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Quel maledetto maledetto

Confesso di non aver guardato molte immagini del 15 ottobre a Roma. Non ne sentivo particolarmente il bisogno: quelle immagini lì si somigliano tutte, le abbiamo viste così tante volte e in così tante salse che io ci ho fatto il callo. Però, devo dire che alcune le ho guardate. È che non ci potevo credere che qualcuno le avesse scattate e qualcun altro avesse deciso di metterle tutte in fila.
Si comincia con la parata di madonne e cristi distrutti. Ora, il gesto in sé è stupido, non lo nego, ma non mi pare particolarmente più grave di sfondare la vetrina di un minimarket o dar fuoco ad una Punto del secolo scorso. Però, vuoi mettere la forza evocatrice di un’immagine del genere: l’odio che non risparmia nulla, che si accanisce contro il simbolo più alto del nostro sentire, quel crocefisso inerme…E quindi vai con immagini della madonnina rotta in tutte le salse, e sparate in prima pagina, ça vas sans dir.
Poi, la retorica dei nemici accomunati dalla violenza altrui. Ed ecco la galleria del celerino che accarezza la giovane manifestante. A me francamente pare quello schiaffetto ironico che a Roma si usa molto, seguito magari da un “ah bbella, vedi de datte ‘na carmata”, ma Repubblica ci dice che è la carezza che prelude al bacio (??).
Poi, su questo tema, baci e abbracci di giovani manifestanti. Titolo della galleria: volevano una manifestazione così. Chiosa mia: e allora vai in un albergo a ore, o fatti una passeggiata al Pincio.
Ora, perché questo profluvio di immagini mi fa arrabbiare? Perché gronda di retorica qualunquistica. Perché non è semplice atto documentale: è imposizione di uno sguardo. È una cosa che alcuni giornalisti fanno sempre: adeguare la realtà agli schemi preconcetti che hanno in testa. Quando andavo al ginnasio, partecipammo ad un progetto sulle mafie. Approfondimmo l’argomento, organizzammo anche una mostra e un evento a fine anno aperto a tutta la scuola. La cosa era in cooperazione con Libera, e forse per questo venne anche la stampa, il tg3, se non erro, comunque un tg Rai. Intervistarono un po’ di noi che avevamo lavorato sulla cosa, ma anche gente che non aveva la più pallida idea del perché fossimo là. Quando tornai a casa e guardai il servizio in tv, le interviste agli studenti erano tutte del tipo “‘a mafia è ‘na cosa bbrutta, cioè, tocca combatte’ ‘a mafia”. Confesso che ci rimasi male. Tra tutte le interviste, alcune a miei compagni di classe, che avevano detto cose intelligenti, persino necessarie, avevano pescato quelle che più facevano minus habens. Poi capii: al giornalista non interessava raccontare la nostra manifestazione, al giornalista interessava mostrare la gioventù moderna che non ha un cazzo da dire e si disinteressa. Coerentemente, aveva scelto quelle interviste che meglio si attagliavano a questa sua visione.
Ecco, le immagini delle gallerie citate (e il fatto che vengano tutte da Repubblica non è accanimento, è che io quello leggo per sapere che succede nel mondo) sono questo; uno sguardo parzialissimo che vuole ridurre la molteplicità, persino l’orrore di quel che è successo in piazza ad un frame preconfezionato: il vandalo cattivo, la gioventù che crede nell’ammòre, la situazione d’emergenza che unisce. E io, dopo quindici anni, continuo ad incazzarmici, come se non lo sapessi che funziona così.
Perché il titolo. Perché “maledetto” è l’aggettivo preferito dal giornalista pigro. Di fronte alla catastrofe, alla sfiga, o anche al disastro colposo, è tutto “maledetto”: le cronache dei nostri giornali grondano di “stanzoni maledetti”, “giorni maledetti”, “ore maledette”. Ma anche no, eh? Io non dico che l’occhio di chi racconta possa davvero essere oggettivo, e forse non sarebbe neppure giusto lo fosse. Ognuno racconta la sua verità. Possiamo però quanto meno evitare di buttarci a pesce tutti sull’unica disponibile, tipicamente quella più banale e trita?

P.S.
Oggi vi ricordo due cose. La prima è che avrò l’onore di presentare il libro di Tito Faraci “Oltre la Soglia”: il luogo è Mel Bookstore in Via Nazionale, l’ora le 18.00. Il libro, chevvelodicoaffa – mavvelodicouguale – è molto consigliato. A me è piaciuto davvero molto, per l’ambientazione, per la strepitosa idea iniziale, per i personaggi. Vi aspettiamo tutti!
La seconda è che oggi esce “Le Favole degli Dei”, primo, meraviglioso libro del Paolo Barbieri autore, oltre che disegnatore. Avrò l’onore di presentare anche lui, e così restituirgli un po’ di tutto quel che mi ha dato in questi anni. Il luogo sarà Lucca, il giorno domenica alle 12.30, presso la Sala Ingellis. Intanto prendetevi il libro, che è una pietra rara.

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Gli altri siamo noi

Quando ero bambina, nel palazzo di fianco a casa mia c’era una specie di fabbrica. In verità era uno stanzone chiuso da una saracinesca, in cui stavano stipati una decina di cinesi. Non li vedevi uscire mai. Con ogni probabilità lì dentro lavoravano e vivevano, e l’unico segno della loro presenza erano i pesci che mettevano a seccare di fuori, sugli alberi, per l’ira dei miei vicini di casa.
Per anni, la faccia dello sfruttamento del lavoro è stata questa; era un problema che riguardava sempre gli altri, mai noi. Altri gli sfruttatori, altri gli sfruttati. Ci vivevamo gomito a gomito, ma non ci interessavamo a loro: erano diversi, con noi non avevano niente a che spartire.
Poi, un giorno di ottobre, muoiono cinque donne, quattro operaie e una ragazza, la figlia dei proprietari della piccolissima fabbrica. Erano italiane, lavoravano per 4 euro l’ora, e lo facevano in una stanza del tutto identica a quella nella quale, quando avevo dieci anni, i miei vicini di casa cinesi consumavano vite completamente dedicate al lavoro. D’improvviso, non sono più gli altri. D’improvviso, siamo noi.
Con gli anni, le tutele sul posto di lavoro, quelle tutele per ottenere le quali persone, nei due secoli scorsi, hanno dato la vita, si sono assottigliate sempre di più. Non solo il lavoro in nero, ma anche forme di sfruttamento legale: per una persona della mia età è all’ordine del giorno avere contratti senza ferie pagate, senza malattia e con un versamento di contributi a dir poco irrisorio. Per tacere poi della mancata tutela della maternità, delle paghe da fame, del precariato perenne. A guardar bene, esiste una consistente fetta della popolazione, italiana e non (ha importanza?), che lavora in condizioni non dissimili da quelle di una fabbrica dell’800. Com’è potuto succedere? Un pezzo alla volta, come sempre, un’erosione costante e che non accenna a fermarsi.
Davanti al dolore del proprietario dell’opificio che ha perso la figlia, e che si ripeteva “è colpa mia”, uno dei mariti delle vittime ha risposto: “No, non è colpa tua, tu almeno gli avevi dato un lavoro”.
Vorrei riflettere a fondo su questa frase. Sulla mentalità che sottende, sulla disperazione che implica. Stare chiuse per 14 ore in una stanza priva dei requisiti minimi di sicurezza a confezionare maglioni per 4 euro l’ora, 4 euro l’ora, ripeto – per fare un paragone, per il mio primo lavoro part time mi pagavano un rimborso spese di 8 euro l’ora, e lavoravo non più di cinque, sei ore a settimana – viene considerato un privilegio, e chi te lo elargisce, un benefattore.
Ecco, io vorrei che il sacrificio di quelle donne ci portasse due consapevolezza: la prima è che non dobbiamo smettere di indignarci per cose come questa, che non dobbiamo pensare “va così, del resto anch’io ho un co.co.pro., anche io ho gli straordinari non pagati, anche io ho dovuto firmare una lettera in cui dichiaravo di non fare figli per i prossimi due anni”. Non è normale. Non deve esserlo. E se questo è il prezzo per il nostro benessere, allora il gioco non vale la candela. Niente vale un prezzo del genere. Secondo, che si parte dal singolo: siamo noi che avalliamo certi comportamenti. Siamo noi che ci adagiamo sul detto” così fanno tutti”. No. Così fanno gli altri. Noi dobbiamo cercare di essere diversi. Noi dobbiamo rispettare le leggi e la comunità in cui viviamo, dobbiamo batterci per anche gli altri le rispettino. La legalità è la risposta, l’onestà è la risposta.

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Nonciclopivasco

Oggi, apro Facebook, e scoppia la bomba: chiude Nonciclopedia. Meglio. Chiude Nonciclopedia perché Vasco Rossi si è risentito per la sua voce, “gravemente diffamatoria”.
Ora. Non ho mai trovato Nonciclopedia particolarmente divertente. Ok, la mia voce mi piaceva, mi sembrava carina, ma ce n’erano altre livorose e inutilmente offensive. Ma il punto non è questo. Non è neanche che la voce di Vasco Rossi mi sembrava fin troppo moderata (se la cercate, si trova ancora, perché internet è eterno). Il punto è che la chiusura della Nonciclopedia perché una persona s’è sentita offesa non è per niente un bel segnale.
Qui c’è gente di sessanta e passa anni che non sembra aver capito una cosa che è evidente ai ragazzini: internet è il Bar Sport del XXI secolo. Sì, ok, la potenza del mezzo, l’accessibilità dell’informazione, blablabla, tutte cose vere. Ma non possiamo neppure negare che per almeno l’80% il web è costituito da chiacchiere come quelle che si fanno, appunto, al bar. Il web 2.0 alla fine è questo: tutti convinti di avere qualcosa da dire, e dunque lo dicono, e nessuno che ritenga si debba ascoltare. Esattamente come la maldicenza e le chiacchiere da bar, quel che si dice su internet è inarrestabile. Chiudi un sito che dice che sei una donna di facili costumi e ne aprono altri tre che dicono la stessa cosa. La maldicenza in rete è assolutamente inarrestabile. E, come dicevo prima, virtualmente eterna. Questa è una cosa che farebbero bene a ricordare quelli che a cuor leggero diffondono contenuti sensibili online. Le vostre foto a quindici anni ubriachi resteranno lì a darvi problemi per sempre, anche quando sarete cinquantenni astemi. Comunque, prima ragione per cui quella di Vasco è stata una mossa stupida è che non basta chiudere Nonciclopedia. Quel contenuto, che prima probabilmente hanno letto solo i frequentatori della Nonciclopedia e qualche lettore occasionale, adesso rimbalzerà ovunque, sarà noto urbi et orbi, si diffonderà peggio di un virus. L’azione legale del Blasco è stata inutile. Peggio, controproducente, anche perché adesso è lui che fa la parte del fascista che non sa stare al gioco. E poco importa se la voce era davvero offensiva o meno: per il pubblico tu sarai sempre Golia che si incazza contro un povero Davide qualsiasi.
Ora, io non dico che uno non abbia il diritto di incazzarsi per le prese in giro. Sapete che non è così che la penso. Ma so anche che fa purtroppo parte del gioco. Ognuno ha il suo livello di tolleranza (la mia voce nonciclopedica mi divertiva, quelli che mi danno della donna di facili costumi facendo ovvi giochi di parole col mio cognome magari meno), e se non vuole ridere assieme a quelli che ridono di lui, ne è tutto in diritto. Ma quale reale danno d’immagine ognuno di noi riceve quando qualcuno parla male di lui online? Quale danno ne aveva Vasco dalla sua voce su Nonciclopedia? Ve lo dico io. Nessuno. L’unico danno è il fegato grosso che ti fai ad andare appresso a tutti quelli che parlano male di te. Perché per il resto, i tuoi fan continueranno a comprarsi i tuoi dischi, la gente continuerà a venire ai tuoi concerti e via così. Il danno che ti viene operazioni di questo tipo è limitato a quanto te la prendi. Il virtuale nel reale conta meno di zero. A parte, ovviamente, il caso del nostro cinquantenne che a quindici anni si faceva le foto ubriaco alle feste. Lì non sono i “si dice”, lì sei te che hai messo in piazza cose che avresti dovuto tenere per te.
Per altro, uno non va su Nonciclopedia se vuole le ultime notizie su Vasco. Nonciclopedia è un sito di satira (tanto, poco o per nulla riuscita non ha importanza), chi legge sa perfettamente che i contenuti non rispecchiano la realtà, ma ne sono una deformazione grottesca. E allora proprio non vedo il punto, ripeto. Vasco, bastava che cambiassi pagina, come fanno ogni giorno migliaia di utenti. Io lo faccio da dieci anni, se ritengo non valga la pena.
Ma c’è qualcosa di più grave. Ossia che basta che uno alzi la voce, e si oscura un sito. Perché non è che è stata cancellata la pagina di Vasco. È proprio tutta Nonciclopedia, anche le voci che non insultavano nessuno, anche quelle di chi come me non s’era mai lamentato, che è offline. Pensateci. Un bel giorno scrivete qualcosa su qualcuno sul vostro blog, tipo che a Berlusconi piacciono le minorenni. Berlusconi legge, si offende, e vi minaccia di querela. Non conta se quel che stavate dicendo fosse vero o meno. Conta la minaccia di denuncia. E andate offline. Nel mio piccolo, è capitato anche a me. Mi hanno chiesto una rettifica su una cosa che avevo scritto. Considerandola una sciocchezza, e non andando la modifica ad alterare significativamente il contenuto del post, ho fatto la modifica. E se dall’altro lato dello schermo c’era qualcuno di meno civile? Se invece di una garbata mail da parte dell’interessato mi fosse arrivata una bella lettera di un avvocato?
La censura passa da strumenti del genere. Ora, il fatto che su internet la diffamazione la faccia da padrona è sicuramente un aspetto che andrebbe indagato, sociologicamente più che altro, e chi ritiene di essere danneggiato deve poter avere gli strumenti per difendersi. Ma così, francamente, mi sembra che si spari con un cannone ad una mosca, per spolverare una metafora che mi piaceva molto del mio prof di analisi del primo anno. I mezzi messi in campo, a fronte di un danno, come spiegavo, minimo, sono da inquisizione spagnola. Del resto, se non erro l’idea dei nostri governanti è quello di applicare le leggi per la diffamazione a mezzo stampa anche alla rete, quando, in tutta onestà, non mi sembra proprio che le due cose siano paragonabili.
Per il resto, secondo voi posso fare causa a Vasco Rossi per il danno di immagine che mi viene dalla cancellazione della mia pagina di Nonciclopedia?

Aggiornamento:
a me sembra che i contenuti della Nonciclopedia siano tutti più o meno visionabili…e per altro l’oscuramento si è miracolosamente trasformato in “sciopero”, misteriosamente avversato dal server…Mah, la cosa inizia a puzzare…

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De stupro

Confesso di non essermi interessata più di tanto alla storia di Strauss-Kahn. Non mi stupisce che un potente si senta in diritto di abusare di una donna; è nella natura stessa del potere prevaricare, stuprare, figurativamente, certo, ma spesso anche fisicamente, concretamente.
Poi però oggi ho letto due cose. Questa e questa. Sulla lunga scia dei commenti, ho visto anche questo.
Ora, io non sono a prescindere contro il garantismo, anzi. Quel che non capisco è perché il garantismo venga fuori solo quando si parla di potenti o peggio quando si parla di stupro. Voglio dire, i due rumeni accusati – si seppe poi ingiustamente – di aver aggredito una coppia di giovanissimi al Parco della Caffarella non vennero trattati da presunti innocenti. Le loro foto vennero sbattute in prima pagina, e nessuno stava lì a tessere trenodie sulle loro rughe, sull’impermeabile “borderline” – ma che cazzo significa “impermeabile borderline”, ma le parole hanno ancora un senso o le spariamo a casaccio? – o sulla “spietatezza dell’uguaglianza della legge”. Erano due rumeni, e questo li condannava da sé.
Ben diverso Strauss-Kahn, un uomo potente e rispettato. L’idea che possa effettivamente essere un porco, uno che ritenga di poter disporre della vita altrui come più gli aggrada, non ci sfiora. Ci identifichiamo in lui – o almeno lo fanno gli uomini, visto che i tre commenti che ho indicato sono di tre maschi – e allora via con la tristezza per le manette, via con i “ma magari e innocente”, per terminare con l’immancabile “e comunque lei se l’è cercata”. Già. Lei. Chi è lei? Una cameriera, come sembra compiacersi a dire Travaglio. E, anche qui, il nome con cui la si indica dice tutto. Una il cui lavoro è servire, e dunque la subordinazione, il piegarsi e tacere, fa parte della sua essenza. Per tutti è solo questo. La cameriera. Di colore, per giunta. Un essere agito. Un particolare sullo sfondo nel quadro che vede al centro il potente. Strauss-Kahn in manette, Strauss-Kahn che sorride alla famiglia. Lei è un accidente.
L’ho già detto altre volte, lo stupro mette sempre a nudo le viscere dell’opinione pubblica. Sebbene da qualche anno sia finalmente reato verso la persona, e non verso la morale, sembra che per molti sia rimasto un insulto alla pubblica decenza. Torniamo al caso della Caffarella, o a quello della signora Reggiani. Anche lì ebbi l’impressione che la gente non fosse indignata perché una persona era stata violata nella sua intimità, in quanto di più sacro ciascuno di noi abbia, e poi uccisa; mi sembrava che la gente si arrabbiasse perché qualcuno non appartenente alla nostra comunità – un rumeno, appunto, un altro – aveva osato mettere le mani su qualcosa che appartiene a noi. Vengono qui a violentare le nostre donne, e il pronome dice tutto. Così lo stupro non è più una violenza verso una persona: è un insulto a chi possiede una donna. Va quindi da sé che quando a stuprare è uno dei nostri, per di più potente, le cose cambiano. Lei se l’è cercata, le donne sono tutte puttane, lui ha fatto quel che ha fatto perché lei l’ha provato, perché ha perso la testa, perché è stato incastrato da un complotto.
Illuminante in questo senso è questo pezzo su uno stupro perpetrato da un ragazzo italiano ai danni di una ragazza italiana a capodanno del 2009, qui a Roma. Lui è un “bravo ragazzo”, la famiglia “per bene”, lui è dilaniato dal rimorso e ha fatto quel che ha fatto per un “mix di alcol e stupefacenti”. Lei? Chissenefrega di lei, vuoi mettere col dramma di lui.
Mi direte, ok, ma che c’entra Travaglio? C’entra. Prendere un fatto di cronaca doloroso, che è costato moltissimo ad una donna, per tesserci su un pindarico paragone con le vicende di Berlusconi – che con tutta il disprezzo per il personaggio e le innumerevoli colpe politiche che gli attribuisco, fino a prova contraria praticava sesso consenziente, e non ha mai stuprato nessuno – è pretestuoso e anche poco efficace. Far ridere la gente con le cameriere appoggiate ai piselli dei potenti mi dà fastidio, sì, tanto più se lo sberleffo scavalca a piè pari la carne della vittima, che viene ridotta alla figura comica della “cameriera”, appunto, come in un film scollacciato anni ’70. Anche perché poi il succo del discorso sembra essere “vedete, persino uno stupratore ha la nobiltà d’animo di farsi processare, invece il nostro presidente no”, e questo mi ricorda moltissimo il florilegio di articoli agiografici su san Totò Cuffaro che invece di fare il latitante va in galera.
Sembrano tutte questioni di lana caprina, ma non lo sono. Dicono tantissimo di quali sono i valori della nostra società, di qual è il posto che la donna vi occupa. A voi tirar le somme.

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E voi?

Confesso di aver letto tutte le 600 pagine di documenti sul “caso Ruby”. Una lettura per lunghi tratti noiosa (l’organizzazione ripetitiva delle cene, le ragazze che litigano tra di loro), a volte gustosa, quasi sempre molto, molto triste. Consiglio comunque a tutti di farla; è sempre meglio andare alla fonte dei fatti, per sapere la verità, e questa è una verità che il cittadino italiano deve conoscere. E non perché davvero conti qualcosa sapere cosa fa il premier nei sottoscala delle sue ville, ma perché si configurano dei reati, perché c’è dimostrato nero su bianco che il premier è ricattabile – e ricattato – e soprattutto perché niente come quelle seicento pagine dà un quadro così netto e desolante dei mali della nostra società, quelli che ci hanno portato al punto in cui siamo ora.
Innanzitutto, oggi mia madre coglie la seguente discussione tra nonnetti al parco:
“Io so’ vecchio, ma a me ancora me piaciono ‘e donne. Mica ho messo via er bastone”
Risata generale. Poi un altro.
“Eh, ma me pare che pure er premier nostro se diverte co’ ‘e donne…”.
Questo già spiega che il problema non è più tanto Berlusconi, quanto il sistema pervasivo che in venti anni s’è infilato come un cancro in ogni aspetto della società, e ci ha cambiato la testa. Quale sistema? Quello che, dicevo, emerge dalle carte.
Quel che colpisce, soprattutto dalle 200 pagine uscite per ultime, è che nessuna delle ragazze che frequentavano Arcore si ritiene effettivamente una prostituta. La Minetti lo dice chiaramente quando parla di se stessa e dell’accusa di favoreggiamento della prostituzione. E, intendiamoci, le ragazze parlano di continuo di soldi da ricevere, di “benzina” che non c’è più, di “rose” regalate alla fine delle serate. Quindi tutte sono consapevoli di essere ricambiate in denaro per la loro “bella presenza”. Ma non ritengono che si tratti di prostituzione. È semplicemente un’occasione che la vita ha messo loro davanti, la possibilità di guadagnare tanti soldi senza fare troppa fatica. Per loro è persino normale che un uomo le ricompensi facendole eleggere al consiglio regionale, o mettendole in parlamento. Ancora, è un’occasione, come ottenere un contratto a tempo determinato da qualche parte, o ricevere un’offerta di lavoro dall’estero.
I genitori non sono assenti, anzi, partecipano del gioco. Davanti ad un intero capitolo di Mignottocrazia di Guzzanti dedicato alla Minetti, pare che il padre di quest’ultima abbia detto : “Va bene tutto, però finire su un libro dentro le librerie non è il massimo”. Va bene tutto. Tranne che si scopra come funziona il gioco, che la gente sappia. Genitori, fratelli e sorelle sanno: e approvano, anzi ritengono di aver diritto anche loro ad una parte del bottino. La figlia si sacrifica per il bene di tutti; “lui ci sta costruendo un futuro”, dice una.
Questo modo di pensare, a ben vedere, non è nuovo. Da secoli è connaturato alla nostra natura di italiani, ed è la radice di molti mali, non ultima la criminalità organizzata. Quell’idea per cui per qualsiasi cosa tu abbia bisogno di un patrono. Tu, di tuo, non hai diritto a nulla, se non sei potente. Ci sono quelli che sanno prendersi quel che vogliono, e che accedono al potere, e tutti gli altri, la vasta maggioranza, che per avere qualcosa aspettano la generosa elargizione del patriarca. E questo vale tanto per il superfluo quanto per quelle cose alle quali avresti diritto. La dialettica sociale si riduce ad un gioco di rapina: chi arriva per primo arraffa, gli altri possono solo sperare di fare i clienti, e capitalizzare quel che posseggono. Se hai solo un corpo, userai quello. E non c’è nulla di scandaloso che la cosa pubblica – che per definizione appartiene a tutti – venga cooptata dal singolo. Se uno è potente fa bene a piazzare le proprie amanti in parlamento. Perché non dovrebbe? E se sei giovane e bella, perché non dovresti usare il tuo corpo, l’unica cosa che hai, per andare avanti?
È la mentalità mafiosa. Tu fai un favore a me, io ne faccio uno a te. Non funziona così dappertutto? Non c’è bisogno della raccomandazione per fare una TAC scavalcando la fila, anche se magari di quella TAC hai davvero bisogno, è davvero necessario che tu la faccia il prima possibile? Non è un benefattore quello che ti fa ottenere il favore in cambio di un voto?
La radice di questi comportamenti è la stessa. Un unico filo rosso collega il tizio che chiede un favore per un esame medico e le ragazze di Arcore. La stessa mentalità medievale: il signore del borgo è padrone di ogni cosa in cielo e in terra, e se ne vuoi devi adattarti. “Tanto fanno tutti così”. Non è questo che ci ripetono allo sfinimento? Che è normale, che è persino giusto che la donna sia un oggetto, che il sesso si paghi con uno stipendio da parlamentare? Che lo fanno tutti, e che se non lo fai è solo perché non sei bella abbastanza, o perché sei stupida?
Berlusconi è la punta dell’iceberg. È UN problema, ma non IL problema. Il problema è l’humus che l’ha prodotto e che adesso lo tiene in vita, questa mercificazione estrema di ogni cosa, quest’idea che ogni cosa abbia un prezzo, che tutto è in vendita. Che poi, per cosa ci si affanna a fare le tre di notte ad Arcore? Per un posto da valletta in tv, per un vestito Armani da 1500 euro. Dunque per consumare, perché il tempo è tiranno, la bellezza sfiorisce e la giovinezza è l’unica età degna di essere vissuta: e allora brucia tutto e adesso, produci, consuma, crepa, entra nel meccanismo se non vuoi esserne schiacciato.
È il momento che chi non la pensa così, chi ritene che questa filosofia, che ormai informa di sé tutta la nostra società e che non ha creato Berlusconi, ma della quale Berlusconi rappresenta una riuscitissima incarnazione, sia aberrante si faccia sentire. In piazza? In piazza. Sul web ci siamo già, ed è ora di passare dal virtuale al reale. Io il 13 febbraio ci sarò. E voi?

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San Totò da Rebibbia

In un questo momento storico, nel quale non si può proprio dire che ci sia penuria di notizie da dare, c’è una categoria di articoli che da un po’ di tempo appaiono sui giornali di cui proprio faccio fatica a capire il senso. O meglio, lo capisco, ma mi lascia interdetta. Trattasi della cronaca, pressoché giornaliera, delle avventure di Salvatore Cuffaro in galera. L’opera di santificazione è iniziata al momento della condanna in via definitiva per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra. Lo spunto è che il Nostro, contrariamente all’uso dei politici italiani, si è andato a costituire, e quindi è stato rinchiuso a Rebibbia per scontare la sua condanna a sette anni di reclusione. Subito si sono levate voci di lode: che bravo, che alto senso dello stato che ha dimostrato Cuffaro andandosi a costituire! Ecco uno che rispetta la magistratura! Io mi domando dove fosse il suo alto senso dello stato quando intratteneva rapporti con la mafia in cambio di voti. Sarà stato fulminato sulla via di Damasco dopo la condanna, chissà.
Da quel momento, è stato tutto un fiorire di articoli che ci informano della sua vita in carcere: qualcuno lo va a trovare, lui prega, è provato ma sereno, si è iscritto all’università. Ne esce l’immagine di un uomo che forse ha sbagliato, ma poco poco, e comunque, provato dalla condanna inflittagli, sta dimostrando altissima dignità.
Posso dire che tutto l’apparato mediatico mi fa venire il voltastomaco? A nessuno frega mai niente di cosa faccia in carcere Nicolae Mailat, se s’è pentito, se prega o se studia. A nessuno interessa se nel 2010 in carcere si sono uccisi 63 detenuti. Invece ci commuoviamo tutti davanti a Cuffaro che trascorre “sereno” la prima notte in carcere. E la cosa mi fa venire il voltastomaco per due motivi: il primo è che dimostra ancora una volta – come ce ne fosse ancora bisogno – che c’è una giustizia per i poveri Cristi e una per i potenti. Che i primi sono sempre colpevoli prima ancora che ci sia una sentenza – vedi caso Loyos e Racz, ingiustamente accusati di stupro, sbattuti in prima pagina come mostri, e graziati di due righe laconiche quando si scoprì che non c’entravano niente – e che i secondi sono innocenti anche quando sono colpevoli. E intendiamoci, in un paese civile il carcere non è la vendetta della società contro il singolo, ma un’occasione di recupero, e quindi è anche giusto che le colpe vengano emendate, che si inizi davvero un percorso di rieducazione. Ma che questo discorso valga per tutti, e non solo per i politici condannati per mafia. La seconda è che questa santificazione avalla la percezione distorta che la gente ha della mafia. In fin dei conti, la gente continua a pensare che le mafie siano una cosa che non le riguarda: si tratta di tizi che si fanno fuori solo tra di loro, sono problemi che interessano al massimo quelli che vivono a Scampia o a Corleone, non certo me, onesto cittadino, che vivo nella capitale. Secondo questa logica, uno condannato per favoreggiamento di Cosa Nostra non ha compiuto un reato ai danni della collettività tutta, non ha attentato alle regole della democrazia, ha favorito comportamenti che nuocciono a noi tutti: scommetto che la maggior parte degli italiani non sa manco cosa sia il favoreggiamento. Ma sa che Cuffaro si è iscritto a legge in carcere.
Mi scoccia ripetermi, mi sembra di fare la figura di quella monotematica, ma pensiamo al ciclo dei rifiuti: la criminalità organizzata lucra sullo smaltimento illegale dei rifiuti, e questa è una cosa che ci riguarda tutti. Vi siete mai chiesti se nelle colonne portanti di casa vostra ci siano rifiuti tossici? Io sì, da quando ho iniziato a leggere certe storie.
Ma in fin dei conti questa roba qui non fa notizia. Molto meno, comunque, dell’immagine da santino di un povero politico perseguitato che accetta con pazienza la sua croce.

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A grande richiesta (veramente no, ma vabbeh): Astronomica – Betelgeuse e il 2012

Rispolvero la vecchia Astronomica dopo tanto tempo che non lo facevo. È che mi hanno fatto una domanda su Facebook, è ho pensato di divertirmi un po’. La domanda riguardare questo articolo, che mi è stato segnalato. In verità me ne aveva già parlato Giuliano, la cosa mi aveva incuriosita, e allora ho pensato di parlarne.
Allora, sgombriamo subito il campo: non c’è nulla di cui preoccuparsi. L’articolo per altro mischia cose abbastanza vere che castronerie di vario genere, il che complica le cose. Vediamo allora di separare le une dalle altre.
Chi è Betelgeuse
È una gigante rossa, ossia una stella nelle fasi finali della sua vita. Anzi, per la precisione una supergigante rossa. Breve ripasso di evoluzione stellare: una stella è sostanzialmente una palla di idrogeno. Non che ci sia solo quello, ovviamente ci sono anche altri elementi, ma l’idrogeno è preponderante. Una stella non è solo una palla d’idrogeno: è anche una gigantesca fucina. Le condizioni di estrema densità, e dunque di elevata temperatura, in cui si trova la materia fa sì che gli atomi di idrogeno si fondano insieme per formare elio. Una stella fa questo per la maggior parte della sua vita: trasformare idrogeno in elio. Solo che, come per le macchine, ad un certo punto la benzina finisce, ossia l’idrogeno da trasformare in elio termina. A questo punto partono altre reazioni; prima che l’idrogeno finisca, la reazione di combustione di idrogeno si sposta dal nucleo della stella ad un sottile guscio attorno ad esso, poi si passa al bruciamento dell’elio in carbonio, e poi via così. Man mano che il carburante si esaurisce, pian piano i prodotti della combustione precedente diventano carburante per la produzione di elementi più pesanti. Il gioco si arresta al ferro; l’energia necessaria per bruciare il ferro non può essere prodotte in una stella “normale”. Insomma, una supergigante è una stella che sta bruciando elementi più pesanti dell’idrogeno.
Dov’è Betelgeuse?
Nella costellazione di Orione, non nella nebulosa. O meglio, Betelgeuse si trova all’interno di un’ampia nube, per lo più non visibile nell’ottico, di cui la nebulosa di Orione propriamente detta – questa, per capirci – è solo una parte. Per inciso, la nebulosa di Orione è una zona di formazione stellare, ossia dove nascono le stelle. Perché si è ingenerato l’equivoco? Perché sia Betelgeuse che la nebulosa si trovano nella stessa costellazione, quella appunto di Orione. Cos’è una costellazione? È un gruppo di stelle che in cielo appaiono vicine. Gli antichi si divertivano a raggruppare le stelle in modo che formassero figure. Le stelle di una costellazione, però, non sono fisicamente vicine. Ci appaiono tali perché il cielo notturno ci sembra una specie di foglio, sul quale sono disegnati puntini luminosi. Non riusciamo ad apprezzarne la profondità, perché non abbiamo punti di riferimento per riuscire a stabilire così, a occhio, quali oggetti siano lontani e quali vicini. Ci sembra tutto piatto. In verità la nebulosa di Orione dista da noi 1270 anni luce, Betelgeuse sui 600 anni luce. Nel cielo, però, ci appaiono vicine.
Ma Betelgeuse sta per diventare una supernova?
Sì e no. Data la sua massa, è una stella che terminerà la sua vita come supernova. Ma cos’è una supernova? Dunque, una stella “normale” si regge su un delicato equilibrio: da una parte, la gravità tenderebbe a farla collassare, cioè a concentrare tutta la materia verso il centro, dall’altra l’energia prodotta dalle reazioni termonucleari tendono a farla espandere. Le due forze si equilibrano, e la stella rimane della sua bella forma più o meno tonda che tutti conosciamo. Però abbiamo visto che le reazioni possono procedere solo fino ad un certo punto. Nelle stelle più piccole, con poca massa, si arrestano a volte addirittura quando finisce l’idrogeno da bruciare. In quel caso, la stella non esplode, ma diventa una nana bianca. Nelle stelle più grandi, come abbiamo visto, si può arrivare al massimo alla produzione del ferro. A quel punto, le reazioni si fermano, la massa è tanta, e dunque la gravità molto forte. Accade allora che questa forza, non più contrastata da altro, fa collassare la stella. Il nucleo “crolla” su se stesso, si comprime in modo incredibile, e i suoi strati esterni “rimbalzano” verso la superficie della stella in una esplosione tremenda. Questa è appunto un’esplosione di supernova. Si tratta di uno dei fenomeni più violenti che si possano osservare nell’universo, che a volte rendono la stella più brillante della galassia stessa in cui si trova. Questo destino, comunque, riguarda solo stelle di grande massa. Il sole, per dire, non finirà così, ma diventerà una nana bianca. Betelgeuse, invece, esploderà come supernova.
Ma allora è vero, moriremo tutti!
No. I modelli per spiegare le supernovae non permettono di predire con esattezza quando la stella esploderà. È che, contrariamente a quel che spesso si pensa, noi siamo ben lontani dall’aver capito tutto del funzionamento dell’universo e degli oggetti che lo popolano. Così come si sa più o meno cosa causa un terremoto, ma non lo si può predire, si sa che Betelgeuse prima o poi diventerà una supernova, ma non si sa esattamente quando. Per altro Betelgeuse, come tutte le giganti rosse, effettivamente perde massa, ma questo non significa che sta per esplodere. Piuttosto, Beltegeuse mostra una certa variabilità, ossia la sua luminosità cambia nel tempo e con una certa regolarità. Questo sembra essere tipico di una stella prossima alla fine della sua vita, almeno secondo alcuni modelli.
Ora, l’esplosione potrebbe avvenire tra qualche migliaio di anni, o tra qualche milione, o forse – ma questo sembra meno probabile – è già avvenuta. Ricordiamo che Betelgeuse dista 600 anni luce, ossia la luce che vediamo ora è partita da Betelgeuse 600 anni fa. Se Betelgeuse esplodesse, poniamo, ora, noi vedremmo la luce della sua esplosione solo tra 600 anni. Comunque, tornando a noi, non c’è alcuna ragione scientifica per dire che “è probabile” che Betelgeuse esploderà nel 2012. Anzi, è più probabile che non vedremo Betelgeuse esplodere per ancora qualche centinaio di anni.
Ok, ma i neutrini?
I neutrini sono in assoluto le particelle più citate quando si devono sparare castronerie. Erano al centro di 2012, guarda un po’, e forse per questo vengono tirate in ballo. Allora, i neutrini sono particelle che hanno interazioni debolissime con la materia. Mentre leggete, miliardi di neutrini vi stanno attraversando da capo a piede. Ve ne state accorgendo? Io sono sicura di no. Per cui, non c’è nulla da temere dai neutrini, che per altro men che meno sono in grado di “rifocillare” alcunché. In effetti i neutrini vengono prodotti durante le esplosioni di supernova, ma insieme a tanta altra roba, tra cui gli elementi più pesanti del ferro. La cosa più pericolosa che viene prodotta durante l’esplosione di una supernova possono essere, in alcuni casi, i raggi gamma, che hanno effetti devastanti sulla vita.
Ah, ma quindi moriremo tutti lo stesso!
Qui il discorso si fa, se possibile, ancora più complesso. C’è chi dice che l’esplosione potrebbe essere pericolosa per la vita, altri dicono di no. I modelli più recenti sembrano predire che non accadrà nulla. Infatti in questo tipo di esplosioni l’emissione di raggi gamma è “collimata”. È come avere una torcia; se non ti trovi lungo la direzione del raggio di luce, non vieni illuminato. Nel caso di Betelgeuse il raggio che ne deriverebbe non dovrebbe essere diretto verso la terra. Ok, qualche anno fa parlai di Betelgeuse in termini meno rassicuranti, ma la scienza si evolve, e nel frattempo altri studi hanno provato che le probabilità sono in nostra favore: Betelgeuse non sembra pericolosa.
Va bene, ma la storia dei due soli?
Sembra che effettivamente la sua luminosità permetterà di vederla anche di giorno, non però luminosa come un altro sole, non esageriamo.
Non è per altro la prima volta che succede. Accadde già nel 1054, quando astronomi arabi e cinesi registrarono l’apparizione di una stella così luminosa che era visibile di giorno a occhio nudo. Era luminosa più o meno come Venere. Proprio l’esplosione di quella supernova diede origine alla nebulosa del granchio, che oggi ci appare più o meno così

Insomma, in sintesi estrema: nel 2012 Betelgeuse non esploderà. In futuro probabilmente sì, ma a quanto pare ci godremo solo uno spettacolo insolito.

P.S.
Da oggi è disponibile sull’app store l’applicazione per iPad del libro delle Creature. Scaricate, scaricate, scaricate.

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Il passato e il presente

Oggi è la Giornata della Memoria. Me l’ha ricordato una frase di mia suocera, qualche giorno fa.
“Di recente non si sente parlare più molto della Shoà” ha detto.
E mi sono allora resa conto che siamo in un momento delicato. I sopravvissuti ai campi di concentramento sono sempre più vecchi, e a breve non avremo più testimoni diretti di quel che è stato. I primi li incontrai alle scuole medie, durante un incontro tremendo e bellissimo. Ormai sono passati diciassette anni. Chissà che fine hanno fatto quelle persone, se sono ancora vive, se girano ancora per le scuole a portare la loro testimonianza. Perché sentire raccontato quel che è stato dalla voce diretta di chi l’ha vissuto è importantissimo. È più difficile negare di fronte a chi c’è stato, a chi a distanza di sessantasei anni ancora non riesce a parlarne senza il groppo in gola, senza la fatica di dover ricordare l’indicibile.
Quando anche l’ultimo dei sopravvissuti sarà morto, ci resterà davvero solo la memoria. E allora la Shoà smetterà di essere una ferita sanguinante, e diventerà storia: qualcosa di asettico, di lontano, che si studia nei libri e non genera più alcuna emozione. E io non credo sia giusto così. Credo che la memoria non debba essere un mero esercizio retorico, ma debba insegnarci qualcosa. È sicuramente ingenuo ritenere il percorso dell’uomo come una specie di “magnifiche sorti e progressive” dell’umanità: ma è pur vero che se lo storico deve limitarsi a capire e registrare, l’uomo deve invece apprendere dagli errori, se vuole sperare di vivere in un mondo migliore. E quindi questa ferita non deve smettere di sanguinare: ce la dobbiamo aver presente sempre in mente. E dobbiamo attualizzarla, per cogliere sempre nel presente i segni che quel che è stato possa essere in procinto di ripetersi. Perché può ripetersi. Erano uomini come noi quelli che tenevano la contabilità di Auschwitz, erano persone normali quelle che immaginarono e progettarono la Soluzione Finale.
Cito due eventi recenti che dimostrano che quel passato non è così remoto, che ha gettato purtroppo dei germi. Uno non ve l’avevo segnalato, l’altro riguarda l’espandersi della questione della censura di autori non graditi dalle biblioteche di Venezia

Un prete dell’aretino invoca la soluzione finale per il rom
Saviano censurato
Il proclama degli scrittori contro i libri banditi dalle biblioteche di Venezia

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La sera a casa di Silvio

Le dimensioni dello scandalo Ruby sono tali che ormai un po’ tutti ne parlano. Dopo lo sconcerto, lo sdegno, l’incazzatura, siamo alla pietà. Un po’ tutti si sono resi conto di avere a che fare con uno malato, per cui sono partite le trenodie sulla fine dell’impero, sulla paura della morte, sull’imperatore che cerca di ingannarla circondandosi di carnazza fresca. Tutte cose vere, per carità.
Poi, ieri sera, leggo il commento del diretto interessato su tutto questo bailamme: “Mi sto divertendo”.
La prima reazione, di pancia, è un bel vaffanculo. Pensa quanto si sta divertendo l’Italia, costretta a fare il catalogo delle mignotte mentre si propongono roghi di libri, aumenta il numero di morti nella non guerra in Afghanistan e la Fiat smantella i sindacati. Ma poi ci ho ripensato, e ho capito che ha ragione lui. Berlusconi non può far altro che divertirsi di fronte a questo casino che come al solito vede lui unico motore immobile, il centro di gravità permanente. Perché le accuse cambiano, i nomi si succedono, ma lui sta sempre lì, saldamente in sella.
Pensateci. Noi ce lo immaginiamo povera vittima di queste ragazze che prima offrono le loro grazie – dietro lauto pagamento, ovviamente, che si tratti di soli, di una sedia in parlamento o di qualche altro corrispettivo – e poi alle spalle lo chiamano vecchio e si propongono di rubargli in casa, già lo vediamo, annegato tra chiappe e tette, che cerca di allontanare lo spettro della morte. Ci piace pensarlo così, abbandonato dopo l’ennesimo festino, che sente un vuoto salirgli dentro, mentre si fa l’ennesimo trapianto di capelli. Ma tralasciamo un attimo questa visione romantica, e riflettiamo.
È provato che a casa sua ospitava un ben noto mafioso, e ha un carissimo amico e socio in affari condannato in due gradi di giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa. Qualcuno ha detto qualcosa? Qualcuno è riuscito a schiodarlo dalla poltrona? No. Gli italiano anzi hanno fatto vincere il suo partito alle elezioni per tre volte.
Almeno per il Lodo Mondadori è appurato che è un corruttore, ma il reato è caduto in prescrizione. Il processo Mills giunge sostanzialmente alle stesse conclusioni, e infatti Berlusconi sta cercando di bloccarlo con tutti i mezzi. C’è stata qualche rivolta di piazza? Qualcuno, ancora, è riuscito a schiodarlo dalla poltrona? Ma no! È ancora il più amato dagli italiani.
Ora scopriamo che la prostituzione, pubblicamente deprecata, gli piace parecchio, anche quando la professionista è una minorenne, e che per pararsi il deretano mette in campo tutto il suo potere, macchiandosi di concussione. È questo per gli italiani un problema? C’è gente armata di forconi e torce sotto palazzo Grazioli? Assolutamente no.
Ergo, Berlusconi non deve temere la vecchiaia, la morte. Ha già vinto. Lui è oltre. Ha già quella forma di immortalità che si chiama impunità, e non tanto davanti ai giudici, quanto davanti al popolo italiano, che continua a credere alle sue panzane, che continua a sorbirselo e se potesse lo rivoterebbe esattamente come ha fatto in questi ultimi sedici anni, perché “poi sennò ci sono i comunisti, o – dio non voglia – i culattoni al potere”.
Per altro, Berlusconi entrerà nei libri di storia, e a buon diritto. Ha veramente cambiato l’Italia – che poi sia in peggio che conta, pure Mussolini lo studiamo a scuola e ha distrutto il paese – ha stravolto la testa degli italiani. Ci ha insegnato che l’unica realtà è quella proposta dai reality delle sue tv, che una bugia ripetuta mille volte diventa la verità, ci ha imposto cosa amare, da cosa farci allupare e cosa odiare, sparandocelo 24/7 dalle sue tv. È inutile che stiamo qui a piangere il cadavere, perché lui è e sarà sempre vivo. Ha vinto, e noi abbiamo perso.
Per cui, vi dirò, io non sentirei tutta questa pietà per uno che, se pure tutto va come speriamo, uscirà di scena a 74 anni suonati, impunito, tutto sommato ancora amato, e circondato dalla sua amata corte dei miracoli. La classica dimostrazione che nella vita reale le favole raramente finiscono bene.

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Fahrenheit 451

Oggi volevo fare ancora un po’ di critica, nel senso che l’idea era quella di postare un commento a Misfits, miniserie inglese su un gruppo di teppistelli che d’improvviso acquista i superpoteri.
Ieri sera, però, Giuliano mi ha segnalato il seguente post. Ora, la questione Battisti c’entra di striscio, e non l’affronterò. Una volta mi misi di buzzo buono a seguire il dossier di Carmilla sul caso, ma sono annegata ben presto senza riuscire a farmi un’idea precisa. Qui il problema è un altro: è che qualcuno rimpiange l‘indice dei libri proibiti. Si tratta di censura.
In un paese libro ognuno ha diritto a esprimere la sua, finché le idee espresse non sono contrarie alla legge, e vivaddio quasi nessuna opinione lo è, visto che di reato d’opinione in Italia c’è rimasta giusto l’apologia di fascismo, che comunque non viene mai punita (neppure in casi eclatanti). Non si ritirano dalle biblioteche pubbliche i libri perché le opinioni degli scrittori non ci piacciono, perché di questo si tratta: di quaranta e passa autori la cui opinione non è allineata a quella governativa. E badate bene che quell’opinione la si può condividere o meno, non ha importanza: è il principio che conta. Nelle librerie del Veneto può entrarci – e giustamente! – il Mein Kampf, ma non Q dei Wu Ming. Senza contare i mezzi rozzamente ricattatori con cui si vuole mettere in atto la cosa: ogni libreria fa per sé, certo, ma se non fa come diciamo noi se ne deve “prendere la responsabilità”. Cioè, immagino, no soldi, no finanziamenti. Fantastico.
La cosa migliore è il silenzio assoluto sotto il quale sta passando la cosa. Per trovare la notizia originale mi sono dovuta votare a Leggo, giornale gratuito distribuito sulla metro, noto più che altro per le tette e i culi che in genere mette in copertina. Siamo un pelo sopra il giornale di gossip, insomma.
Il problema è che ci siamo assuefatti, e ormai bolliamo certe cose come pure provocazioni da parte dei “soliti”. No. Non funziona così. Ci stanno mitridatizzando al fascismo. A piccole dosi ce lo stanno infilando ovunque, ci stanno insegnando a non protestare. Non voglio dire che il Pres. del Cons. indagato per sfruttamento della prostituzione sia meno importante di questo, ma tra una escort e l’altra i giornali dovrebbero trovare spazio anche per questo. E spiegarci perché è una cosa grave, visto che è evidente che gli italiani non sono più in grado di decifrare eventi del genere.

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