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Rabbia

Confesso che all’inizio, di quel che è successo a Roma sabato, non avevo capito niente. Ho detto la mia senza avere elementi a sufficienza. Purtroppo non è neppure la prima volta che mi capita. Comunque. Sull’argomento è stato detto tutto, quel che posso aggiungere io è solo chiosa, o riassunto del pensiero d’altri. Al di là di ogni altra cosa – del movimento che sceglie le sue forme di lotta, della violenza che non si può condividere, dell’immagine della madonnina spaccata sparata a piena pagina da tutti i giornali per farti salire la lacrimuccia e inveire contro i manifestanti cattivi, e di conseguenza dell’argomento che la violenza dei pochi ha oscurato nei media le ragioni dei molti – però a me, dopo una giornata passata a leggere i racconti di chi c’era, le riflessioni di chi conosce i movimenti e via così, restano le parole di un mio amico, qualche sera fa a casa mia: “io quelli che spaccano tutti li capisco, e se potessi farei come loro”.
Ecco. Quanti la pensano come il mio amico? Voi vi riconoscete in quel che dice? E considerate che non è un anarchico, non è un “antagonista”, non frequenta i centri sociali, non è insomma il tipo che vi immaginereste svellere un sampietrino alla strada per tirarlo in testa ad un celerino. Non è neppure uno che fa politica attiva.
Perché la questione è tutta qua. La rabbia di sabato è la rabbia di molta altra gente? È condivisa, diffusa, permea la società a questo livello? Perché anch’io sono arrabbiata, anch’io sono frustrata, anch’io ho la nausea. Ma, lo confesso, non scenderei in strada a frantumare la filiale di una banca. E voi? La risposta cambia ogni cosa. Fa la differenza, profonda, tra l’atto di vandalismo che nasce e muore in un pomeriggio, e qualcosa di più profondo, una rabbia di classe vera, che non coinvolge solo chi allo scontro è abituato, ma tutti, anche gli insospettabili. Gente che ritiene che la misura sia colma, e che non ci sia nessun’altra via per il cambiamento che la violenza. La rivoluzione, insomma, per un usare un termine un po’ romantico.
Io non lo so se alla prova dei fatti il mio amico lo prenderebbe in mano, quel sampietrino. Ma se fosse pronto a farlo, mi augurerei che ci fosse qualcuno che gli fornisse una valida alternativa per indirizzare la sua sacrosanta rabbia, per veicolare in forme diverse il suo giustissimo dissenso. Perché non nego che ci siano dei momenti storici in cui non c’è altra via che la violenza – che so, la guerra civile del ’43 -’45 – ma non mi sembra questo il momento. Né mi pare che dare fuoco ad una camionetta dei carabinieri scalfisca di una virgola il sistema economico e politico che ci ha portato dove siamo. E una rabbia che si sfoga sui bersagli sbagliati è una rabbia sterile, gettata inutilmente al vento.

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