Archivi del giorno: 9 ottobre 2019

Carnival Row: ah, però

Ritorna la premiata – da nessuno – rubrica in cui vi parlo di cose che vedo. In genere ci finiscono cose che in qualche modo mi hanno colpita, e questa è una di quelle. Da quel po’ che ne ho letto in giro non se ne sta parlando molto bene, per cui credo sarà l’ennesima attestazione del fatto che di serie tv e cinema non ci capisco molto, ma vabbè. Sto parlando di Carnival Row, serie originale di Amazon Prime che al momento si trova solo in inglese, ma che, se ho capito bene, dal 22 novembre dovrebbe essere disponibile anche doppiata per chi, legittimamente, non ha voglia di leggersi i sottotitoli.
Allora. Non so bene da dove partire…ho iniziato a vederla perché è lavoro, e ho sempre avuto una fascinazione, soprattutto modaiola, devo confessare, verso lo steampunk. Serie fantasy + ambientazione pseudo-vittoriana, che dire, mi pareva un win-win. Ma non ho mai amato particolarmente Orlando Bloom, che qua è più o meno protagonista; Cara Delevigne non l’avevo mai vista recitare, per cui anche boh. Per dire che non avevo particolari aspettative.
Cominciamo col dire che la serie paga un pilot piuttosto brutto; delle otto puntate della miniserie – che volendo potrebbe anche finire qua, visto che il finale è socchiuso e la trama di stagione si conclude abbastanza chiaramente – la prima è la più debole. Tutto appare molto didascalico: mondo vittoriano quadratico medio sospeso tra tensioni razziali tra gli umani e gli esseri soprannaturali – fatine e satiri, principalmente – questi ultimi provenienti da paese in guerra quadratico medio dal quale devono fuggire su barconi per finire a fare i servi o le prostitute qui da noi. Se vi ricorda qualcosa è perché la tematica sociale è trattata con la delicatezza di un cantoniere e la metafora sbozzata a pesanti colpi di ascia. Pure i protagonisti sono la fiera della mediocrità: Bloom è il poliziotto tormentato uscito paro paro da From Hell, Delevigne la fatina tenace e incazzosa, ma comunque bitchy. Intorno, tutto ciò che uno si attenderebbe da questo prodotto: i ricchi stronzi e razzisti, il primo ministro progressista col figlio che va a donne di malaffare fatate e la moglie arrivista e manipolatrice. Tutto un po’ così, con l’aggravante che, in un contesto tutto sommato adulto, come si premurano di farci sapere le numerose scene di sesso bollente, ogni tanto ci sono le fatine che volano, con un effetto di rottura della sospensione di incredulità difficilmente eguagliato in passato. E a questo punto uno dice: quindi bocciato?
Ero sul punto di. Ma un amico mi ha consigliato di andare avanti, e l’episodio due non si nega a nessuno. C’erano poi degli evidenti punti di forza: un’ambientazione a dir poco clamorosa, sostenuta per altro da un reparto costumi e scenografie da strapparsi gli indumenti intimi, e delle gran belle musiche. Burgue, la città in cui la storia è ambientata, è un posto vivo e vero, pulsante, bellissimo.
Ora, io non so quand’è che ho iniziato ad appassionarmi. Forse all’episodio tre, l’immancabile flashback che racconta la storia del nostro detective e della nostra fatina, ovviamente amanti in passato e ora separati da una montagna alta così di cose fraintese e dalla perenne incazzatura di lei. A parte l’ambientazione, di nuovo, di una bellezza difficile da spiegare, con tutta quella neve, c’è una rappresentazione onesta e credibile della guerra, e anche la glicemia della storia d’amore è contenuta entro limiti accettabili. Ma, soprattutto, c’è un’interpretazione non banale, o comunque interessante, di Faerie: il mondo della libertà. Mentre Burgue è il posto in cui tutti devono sembrare qualcosa che non sono, reprimendo allo spasimo ogni desiderio, come da stereotipo vittoriano, ma spinto così all’ennesima potenza da diventare una cosa paradossalmente plausibile e interessante, Faerie è il posto dove ognuno può essere ciò che è, senza maschere. Lo dice esplicitamente un lupo mannaro; dominante, durante la trasformazione, è il senso di libertà.
Da quel momento in poi, non dico che il prodotto decolli, ma diventa una cosa interessante. Ok, i colpi di scena sono tutti prevedibili con un paio di puntate di anticipo – tranne uno, devo dire – tutti fanno più o meno ciò che ci si aspetta da loro, ma non è mancanza di fantasia: è più adesione al canone. È una storia di ambientazione vittoriana, che non nasconde i propri debiti, ma non cerca neppure di scimmiottare ciò che va al momento – a parte il sesso, che comunque scema quanto a gratuità avanzando con gli episodi -. A suo modo, è un prodotto di nicchia: ti deve piacere quella roba là, per apprezzare questa qua. Persino la regia, ogni tanto, ha qualche guizzo, e tutto scorre capace se non di appassionare, di far affezionare: a quel mondo, alle sue contraddizioni, soprattutto alla pletora di personaggi secondari, francamente più interessanti della coppia di protagonisti – anche se Philo più che altro paga essere interpretato da un Bloom un po’ fuori fuoco -. Sotto, c’è persino un messaggio, di nuovo, non banale e molto interessante sulla discriminazione e i muri, che non tengono soltanto fuori il supposto nemico, ma soprattutto rinchiudono noi. In questo caso, in una gabbia di apparenze che ci impediscono di entrare in contatto coi nostri desideri più profondi, accettandoli ed esprimendoli. Tutti, a Burgue, sono costretti ad essere altro da ciò che sono, perché le apparenze, i segreti inconfessabili, la società…in questo senso, le creature magiche sono un pericolo perché ci mettono in contatto con tutto ciò che di noi neghiamo e nascondiamo, quella parte più selvaggia che siamo convinti ci perderà, e invece è l’unica che può salvarci.
Ok, tutto questo non è detto con chissà quale straordinario grado di approfondimento. Non è un prodotto raffinato, e non vi farà fare bella figura in mezzo ai vostri pari dire che lo guardate, anzi. Perché, ahimè, a differenza di Game of Thrones questo è fantasy vero, e non vi dà alibi che vi permettano di darvi un tono. Ho letto in giro che sarebbe un’opera pretenziosa: francamente, no. È onesta il giusto, si permette quel che può. Anzi credo che gran parte delle critiche vengano da gente che ha visto solo il primo episodio, e lì si è fermato.
Io vi consiglio di procedere, certo se avete il palato adatto a questo piatto, e non tutti ce l’hanno. Non vi aspettate cose mirabolanti, è un prodotto con molti difetti, ma secondo me sa farsi amare. Due cose credo però siano superlative: l’ambientazione, in tutti i suoi aspetti, dai costumi, al trucco, alla costruzione stessa di The Burgue, e la musica. E, almeno per queste due cose, val la pena. Io, se viene la stagione due, non mi lamento affatto. Anzi :) .

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