Pubblicare o non pubblicare

So di addentrarmi in territorio minato, ma vorrei dire due parole circa una discussione cui ho partecipato ieri. Riguarda questo post di Sandrone. Appena l’ho letto, l’altro giorno, sono rimasta abbastanza di sasso. Il mio primo pensiero è stato che se avessi letto una cosa del genere dieci anni fa, probabilmente avrei dato fuoco alle Cronache e morta là. Qualcuno probabilmente sarebbe stato contento :P , altri meno, e di certo non io né la casa editrice. Poi ho riletto, ho ponderato, e ho trovato cosa mi trova concorde e cosa no. Partiamo dal primo punto.
Quel che dice Sandrone, da molti punti di vista, è vero. Dipende certo dal carattere, e ognuno, dopo la pubblicazione, si fa il sangue amaro per ragioni differenti – le mie ve le ho sempre spiegate qua sopra – ma essere autori pubblicati non è per nulla rose e fiori, ci sono aspetti che da lettori non si riesce a immaginare, si entra in contatto in profondità con molta gente, e non sempre si è preparati. Vi faccio un brevissimo esempio: a Cava, una delle persone che è venuta ad incontrarmi lavorava nel reparto di oncologia pediatrica. Mi ha detto che a molti dei bambini passati di là ha raccontato le mie storie, e che molti di loro, purtroppo, non ce l’hanno fatta. È una cosa che inorgoglisce, ma al contempo non si può fare a meno di sentirsi toccati dal dolore che le mie storie hanno sfiorato, e non si può al tempo stesso evitare di sentirsene in parte coinvolti. La scrittura non è un gesto a senso unico, lo scambio è reciproco, e bisogna avere a volte le spalle larghe per riuscire a condividere qualcosa coi lettori. E qui si viene al punto fondamentale della lettera di Sandrone: a sedici anni si è giovani. Non è soltanto questione di saperne poco della vita, che è vero, ma quando abbiamo sedici anni non siamo in grado di capirlo né vogliamo accettarlo. Si tratta di non essere in grado di sostenere il confronto col pubblico, le critiche, i veleni, le delusioni, e persino le cose belle che l’esporre i proprio scritti comportano. Sono cose che possono far male quando si è adulti fatti e finiti, figurarsi da ragazzini. In seconda istanza, la critica di Sandrone credo sia volta al sistema, quel sistema che genera schiere di persone incapaci di accettare il rifiuto, chiusi in un delirio personale per cui non è mai colpa nostra, ma sempre degli altri. Lo slogan di uno dei siti di autopubblicazione più diffusi è “se l’hai scritto, va pubblicato”. No, per niente. C’è tantissima roba che ho scritto che è francamente senza né capo né coda, che resterà chiusa in un cassetto e sta bene là, e altra che invece forse potrebbe piacere, se letta, ma che io non ho alcuna intenzione di condividere, perché troppo intima, e che ho scritto solo per me. La pubblicazione non è un diritto: nella mia storia, la pubblicazione è stata un fortuito incidente di percorso. Non sognavo di fare la scrittrice, da bambina, volevo fare lo scienziato, e ho iniziato a scrivere le Cronache perché mi volevo divertire, perché volevo farlo da tantissimo tempo, era un bisogno. Poi, certo, ho ricercato la pubblicazione, ma non avevo nessuna certezza. Non pensavo di aver scritto il capolavoro del millennio e non avevo neppure un piano B, in caso Mondadori e l’altra casa editrice non avessero risposto. Volevo provarci, come forma di rispetto nei confronti di tutto il lavoro profuso in quelle 1200 pagine. Ed è andata bene. Ma questo non significa niente, purtroppo.
Io credo che l’umiltà, in questo lavoro, sia altrettanto importante di quel pizzico di superbia che è necessaria per spedire un manoscritto all’editore. Devi aver coscienza dei tuoi limiti, accettare il responso di chi, per forza di cose, se ne intende più di te, anche perché prima del lettore c’è l’editor, e dio solo sa quante volte m’ha irritata vedermi corretta, eppure ho inghiottito amaro, solo perché sapevo perfettamente di avere torto. Ma è nella nostra natura sentirci sempre nel giusto, e ci vuole fatica per forzarci ad accettare i consigli altrui.
Ecco, iniziare convinti di voler fare gli scrittori e poi scrivere non è un buon modo per iniziare. Prima, secondo me, deve venire il divertimento, perché se non ti diverti quando lo fai sostanzialmente solo per te, come farai a tollerarlo quando di mezzo ci sarà il pubblico, l’editor, l’editore e dio solo sa chi altro? Si dovrebbe scrivere perché si vuole farlo, non per essere pubblicati, e ancora più triste è non divertirsi a sedici anni, quando tutto dovrebbe essere scoperta. L’esaltazione di quegli anni là, ve lo dico, spesso non torna più, bisogna godersi le cose allora, perché la prima volta è una sola.
Io lo so cosa direte: facile per te che sei arrivata. Vi ho già detto che non è facile per niente, e ad arrivare non si arriva mai, perché questo è un cammino di insoddisfazione perenne. Ma quel che voglio dirvi non è di non provarci, ma di farlo con lo spirito giusto, con le giuste aspettative e con quel che po’ di consapevolezza che vi eviterà treni in faccia. E se proprio volete, fatelo pure a sedici anni, anche se di Moravia ce n’è uno ogni non si sa quanto: provateci, ma senza farne un’ossessione, senza farvi il sangue cattivo. E mettendovi ogni tanto pure in discussione.
Su cosa non sono d’accordo? Sull’utilità generale di consigli come quelli – sacrosanti – di Sandrone. Chi ha una certa sensibilità e un certo modo di vedere il mondo, queste cose le sa già, e anzi deve combatterci contro per trovare la forza di spedire il manoscritto. Incidentalmente, questa gente è anche quella che più probabilmente ha talento. Tutti gli altri, semplicemente non ci crederanno, o grideranno al complotto dell’editoria cattiva, o qualsiasi altra cosa che li confermi nell’idea di essere dei martiri perseguitati. E tra loro, probabilmente quelli bravi saranno pochissimi. Sì, in effetti anche questo mio interminabile pistolotto è inutile, anche perché si capiscono certe cose solo quando le vivi; se le racconti da fuori, nessuno ci crede.
Poi, ognuno fa quel che vuole, la vita è sua, il libro è suo. Il successo una cosa misteriosa, il talento è ancora più imperscrutabile e la vita, spesso, crudele. Basta saperlo.

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32 risposte a Pubblicare o non pubblicare

  1. Elena scrive:

    Fino ad aprile scorso non mi rendevo conto che sono una vittima di qualcuno….
    Sarei interessata ad una scrittrice, per scrivere un romanzo della mia vita…
    Da una vita di prostituta alla vita di SIGNORA!!!
    Adesso non mi vergogno più… Voglio che mia vita sia pubblicata e
    Tutto quello che ho subito, che i lettori vedano che tipo di uomini ci sono nei nostri
    tempi….
    È drammatico! Spero di essere contattata.

  2. Bruna scrive:

    Anche io ho 15 anni. E anche io scrivo perchè mi piace. Fino ad ora ho scritto un “libro”, se così possiamo chiamarlo, di 200 pagine… Ci ho messo l’anima in quel libro. Rileggendolo tutto molte cose non quadravano, e forse non quadreranno mai. Non sogno di pubblicarlo. Forse perchè so già che nessuno lo pubblicherebbe mai, ma anche perchè quel libro è mio. Solo mio. Non me ne frega di essere famosa, io sono una musicista e la scrittrice è un sogno che tengo lì, senza capo nè coda. Scrivevo perchè non avevo nulla da fare. Così ho iniziato: ” Ero seduta su quel muretto, quell’ammasso di cemento che per interi pomeriggi ho odiato. Era la mia prigione…” E così nato, non so come, nè quando. Eppure c’è , è lì. Incoerente, pieno di errori, brutto. é lì in fondo al cassetto e se dovessi passare ancora interi pomeriggi per riscriverlo lo farei anche ora. Non sono nessuno è vero, ma per me i miei personaggi sono stati qualcuno. E a me basta.

  3. Lorena scrive:

    Lotonero, non è vero… guarda Touched Saga, dopo un incredibile debutto come self, ora è stato acquistato da Editrice Nord. Sempre più case scelgono di pubblicare opere self: perché sono già “testate” dal pubblico, ovvero una mossa a colpo sicuro!

  4. Lorena scrive:

    Ho letto il post di Sandrone, poi ho letto il tuo post, Licia, e di seguito tutti i commenti. Tante cose sono già state dette, con alcune mi trovo d’accordo, con altre meno.
    Di sicuro, come scrive Sandrone, l’esperienza personale significa molto. A 16 anni si sono provate ancora poche cose… certo, un talento innato più esserci, ma sono casi rari. Concordo con lui sul “aspettare ed essere più maturi” ma, vorrei aggiungere una cosa a tutte le frasi già dette.
    Perché ci deve essere sono bianco e nero? Perché in Italia siamo ancora così ottusi?
    Non esistono unicamente le case editrici, c’è un’alternativa che non solo è nata, ma sta prepotentemente facendosi largo nel mondo dei libri: il selfpublishing.
    Auto-pubblicarsi ormai non è l’alternativa scomoda (visto che nessuno mi pubblica mi arrangio da solo), piuttosto è una scelta. Una scelta economica (un autore self guadagna una percentuale maggiore rispetto a un autore pubblicato con una casa), una scelta di concetto (un autore self può scrivere quello che gli pare), una scelta indipendente dall’età (chiunque può pubblicarsi).
    Essere self dà vantaggi e svantaggi. Io ho deciso di auto-pubblicarmi, iniziando dagli ebook su Amazon, un anno e mezzo fa. Sono stata una delle prime nella sezione fantasy e, con il senno di poi, non solo lo rifarei, ma lo sto consigliando a chiunque.
    I selfpublisher non hanno case editrici, editor, agenzie… hanno il pubblico. Se il romanzo piace si slitta in cima alla classifica, se è terribile, dopo le prime vendite, si finisce nel dimenticatoio.
    Un sistema molto equo. Niente operazioni di marketing, solo giudizi puri e semplici.
    C’è ancora chi dice che i self non sono veri scrittori e, in effetti, tra le opere auto-pubblicate si trova di tutto: testi semplicemente illeggibili come opere d’arte.
    Da un anno a questa parte, le mie letture sono quasi esclusivamente self, a volte solo libri eccezionali, altre smetto di leggere dopo dieci pagine, tuttavia, non si può ignorare questo fenomeno… fenomeno di cui, tra l’altro, possono approfittare anche gli adolescenti.
    Io a quella ragazza di 16 anni avrei detto anche questo: vuoi sapere se hai scritto un buon libro? Pubblica l’ebook in rete (è gratuito!) e aspetta i commenti, sarà il pubblico a eleggerti o bocciarti, non un editor.
    Ho avuto la fortuna di avere un discreto successo e di vendere migliaia di copie… non è stato facile. Come scrivi tu, Licia, rapportarsi con il pubblico è duro, durissimo. Oltre alle lodi ci sono le critiche, a volte giustissime e difficili da digerire, altre superficiali e cattive e, lo ammetto, in più occasioni ho pianto. Però la soddisfazione è enorme e non ho intenzione di fermarmi qui. Ormai, che una grossa casa editrice mi noti, mi importa poco. La cosa fondamentale è continuare a scrivere per me stessa, sarà il pubblico a decretare.
    Dopo la mia esperienza, ho fondato un’associazione culturale no-profit proprio per aiutare i giovani esordienti che valgono: SELECTED SelfPublishing.it.
    Nella speranza che l’Italia si svegli…

    • Licia scrive:

      Anch’io spesso consiglio l’autopubblicazione, ma non credo siano tutte rose e fiori. Il rumore di fondo è tantissimo, il pericolo di affondarci dentro molto serio. Comunque, il discorso è lungo, al riguardo, forse un giorno ci farò un post.

    • Lotonero scrive:

      Va anche detto che con l’autopubblicazione non raggiungi certo il pubblico che raggiungeresti avendo alle spalle una casa editrice.
      E che se pubblichi per conto tuo, molto probabilmente non potrai più proporti ad una casa editrice, se non con un nuovo lavoro.

  5. PinoCammino scrive:

    Dopo aver letto quel post di Sandrone Dazieri mi è venuta la voglia di scrivere un romanzo.

  6. Daniele scrive:

    Ciao Licia. Io sono d’accordo con alcune cose che dici ma non con tutto. Non ho sedici anni, mi piace scrivere, e penso che non pubblicherò mai (perlopiù per il motivo “ciò che scrivo è troppo intimo). Nello specifico penso che non sia giusto fare un discorso del tipo che non tutto merita di essere pubblicato, perchè sembra quasi che si debba per forza eccellere per poter pubblicare qualcosa e veder realizzati i propri sogni. Uno dei romanzi più venduti dei nostri tempi è Twilight, una storiella banale e scritta senza un briciolo di maestria, siamo in un tempo in cui il web, la condivisione, il mettersi in gioco fanno da padrone. A sedici anni puoi non avere le conoscenze, le capacità, la preparazione, le proprietà di linguaggio, ma puoi comunque avere una mente ancora aperta, ancora capace di sognare che molte menti adulte e rassegnate non hanno. Piu cresciamo, piu diventiamo consapevoli, piu facciamo esperienze e piu diventiamo insensibili alle novità, perchè la nostra mente è fatta per abituarsi a tutto. E io da lettore che si diletta a scrivere dico che preferisco mille volte un romanzo scritto in maniera semplice, non pomposa, magari anche un po superficialotto e banalotto ma che mi fa evadere e sognare, piuttosto che un capolavoro di lingua e trama che però mi lascia sempre quel senso di insoddisfazione e di pesantezza.

    • domadraghi scrive:

      a Daniele:
      NON POTREI ESSERE PIU’ D’ACCORDO CON TE!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

  7. domadraghi scrive:

    Una cosa è fin troppo vera: siamo giovani e non abbiamo esperienza del mondo!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
    Viviamo tutti i nostri giorni sugli stessi banchi di scuola, sullo stesso muretto, sullo stesso sito………………..(elenco senza limite)Passiamo le nostre giornate a credere di avere ragione e ad odiare gli adulti ( riassunto dell’esperienza di 14 anni). Ma se anche i nostri personaggi fossero così? Bambini convinti di essere cresciuti ma che poi scoprono che hanno ancora tutto da vivere? E se crescessero con noi? Noi siamo giovani, abbiamo il fuoco dentro, quella voglia scandalosa di fare solo per provare, quella faccia tosta di levare i pugni anche nel torto!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! E’ questo quello che cerco di trasmettere io quando scrivo, l’ardore dell’ adolescenza addosso a personaggi che come ogni giovane cercano di andare contro corrente. Io scrivo la mia storia perché voglio questo: che quella stessa storia, quella che mi ha fatto mangiare veleno, ridere o piangere, possa passare sotto gli occhi di chiunque altro affinché diventi una storia anche un po’ sua. Mi basterebbe vedere una sola persona sorridere con quella storia per sapere che io e quella povera della mia protagonista abbiamo compiuto la missione. Io scrivo e riscrivo nella testa sempre e ovunque la mia storia perché oramai lei è la mia ombra, tanto che di notte sogno gli occhi gialli dalla protagonista (sì, gli ho fatto gli occhi gialli ma non scandalizzatevi del resto sono sempre meglio che rossi come la mia idea iniziale!!!!!!!!!!!!!!!). Ma tutto questo non è perché voglio gloria, soldi o imparentarmi con Tolkien, ma perché mi fa sognare, e vorrei far sognare anche altri con quelle stesse parole. Brobabilmente mi sbatteranno la porta in faccia tutte le case editrici (comprese quelle di Paperopoli) ma almeno mi sono messa in gioco, ci ho provato, mi sono tolta lo sfizio e tra anni non dirò ” se solo ci avessi provato magari…”

  8. Aurora scrive:

    Io sono d’accordo con Yara quando dice che non avrebbe dovuto spezzare il cuore in quel modo a quella ragazza ,ma sono comunque consapevole che Sandrone non ha tutti i torti , sei giovane è vero ,ma nulla toglie che “quando ne saprai di più sulla vita ” potrai riprovarci e fa lo stesso se il libro non avrà subito successo nel frattempo potrai fare un altro tentativo perchè ai libri serve tempo per farsi amare .
    Mi è capitato così anche con le Cronache : ho dovuto aspettare di leggere La missione di Sennar per rendermi conto che era un libro stupendo .

  9. Beatrice scrive:

    Dunque. Partendo dal presupposto che io di anni ne ho 22 e scrivo da quando ne ho 10… certo sarebbe un sogno. Però è rimasto solo un sogno fino ad ora, perché so in quale spirale d’inferno ci si può trovare. Insomma, anche se trovassi qualcuno a cui piacciono i miei scritti, a qualcun altro non piaceranno mai, peggio ancora, ci sarà chi avrà il diritto di correggerli, magari modificarli…magari insieme a me, però sarà chiaro che non saranno più cose mie, intime, non sarà più in gioco solo la mia immaginazione o il mio volere. Ci saranno mille ragioni per farsi il sangue marcio. Non dico che non ci proverò mai, ma ancora devo trovare la tranquillità di provarci senza aspettative ed inoltre, quel pizzico di superbia che manca per far leggere qualcosa a qualcuno! ^_^

  10. Azzurra scrive:

    Dazieri sarà anche stato crudo, ma secondo me ha ragione.
    Un adolescente non dev’essere per forza un ingenuo (persone diverse fanno esperienze di vita in tempi diversi), ma è difficile che in una manciata di anni abbia già affinato uno stile personale e la capacità di filtrare gli spunti ricevuti dall’esterno traendone qualcosa di originale. Il punto non è voler sminuire un ragazzo entusiasta, ma capire se il ragazzo entusiasta è riuscito a produrre narrativa a livello professionale a quello che probabilmente è il suo primo o secondo tentativo di romanzo. Di solito la risposta è no.
    Quanto alle aspettative deluse dopo l’eventuale pubblicazione, è un discorso applicabile anche ai neo scrittori adulti: c’è tanta gente convinta che basti riuscire far circolare un libro col suo nome stampato sopra per cambiare vita, per diventare famosa e assicurarsi il successo. Poi si rende conto che la realtà è molto meno rosea di così e si deprime o incattivisce, iniziando magari a comportarsi in modi decisamente sgradevoli.
    Ma la storia dell’editoria è piena di scrittori che all’inizio della loro carriera hanno subito dei rifiuti: se sei davvero motivato continui, anche se ti hanno detto che il tuo romanzo era una schifezza. Ti sforzi di lavorare sui tuoi errori e continui. A costo di rimanere solo tu, il quaderno e la penna.

  11. marcello scrive:

    Il problema di fondo mi pare sia quello del ‘senso dello scrivere’; mi spiego: la ragazza ha il libro nel cassetto e smania per ‘pubblicarlo’… ma mi chiedo, Perché si scrive? Per comunicare qualcosa al prossimo (raccontargli le proprie storie, o condividere i propri stati d’animo ed opinioni), o per ‘pubblicare’, avere il libro tra le mani, vendere delle copie, sperare magari di camparci? Capirei il ‘mito’ della pubblicazione per un quaranta – cinquantenne, lo capisco molto di meno per gli adolescenti ipertecnologici di oggi… Il consiglio che avrei dato alla ragazza sarebbe stato: lascia perdere per il momento l’editoria: buttati su Internet, apri un blog, racconta le tue storie lì, cerca di farti conoscere: le prime ‘esperienze editoriali’ fattele così, senza cercare affannosamente un editore per ricevere magari delusioni… Ma in fondo, chi se ne frega degli editori? Ma l’importante non dovrebbe essere fare arrivare comunque le proprie creazioni al pubblico? Oggi nella musica ad esempio fanno tutti così: si fanno conoscere mettendo i propri pezzi online, con tanti saluti all’editoria discografica… mi chiedo perché non potrebbe essere così anche con l’editoria… Si fa esperienza, si scrive, si scrive, si scrive, ma nel frattempo le proprie opere non ‘restano nel cassetto’, ma vengono lette, sia pure da gente di passaggio, ma comunque ci si espone già al giudizio del pubblico; poi magari se uno ha la ‘stoffa’, il nome comincia a girare col ‘passaparola’ e invece di bussare inutilmente a tante porte, magari viene contattato lui, da qualche editore interessato. Dazieri l risponde giustamente, dicendole che a quell’età (forse) non ha le spalle abbastanza larghe, e si espone a cocenti delusioni, ma mi pare che fondamentalmente il problema della ragazza sia che vedere l’editoria tradizionale come unico canale di diffusione della sua opera, e questo mi lascia perplesso perché ribadisco, siamo di fronte non a un pensionato che scrive racconti per diletto ma non capisce manco come si accende un computer; siamo di fronte a una sedicenne che probabilmente vive tutto il santo giorno immersa nella tecnologia e che quindi di modi far giungere le sue creazioni al pubblico senza dover passare per i canali tradizionali ne ha a quintali…

    • Licia scrive:

      C’è una risposta ovvia: se pubblichi ci guadagni. Siamo d’accordo che la cosa, a meno di difficoltà economiche familiari, non dovrebbe essere un problema di una sedicenne. Comunque, io spesso parlo di autoproduzione di vario genere quando mi chiedono come fare per pubblicare, perché mi sembra un modo efficace e soft di entrare nel mondo editoriale.

    • Licia scrive:

      Cioè, non sto ovviamente dicendo che ci sia del male a guadagnare scrivendo, visto che incidentalmente è quel che faccio io :P . Dico che comunque una sedicenne probabilmente ha già dei mezzi di sostentamento che provengono dalla famiglia, quindi non ha diretta necessità di avere un lavoro.

  12. _sibi_ scrive:

    secondo me il messaggio che Sandrone voleva mandare è: aspettate a pubblicare, aspettate di essere adulti, quando le vostre esperienze vi aiuteranno a capire se quello che avete scritto vale qualcosa. Aspettate di essere adulti perchè da adolescenti un rifiuto spesso fa più male. Aspettate di essere adulti per capire cos’è per voi la scrittura, se avete tanto tempo da dedicarvi o meno. Aspettate di essere adulti per affrontare le critiche, le delusioni, la rabbia, l’insoddisfazione, la solitudine, e tutto ciò che il lavoro di scrittore può comportare. Perchè ,dal momento in cui pubblichi, scrivere diventa un lavoro, e si perde un po’ la parte di divertimento e passione che c’era prima. Aspettate, godetevi la vostra giovinezza, non guastatela con pensieri che di solito sono destinati agli adulti. Se il vostro lavoro vale qualcosa aspettate, perchè non cambia il suo valore nel tempo. Da adulti avrete tutti i mezzi per capire se il vostro lavoro vale qualcosa, avrete più possibilità di pubblicare, quindi aspettate.

    ecco secondo me era questo che voleva dire, e lo condivido. Perchè mi rendo conto, pensando all’idea che avevo del mio futuro fino a qualche anno fa (ho cambiato idea su “cosa voglio fare da grande” almeno 20 volte in qualche anno)o ai gusti musicali che avevo io o che aveva mia sorella, che crescendo cambiano i gusti e le idee. Siamo ancora troppo giovani per pubblicare, perchè, per quanto uno sia maturo per la sua età, non ha ancora le idee chiare. I gusti cambiano in fretta, e quello che fino a qualche anno fa ti sembrava un capolavoro ora è senza senso, ridicolo e brutto. è normale, fa parte della crescita, per questo sandrone dice di aspettare, per vedere più avanti se quello che si ha scritto ha veramente valore, per farti rispettare come scrittore, perchè da ragazzina/o non ti considerano, perchè stai crescendo, perchè le tue idee e i tuoi gusti potrebbero cambiare. Un adulto non ha solo conosciuto più persone o ricevuto più porte in faccia, un adulto ha delle idee e dei gusti più fermi, e le critiche lo dovrebbero far vacillare di meno proprio per questo. Un ragazzino davanti a una critica, a un rifiuto potrebbe reagire male, le sue idee potrebbero vacillare, proprio perchè sta crescendo e quello che dicono gli altri contribuisce alla sua crescita, cambiandolo. un adulto è ormai cresciuto, le critiche fanno cambiare meno, perchè ora è fermo, fremo nelle sue idee, nelle sue convinzioni. Se un ragazziono dice: “questo libro è bellissimo, un capolavoro” basta che qualcuno arrivi e gli faccia qualche commento negativo per farlo vacillare. Se un adulto affrema:”questo libro è bellissimo, un capolavoro” ci vuole più di qualche commento negativo per fargli cambiare idea. Per questo sandrone dice aspettate.Aspettare anche di avere la solidità emotiva necessaria, per non abbattersi quando qualcuno critica ciò in cui hai creduto fino ad adesso.

    Detto questo penso che avere 14 anni e scrivere sia una cosa fantastica (anche se io non scrivo, la scrittrice in casa mia è mia sorella), ma io a 14 anni non penso di voler entrare a far parte del mondo degli adulti. Chi pubblica a questa età ci entra in quel mondo, e salta così una parte della vita molto importante. io l’ho sempre pensata così, per questo non mi piace vedere le pubblicità con bambine piccole, non mi piace vedere piccole modelle sulle riviste, non mi piace vedere neanche bambini o ragazzini poco più grandi di me che gareggiano in sport a livello internazionale. è un modo di rubare l’adolescenza e l’infanzia. Un sacco degli attori che recitano da bambini sono diventati drogati ecc., è certo un mondo diverso dalla scrittura, ma il concetto è quello. I bambini, i ragazzini, non lavorano. A lavorare sono gli adulti, i ragazzi devono crescere e dedicarsi solo a quello.

  13. Gio scrive:

    Il punto è: come si fa a capire quando si è raggiunto un livello accettabile per, diciamo, tentare la sorte?
    Tu scrivi, rileggi, correggi, fai leggere ad amici e correggi ancora e ancora. Poi rileggi il tutto a distanza di tempo, e anche se gli altri ti dicono che è ok a te pare che faccia schifo. E via così, di anno in anno…
    (specifico che ho 27 anni)

    • Licia scrive:

      Non c’è modo. Io non so dare un giudizio su quello che scrivo neppure adesso, se è per questo.
      Ve l’ho detto, per me non è questione di quando provare o se farlo, ma di farlo con consapevolezza e con le giuste aspettative. E di non farne un’ossessione.

    • gisella scrive:

      Licia sono d’accordo con te però a questo punto se uno lo fa con le giuste aspettative, pronto a non farle degenerare, l’ho può fare a qualsiasi età e se si reputa troppo giovane con l’aiuto di qualcuno ritenuto più maturo solo perchè è più vecchio di età.

  14. Valberici scrive:

    Ho, più o meno, l’età si Sandrone, e lo capisco quando si rivolge così ai giovanissimi. Al di lá di quanto detto io credo che difficilmente si possano fare “scelte di vita” ad una certa etá. Aggiungo una cosa alla discussione. Quando parlo con i giovanissimi noto spesso una totale assenza dei genitori. Ecco, per dire, se io avessi una figlio/a di sedici anni con una grande passione per la scrittura, cercherei di capire, mi informerei. Poi cercherei di consigliarlo, di dirgli cosa sia meglio fare, sempre discutendo e ragionando, che l’imposizione deve essere l’ultima risorsa e solo in casi gravi. Invece oggi i genitori si “svegliano”solo quando sentono puzza di fama riflessa. Non tutti, certo, ma troppi.

  15. yara scrive:

    Io non so quanto quello che ha detto Sandrone sia giusto per alcuni motivi:
    1) Se una ragazza ha un sogno, non farla a pezzi così. Perché quello che le stai dicendo adesso le farà molto più male delle cose che potrebbero (e non sicuramente) accadere in futuro.
    2) Se un libro non è conosciuto, non c’è necessariamente bisogno di continuare a scrivere. Sono cose di cui la gente se ne frega, appunto, perciò se va male si può sempre lasciare lì e a nessuno interesserà.
    3) Se un ragazzo scrive, non lo fa per i soldi. Non è ancora abbastanza adulto da vedere nella scrittura una fonte di guadagno. Se un ragazzo scrive è perché vuole comunicare con il mondo, esprimere quello che pensa, e mi sembra giusto lasciarglielo fare.
    4) Non è detto che un ragazzo non conosca la vita. è vero, gli adulti la conoscono meglio, ma ci sono delle situazioni che per gli adulti è impossibile descrivere, semplicemente perché non le vivono e, quando le hanno vissute, era in un tempo diverso e in un modo diverso, appunto perché ognuno ha un suo modo di vivere le cose. E, a proposito di questo
    5) Credo che tutte le versioni abbiano uguali diritti di essere espresse.
    6) Se una persona ha il coraggio di provarci, di superare tutti i pregiudizi e i “problemi” che può causare a una ragazza così giovane pubblicare un libro (perché fare il grande passo è una cosa che, volenti o nolenti, cambia qualcosa nella nostra vita), allora diamole una possibilità. Magari non di pubblicare davvero, quello lo deciderà l’editore, ma almeno di tentare. Diciamo sempre di dare possibilità ai giovani, e poi gli tagliamo le gambe così? E perché, poi? è ovvio che qualcosa potrebbe andare male. Che potrebbe sbatterci il muso e sentirsi uno schifo per giorni, o addirittura per mesi. Che potrebbe pensare di non valere nulla, che potrebbe starci male. E allora? è un rischio. E non sarà certo dirle queste cose che le impedirà di inciampare, cadere e farsi male nella vita. Lo farà, lo farà comunque, centinaia e centinaia di volte, come tutti. Sbaglierà, ma ci proverà, perché è così che funziona. Si prova. Poi magari si cade, magari non funziona, magari si soffre, ma se si è abbastanza forti ci si tira su e si cerca di non ripetere i propri errori. è così che si impara, nella vita. Non attraverso consigli astratti che, certo, si possono applicare a centinaia di casi, ma non a tutti, perché comunque nessun caso è uguale a un altro. Sì, forse questa ragazza cadrà, e noi abbiamo paura che si faccia troppo male, che non riesca a tirarsi su. Ma diamole un po’ di fiducia, come gliela diamo per tante cose senza neanche pensarci. Se vuole provarci, facciamola provare. Perché una persona a sedici anni può essere giovane, ma dovrebbe già sapere che le cose possono non andare come vorremmo. E, se lo sa, allora ha il diritto di decidere da sola. Di tentare. E, magari, potrebbe anche andarle bene. Uno su mille ce la fa, ma magari lei è quell’uno. Certo, è improbabile. Ma a volte capita. E credo che Licia Troisi ne sia l’esempio, così come Paolini e altri scrittori giovani. Noi, da sempre, sognamo di avere la possibilità di provare. Diamola anche a lei, la possibilità. Magari non funzionerà, magari non diventerà nessuno. Ma forse, solo forse, ce la farà. Questo dovrebbe bastare.

    • Licia scrive:

      E anche questo è vero…
      Il fatto è che la verità dipende sempre da che parte la si guarda; però quel che dice Sandrone è vero nella maggior parte dei casi. Hai però ragione, e ho anche cercato di dirlo nel post: non saprai mai se ti sta leggendo quell’una su un milione…

    • Nihal scrive:

      ecco si, è quello che penso. avrò solo quattordici anni ma perchè non dovrei provarci? chi me lo dice che chi starà lì a giudicare il mio libro non penserà “ma una storia così ai ragazzi può piacere?”. stesso vale per il contrario. magari io leggo quello che ho scritto e mi pare fantastico solo perchè IO, ma solo IO, non tutti i ragazzi di questo mondo vorrei leggere una cosa così. quindi, nel momento in cui l’editore sarà lì a leggere le prime dieci quindici pagine del mio dattilografato dopo avermi dato una possibilità in seguito alla lettura della sinossi dell’opera, potrebbe giudicarle brutte, infantili, senza alcuna morale – che io sinceramente vedo -. chi può dirmelo? non ci ho ancora provato. magari qualche mese dopo averlo mandato mi risponderanno che sono interessati, magari non lo faranno mai, ma io sono una scrittrice, comunque vadano le cose. e sinceramente non mi sento come chi sa che non può farcela ma ci si è buttato comunque perchè vuole provarci. no no, io sono molto convinta di quel che faccio. magari è solo una mia impressione perchè ho bisogno di sapere che qualcosa valgo, giacchè la mia vita sociale con i ragazzi della mia età va a rotoli, per cui mi consolo stando ore davanti questo maledetto computer a scrivere cose che chissà se verranno lette da qualcun altro oltre me e la “cavia” di turno.
      ma io ci credo, per questo proverò, fra qualche anno e vedremo come andrà.
      so solo questo: se mai dovesse andare bene – cosa di cui dubito altamente – sarò ben felice di presentarmi come una dei tanti ragazzi italiani che pensavano di non riuscire mai e poi mai a far uscire fuori le loro storie, ma che ci è riuscita. vorrei che non esistessero solo quei casi su mille.

    • yara scrive:

      Io infatti non ho detto che quello che ha scritto Sandrone è sbagliato, dico solo che, comunque, ci possono essere più modi di vedere la stessa realtà. Poi, io non sono nessuno e mai lo sarò, e sicuramente lui ha molta più esperienza di me in questo campo. Ma le delusioni prima o poi arrivano, e non ci si può proteggere per sempre. Io non parlo di scrittura, parlo in generale. Come provare a fare una gara o a entrare in un’università. Sono situazioni in cui potresti “perdere”, potresti scoprire di valere meno di quello che pensavi, potresti essere rifiutato. Eppure ci si prova, perché se non ci provi non lo saprai mai, come dicono molti. E poi, se una ragazza scrive un libro pretendendo il successo, forse se la merita anche qualche delusione, per rendersi conto di non essere “il meglio del meglio”. Però se scrive per il piacere di scrivere, come molti a sedici anni, forse si merita anche una possibilità. Non voglio insegnare niente a nessuno, comunque, perché non è che io sul fatto di pubblicazioni ed editor ne sappia molto. Dico solo che… beh, i fatti insegnano che a volte la fortuna gira dalla parte di qualcuno. Magari qualcuno troverà per caso il suo libro e si renderà conto che vale. Magari funziona. Sì, è solo un “magari”, ma i giovani, e anche gli adulti, a volte, vivono di forse, e di speranze.

    • Nihal scrive:

      il problema è che su certe cose non bisognerebbe discutere e basta. perchè se mi vengono a dire “non pubblicherai mai il tuo libro” la mia autostima scenderebbe sotto terra, ma al contempo che se mi dicessero “sta’ sicura, ce la farai” se anche dovessi farcela al primo ostacolo cadrebbero tutti i miei bei castelli per aria. il problema è che deve essere il ragazzo stesso… no, il problema è che devo essere io, stupida e incosciente ragazzina di quattordici anni e dirmi: ma questa diavolo di storia ce l’ha una speranza? se mando queste stramaledetto dattilografato alla Mondadori, quante possibilità ci sono che me lo pubblichino? se anche me lo dovessero pubblicare, piacerebbe?
      Insomma, prima di decidere cosa sia meglio fare deve rileggermi tutto il mio bel romanzo di quasi quattrocento pagine e pormi un bel po’ di domande.
      penso sia inutile farsi influenzare, perchè se tutti ti dicono che non è bello l’autostima va a farsi benedire, che tutti ti dicono che è bello inizi a farti inutili illusioni che verranno subito affossate.
      siamo giovani e speriamo, forse incoscientemente anzi sicuramente è così, ma se non tentiamo, sia anche solo per farci dire “guarda, così non andrai da nessuna parte perchè è una cosa illeggibile”, non sapremo mai cosa ne pensano gli altri. io sinceramente non ho mia messo in conto il fatto guadagno. anzi, devo essere sincera, io vorrei fare l’insegnate di lettere e iniziò già pensare di pagarmi l’università dando corsi di ripetizione giacché me la cavo e sono brava a scuola, insomma una mano ai ragazzi più piccoli, di qui a qualche anno la potrò dare. io vorrei pubblicare un po’ perchè sarebbe bellissimo e soddisfacente vedere che qualcuno apprezza quel che scrivo, ma soprattutto perchè vorrei dire quel che penso del mondo. perchè si, sono troppo piccola per capire i “problemi dei grandi” come si suol dire, ma penso di essere nell’età giusta per capire quelli dei miei coetanei.

    • Licia scrive:

      Ci sarebbero tante cose da dire…
      Innanzitututto, puntare sulla scrittura perché “la mia vita sociale con i ragazzi della mia età va a rotoli” non mi sembra un buon punto di partenza, perché ci sono molte più possibilità che tra qualche anno troverai gente con cui legare davvero, che ti somiglia e ti capisca, piuttosto che essere pubblicata. Non si può puntare tutto su qualcosa di così aleatorio ed effimero come il successo. Tra l’altro le variabili sono tantissime: se anche pubblichi, poi devi vendere, se anche vendi devi vedere se ti chiedono di fare un secondo libro, se anche fai un secondo libro devi vedere se anche questo vende, e anche se ne hai scritti duecento e sono andati tutto bene c’è sempre la possibilità che tutto finisca, non dico da un momento all’altro, ma quasi. Che tu invece un domani non avrai più una “vita sociale che va a rotoli” è una cosa di cui sono sicura. Io credo sia proprio questo il punto: tenetevi aperte altre porte, non puntate tutto su quello, che finite per farvi il sangue amaro. Certo, occorre credere in quel che si fa, è bello e giustissimo avere sogni, ma esiste anche la realtà, e occorre farci i conti.
      Altra cosa: avere l’età del proprio pubblico purtroppo non significa niente. È una presunzione dei giovani credere che solo altri giovani li possano capire; solo perché gli adulti scocciano, impongono regole e via così non significa che hanno dimenticato come ci si sentiva a quell’età. Solo che hanno anche altre esperienze, e rivedono la loro adolescenza alla luce di quel che è successo dopo. Ma tutti si ricordano com’erano da giovani, come si sentivano e cosa provavano. Certo, un ragazzo può sicuramente intercettare i gusti dei coetanei, ma può farlo anche un adulto. Questa capacità prescinde dall’età, e dipende solo dal talento.
      Per cui, in sintesi: certo che si ci si può provare, ma cerchiamo di aver ben presente come funziona questo mondo. Ci si sta infilando nel mondo adulto, è questa la verità, e bisogna esserne consapevoli.

    • yara scrive:

      Ok, non voglio che sembri che sto criticando tutto a priori, e se sembrava così scusatemi ;) Il fatto è che io penso che sì, sei giovane; sì, non puoi sostituire la scrittura alla tua vita sociale, sì, non puoi riporre tutte le tue speranze in questo. Quello che voglio dire è, semplicemente, che se qualcuno lo fa tanto per il gusto di provare, poi non dovrebbe nemmeno uscire “distrutto” da un rifiuto. Certo, dovrebbe prima valutare le migliaia di variabili che potrebbero esserci, e capire se si sente pronto a fare una cosa del genere che, sinceramente, non penso sia qualcosa che si risolve in un paio di minuti e poi non se ne parla più.
      Forse una ragazza di sedici anni non ha i mezzi per capire cosa si sente davvero di fare, perché in teoria è tutto facile, ma come dicono molti in pratica può non esserlo. Ma se, dopo averci riflettuto, dopo aver chiesto consiglio ad altri (preferibilmente a qualcuno di disinteressato al suo ipotetico successo), dopo essersi resa conto che poi non potrà mollare tutto e basta, ma che dovrà essere pronta ad affrontare la realtà che non è quella delle favole, ma che è difficile, piena di competizioni, e dopo essersi messa l’anima in pace accettando che potrebbero arrivare le critiche, le delusioni, i “crolli”, allora forse può davvero provarci. Tutto qui.

  16. Nihal scrive:

    sono una ragazza di 14 anni e scrivo, scrivo sempre, scrivo perchè se non lo faccio mi sento uno schifo tutto il giorno e anche il giorno dopo, scrivo perchè mi piace, scrivo perchè vorrei che quello che succede agli sfigati protagonisti dei miei libri alla fine possa succedere a me – e non parlo di gloria, ma della consolazione di essere… accettati, forse, o comunque compresi e non solo dagli adulti ma anche dai tuoi coetanei che ti odiano perchè sei il cocco di qualcuno, o perchè sei fuori dalle righe, oppure perchè sei il capro espiatorio di turno – scrivo perchè scrivere è la mia vita.
    e sogno di pubblicare, come tutti immagino.
    si, ammetto che è difficile, molto più perchè vorrei farlo a diciotto anni a vorrei inviare il dattilografato alla Mondadori.
    a volte penso: sei una cretina se pensi che quello che scrivi possa piacere a qualcuno.
    altre: c’è una morale dietro la storia fantastica e inventata, una morale profonda, perchè in fondo lui è vittima di atti di bullismo e un personaggio che non è nè secondario nè è nella cerchia dei protagonisti – una ragazza – è stata picchiata e violentata solo perchè, benchè malata, era riuscita a imporsi nella politica. discriminazione, insomma.
    per dirla tutta scrivo perchè ne sento il bisogno e proprio oggi morivo dalla voglia di arriva alla fine del capitolo appena iniziato per scrivere quella scena che mi piace tanto e che da mesi mi scrivo riscrivo nella testa.
    scrivo perchè secondo me scrittori si è anche se nessuna casa editrice ti ha pubblicato.
    scrivo perchè sento il bisogno di dire la mia, di far sentire la mia voce, una voce che gli altri devono leggere.
    e quando penso che potrei non realizzare mai quel sogno nel cassetto – molto ambizioso, devo ammetterlo – mi dico che tanti scrittori famosi, famosissimi non hanno mai pubblicato, mi dico che opere mondiale come il Diario di Anna Frank – che non è neanche lontanamente paragonabile al mio, io sotto terra in confronto – non sono mai state pubblicate quando lo scrittore di turno era in vita, ma solo dopo. eppure storie adesso sono famosissime.
    so già che non smetterò mai di scrivere, e non mi importa se quel che scrivo non viene apprezzato.
    in fondo, ho iniziato perchè non ho mai letto una storia come quella che sto scrivendo e ho deciso di crearmela da sola, giacché avevo tutti gli strumenti per farlo.
    io scrivo, a quattordici anni, e spero di pubblicare e non importa se siano solo cento le persone che mi leggeranno oppure centomila. importa solo che qualcuno ascolti la mia voce, che sia oggi, o domani o quando sarò morta.
    perchè qualcuno mi ascolterà, sia anche solo la mia amica che si sta prendendo la briga di leggerlo e dirmi che ne pensa – ce ne siamo fatte di risate davanti a quegli errori colossali o a quelle frasi che non centravano niente o a quei capitoli che non avevano davvero nè capo nè coda.
    ma non importa, perchè io ci credo, credo in quello che scrivo e non pretendo di diventare chissà chi, mi basta un “ma da dove diavolo ti è saltata fuori una cosa così?!” detta perchè la scena era un po’ surreale ma tutto sommato carina.
    grazie per aver dedicato questo post, è stato molto importante per me che cerco il consiglio di chi ne sa più di me

  17. Agnese scrive:

    Devo ammettere che all’inizio, quando ho letto l’articolo di Sandrone, non mi sono trovata affatto d’accordo con lui. Ma ci è voluto poco per accorgermi di quanto potesse aver ragione. A partire dal fatto che sono davvero troppo piccola per giudicare una persona che fa l’editore da una vita. Ho solo 13 anni, amo scrivere, amo leggere, amo fantasticare e inventare storie. Ho un sacco di libri che vorrei scrivere, molti dei quali li ho già iniziati. Sinceramente mi sono vergognata un pò di me stessa appena ho letto i due articoli. Io già sogno di vedere i miei libri sulle librerie convinta che siano delle storie meravigliose e che sia semplice pubblicarle. Per ora mi accontento di scrivere, con calma e quando ho tempo, pensando per prima cosa al piacere che provo nello scrivere e nel leggere e sentendomi orgogliosa di me stessa per ciò che scrivo. Poi forse capiterà anche l’occasione di pubblicare. Ho accettato ancora una volta il fatto di essere decisamente troppo piccola per improvvisarmi scrittrice :D

  18. gisella scrive:

    io ho 15 anni e amo scrivere.Come dici tu io lo faccio per me è il mio hobby. Anche io mi ritrovo a sognare di pubblicare e un giorno probabilmente troverò il coraggio di provarci e se non ci riuscirò cercherò di non farmi risucchiare da un vortice di odio e amarezza perchè mi basterà sapere di averci provato.Poi mi rimarrà il manoscritto come prova di non essermi annoiata nei pomeriggi :) Molte volte appaio come una bambina agli occhi degli adulti. Però leggendo il tuo post ho immaginato me che buttavo giù una libreria perchè non c’era il mio libro. mi ha fatto effetto e mi ha fatto ragionare come una persona matura. Spero di non diventare a causa della mia passione una seconda Dubhe…

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