che, una volta che hai tolto l’aspetto visivo, che resta? Eh. Resta lo spreco più grosso della storia del cinema di un cattivo iconico e di un attore straordinario come Cumberbatch. Cioè, hai Khan, e già solo il nome fa salire la pressione al trekker medio di varie tacche, e che, incidentalmente, è un personaggio straordinario anche a prescindere, che può affascinare anche chi di Star Trek non sa un cavolo. E gli togli tutto quello che può renderlo interessante. Per altro, ti premuri anche di non renderlo esattamente il cattivo del film, che, tutto sommato, poteva anche essere una buona idea, se non c’avessi ripensato a dieci minuti dalla fine. Khan diventa così un ariano dallo sguardo di ghiaccio con la forza erculea. E morta là. Di tutto il discorso sul potere, sul superuomo, sulla nostra tendenza a piegarci alla volontà del magnanimo di turno, non resta assolutamente niente. E non venite a dirmi che non bisogna far paragoni con L’Ira di Khan – dove per altro si menano comunque moltissimo, senza però rinunciare a raccontarci dei personaggi – perché se me lo citi ogni tre per due come fanno JJ e compagnia, mi stai chiedendo in ginocchio di fare un paragone. Tralasciamo che Cumberbatch come attore si magna a colazione tutto il resto del cast, e c’è comunque spazio per un bombolone alla crema, e ce lo propini col contagocce. Vabbeh.
Sostanzialmente, il film è tutto un agitar di mani per nascondere il fatto che la sceneggiatura sostanzialmente non regge, senza contare, per altro, che ogni volta che la suddetta sceneggiatura cerca di far capolino le sparano. Letteralmente. Appena due personaggi buttano lì più di tre battute, succede qualcosa, accompagnato da effetti sonori da terremoto del millennio. Fateci caso. Inutile star qua a rimarcare che, senza una caratterizzazione di Khan, tutto il suo piano risulta abbastanza oscuro, così come non si capisce perché Marcus debba ammazzare i compagni di Khan sparandoglieli addosso, invece di ammazzarli prima a scopo cautelativo, o come mai risvegliarli sembri una cosa impossibile, fino a quando non serve la capsula criogenica per Kirk. Irritanti anche tutti i continui riferimenti alla serie classica: ha ragione Leo Ortolani, pare ci sia lì JJ che ti strizza l’occhio e si finga “uno di noi”, quando al massimo al massimo è uno di loro, quello dei film alla Bay, che se non esplode qualcosa ogni dieci minuti c’è il plotone d’esecuzione.
Ma veniamo al capitolo Star Wars. C’è il Millennium Falcon, parliamone. Vi giuro, Kirk ad un certo punto guida il Millennium Falcon in una scena che fa tantissimo Solo & co. sull’asteroide col vermone. I bar di San Francisco sembrano quelli di Coruscant, e Kirk e McCoy, nella scena iniziale, sembrano francamente cavalieri Jedi. Ah JJ, ho capito che sei già proiettato sul tuo prossimo progetto, ma anche no, eh? Tanto più che è universalmente noto che i fandom dei due marchi sono assolutamente non sovrapponibili.
Vabbeh, ma quindi tutto da buttare? No. Innanzitutto c’è una regia e si vede, c’è una visione, una poetica, direi, e questo piace. E poi, certo, ti diverti, poco da dire. Anche la famosa scena finale ha il suo pathos – anche se il bromance è a livelli di guardia, anche perché Spock e Kirk non è che si conoscano da una vita, come ne L’Ira di Khan – la musica ci piace, e le due orette scorrono in allegria. A patto di brasarsi il cervello dal ricordo che dovrebbe essere un film di Star Trek. Mi direte: ma l’etica c’è, c’è tutto il problema della Starfleet che Marcus vorrebbe trasformare in un’armata militare. Suvvia, è una cosa appiccicata con lo sputo e trattata con tonnellate di sufficienza, giusto perché qualcuno, al momento della stesura della sceneggiatura, deve aver ricordato a JJ che, ehi, è un film di Star Trek, ci vuole un po’ si riflessione!
Comunque, vi dicevo, il film è un buon prodotto di intrattenimento, probabilmente superiore alla media dei film d’azione di oggigiorno. Solo che non è Star Trek. E la sceneggiatura è traballante, come il 90% dei film d’azione attuali. Devo dire, però, che ho grandi speranze per Star Wars VII; non so, dopo aver visto questo qua sento che JJ è più portato per l’epica che per l’etica. Vedremo.

Post scriptum
Ieri sera mi sono rivista L’Ira di Khan. Che è ben lungi dall’essere un film perfetto. Ma, a parte una serie di piccole cose inevitabili, quanto a sceneggiatura a questo gli dà una pista. E ho capito anche il perché. È che all’epoca non avevano quest’ansia di far esplodere tutto, perché costava e gli effetti speciali erano quello che erano. Dunque si prendono tutto il loro tempo – ok, a volte troppo – per spiegarti la storia, per introdurti i personaggi, per giustificare i passaggi di trama. A parte la morte di Spock un po’ appiccicata con lo sputo, paradossalmente uno si appassiona di più a vedere un film come questo, che ha quattro set e parlano per il 70% del tempo, che in quello di JJ in cui non c’è un attimo di respiro. Ma se la smettessimo di andar appresso agli effetti speciali figherrimi e ricominciassimo a raccontare dei personaggi e delle storie?

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Cavacon 2013 Summer Edition

Oggi avrei voluto fare un post lunghissimo di esegesi di Star Trek Into Darkness, visto che sono anche fresca di rivisione di una puntata della serie classica di Star Trek legata al film (dai, non vi dico di più sennò mi dite che è spoiler, anche se l’identità del cattivo del film è tipo il segreto di Pulcinella), ma, dannazione, ci si è messa di mezza Cavacon, che è stata un’esperienza così bella e piacevole che proprio non ce la faccio a non parlarne. Mannaggia a loro :P .
E insomma, come sapete, questo fine settimana ho partecipato alla fiera del fumetto di Cava de’Tirreni. A Cava c’ero già stata eoni fa, ma non ricordavo pressoché niente, e l’ho trovata una piacevole sorpresa. Nonostante le origini campane, Cava non ospita miei parenti di vario grado – che sono invece per il resto abbastanza ben distribuiti tra le varie province campane – e dunque non la conoscevo bene. È davvero un bel posticino, per altro coi portici, elemento architettonico che io adoro, ma che in genere a sud di Bologna non si vede molto. Tra l’altro ci spira l’arietta del mare, ed è proprio piacevole.
La fiera è stata piacevolissima e divertente: a parte che era frequentatissima – e il cosplay era d’alto livello, come ormai accade sempre più spesso; non potrei proprio più praticarlo, sob… – c’era tantissima passione, che è la cosa più bella, almeno per quel che mi riguarda. Ci sono eventi magari più grandi, ma assai più freddi e impersonali; è bello invece quando c’è quell’atmosfera di casa, quel senso di condivisione, che io trovo assolutamente fantastico. Il mondo dei fumetti e dei games è soprattutto questo, almeno per come la vedo io.
E poi ho conosciuto un sacco di persone fantastiche: gli organizzatori, Barbara Baraldi, che non avevo mai incontrato di persona, Davide Perino, e tantissimi altri (sapete che ho problemi coi nomi :P ).
E poi ci siete stati voi. Che siete stati un sacco, calorosi e gentilissimi. Dovrei ricordare tutte le chiacchierate, le firme, e le foto, ma siccome siete stati un sacco, ricordo due episodi per tutti: la ragazza col cartello “We Love Licia”, che finirò per attaccarmi sul letto per i momenti discendenti della curva della mia autostima, e la ragazza che aveva tatuato su un fianco una frase delle Cronache: morire è facile, è vivere che richiede coraggio.
La macchina fotografica non ce l’avevo, per cui le foto che vi allego qui sotto sono rubate ad altri. Grazie mille a Ugo di Pace e Helena Lestrange per le foto!

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Cavacon

Allora, ci siamo. Questo week end, il 22 e il 23 giugno, sarò a Cava de’ Tirreni per il Cavacon. Gli appuntamenti sono tre:
22 giugno ore 12:30, allo Space1, presenterò la prima trilogia de La Ragazza Drago;
22 giugno ore 16.00, allo Stand Mondadori, farò una firma copie;
23 giugno ore 11.00, allo Space1/Sala Teatro, assieme a Barbara Baraldi ci sarà un workshop.
Bon, questo è quanto. Per chi ci sarà, ci vedremo lì a Cava, per gli altri, al solito, stay tuned che qui sul sito trovate sempre tutte le informazioni sui miei spostamenti.
Buon week end!

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Once Upon a Tome 2×22: un patto tradito

E così, ieri sera ho visto l’ultima puntata della seconda stagione di OUAT. Che dire? Eh, bella domanda. Perché da un lato, in sé, l’episodio non è male, e getta anche interessanti premesse per la terza stagione; d’altro canto, però, le incongruenze e le voragini di trama della stagione impediscono all’episodio di sviluppare tutto il proprio potenziale, visto che c’è così tanta roba da spiegare/chiudere/rappezzare. Senza contare che si continua con una serie di fastidiosi stratagemmi di sceneggiatura che speravo sepolti con l’orrenda puntata 20, per cancellare il ricordo della quale mi piacerebbe farmi sottoporre ad un processo simil-Se Mi Lasci Ti Cancello. Comunque, il problema è un altro: il problema è che il trittico 18-19-20 ha così tradito il patto con lo spettatore che ormai a me personalmente riesce incredibilmente difficile abbandonarmi di nuovo a questa serie. Sì, perché io non ho problemi a seguirti e a passar sopra ai tuoi difetti, se riesci ancora ad appassionarmi; ma tu m’hai stravolto i due migliori personaggi della serie, ti sei dato ai deus ex-machina come se non fosse un domani e hai prodotto l’episodio peggio scritto della storia dei telefilm americani, in cui non solo m’hai massacrato Regina, ma m’hai proprio prodotto una cosa che non c’ha senso. Mi spiace, io adesso non riesco più a fidarmi. È triste che ci vogliano venti episodi per guadagnarti la fiducia dello spettatore, e poi uno solo per perderla per sempre o giù di lì. Ma è così, ahimé.
Vabbeh, veniamo al merito. L’episodio in sé, dicevo, è anche carino. Alla buon’ora, dopo ventidue puntate, qualcuno si ricorda che, ehi, abbiamo Hook! Un personaggio iconico! Forse fargli fare da punching ball è un po’ sprecato, e gli cuciono addosso un flashback non disprezzabile. Il problema è che, come purtroppo è d’uso da seconda metà di stagione in poi, le dinamiche tra i personaggi non funzionano e sono risolte con sciatteria. Il rapporto Hook Bae poteva essere interessante, ma risolto così, in dieci minuti di flashback, non ha senso: perché Hook si affezioni così tanto a Bae resta oscuro, e no, non basta la storiella del “siamo stati abbandonati tutti e due”. Un po’ più convincente il fatto che sia il figlio di Milah, ma ricordiamoci che quest’ultima Bae l’ha abbandonato per seguire il pirata, e hai voglia Hook a dire che lei l’ha rimpianto ogni giorno della sua vita: è rimasta comunque con te, e in malora il figlio. Anche a te dovrebbe fregarne molto poco. Anche la sua decisione di tornare indietro col fagiolo casca un po’ dalle nuvole, mentre è francamente incomprensibile che Hook, dopo una stagione a menarcela che doveva ammazzare Rumple, d’improvviso scopra che gli interessa di più vivere. Il che rende i 21 episodi precedenti inutili o giù di lì. Apperò. Lo so, tutto questo in realtà viene giustificato all’interno dell’episodio, ma è fatto con sciattezza, con dialoghi imbarazzanti e in modo troppo repentino. Non si tratta di snodi di trama da nulla, visto che il desiderio di vendetta di Hook è stato uno dei motori di buona parte della stagione.
Anche Rumplestiltskin non ne esce molto meglio: prima vuole morire, poi vuole andare a salvare Henry, che a inizio puntata ha cercato di uccidere. Sì, ok, è morto il figlio nel frattempo, ma anche qua, Rumple prende decisioni importanti per la sua vita così, nel giro di dieci minuti.
Continuano poi i deus ex-machina: guarda un po’, la Fata Madrina ha prodotto il filtro che ridà la memoria. Stavolta gli sceneggiatori si devono essere accorti di star giocando sporco, e lo fanno dire direttamente a Rumple: how convenient, la pozione è pronta proprio due nanosecondi prima della distruzione di Storybrook. Brontolo ci spiega che no, la Fata ci stava lavorando da tempo. Magari se ce la facevate vedere al lavoro, se almeno una volta avesse detto a qualcuno che, incidentalmente, stava cercando di far tornare la memoria alla gente, forse ci credevamo di più. Tralascio Tamara che in certe scene pare un’agente della CIA, e quella dopo inciampa e casca come una cretina giusto per dare un po’ di pathos ad una scena d’azione abbastanza moscia. Senza contare Greg e Tamara che in questi ultimi episodi hanno cambiato missione duecento volte: prima Greg pare un pirla qualunque cascato a Storybrook per caso, poi cerca il padre, poi vuole annullare la magia. Adesso no, il vero punto era trovare Henry, missione alla quale non mi pare lui e la sua insopportabile compare si fossero dedicati con grande passione fin qui. Anzi, diciamo che sembrava gliene fregasse assolutamente nulla, stante per altro che Tamara sapeva da un bel po’ dell’esistenza di Henry, e non aveva dato mostra di interesse nei suoi riguardi. E vabbeh.
Cose positive? La scena dell’agnizione tra Rumple e Belle; la coppia funziona, è l’unica coppia di cui allo spettatore freghi qualcosa, visto la diabetica mielosità di David e Snow, e Carlyle è sempre Carlyle. Non male anche la scena di Regina che decide di sacrificarsi per Storybrook. Ma le cose davvero interessanti succedono alla fine: belli i Bimbi Sperduti, bella l’Isola Che Non C’È, bella in generale l’idea di rendere il tutto minaccioso. Mi piace anche che Peter Pan cerchi Henry, ma, visto come le cose sono state gestite fin qui, ho il fondato sospetto che sia una cosa buttata lì così, nella speranza che durante l’estate agli sceneggiatori venga un’idea per giustificare il tutto.
Mah. Io non riesco davvero a spiegarmi come questa serie possa aver fatto questa fine. Non capisco come gente che fino a dieci episodi fa quanto meno sapeva scrivere, improvvisamente ha iniziato a fare le cose in modo così sciatto e brutto. È inspiegabile. Speriamo che la terza stagione si risollevi, tutto sommato mi stavo divertendo.

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Da Vinci’s Demons 1×08: la (si fa per dire) fine

Estate, è tempo di migrare. Non solo in un posto dove la massima sia inferiore a 30°, ma dove le serie televisive non finiscano tutte alla soglia di metà giugno. Almeno, quelle che seguo io lo fanno. Ieri è finita Once Upon a Time (ma io quell’episodio lì non l’ho ancora visto, visto che ero impegnata a far questo :P ), settimana scorsa è finito Da Vinci’s Demons. Che, come sapete, a me è piaciuto parecchio, anche se colgo un diffuso disamore per questa serie. Probabilmente sono una donna dai gusti piuttosto bassi :P .
Dunque, la serie più cazzona dell’anno (perché la più coatta, non c’è bisogno di dirlo, è Spartacus) finisce con un episodio tutto sommato pure troppo sobrio, almeno nella prima metà. Finire, poi, è improprio: la serie termina col più gigantesco cliffhanger della storia della narrativa, secondo probabilmente solo alle faccione basite di Jack e Locke davanti alla botola spalancata.
Devo dire che quest’ultimo episodio, almeno per la prima metà, m’ha lasciata un po’ così. Ok, alla luce della conclusione, la scelta di montare lentamente la tensione, fino ai venti minuti finali di fuochi d’artificio, ha un suo senso, ma io mi sono annoiata, c’è poco da fare. La preparazione della partenza di Leonardo, incrociata alla messa a punto della congiura dei Pazzi, procedono a passo di lumaca. Diciamoci poi che, non so voi, ma a me la coppia Leonardo Lucrezia non dice niente su tutti i fronti, anche perché mi pare che anche Leonardo abbia scarsissimo interesse nella questione. Sì, la gnocca, ma mi pare personaggio interessato a piaceri di natura assai più mentale che fisica. Anyway, poi arriva la congiura e siamo tutti contenti, perché sono botte da orbi.
La mia ignoranza in fatto di storia è abissale, per cui, davanti a due preti che disfano di pugnalate il povero Giuliano de’ Medici (e non de’ Medìci, che ogni volta che lo dicono mi si capovolge lo stomaco…) in una Chiesa ho pensato “e vai con l’aberrazione storica!”. E invece è andata proprio così. Pure un po’ peggio, a dire il vero. Per inciso, non ho neppure apprezzato molto la sospetta morte di Giuliano nella precedente puntata, che invece le penne ce le lascia in queste. Non so, ho trovato che la pugnalata di Lucrezia nella settima sminuisca il pathos della morte di Giuliano in questa puntata. Ma, vabbeh, storicamente Giuliano al pranzo precedente la congiura non ci arrivò “per indisposizione”, e una coltellata alla panza è in effetti un buon pretesto. Però, non so, io avrei fatto diversamente.
Ora si aspetta la seconda stagione. Il pericolo che tutto vada in vacca, rompendo quel fragilissimo equilibrio che permette alla serie di veleggiare nei mari del divertimento mentenendosi sempre a un pelo dalle secche della vaccata, è alto. Tra l’altro c’è il fatto che questa è una serie “de misteri”, e l’ultima serie del genere che ho visto mi ha delusa enormemente. Che dire, speriamo che questa stagione non sia stata frutto di un caso fortuito. Nel frattempo, io la consiglio a chi non l’avesse vista, a patto di aspettarsi null’altro che un po’ di sano divertimento a suon di mazzate, complotti e depravazione rinascimentale. Io non ho niente contro il divertimento, anzi, per cui me la sono goduta. Da Vinci’s Demons mi è sembrata un po’ l’equivalente contemporaneo di quei bei romanzi di avventura à la Dumas, che ti appassionavano e ti trascinavano nel loro mondo di avventure rocambolesche. C’è bisogno anche di questo, quando il prodotto è onesto e curato. E, secondo me, al netto di tutto, questo lo è.
Vi lascio con un video che mi ha esaltata: lo sapevate che la sigla della serie si può sentire anche al contrario? Non ci credete? Provate un po’…

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Inferno. E non sto parlando del clima.

Ennesimo post di servizio. Scusate, si conferma che per me l’estate, a livello lavorativo, è peggio dell’inverno. Spero a breve di riuscire a riprendere dei ritmi un po’ meno affannosi, ma non ne sono tanto sicura…pensate che ho sul groppone da quattro giorni la recensione dell’ultima puntata di Da Vinci’s Demons e non trovo modo di scriverla…Comunque. Ieri è uscita una mia bella intervista fatta in quel di Torino: la trovate qua.
Vi ricordo che oggi pomeriggio, 18 giugno, ore 18.00, possiamo vederci qui a Roma, alla Libreria Feltrinelli di Via del Babuino; assieme a Sandrone Dazieri presento Francesco Gungui e il suo Inferno. Poi, certo, sabato e domenica c’è Cavacon, ma ne parliamo più in là, e comunque tutti i riferimenti sono nella homepage del sito, colonna di destra.
A oggi pomeriggio per chi ci sarà!

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Altre informazioni

Scusate la mia assenza questa settimana, ma ho avuto parecchie cosette da fare; per dire, mercoledì sono finalmente andata a Napoli. Si è trattato di un viaggio di documentazione, spero che a breve ne saprete di più al riguardo; intanto, dovreste aver visto un paio delle foto che ho fatto, di cui una piuttosto indicativa circa la natura del progetto in cui sono impegnata. Comunque, non è tempo di fare spoiler al riguardo :P .
Anche oggi, comunque, post a carattere informativo. Innanzitutto, è uscito il podcast dell’intervista che ho fatto per Saiuz Web Radio mercoledì sera; io mi sono divertita molto, spero l’abbiate fatto anche voi. Scusatemi, ma ad un certo punto ho combinato un casino: mi sono confusa e ho buttato giù inavvertitamente il telefono. Cercate però di capirmi, venivo da una camminata storica a Napoli, con mio padre abbiamo macinato chilometri e chilometri sotto il sole, ero un po’ provata :P .
Vi ricordo che oggi, a Roma, nello specifico presso la Libreria Mondadori di Via Tuscolana, ore 18.30, presenterò Francesco Falconi e il suo Muses – La Decima Musa.
Martedì 18 giugno, invece, ore 18.00, sempre qui a Roma, presso la Libreria Feltrinelli di Via del Babuino 39/40, presento Francesco Gungui e il suo Inferno.
Poi, vabbeh, il 22 e il 23 giugno c’è Cavacon, ma non vi sovraccarico di informazioni :P . Vi lascio piuttosto col podcast, alla fine del quale c’è una chicca che spero gradirete. Buona giornata!

Intervista Saiuz Web Radio

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Intervista per Saiuz Web Radio

Anche oggi sarò breve, che ho una settimana decisamente densa: stasera, dalle ore 21.30, potrete ascoltarmi su Saiuz Web Radio per un’intervista. Il link per ascoltarmi è questo. Nel caso vi perdeste la cosa, troverete il podcast qui.
Bon, a stasera!

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