E finalmente, si può parlare di The Mandalorian. Vorrei tantissimo sapere perché la Disney ha ritardato così tanto l’arrivo del servizio in Europa, ma vabbè, è andata così. Tutti hanno già commentato, tutti hanno già visto, che senso hanno queste mie righe? Nessuno, mi sa, ma tanto mi sto specializzando in risposte a domande che nessuno ha mai posto, tipo Lisa Simpson.
All’epoca della sua uscita americana, tutto il dibattito sulla serie alla fine verteva sul fatto che The Mandalorian batte Episode IX otto miliardi a zero. Pure io un po’ ci sono cascata dentro, perché da un lato avevo scarsissime aspettative su Episode IX – cosa che forse alla fine mi ha permesso di godermelo con mente leggermente più sgombra – dall’altro, inspiegabilmente, le avevo altissime su The Mandalorian. Non so perché. Di Boba Fett e dei suoi epigoni mi è sempre fregato pochissimo. L’unica incursione seria nell’universo di Star Wars senza i suoi protagonisti principali, Rogue One, mi aveva più che altro irritata. E dunque perché aspettavo una cosa che è in sostanza la crasi di queste due cose? Lo sa il cielo. Ma ci credevo tantissimo, e tutto quanto ho letto e intravisto in questi mesi mi ha solo confermata nel mio hype. E quindi, alla fine?
E quindi alla fine occorre fare molte premesse. The Mandalorian si prende delle libertà rispetto al prodotto Star Wars medio non perché Favreau & co. siano chissà che geni temerari, ma perché è un oggetto a rischio quasi zero: è uno spin-off su un personaggio di cui manco si parla nella saga principale, è una serie tv dal formato pure atipico, in sostanza è un teaser di lusso per il servizio Disney+. È ovvio che in una cosa del genere, una specie di easter egg per fanatici del brand, fosse possibile osare appena di più. Inutile dunque fare confronti con Episode IX, che invece fa parte del ramo principale del franchise e si tirava dietro aspettative gigantesche. Tra l’altro, queste grandi libertà si riducono a una colonna sonora atipica – ma, ve lo dico, da urlo – e una serie di scelte inconsuete, tipo che praticamente nessuno ha un nome, il protagonista lo vedi in faccia dieci secondi su quattro ore totali di screen time e i dialoghi dell’episodio medio entrano su uno di quei fazzolettini che ti danno al bar assieme al caffè.
Sì, non c’è niente di davvero originale in The Mandalorian. Sì, è la fiera della citazione, da Kurosawa a Lone Wolf & Cub. Sì, promette più di quel che mantiene, ed è in soldoni un grandissimo gioco di prestidigitazione, volto a coprire con tanto fumo che l’arrosto sono 50 gr di fettina di vitella ben cotta. Ma è un problema? No. Non ce ne frega niente che è tutto già visto e semplicissimo, non ce ne frega niente che ci stanno infinocchiando per l’ennesima volta, e non ce ne frega niente per due motivi: che è tutto fatto coi sacri crismi, a parte due o tre cose, e Baby Yoda.
The Mandalorian non sta là a sparare alto. Ti vuole divertire con una storia basica, ma forte: stronzo che ritrova la sua umanità – forse – grazie a un bambino. Tutto qua. Ma inizia subito col botto, dandoti più o meno tutto quanto uno si aspetta da Star Wars: esotismo, avventure, e gente che scoatta. E come scoatta il Mandaloriano, almeno in metà episodi, solo Han Solo dei bei tempi. C’è tutto: ci sono i pupazzoni, ci sono le frasi storiche – al secondo episodio io e Giuliano già commentavamo con “this is the Way” e “I have spoken” – le astronavi, e i blaster e tutto quello che desideri. C’è, lo ripeto, perché siamo nell’eccellenza, una colonna sonora che azzecca il refrain epico e che comunque è declinata alla grandissima, con echi western ed elettronici inusuali per il canone di Star Wars ma assolutamente perfetti per ricreare quell’atmosfera retro-scifi che tanto sta bene sull’ambientazione. E c’è spesso anche una regia che non si nega qualche guizzo qua e là. E quando c’è tutto questo, perché uno dovrebbe desiderare l’originalità? Ma poi, cos’è l’originalità? Avere un’idea nuova? O saper cavare il sangue dalle rape degli archetipi più triti, permettendoti ancora una volta di perderti nella galassia lontana lontana? Dalla risposta a questa domanda dipende l’apprezzamento per questo onestissimo pezzo di artigianato che, lo confesso, io ho adorato. Nei suoi limiti, che percepivo in ogni episodio, nella sua banalità, pure. Ma mi interessava del Mandaloriano, mi interessava del Bambino, mi interessava di Quill che ancora spero non sia morto, e mi interessava anche del droide, dannazione. Mi interessava di tutti, e, finita la visione, ho continuato a pensarci, e quel mondo, il mondo di frontiera del Mandaloriano, il suo curioso codice d’onore, stanno ancora con me. È tutto qua. E non è facile ottenere questo risultato, tanto meno con una storia così basica e personaggi così tagliati con l’accetta. Ma Favreau c’è riuscito. La risposta alla domanda di Poe in Episode IX, quando si trova da solo a dover comandare la Resistenza: come facevano prima di me? Ed è facile vedere JJ in trasparenza a quella domanda. Beh, non lo so JJ come facevano, o avrei azzeccato la formula anch’io, ma Favreau c’è andato tanto vicino.
Ma dicevo che c’è un altro elemento: Baby Yoda. Ora, la pucciosità è sempre stata insita in Star Wars. I droidi sono pucciosi, i porg sono pucciosi, Babu Frik vuole essere puccioso. Ma la pucciosità di baby Yoda è fuori scala. Credo neppure alla Disney avessero capito che razza di bomba avevano tra le mani, e infatti i pupazzetti sono arrivati in ritardo. Baby Yoda è il deus ex-machina che redime The Mandalorian da qualsiasi eventuale vaccata: anche se l’episodio fosse una palla micidiale, basta che Baby Yoda tira giù le orecchie e tu hai gli occhi a cuore, e chissene del resto. È un colpo basso? Bassissimo. Ma funziona. È una strizzata d’occhi al fandom che manco JJ, ma il fandom ci casca, e dunque, dov’è il problema? Io già vorrei lo studio farcito di Baby Yoda che escono da tutte le parti.
Ultime due osservazioni: dopo anni di serialità che pareva aver ragione d’essere solo nell’esistenza di una trama orizzontale spintissima, cosicché se entravi già al secondo episodio non capivi niente, ho molto apprezzato che The Mandalorian proceda così, a braccio, con una trama orizzontale flebilissima. Ogni tanto fa piacere vedere episodi autoconclusivi, godersi una storia che in mezz’ora inizia e finisce. Certo, il gioco è bello finché dura poco, e in effetti un paio di episodi centrali sembrano più un riempimento che altro – tipo l’evasione dei tizi dalla galera, che è un’idea interessante, ma i tipi sono tutti così insopportabili che ho faticato ad arrivare fino in fondo senza sperare che il Mandaloriano li seccasse tutti nei primi cinque minuti – ma in linea di massima funziona. Funziona molto anche che finalmente la Forza ha delle regole chiare. Baby Yoda può farci un sacco di cose fighe, con la Forza, ma poi si stanca, cade addormentato e buonanotte ai suonatori. Molto semplice, certo, ma efficace nell’evitare che la Forza onnipotente ammazzi l’intreccio. Sì, JJ, qui bastava così poco.
Quindi, che dire? Per quel che mi riguarda, datemene ancora. Sarò di gusti semplici e di bocca buona, ma ho apprezzato la pietanza. Sempre più spesso, a colpirmi non è la roba stratosferica con ambizioni altissime, ma i prodotti semplici e ben fatti, in cui, per miracolo, si riesce a cogliere ancora un pochino di cuore. Il resto è pretenziosità, l’unico peccato cui The Mandalorian non indulga.
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Presentazione per la Libreria Spartaco ed eventi passati
19 novembre 2020, 11:30
Sono giorni complicati e pienissimi di cose. Settimana scorsa, come avete visto, ho fatto tanti eventi. Un altro ci sarà stasera; l’appuntamento è alle ore >>>
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