Con NICDAP sto spingendo al massimo. Lavoro come una forsennata, macinando battute su battute. Le mie sessioni di scrittura sono sempre state piuttosto intense, ma tutto sommato, magari proprio per questo, abbastanza brevi. Tre ore la mattina, a volte un piccolo strascico il pomeriggio. È che dopo un po’ mi esaurisco, sento di non poter andare avanti a raccontare, che quel che ho scritto deve sedimentare perché possa andare avanti. Magari è sbagliato, ma per me funziona così. Prima stesura di pancia, buttando fuori tutto quello che mi riempie la testa, e poi, solo alla fine, rilettura, editing, riscrittura, riscrittura, riscritura. Fino alla nausea. A volte riscrivo anche i 2/3 della prima stesura. Con NICDAP il momento del’esaurimento non arriva quasi mai. Parto e vado sparata come un treno, forzando le tappe. Scrivo di viaggi forsennati, senza soste e tappe intermedie, e sembra un po’ il mio viaggio in questa storia, tutto dritto senza tirare il fiato. Ed è una bella sensazione. Un po’ mi spaventa, perché non mi era mai capitato, ma è piacevole. La passione per un storia è molto simile all’innamoramento, che si tratti di qualcosa che stai raccontando tu o di qualcosa che stai leggendo. Ti gira per la testa, ti torna ossessivamente in mente, te la racconti più e più volte in mente, assaporandola a fondo. Sarà la ragione per la quale le storie che mi piace leggere/vedere poi mi fanno venire voglia di scrivere. Per me lettura e scrittura sono due piaceri strettamente legati, complementari.
Comunque, finirà che NICDAP sarà il libro che avrò scritto più in fretta nella mia carriera. Poi magari correggerò per due anni, vai sapere. Mi pare improbabile, visto che uscirà in autunno, se tutto va bene.
La storia di NICDAP è strana, perché per la prima volta se ne parlò tipo due anni fa, e l’idea in sé, non la storia, che all’epoca neppure esisteva, non mi convinceva. Poi è passato del tempo, l’idea s’è sedimentata, ho tirato fuori la storia e ho cominciato, con l’idea di prendermi semplicemente una pausa prima del gran finale di Nashira, che, già lo so, sarà un’impresa piuttosto totalizzante. E invece col cavolo che sto tirando il fiato. Ci sono dentro con tutte le scarpe, e non credevo sarebbe successo. Ho tirato fuori roba che non credevo sarebbe mai entrata nei miei libri, ossessioni che, me ne accorgo solo ora, cercavano solo un spunto, un’occasione, per venire fuori. Mah, vedremo. Io intanto procedo così, meglio divertirsi finché si può anche perché…
…ho scoperto che le storie che racconto non sono per me. Cioè, in verità avrei sempre dovuto saperlo, ma l’ho messo a fuoco solo ieri sera. Influenzata dall’ultima puntata della seconda stagione di Sherlock (credo prima o poi ne parlerò qua, dell’unica serie che di recente è stata capace di ossessionarmi come ai bei tempi tipo di Lost), mi sono andata a rileggere un po’ di pezzi dei miei libri che parlavano, diciamo così, dello stesso argomento. Chi ha visto capirà. E niente, è stata una tragedia. Dopo la pubblicazione, dopo le infinite letture e riscritture, gli scazzi e le parolacce che inevitabilmente riverso su quel che ho scritto quando mi tocca correggerlo, le mie parole non mi dicono più niente. Zero in croce. Leggo e il mio coinvolgimento è zero. Le uniche sensazioni che provo sono riferite al “qui cambierei questo”, “meno parole, in questo cazzo di pezzo”, “no, vabbeh, questa qua è davvero patetica”. Riscriverei tutto. Non lo faccio semplicemente perché io sono una che racconta storie, e un libro finito, pubblicato e letto è semplicemente morto, per me, ha detto quel che doveva, quel che non va continuerà a non andare per sempre, avanti un altro. Ma l’emozione che mi aveva agitata quando avevo scritto, quella è svaporata tutta. Perché quando scrivo mi emoziono. Come dicevo prima, è come quando leggo: entro nella storia e ne sono coinvolta. Quelli come me – e come voi, suppongo, visto che mi leggete – leggono per vivere miliardi di altre vite, non tanto perché non gli piaccia la loro, ma perché l’esistenza è una cosa così gigantesca, e breve, che viverne una sola è un po’ un peccato. L’unico modo per guardare la vita da altri punti di vista è leggere, per me anche scrivere.
Mi sono emozionata quando ho fatto morire ognuno dei miei personaggi, anche quelli meno importanti, mi sono emozionata quando hanno trovato l’amore o l’hanno perso, e non l’ho fatto una volta sola, mentre ne scrivevo; l’ho fatto miriadi di volte, quando mi scrivevo in testa quel che avrei poi buttato su carta. E ci sono cose, tipo il destino di Saiph, o di Laio, che mi sono raccontata in testa per mesi, cambiando le virgole, spostando il punto di vista, vivendole da tutte le angolazioni. Poi finiscono su carta è improvvisamente non vivono più in me. Non mi appartengono più, non mi emozionano più. Se ne sono andate. Se ci ripenso sento l’ombra di quel che provavo quando erano ancora solo nella mia testa, se le rileggo mi danno il voltastomaco.
È che una storia scritta non appartiene più a chi l’ha inventata. È di chi la legge. Si fa il suo cammino tra i lettori, e rinnega l’autore. Forse è questa la ragione di un altro fatto strano: ogni tanto su Facebook trovo qualcuno che posta qualche citazione che mi è familiare. Sono citazioni dei miei libri, che magari avevo dimenticato. E, ogni volta, mi sembrano parecchio più belle di quanto non siano, o mi fossero sembrate quando le avevo rilette per qualche ragione. È che sono filtrate dalla sensibilità di chi le ha lette, le ha fatte proprie, vi ha proiettato la sua vita, e le ha lasciate andare diverse, modificate da quell’incontro.
In questo senso forse è vero che non si scrive per se stessi, ma per chi leggerà.
Credo che sia il più bel post che abbia mai letto. Meravigliosa la parte in cui dici che si legge per vivere altri miliardi di vite. Non ero mai riuscita a spiegare agli altri perchè mi piacesse tanto leggere e tu riesci a dirlo così chiaramente nel giro di qualche riga! Sei fantastica!
…veramente l’aveva già detto Remo Bodei nel saggio “Immaginare altre vite” (2013) ed. Feltrinelli.
Per Bodei l’immaginazione è lo strumento grazie al quale “ciascuno può vivere altre vite, alimentate non solo dal confronto con persone reali, ma anche da modelli veicolati da testi letterari. [...]siamo Odisseo, Antigone, Madame Bovary, Anna Karenina, Hans Castorp. Le fiabe, i romanzi, le poesie ci stanano dalla chiusura in noi stessi, la lettura o il teatro spalancano nuovi mondi, inoculano idee, passioni, sensazioni che altrimenti ci sarebbero precluse”.
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E mi sa che non è stato neppure l’unico a dirlo, per altro…
Forse non capisco appieno le tue sensazioni di scrittrice, in quanto io non lo sono. Ma ti assicuro che tutto quello che tu scrivi trasmetterà sempre emozioni, piacevoli o struggenti che esse siano. Ogni tuo libro che ho letto è stata un’avventura, che intraprenderei ancora e ancora.
Ciao Licia, come hai detto tu o altri, è una cosa molto soggettiva, nel senso che io leggendolo una volta il libro non lo rileggerei, o forse si ma con molta minor enfasi, stessa cosa fai tu quando scrivi, cioè lo scrivi ti emozioni e lo vivi nella tua testa, ma è diciamo la prima volta poi tende a scemare. Un esempio potrebbe essere quando vai in un posto nuovo e provi forti emozioni, ma quando ci rivai non è la stessa cosa.
Secondo me racconti quello che senti in quel momento, e lo fai egregiamente, e credo sia normale e soggettivo quello che provi, nell’ultima frase credo sia la chiave dopo che hai dato sfogo alle tue emozioni, sensazioni e idee non hai nient’altro da sapere.
Comunque tutto vero il fatto che leggiamo per quel motivo sembra proprio cosi.
è la sindrome del Tasso
sia io che il mio ragazzo ne siamo affetti, ma mentre lui continua, continua e continua a correggere modificare e ricorreggere senza mai mettere un punto, io mi fermo quando sento che ormai è stato fatto tutto; ho i miei libri stampati, l’ho fatto fare quando pensavo che ormai fosse la versione definitiva, eppure quest’estate ho ripreso il primo con l’intenzione di rileggerlo senza toccare nulla e ho finito per chiuderlo perché volevo modificare dei pezzi. Io ho l’ossessione per la scrittura (proprio l’atto di scrivere, intendo, a penna), e da quando ho scovato delle agende fantastiche mi sono fissata che voglio riscrivere lì dentro i miei libri… sono arrivata al sesto capitolo del primo e ho tagliato e cambiato tantissime cose. Temo che se non lo vedrò mai pubblicato continuerò a cambiarlo, ma sinceramente non voglio, perché alla fine penso che ciò che si è scritto come primo approccio sia più autentico di quel che viene scritto in seguito… è più spontaneo, e me ne sono ressa conto quando ho capito che molte cose che prima avevo messo nella storia (parlo soprattutto di atmosfere e sensazioni) sono andate perse con le successive modifiche (non potevo fare altrimenti, avevo 14 anni quando ho iniziato -.-’). La scrittura riflette tanto di quello che si ha dentro, a volte bisogna fare attenzione anche a non metterci “troppo”. Per ora non ho ancora verificato che effetto mi fa rileggere quello che ho scritto (causa studio matto e disperatissimo), ma appena termino l’ultima parte della trilogia ho intenzione di farlo… e chissà che ci esce.
Sai, io stò cominciando a scrivere un libro..(il primo xD E non ci stò capendo nulla xD). Mi hai dato tu la voglia di scrivere…!
Fino adesso scrivevo, poesie, temi e, non sò come, mi sono sentita proprio come te. Io ho solo 16 anni ma ho una voglia di dare agli altri le emozioni che mi hai regalato tu mentre leggevo i tuoi libri !
Si, è vero. Le cose che scriverò forse non le sentirò più mie…ma la voglia di far emozionare gli altri con qualcosa che ho fatto, scritto..penso sia bellissimo e unico al mondo!
Forse…scrivere per gli altri, farli emozionare come tu hai fatto con me,…è molto più bello. Gli scrittori non esistono senza i lettori, e ciò vuol dire che le tue parole sono giustissime. Le tue emozioni le hai avute mentre scrivevi! In ogni riga hai messo (almeno così penso) una parte di te che, anche se tu non la percepisci, non andrà mai più via! La tua parte l’hai fatta, e mi permetto di dire che l’hai fatta splendidamente *-*. Dopo si deve lasciare il campo ai lettori, che vedono in loro, nella loro vita ciò che hai scritto.. ed è questo, a mio parere, il momento più EMOZIONANTE dello scrittore ^^ Un bacio :*
Licia, questa non me la dovevi fare.
Oddio, al pensiero che finirò per criticare le mie storie mi sento male… Forse perché sono una persona molto ossessiva sotto questo punto di vista. Intanto, mi faccio guidare dalla penna. Mi siedo e scrivo. Cosa scriverò? Sarei felice di saperlo. Ho qualche scena in testa, quelle portanti della storia, ma alla fine è il modo in cui mi sento, la giornata appena trascorsa, il voto bello o brutto preso che mi dice cosa scrivere. E’ bello, perché mi sento lettrice anch’io. Perché, di fatto, non so come andrà a finire. Per dirla tutta, c’era una tizia che aveva un segreto. Sono entrata in conoscenza del segreto quando ormai era arrivato il capitolo in cui veniva rivelato e doveva pur mettere in bocca a questa una storia, no? E’ divertente sotto questo aspetto, frustrante sotto altri.
Ma il punto è che se ho scritto qualcosa che mi è piaciuta, sto sempre a rileggerla. Sono ossessiva.
Poi vorrei sempre cambiare storia. Per dire, ieri ero in treno per tornare e casa da scuola, e mentre partivamo dalla stazione mi è balzata in mente un’immagine analoga ma agghiacciante, e subito mi son detta: questa finirà in una delle mie storie. Detto fatto, mi son scritta in testa, nel giro di venti minuti, il prima e dopo la scena della partenza dalla stazione. Insomma, ogni giorno scopro spunti nuovi, e adesso ho intesta una collana di cinque i libri di cui sto scrivendo in contemporanea primo e secondo, ambientata in un contesto fantastico, e tre libri singoli rispettivamente ambientati nel mondo di oggi, nel Novecento e nell’Ottocento/Settecento. Unico dato di unione fra tutti: una storia d’amore con annessi e connessi.
E adesso tu mi dici che davvero finirò per giudicare non soddisfacenti queste storie? Sinceramente, non so che dirti. Non ho pubblicato nulla perché non ho finito di scrivere nulla ancora, e in ogni caso aspetterò la maggiore età, comunque mi rendo conto che hai ragione, ed effettivamente potrebbe andare così.
Non so davvero che dire, non posso obiettare, perché non so cosa accadrà…
Mi limiterò a continuare il capitolo lasciato ieri sera in sospeso.
“La passione per un storia è molto simile all’innamoramento…”.
Di quante persone possiamo essere innamorati contemporaneamente?
Nella risposta a questa domanda c’è anche quella sul perché le vecchie storie ti dicono poco o nulla, ed è una risposta molto soggettiva.
In effetti…io non riesco neppure a leggere due libri contemporaneamente, per dire
.
‘…leggono per vivere miliardi di altre vite, non tanto perché non gli piaccia la loro, ma perché l’esistenza è una cosa così gigantesca, e breve, che viverne una sola è un po’ un peccato.’ Ecco, questa è la migliore spiegazione che abbia mai sentito sul perché leggere, di avventure in particolare. Ho provato a spiegare ad altri perché leggessi quello che leggo ma così bene non ho saputo fare! E poi in tre righe.. Complimenti ecco!
Non sono d’accordo su tutto.
La prima parte, come amante della scrittura e praticante della medesima, la sottoscrivo in pieno: dopo un po’ non ce la fai più, lo sforzo creativo ti stanca, e se ti ostini ad andare avanti lo stesso (almeno, questo vale per me) pensi che tutto quel che hai scritto fino ad un momento prima fa “schifo”…e ti metti a correggere peggiorando ancora di più il risultato.
La seconda parte, non mi trova d’accordo: come fai a non farti coinvolgere da qualcosa che hai scritto? Per me, anzi, il coinvolgimento decresce se mi dedico in maniera troppo serrata alla scrittura: ma basta che lascio perdere un racconto – magari fermo ad un punto morto – per due giorni, e poi la voglia di terminarlo arriva da sola come se n’è andata. Idem per un libro già scritto: lo rileggo, e mentre lo faccio devo trattenermi dal riprendere la trama, dall’aggiungere, dal modificare. Non so come tu possa “ripudiare” uno scritto nel modo in cui dici
può farlo o non farlo, è una scelta dello scrittore stesso, ma se lo fa è meglio
in ogni lavoro ci sono sfaccettature che non ci sono gradite (come insegnante, ad esempio, detesto correggere i compiti…specie perché fa parte di tempo impiegato e non retribuito!) ma non si può avere solo il meglio delle cose. Per svolgere al top un lavoro, credo sia necessario curare ogni suo dettaglio…comprese le cose che non ci piacciono.
Io penso che tu non dovresti, e sai perché? Molti dei tuoi libri degli esordi sono oggettivamente migliorabili. Ragionevolmente criticabili. I tuoi primi libri, sia detto come opinione personale (ma diffusa) e senza voler offendere, sono scritti male, a tratti malissimo…ma come si dice dalle mie parti, “è il mestiere che entra”. Credo tuttavia che i miglioramenti, con la crescita della propria abilità e delle proprie competenze, debbano esserci, se l’opera si presta alle modifiche. Ma anche no: cosa impedisce a un pittore o uno scultore di ricreare una delle sue opere d’esordio? Sarà un lavoro diverso e…nah, il paragone regge fino a un certo punto. Come non detto.
Torniamo all’idea principale: io ripubblico un mio vecchio lavoro, che a torto o ragione ha avuto successo, e magari mi prendo sei mesi per rivederlo, ampliarlo, aggiungere materiale inedito…oltre che un segno di cura, attenzione e rispetto verso i clienti, è anche una manovra commerciale: vuoi mettere quante copie vendi in più, quanti lettori nuovi catturi, quanti lettori vecchi – magari cresciuti per quel target – tu riconquisti?
Io penso che se allo scrittore non piace fare una cosa del genere, beh…io penso che sia un problema suo
E che poi, magari, scopriamo più gradevoli di quanto non siano in realtà.
Non hai capito cosa ho detto: non è che ripudio quello che ho scritto. Semplicemente, non mi dà emozioni, non mi trasmette nulla, perché l’emozione era tutta a monte, quando scrivevo.
Poi, gli scrittori si dividono probabilmente tra quelli che lavorano di lima tutta la vita sulla stessa opera e quelli che no, preferiscono migliorarsi su cose nuove, con altre storie, e migliorare stile e quel che vuoi raccontando altro, senza ribattere sempre sulla stessa cosa. Non voglio giudicare i due atteggiamenti, ma io appartengo alla seconda categoria, perché quel che mi interessa è raccontare storie, e una volta che quelle storie mi hanno lasciata, non sono più mie, il mio cammino prosegue su altre rotaie.
Neppure tu, a quanto pare, hai capito ciò che ho detto io
perché c’è una bella differenza tra il “lavorare di lima tutta la vita sulla stessa opera” e il riprenderla in mano N anni dopo per farne un’edizione riveduta e corretta (e questo NON è assolutamente un “ribattere sempre sulla stessa cosa”, perché non impedisce di dedicarsi a nuovi progetti, esplorare nuove strade, concretizzare altre idee mentre contemporaneamente si fa “maturare”, se così vogliamo dire, un qualcosa che magari è nato acerbo).
Comunque sia, ognuno fa le sue scelte e lavora come meglio crede.
Guarda, se uno rimette mano ad una cosa è finita, farà solo quello per il resto della sua vita. C’è un tempo per ogni storia, legato al vissuto di chi la racconta. Si scrive anche per liberarsi di certe ossessioni, e quando sono andate, sono andate. Le storie che racconto, questo ho cercato di dire nel post, dopo che sono uscite, dopo che sono state lette da persone che non fanno parte della mia cerchia ristretta, in me sono morte, sono andate, non sono più mie. Se anche riscrivessi le Cronache, appena pubblicate non mi piacerebbero esattamente come ora, e sentirei di doverci rimettere mano, e via così, in una spirale infinita che non ha senso per me, né tantomeno per chi mi legge. Se le Cronache sono acerbe, uno non le legge, o non le rilegge. È la dura legge della letteratura. Se hai buttato una storia, non l’hai sviluppata come dovevi, è per sempre, l’hai persa. Ma la storia delle Cronache aveva un senso quando l’ho raccontata, e parlava di me. Adesso parla di una persona che non esiste più, quella me stessa che quasi tredici anni fa le scrisse. È la stessa ragione per cui il famoso libro su Aster non è mai uscito: lo dovrei riscrivere tutto. Ma è una storia che è andata, nel frattempo per dieci anni i lettori sono fatti la loro opinione di chi fosse Aster e di come è arrivato dov’è, chi sono io per infilarmi in mezzo a questo dialogo tra un mio personaggio e chi lo ha letto? Ci sono cose che sto dicendo ora che mi appartengono molto di più, che parlano di chi sono adesso, e per questo mi piace, mi diverte, mi fa anche male, certe volte, dirle.