Archivi del mese: ottobre 2013

La strada verso Lucca

Donc, oggi sono stremata: ieri sera mi sono goduta la lezione sub in piscina, e oggi la pago con gambe e braccia di marmo. Seguirà a breve post esplicativo su questa mia recente passione per i fondali delle piscine (e pure delle acque libere a breve, si spera), ma domattina si parte per Lucca, e domani pomeriggio ci si vede là per chi ci sarà, per cui vi saluto con l’ennesimo breve riassunto di quel che farò a Lucca Comics & Games. Lo so, è il miliardesimo post sull’argomento, ma in giro la gente continua a chiedermi quando e se ci sarò, per cui seguo il motto di quei furboni dei latini: repetita iuvant.

Venerdì 1 Novembre 2013 – Lucca
Lucca Comics & Games
Auditorium San Girolamo
ore 16.00
Tavola rotonda sul fantasy con Vanni Santoni, Barbara Baraldi, Emma Romero, Francesco Falconi e Leonardo Patrignani

Sabato 2 Novembre 2013 – Lucca
Lycca Comics & Games
Caffé delle Mura
ore 16.00
Firma copie.

Domenica 3 Novembre 2013 – Lucca
Lucca Comics & Games
Auditorium San Romano
ore 14.00
Incontro coi lettori

Ci vediamo!!

10 Tags: , ,

The N3 day

Sicché, oggi esce Nashira 3. Vi riassumo brevemente le informazioni al riguardo che ho rilasciato in questi giorni: si intitola Il Sacrificio, questa è la splendida copertina di Paolo Barbieri, il libro conta 40 capitoli più un prologo e un epilogo, inizia con la parola “Nera” e finisce con la parola “occhi” e non è l’ultimo della saga, perché I Regni di Nashira conterà in tutto quattro tomi.
Bon, da oggi – anche se qualcuno l’ha già comprato durante il fine settimana… – il libro è vostro. Ovviamente sono ansiosa di sapere che ne pensate; se volete fare qualche commento, mi raccomando segnalate sempre gli spoiler per non rovinare la sorpresa a chi non l’ha ancora letto.
Vi riassumo anche tutti gli eventi di questo week end a Lucca:

Venerdì 1 Novembre 2013 – Lucca
Lucca Comics & Games
Auditorium San Girolamo
ore 16.00
Tavola rotonda sul fantasy con Vanni Santoni, Barbara Baraldi, Emma Romero, Francesco Falconi e Leonardo Patrignani

Sabato 2 Novembre 2013 – Lucca
Lucca Comics & Games
Caffé delle Mura
ore 16.00
Firma copie.

Domenica 3 Novembre 2013 – Lucca
Lucca Comics & Games
Auditorium San Romano
ore 14.00
Incontro coi lettori

Non vi preoccupate, il tour è appena iniziato e comprenderà molte altre tappe, anche in svariati posti dove non sono mai stata o non torno da molto tempo.
Inoltre, vi segnalo che dal 9 Novembre al 1° Dicembre qui a Roma, al Palazzo delle Esposizioni, potrete visitare la mostra Nel Selvaggio Mondo degli Scrittori, di Roberto Nistri. Si tratta di una serie di scatti di scrittori in contesti inediti (ossia non alla solita scrivania, ma in posti a loro cari per qualche ragione). C’è anche un mio ritratto, indovinate dove? Ci potete arrivare :P .
Questo è tutto. Buona lettura!

33 Tags: , , , ,

Il senso delle parole

Non ricordo chi l’abbia detto per primo, ma più passa il tempo più mi convinco che chi ha fatto presente che le parole non hanno più senso aveva ragione da vendere. Le parole stanno perdendo il loro significato, ed è pieno, là fuori, di gente che parla a vanvera, come se le parole non avessero peso, non fossero in grado di ferire e scavare solchi. Come se tutto fosse uguale a tutto, e quindi una parola vale l’altra.
La riflessione m’è venuta da una serie di casi personali (con me la gente parla sempre come se fossi impermeabile a quel che dicono; ma a me le parole spesso fanno male, e se le sbagli come nulla mi rovini una giornata, o una settimana, o un mese), ma è culminata nella lettura di questo post ieri sera. Sono totalmente e completamente d’accordo. Si continua a parlare di stupro a sproposito, evitando, non so quanto volontariamente, il vero elefante nella stanza: la sopraffazione e il mancato rispetto dell’altro. Sì, è anche un problema di parole.
A me lascia francamente basita che qualcuno possa con tanta leggerezza parlare di una ragazzina che ha subito uno stupro paventando che il problema è che lei non s’è tirata indietro. Tra le tante ferite che una violenza infligge c’è questa, tremenda: che credi sia colpa tua. Che pensi di essertelo in qualche modo meritato, che hai fatto qualcosa che non dovevi, e allora ti sta bene. Ok, qui il problema sembra essere la società che crede sia giusto, ma spostare leggermente il fuoco non cambia la sostanza del concetto: in ogni caso è la vittima che ha deciso di aderire a quei modelli sociali, se n’è fatta influenzare, e quindi, per forza di cose, non poteva che finire male.
Le parole sono importanti, diceva Moretti, le parole sono portatrici di verità e realtà, incidono la carne. Le parole tante volte hanno cambiato la mia vita, sono state al centro di periodi bui e periodi felici, le parole sono il legame tra noi e gli altri, tra noi e il mondo. Ma le parole stanno perdendo di significato. Vengono usate con leggerezza estrema, come se non le leggesse gente che poi ne resta segnato, marchiato a vita. Le diagnosi mediche sparate da chi medico non è, che si rivelano cazzate alla prova dei fatti, ma solo dopo giorni di angoscia e preoccupazione, certe parole così abusate da aver perso qualsiasi significato (“siamo in una dittatura”, “è come il Cile di Pinochet”, “la casta”), lo stupro che non è più stupro, ma “eros privato di mistero”, “rito per diventare grandi”.
In 1984 il regime del Grande Fratello impiegava una parte consistente delle proprio energie a cercare di modificare la lingua perché non esistessero neppure le parole per esprimere la ribellione. Se non ci sono le parole per dirlo, non c’è modo di comunicarlo, spesso neppure di pensarlo: così si annulla la realtà.
Non voglio fare la catastrofista, ma la perdita di senso del linguaggio, l’uso allegro e vuoto delle parole è un segno che qualcosa di profondo si è rotto nella società. Occorre consapevolezza, occorre riflettere sul senso del linguaggio, e riacquisire la responsabilità: chi parla ad una platea vasta non può farlo come se stesse discettando di calcio al bar Sport. E mi ci metto anch’io, nel novero: perché nonostante cerchi il più possibile di essere sicura di quel che metto nero su bianco, soprattutto qui sul blog, a volte manco il segno. Le parole pesano, le parole feriscono, e, quando ben usate, curano. Sta a noi. Soprattutto, sta a noi non perderne l’inestimabile valore.

12 Tags: ,

I Regni di Nashira 3 – Il Sacrificio. La copertina.

Se mi seguite su Twitter, l’avrete già vista; per tutti gli altri, ecco a voi la copertina di I Regni di Nashira 3 – Il Sacrificio.

Io la trovo assolutamente meravigliosa, insolita e struggente. L’idea del volto riflesso, poi, mi piace da impazzire. Ovviamente, è sempre opera del grandissimo Paolo Barbieri, che tra l’altro due giorni fa è uscito con L’Apocalisse; io ho testé spedito la mamma a procurarmelo :P .
Donc, vi ricordo che il libro esce il 29 ottobre, quindi fra cinque giorni. Vi ricordo che lo presento a Lucca, e che ho incontri al venerdì, al sabato e alla domenica. In sintesi, mi avete sempre tra i piedi :P . Tutti i dettagli su orari e luoghi degli incontri in questo post oppure in homepage del sito.
Bon, io oggi sono distrutta, un po’ perché son due notti che dormo male, un po’ perché devo dire che la lezione sub di ieri mi ha abbastanza devastata (ma divertita un sacco, ho anche provato su acqua la muta nuova :P ) per cui vi lascio e ci si sente domani :) .

33 Tags: , ,

Sette

Tra una settimana esatta esce I Regni di Nashira 3 – Il Sacrificio. Dato che gira la voce incontrollata che sarà l’ultimo della saga, vi posso dire che no, non lo è. I libri saranno quattro. Io ovviamente c’ho l’ansia che mi sta salendo sempre più prepotente, per tutto quello che vi ho già detto in questi mesi: che a questo libro tengo molto, che ci ho lavorato con moltissima passione, che succedono cose forti e vorrei sapere cosa ne pensate, che dentro c’ho messo molto di quel che spero e credo. Vabbeh, sette giorni e vedremo, via.
Nel frattempo, vi incollo qua sotto la lista dei miei appuntamenti a Lucca Comics & Games, perché anche al riguardo mi pare non ci sia granché chiarezza.
Allora, il primo incontro è la tavola rotonda di venerdì 1 Novembre; si terrà alle ore 16.00 presso l’Auditorium San Girolamo. Saremo io, Leonardo Patrignani, Emma Romero, Francesco Falconi, Barbara Baraldi e Vanni Santoni. Modera Sergio Altieri. L’incontro sarà seguito da una firma copie.
Sabato 2 novembre, invece, l’appuntamento è alle 16.30 al Caffé delle Mura per una firma copie. Vi anticipo che probabilmente sfoggerò una mezza specie di cosplay. Mezza specie perché ormai non ho più tempo di lavorarci – e anche quando ne avevo non è che i risultati fossero eccelsi, va detto – per cui mi arrangio con la roba che trovo.
Domenica 3 novembre, l’appuntamento più importante: presento Nashira 3 assieme a Sandrone Dazieri. L’appuntamento è alle 14.00 presso l’Auditorium San RomanoLucca Comics & Games 2013. A seguire, altra firma copie.
Insomma, direi che occasioni ce ne sono; sta a voi, in caso, coglierle. Io sarò là come ogni anno ad aspettarvi :) .

19 Tags: , , ,

Zero Dodici

Il carcere di Rebibbia è la più grande fabbrica d’attesa d’Europa. Corpi dentro che aspettano di uscire. Corpi fuori che aspettano un cenno, un braccio dalle sbarre, un marito, una moglie, un figlio, uscire dal cancello. Attese di mesi. Anni. Vite.

Venerdì mi è arrivato Dodici, il nuovo libro di Zerocalcare. Non vi tedio con la mia fangirlaggine, di Zerocalcare sono gran fan, sono andata a rompergli le palle fino a Torino per una foto insieme e gli ho estorto un autografo (bellissimo) mandando avanti Rossella e nascondendomi abilmente dietro di lei (che poi non so com’è possibile, visto che lei è la metà di me, ma ci sono riuscita). Ah, e ho i quattro libri che ha fatto uscire fin qui.
Ma veniamo a Dodici, il libro in questione. Breve riassunto della trama, ma breve davvero, perché non voglio essere dominata dal demone dello spoiler (cit.): a Roma c’è l’Apocalisse zombie (che tra l’altro sembra essere partita dalle mie parti…dovrò stare attenta ai segnali premonitori, d’ora in avanti…), Zero, Secco e Cinghiale – gli amici storici – più la new entry Katja, sono bloccati a Rebibbia e devono cercare di sopravvivere. E mi fermo, sennò vi tolgo il gusto della scoperta.
Dunque, che dire? Me lo sono bevuto, e questo è un primo fatto. Dodici è approdato a casa mia alle 16.00 circa e alle 17.30 già mi bullavo in rete che l’avevo letto tutto. Perché scorre, perché è pieno di tutto quanto il pubblico ha imparato ad apprezzare di Zerocalcare: i riferimenti alla cultura pop che ha formato noi trentenni nerdici, i personaggi di tale cultura usati come personificazioni, il Secco, Cinghiale, le battute…tutto. Solo che poi arrivi alla fine e ti rendi conto che hai bosogno di rileggere. Perché sotto la patina cazzara Dodici non è un fumetto per niente facile. Innanzitutto già la struttura stessa della narrazione richiede un certo impegno al lettore: ci sono tre piani temporali differenti che s’intrecciano, e se è vero che il diverso codice di colore associato ad ognuno aiuta ad orientarsi, è pur vero che le fila vengono tirate solo proprio alla fine, e dunque ci vuole un po’ di concentrazione e attenzione per capire il senso reale della storia. Contemporaneamente, anche la storia è stratificata, multilivello.
Al primo piano, c’è tutto il mondo di Zerocalcare, quello del blog, per intenderci, e chi vuole si può semplicemente godere le battute e morta lì. Al secondo livello, c’è un atto d’amore per un intero quartiere. Perché, alla fine, più ancora di Secco come John Locke, di Katja e gli altri, protagonista è Rebibbia e il rapporto che Zero ha col quartiere. Per i non romani, vi faccio un breve riassunto della situazione: Roma è una città dal territorio vastissimo, una scelta fatta da Mussolini durante il fascismo. La divisione in quartieri è piuttosto netta, e passare da quartiere all’altro significa cambiare mondo: c’è un abisso tra Monti e Tor Bella Monaca, tra Prati e Tor Pignattara. Cambiano architettura e urbanistica, tanto che se è difficile credere che EUR e, che so, Roma Est facciano parte della stessa città, ma cambiano anche i codici di comportamento, spesso anche le ideologie e la politica. Rebibbia è una quartiere periferico (non ultra-periferico, però; lì si scantona nella borgata, posto dove sono nata e cresciuta io) noto al resto della città per due cose: per quelli come me, che vivono oltre il Grande Raccordo Anulare, lontani da qualsiasi mezzo di trasporto pubblico, per la fermata della metro, porta per accedere al regno proibito della città vera, per quelli che nel GRA ci vivono per il carcere. Ed è proprio il carcere a dare, secondo Zerocalcare, un carattere unico, distintivo, al quartiere. Così le avventure dei nostri diventano un modo per parlare del rapporto di ciascuno con Rebibbia, di cosa sia per Zero questo luogo che tanta parte ha giocato nella sua formazione. Devo dire che invidio la sua capacità di provare un così profondo senso di appartenenza per il luogo in cui è nato e vissuto. Io Torre Angela l’ho sempre vista come un corpo estraneo, una cosa dalla quale fuggire perché cercava di fagocitarmi, un posto che mi teneva in ostaggio, e cui non appartenevo. E, anche oggi, non sento di appartenere al quartiere in cui vivo; anche qui mi seno estranea, diversa, altra. Le mie radici le sento lontane, in Campania, probabilmente, un posto che, per contro, a ragione non può considerarmi sua figlia. E invece Zero appariene a Rebibbia, e riesce a descrivercelo con estrema franchezza, e al tempo stesso con grande profondità, parlandoci di periferia come raramente è stato fatto. Del resto, posti come Rebibbia tornano agli onori della cronaca solo quando si trasformano, come detto anche in Dodici, in luoghi fighetti. Allora compaiono nell’orizzonte del turista medio, e escono da quello di chi ci abita. Forse quella di Roma è una lunga storia di espropriazione della città. Ma questo è un delirio che devo ancora mettere a fuoco per bene :P .
Infine, c’è un discorso più filosofico, sul senso della vita, se vogliamo, ed è quello che viaggia più sottotraccia, che richiede maggior attenzione per essere colto. Paradossalmente, è proprio lui però a chiudere la trama. Se non lo cogli, e alla prima lettura ti può benissimo sfuggire, non capirai perché la trama comincia in un certo modo e finisce in un altro. Ti sembrerà una storia aperta, senza finale. Comunque, questa non è una novità: tutti i fumetti di Zero hanno sempre parlato di temi importanti. Ricordo che ne La Profezia dell’Armadillo mi commossi, c’è una tavola di una potenza straordinaria che ha parlato al mio cuore, e che parla al cuore di noi tutti che ci siamo salvati, e non capiamo perché qualcun altro, invece, non ce l’ha fatta ed è annegato. Comunque. Sulla parte filosofica non mi dilungo, perché ognuno ci vedrà quel che vuole. I romanzi sono macchine per la produzione di interpretazioni, diceva Eco, e questo vale anche per la letteratura a fumetti. Io l’ho trovata dolentemente pessimista, e tutto sommato è giusto così. E la cosa colpisce, perché uno non se lo aspetterebbe dal tono generale del fumetto. Per questo, forse, fa riflettere anche di più.
Anyway, l’avrete capito, il giudizio finale è molto buono. Ok, forse il fatto che non sia proprio accessibile a primo impatto, come vi dicevo, lo penalizza, ma io mi sono divertita, ho riflettuto e l’ho letto due volte. Ed era esattamente quello di cui avevo bisogno. Per cui, andate in libreria e prendetevelo. Non ve ne pentirete.

Extra
Quando ho chiuso il fumetto, mi è venuta immediatamente in mente una foto che ho condiviso su Twitter qualche giorno fa. Non vi avevo detto dove l’avevo scattata. Beh, è la fermata della metro Rebibbia, che, per motivi di localizzazione geografica di casa mia, bazzico parecchio. Ecco, questa cosa qua che vi incollo qua sotto purtroppo nel mio quartiere non potrebbe mai succedere. Ma succede a Rebibbia. E allora forse è vero che Rebibbia Regna :P .

2 Tags: , ,

Tacchi

Non ricordo se da ragazzina avessi una qualche fascinazione per le scarpe col tacco. Forse sì, ma comunque, figlia di madre che adora le scarpe rasoterra, ero intimamente convinta che non fosse roba per me. Mia madre mi raccontava sempre delle sue scarpe del matrimonio, che le piacevano tanto ma l’avevano fatta soffrire parecchio.
Adesso che ci penso, quelle scarpe una volta le misi anch’io, e forse fu il mio primo contatto col mondo del tacco a spillo. Finì che Giuliano mi dovette portare in braccio gli ultimi metri perché le piante dei piedi urlavano pietà. Però erano veramente bellissimi.
Comunque. Nella vita delle donne che diventano ossessionate dalle scarpe, c’è sempre un punto di svolta, il momento in cui ti dici “senti, ci provo”. Il mio punto di svolta è stato un amico che mi ha detto “dovresti provare a mettere i tacchi a spillo, qualche volta”. Credo me l’abbia detto quando ero incinta o poco prima, perché i primi sandali col tacco li comprai poco dopo aver partorito, in piena crisi “per nove mesi mi sono sentita una specie di mongolfiera in fase di gonfiaggio, adesso devo, devo recuperare la mia femminilità”. E niente, poi da lì è partito tutto.
Non si tratta del fatto che sono bassa. Non è che abbia mai avuto particolari problemi, se non quando viveno in Germania a stava tutto dieci centimetri sopra la mia testa, ma in quel caso usare i tacchi per vedere se il pollo nel forno era pronto non mi sembrava una grande idea. E si è trattato solo parzialmente del fatto che i tacchi ti fanno sembrare le gambe chilometriche, e l’andatura e tutte cose che siamo convinte gli uomini guardino, ma la verità è che son cose che notiamo solo noi. Ormai è una questione di arte. Mi rendo conto che io guardo le scarpe come le sculture, e più sono strane, più hanno tacchi impossibili, più mi attirano. È la sfida alle leggi della gravità, alle esigenze dell’anatomia, in cerca di un impossibile compromesso tra bellezza e capacità di far reggere dritto un essere umano. E comprarle, metterle, significa soprattutto possedere un pezzo di quella bellezza, di quell’estremo tentativo di imporsi sulla natura e sulla conformazione di un piede.
Folle, vero? Eh, lo so, ma non dubito che qualcuno si riconoscerà in questa sindrome da scarpa col tacco. L’importante, per quel che mi riguarda, è tenere sotto controllo la spesa. Non spendo mai più di un tot per una scarpa, per quanto io possa trovarla incredibilmente bella. E così la cosa riesce a risultarmi piacevole, senza che abbia la brutta sensazione di essere schiava delle mie passioni. E adesso, solo per gli occhi di noi malate di tacchite…


16 Tags: ,

Io però vorrei sapere una cosa

Parlo di questa storia malvolentieri, perché secondo me le si è dato troppo peso, quando sarebbe stato meglio spendere parecchie più parole per le vittime delle Fosse Ardeatine, per Michele Di Veroli, morto a 15 anni, cui la mia scuola media era dedicata. Oppure a tutti gli ebrei che settant’anni fa esatti, 16 ottobre 1943, vennero rastrellati dal ghetto di Roma e non tornarono mai più. Partirono in 1295 e ne tornarono vivi solo 17. 17.
Comunque. Io vorrei solo sapere una cosa: quante di quelle persone che oggi sputano sul feretro di Priebke – e non sto dicendo che gli sputi non se li meritasse, ma io glieli avrei lanciati quand’era vivo – non hanno mai pronunciato la frase “io sono so’ razzista, ma i zingari proprio non li sopporto”, o non hanno commentato la tragedia di Lampedusa con un cinico “ne dovevano morire di più”. Non sto parlando dei partigiani, ma di tutti quelli che si sono scoperti antifascisti tra ieri e oggi. Capaci tutti di battere le mani su un feretro, più difficile praticare l’antifascismo tutti i giorni, combattendone le radici culturali, che sono ancora molto profonde. Pensate che basti ricordarsi della Shoah due volte l’anno per essere a posto con la coscienza? C’è chi piange il giorno della memoria e poi il resto dell’anno condivide gli stati dei complottisti che continuano a cianciare di complotto giudaico, o si lamenta dei commercianti ebrei di Roma.
Questa è una lotta che si deve combattere ogni giorno, contro chi vuole vedere i clandestini annegare, contro chi inveisce contro i Rom, contro tutti quelli che “no, io ho pure amici gay, ma che schifo due uomini che si baciano”. È questo il fascismo, il nazismo, se non ve l’hanno mai detto.

17 Tags: , , ,

Solo per voi

Secondo me è meravigliosa. E posso anticiparvi che quella di Nashira 3 è ancora più bella.

21 Tags: , ,

Vivere per raccontarla

In questi ultimi giorni mi è successa una cosa estremamente sgradevole, sulla cui natura non ho però intenzione di dilungarmi qui. Ovviamente, come ogni volta che succede qualcosa di brutto, uno poi finisce a rimuginarci su, a parlarne con qualcuno per cercare di liberarsi dell’evento, di metterlo nella giusta prospettiva e lasciarlo andar via. Solo che a me questo in genere non basta. Non so se si tratta di un reale problema che ho con l’espressione verbale, o solo una deformazione professionale, ma io non sono in grado di liberarmi del tutto di qualcosa che mi è successo, se questo qualcosa mi ha davvero colpita a fondo, se non ne scrivo. È il modo che ho per rifletterci su, e infilare l’accaduto nel cassetto delle cose passate, con cui ho fatto i conti e che fanno parte del mio bagaglio di vita. Fino a quando non scrivo, gli eventi restano sospesi sulla mia testa, irrisolti.
Quando succede così, e non ho voglia di mettere in piazza l’accaduto per le più svariate ragioni (ad esempio perché coinvolgono terzi che non voglio tirare in ballo), mi siedo alla scrivania e scrivo una pagina di diario. Sì, non una pagina di blog, ma del vecchio, superato diario segreto, quello che nessuno leggerà, o che leggeranno pochi intimi. Scrivere per se stessi è diverso che scrivere per gli altri, ma ha lo stesso potere terapeutico: mentre scrivi, in qualche modo esci da te stesso, e sei in grado di guardare le cose da un’altra prospettiva. Il soggettivo diventa oggettivo, e finalmente le cose ti sono chiare. Sono sicura che la gran parte di voi ha ben presente questa sensazione.
Così, sabato sera, dominata da un mood particolarmente incazzato, ho scritto le mie due pagine e mezzo private in cui mi sfogavo. E mi sono accoorta di una cosa che non avevo mai notato: scrivere una cosa per me è completamente diverso dal raccontarla. Ci sono parole che non sarei mai in grado di dire a voce, sensazione per le quali mi manca il vocabolario, quando ne parlo con qualcuno, ma che fluiscono invece in tutta la loro limpidezza sulla pagina scritta. Forse è lo schermo del foglio, che è comunque una barriera tra me e il mondo, o quella particolare confidenza che ti dà la solitudine, ma la sincerità, la chiarezza con la quale riesco a descrivere ciò che provo quando scrivo mi manca completamente quando parlo. Raccontare perché, ad esempio, quella volta, all’esame di Metodi Matematici della Fisica, mi sia messa a piangere come una scema davanti al professore mi è difficile. Ma se devo scriverlo, le sensazioni di quel giorno mi tornano in mente cristalline, come non fossero passati dieci anni, e posso descrivere con estrema chiarezza il senso di piccolezza, l’ansia, la sensazione di essere un completo fallimento, e la vergogna estrema del mostrarmi così vulnerabile davanti ad un estraneo.
Forse, nonostante l’apparenza, in certe cose sono timida e riservata, o forse ha ragione quel mio amico che mi ha sempre detto che sono una tipa tutto sommato piuttosto fredda nei confronti delle persone cui voglio bene. O forse, quando dico che raccontare storie fa parte del mio modo di essere, che è una cosa che mi ha sempre accompagnata nella mia vita, sto dicendo qualcosa di più profondo di quanto non creda. Forse io vedo la vita così, come una pagina bianca da riempire, e tutto quel che mi accade, che indago e vivo, è solo un pretesto per riempire il foglio. Vivere per raccontarla, come diceva Garcia Marquez. Anche quando la racconti solo a te stesso, o forse, soprattutto allora.

10 Tags: , ,