Sabato sera mi volevo rilassare. Era un vita che non andavo a cinema, per cui mi sembrava che andare a vedere un film fosse un buon modo. Per altro c’era Watchmen che volevo assolutamente vedere, e sabato, per una serie di impegni incrociati, era l’unico momento in cui potevo farlo. Per cui nulla, sono andata.
La serata era iniziata bene che con un buon sushi che mi aveva favorevolmente predisposta. E anche il film era iniziato bene, mi stava piacendo, stavo apprezzando musica e sceneggiatura, quando è apparso il Dr. Manhattan. Che, come saprà chi ha visto il film, è nudo.
Ora, sebbene a trent’anni uno ormai di peni dovrebbe essere esperto e non dovrebbe più scandalizzarsi alla vista degli organi genitali, ci può anche stare che, a bassa voce, per fare lo splendido coi tuoi amici, tu faccia un commento salace sugli attributi del Dr. Manhattan, e ti conceda una sottile risatina.
Peccato che i tre coglioni dietro di me, e i tre affianco, abbiano iniziato a ridere sguaiatamente.
Poi, davanti al Comico che va a piangere da Moloc, si concedono un’altra crassa risata, perché al Comico cola il naso.
Da questo punto in poi è un tripudio. Una risata in ogni punto in cui non c’è nulla da ridere. Corpo esploso. Risata. Rorschach in galera. Risata. Ah, e il Dr. Manhattan nudo. Risata. Ogni volta.
Stavo per alzarmi e chiederglielo: “Ma la tua è invidia del pene? No, perché sennò non capisco”.
Ho iniziato a desiderare alzarmi e andarmene a metà film. Ho iniziato ad avere istinti omicidi dieci minuti dopo.
Perché le ipotesi sono due. Sei un fine intellettuale, il film ti sta facendo cagare e il modo per esprimerlo è sbeffeggiarlo. Perfetto. Vallo a fare a casa tua. Alzati e vattene. Giusto per lasciare agli altri il gusto di guardarselo fino alla fine, il film.
Oppure sei uno stupido. Un coglione che non sta capendo una benemerita della storia e di tutto il resto. E allora contieniti. È anche una questione di educazione.
La deficienza ormai ha preso il potere. Quella sala di cinema è immagine del mondo. Il mondo è così. C’è chi vorrebbe capire, interpretare, e magari poi alla fine schifare, ma nei limiti dell’educazione, senza rompere le balle agli altri. E chi invece ride, e non fa altro. Non capisce un cazzo, e quindi ride, perché gli hanno detto che lo può fare, e allora lo fa. E se ne frega di pestare i piedi agli altri, perché non gliene frega proprio niente di dar fastidio.
Non è la prima volta che vado a cinema e trovo degli imbecilli che rovinano il film. Ricordo la simpaticona che mi stava dietro quando andai a vedere Neverland, e passò le due ore di film, su ogni primo piano di Kate Winslet, a indicare la sua collana e dire sempre la stessa cosa: “Ahò, ma c’ha ‘na collana de cazzi!”.
Così per cinquanta volte.
E io sono proprio stanca della deficientocrazia, per cui a governare è la bassa reazione “de panza”. La crassa risata che non è sberleffo del potente, arguta critica, o anche, cazzo, consapevolezza dell’assurdità del mondo. No, è il riso del bimbo che si diverte a ripetere “cacca, cacca, cacca”. E questi qui poi ci governano, perché la sottocultura è proprio la stessa, e il rispetto del prossimo idem.
Vabbeh, sarò io che esagero.
Per sdrammatizzare, vi incollo una cosa che scrissi sui sei, sette anni fa, proprio dopo aver visto Neverland. Niente più che un divertissement, una cosa gore, ma che tutto sommato vorrebbe essere anche ironica. E vi rassicuro: sabato sera non ho neppure protestato. Son stata lì a subirmi le risate. Perché tutto sommato non vale la pena, perché essere educati significa pure questo.
Qui sono tutti shockati. Vedeste come mi guardano. Sconvolti. Io sinceramente non capisco. E appena vi avrò raccontato non capirete manco voi. Perché, giuro, io non sono pazzo. Mi giravano solo le palle. Cazzo, capita a tutti, no? Ecco, a me è capitato, ma invece di starmene lì a rodermi in solitudine, ho agito. Suvvia, a tutti voi è capitato uno stronzo qualsiasi che vi rompesse l’anima, uno il cui senso all’interno del cosmo proprio non capivate, magari anche più d’uno. Uno che vi siete detti: a poterlo fare gli staccherei la testa a morsi. Ecco. A morsi ve lo sconsiglio, ci rimettete i denti e la soddisfazione è bassa. Ma con una bella accetta, invece… Ok, ok, devo andare in ordine, altrimenti come niente mi dite che divago, che non ragiono, perché invece sono lucidissimo, lucidissimo, giuro! C’è della logica, e tanta, in quel che vi dico, vedrete! Ero andato a cinema. Era stata una giornata di merda, tra mia moglie e le sue solite recriminazioni, e la marmocchia che urlava come un’ossessa. Mi sentivo un trapano nel cervello, un chiodo fisso nella tempia. E sono andato a cinema. Sì, non fate quelle facce. Io mi rilasso così. A cinema. Ok? A me il mal di testa passa così. Nel buio della sala a spettacoli in cui possibilmente vadano pochi scassapalle. Che poi, scassapalle sono tutti gli altri spettatori tranne me. Io ne capisco di cinema, lo sapete? Da ragazzino avevo pensato di fare il critico. Scrissi un paio di articolini. Comunque, ho il mio essai di fiducia. Un posto che a guardarlo è indegno. Una saletta minuscola. Le poltrone di una scomodità folle. Però mi piace. Fa roba che altrove non si trova. E c’è sempre poca gente. Era sul tardi. Saranno state le dieci-undici quando sono entrato in sala. Gli Uccelli di Hitchcock. Goduria. L’ho visto un miliardo di volte, ma ogni volta mi prende come la prima. Quando vedo Tippi Hedren che si fuma la sua bella sigaretta in panchina, mentre dietro di lei i corvi si radunano a frotte, mi piglia sempre il brividino. Per un po’ è andato tutto bene, e il chiodo piano piano stava smettendo di trapanarmi la testa. Poi sono arrivati questi due. Due coglioni. Due teste di cazzo. Due…non so manco io come definirli. Col pop corn in mano. Comprato fuori, perché nel MIO cinema non ne fanno di queste assurdità. E hanno iniziato a sgranocchiare, facendo un casino della malora. Sul silenzio perfetto e sublime di certe scene, c’era il rumore volgare delle loro mascelle di microcefali che mangiucchiavano. Sentivo il pop corn che cadeva per terra, sulle poltrone, e le manine sudice e unte che ravanavano nella busta di plastica. Ma sopportavo. Sono una persona calma e posata, io. Poi hanno cominciato a commentare. A fare battute del cazzo, mentre ridevano sguaiatamente. Non ci pensare. Non li stare a sentire. Tu sei come Buddha, imperturbabile da queste merde. Ma loro continuavano, e continuavano, e il trapano è tornato, cazzo, è tornato prepotente, violento, e adesso sentivo pure i loro denti che scricchiolavano, e l’aria che entrava e usciva dai polmoni, ogni fottuto rumore che facevano. E poi la goccia. “Che film di merda”. Mi sono alzato con calma. Il trapano s’era fermato di botto, e io ero calmo, giuro, come adesso. Vedi la mano? Ferma. Dio com’ero lucido. La lucidità dell’angelo vendicatore. Sono sceso per il corridoio e sono arrivato all’angolino che sapevo. In quel posto non ci sono uscite di sicurezza. Però affianco alla porta c’è un’ascia. Dietro un vetro. E’ bastato un pugno, li fanno apposta perchè si scassino a volo. “Scusi, ma che diavolo…”. Era la maschera. Un tipo simpatico. Mi sorrideva sempre. Infatti un po’ m’è dispiaciuto. Gli ho fatto volare la testa sotto lo schermo. Così. Non ha manco finito la frase. Era buio, ma di sangue ne è uscito, me ne sono accorto. Voi non potete capire che liberazione. Che sensazione piacevole, il suo sangue sulla mia camicia. Prima caldo, poi freddo. Una goduria. Vi suggerisco di provare. Ma non volevo mica lui. Erano i due stronzi che dovevo castigare. Stavano al loro posto fermi come due coglioni. Gli ci è voluto un po’ anche per gridare. Più o meno il tempo che c’è voluto a me per arrivare fino al primo. Sono agile, molto, facevo atletica da ragazzino, e ancora mi tengo un po’ in allenamento. Zak. Colpo e via una mano. Lo stronzo ha iniziato a gridare come un vitello, ed è cascato nello spazio tra le poltrone. Gli ho dato un colpetto sulla schiena. Così, per non farlo andare via. Poi mi sono buttato sul secondo. Già era arrivato alla porta, il bastardo. Prima gli ho preso una scapola, e lui è scivolato a terra lasciando la sua bella strisciata di sangue lungo la porta. Bellissimo. Poi lì, confesso, non ci ho capito più niente per un po’. Sapete, la foga…Ho cominciato a colpire a caso. Una, due, tre volte. C’erano schizzi di sangue dappertutto, la maggior parte mi finivano addosso. Una pioggia miracolosa. Quando gli ho spaccato la testa doveva essere già morto. S’è aperta come un melone maturo. Stesso rumore di scatola vuota. Il cervello, l’inutilissimo cervello di quell’invertebrato s’è sparso per terra. Sono andato verso l’altro. E il coglione di prima m’ha messo i bastoni fra le ruote. Sono scivolato sulla roba che gli era uscita dal cervello. Ho sparato una bestemmia, ma mi sono alzato in fretta. Quello stava strisciando come un verme chiamando aiuto. Ero già un po’ stanco, e del resto il sacrificio dell’idiota dal cervello viscido m’aveva già abbastanza soddisfatto. L’ho fatta breve: un solo colpo in testa. Gli ho dato giù pesante, perchè un occhio gli è schizzato fuori dall’orbita. Silenzio. Sulla porta, immobile e con gli occhi sbarrati, la signorina che dà i biglietti. Sullo schermo, la scena finale, uccelli ovunque. Ho guardato la tipa, e mi sono sentito davvero pacificato con me stesso. Bellissimo. La pace. “MI scusi per il casino, ma ‘sti qui non mi facevano vedere il film in santa pace…” Solo allora ha trovato la forza di urlare.