Debiti
La prima cosa che bisogna fare è riconoscere i propri debiti. Io ne ho accumulato una pila altissima. Nei confronti di chi mi ha accompagnata e sta continuando a farlo in questa avventura della scrittura, a tutti i miei lettori, che si limitino a leggere le mie storie o mi cerchino, mi parlino. E mi facciano dei regali. A Matera ne ho ricevuti due, bellissimi. Uno è uno splendido draghetto per la mia collezione, l’altro è un meraviglioso portafoto che è stato realizzato a mano. Non vedo l’ora di stampare una bella foto di Irene e Giuliano e mettercela su.
Grazie, ragazzi, grazie tantissimo. Il segno tangibile di quanto le mie storie vi appassionino è in assoluto la gratificazione più forte per me.

Il premio
In genere, io cerco sempre di sminuire tutto. Il successo, gli attestati di stima, le cose che vanno bene. Forse mi serve, non lo so. Vivo come se tutte queste cose non ci fossero, cercando di sminuire tutto quello che faccio. Non è che mi ci impegni. Mi viene naturale. È il mio modo di essere. Non c’è prova che possa convincermi del mio valore, perché comunque c’è sempre chi è migliore di me, c’è sempre una ragione per cui quello che faccio non va bene.
Eppure, sotto il freddo di una serata decisamente autunnale, seduta in prima fila in attesa del premio, per qualche minuto sono stata orgogliosa. Non so come sia successo, nonostante tutti i miei tentativi di boicottarmi anche questo momento. Eppure ero
contenta. Lo sono stata quando sono salita sul palco, lo sono ancora quando apro la custodia della collana e la guardo. Poi, certo, le solite paranoie sono tornate a trovarmi quasi subito: la preoccupazione per i progetti a venire, la paura che tutto questo possa finire da un momento all’altro, le miriadi di piccole ansie che avvelenano le mie giornate. Ma a volte bastano anche quei dieci minuti in cui sei soddisfatta, a farti tirare avanti per un anno intero di sessioni pianti, insicurezze e fatica.


Matera
Matera è un posto difficile da descrivere. È difficile persino da fotografare. Sfugge alle definizioni, sguscia via tra uno scatto e l’altro, tra parola e parola. Bisogna andarci. Per godere il silenzio assorto, che vibra però di continuo, agitato da una vita sotterranea, come sotterranei sono i Sassi. Una città in cui mattone e pietra si compenetrano, in cui è impossibile capire dove finisca una e dove cominci l’altro. Case che entrano l’una nell’altra, una sopra l’altra, connesse da vicoli e scale tortuose, come in quadro di Escher. E anche le zone disabitate, punteggiate dal verde della cicoria che cresce tra lastra e lastra, sull’impiantito, risuonano di un silenzio trattenuto, come se la vita non fosse davvero scomparsa, ma si fosse nascosta più a fondo, sottoterra.
È un posto unico al mondo, che va attraversato in silenzio, assorti, in modo da catturarne la bellezza selvaggia, caotica, che sfugge a ogni definizione.
Devo tornarci. Sono riuscita solo a fare una passeggiata il pomeriggio, e invece sento che ha tantissimo da darmi. Sento che uscirà fuori in quel che scriverò in futuro, in un modo o nell’altro. In fin dei conti, Matera è un po’ come Minas Tirith.








