La mia memoria è una cosa strana. Ci sono cose che ricordo molto bene, eventi magari non fondamentali, ma che ho stampati in mente chiaramente. Ricordo soprattutto i sentimenti, le emozioni, belle o brutte, di tutti i periodi della mia vita. E poi, ci sono cose, anche importanti, che sono semplicemente scomparse. Non se sia una cosa patologica o no, a volte me lo sono chiesto, ma ho dei buchi, a volte grossi.
Un buco non indifferente è il mio esame di maturità. Intendiamoci, non è che non ricordo proprio niente. Mi mancano però dei pezzi. Ho dei flash separati, e dei punti di buio. È vero che l’evento appartiene per quel che mi riguarda ad una vita fa. L’università ha rappresentato per me uno spartiacque definitivo: prima ero una persona certo ansiosa, ma la cui ansia non riguardava mai l’attività scolastica. Non avevo mai davvero paura del compito in classe, o dell’interrogazione. Studiavo, e avevo l’impressione che bastasse. Non ricevevo pressioni particolari dai miei, e le cose andavano bene senza troppi problemi. Non mi sono mai dovuta proprio ammazzare di studio.
Poi, misi piede all’università e, senza ragioni specifiche, decisi che studiare non bastava più, che ci voleva un qualche quid che io non possedevo. Così, dall’oggi al domani. Prima ancora che potessi dare qualche esame e provarmi davvero. La mia insicurezza sul lavoro nasce tutta là. E non so da cosa è partita. Comunque.
L’esame di maturità appatiene al periodo immediatamente precedente. Non avevo granché paura. Ero andata bene tutto l’anno, avevo studiato, e mi stavo molto divertendo con la tesina (eravamo i primi a sperimentare quella novità, assieme all’esame che verteva su tutte le materie), non vedevo dove fosse il problema. Quando tutti quelli che ci erano già passati mi dicevano che la maturità non era poi questo granché, io, a differenza dei miei colleghi, ci credevo. Ed è così: ha una grandissima valenza simbolica, certo, ma rispetto all’esame medio dell’università, a livello di difficoltà è una passeggiata.
E così, ho pochi ricordi.
Non ricordo il banco, dove fossi seduta, come fossi vestita il giorno delle prove scritte. Ricordo i faldoni con le prove, l’aspetto della carta su cui erano stampate le tracce dei temi. Ricordo la prof di lettere che cercava di tradurci al volo la versione di greco, mentre i membri esterni della commissione erano fuori. Ricordo la domanda della terza prova sulla quale caddi: fisica, destino volle, una cosa sul moto degli elettroni dentro un filo.
Va meglio con l’orale. Perché ero davvero emozionata, sebbene sicura di me. Di quello ricordo tutto: com’ero seduta, com’era l’aula, le domande e le reazioni dei professori.
Mi viene da pensarci perché ieri è iniziata la maturità, e come ogni anno mi verrebbe voglia di fare uno dei temi. Mi piaceva fare i temi. I post di un blog non sono un po’ tutti temi liberi? O provarmi con la versione di latino (quella di greco, ormai, è proibitiva). O fare lo studio di funzioni dello scientifico, perché era una delle poche cose di analisi che mi divertirono pressoché da subito all’università.
È che a volte mi chiedo se non fosse stata necessaria, la paura della maturità, se non mi sia persa qualcosa, dormendo in pace la notte prima. In fin dei conti, la vita degli uomini è costellata di passaggi simbolici, la cui importanza non sta nella loro difficoltà oggettiva, ma in tutto ciò che a livello sociale rappresentano. La maturità è questo, un rito collettivo cui tutti partecipano, una esperienza che accomuna buona parte della popolazione, una porta attraverso la quale tutti siamo passati. La mia, semplicemente, era aperta. Ho avuto altri simboli, dopo, altri passaggi rituali, diversi. Ma è una mia caratteristica, non ritrovarmi in certe cose e farlo in altre, come se l’attesa di cui certi eventi sono caricati me li abbia resi meno decisivi, più banali. E poi mi sono rifatta dopo, all’università. Alla discussione della tesi di laurea sono arrivata che ero abbastanza uno straccio
.
Forse ognuno ha il suo percorso, i suoi simboli, i suoi passaggi decisivi. A volte corrispondono con quelli di tutti, a volte no. Per questo probabilmente a ognuno di noi sembra di vivere certe cose come se fossimo i primi al mondo. Il bello sta tutto qua, probabilmente.