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E io non sono neppure una fondamentalista…

L’altro giorno ero a pranzo coi miei. C’era la tv accesa perché ai tempi della mia infanzia il sottofondo piaceva, e, miracolo, a volte c’era persino qualcosa di bello da vedere. Andava uno dei contenitori mattutini della Rai. E c’era l’oroscopo.
Ora. Rispetto all’atteggiamento dell’astrofisico medio, io non sono particolarmente intollerante con l’astrologia: riconosco che ha un indubbio interesse di tipo storico, dato che fino all’epoca di Galileo era ancora considerata una scienza, e per secoli è stato il primo tentativo dell’uomo di rapportarsi al cosmo. Inoltre, può essere un giochino divertente, e, se si è consapevoli che si tratta solo, appunto, di un giochino privo di qualsiasi appiglio alla realtà delle cose, che male c’è a divertirsi un po’. Solo che la trasmissione in questione ha mandato trenta minuti trenta di astrologo che faceva le previsioni di ogni segno, giorno per giorno – il week-end, nello specifico – con tanto di aree tematiche: amore, lavoro e dio sa solo cos’altro. C’era anche una specie di tabella coi segni, le aree, e le stelline per area. Dopo aver fatto questa accurata analisi, ha terminato con altri dieci minuti di voti globali a ogni singolo segno. Ve l’ho detto, trenta minuti. Trenta minuti in cui non c’è stato un momento in cui fosse evidente l’incosistenza del tutto, la leggerezza di una cosa del genere, o anche solo un po’ di autoironia. E a me l’astrologo in questione fa pure simpatia a pelle, pensate un po’.
Voglio dire, ma che senso hanno trenta minuti di chiacchiere prive di qualsiasi fondamento non dico scientifico, ma manco di buon senso, all’ora di pranzo sul servizio pubblico? Potrebbero averlo se, per compensazione, ogni giorno si facessero due ore di divulgazione scientifica seria. Ma ormai la scienza sulla Rai vive in rarissime aree protette, e al 90% è fatta – in maniera egregia, per altro – dagli Angela. Ma praticamente solo da loro. Il giorno che l’ultimo degli Angela lascerà questa valle di lacrime, si estinguerà la divulgazione in Rai. Altrimenti c’è l’ottima striscia quotidiana di Geo&Geo. Ma sono venti minuti a dir tanto. Ecco. Questa è la scienza sul servizio pubblico. Al che, capite, anche la persona più accondiscendente verso l’astrologia perde le staffe. Anche perché la diffusione capillare di una cultura a-scientifica ha una parte non marginale nello sfracelo attuale della nostra società. Scienza è anche partura mentale, capacità di interpretare il reale. Astrologia, mi spiace dirlo, è superstizione. Poi, ripeto, ti ci vuoi divertire? Nessun problema. Ma non è reale. È fantasia. L’importante è saperlo.
Comunque, che dire? Se il servizio pubblico deve essere lo specchio dei tempi, direi che ci siamo: un posto in cui qualsiasi argomento è trattato con superificialità estrema, in cui credere è stimato assai più che ragionare e in cui ci si attacca a strumenti vecchi per interpretare un mondo nuovo. Siamo proprio noi, direi.

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È la fine di un’epoca

Oggi mi verrà conferito il titolo di dottore di ricerca; avrò la mia bella pergamena e potrò fregiarmi del Dr., con la lettera maiuscola, nelle mail che manderò ai colleghi stranieri. Sì, in effetti la difesa della tesi è avvenuta praticamente un anno fa, ma i tempi sono questi; non è l’università che ti conferisce il titolo, ma il MIUR.
Ammetto che è un momento importante. Innanzitutto perché è una cerimonia bella; si tiene a Villa Mondragone (ve la ricordate, sì? Ci ho ambientato un bel po’ del primo e del quinto libro de La Ragazza Drago), e poi ci sono tutti i professori togati. Tutto sommato, è anche un momento un po’ triste, perché non avete idea di quanta gente non venga a ritirare la pergamena perché è emigrato verso altri lidi, nei quali il ricercatore non viene considerato una specie di parassita della società.
La cosa però che rende particolare questo momento ai miei occhi è che si chiude davvero un ciclo. Gli esami non finiscono mai, certo, ma il dottorato rappresenta il vertice dell’educazione italiana. Puoi prenderne un altro, ma puoi prendere altre lauree, ma resta il fatto che in linea di massima, conseguito il dottorato, non sei più uno studente. Si chiude una storia che volendo si può far partire dalla bellezza di ventisei anni fa, quando misi piede nella scuola pubblica italiana. A voler essere più realisti, chiude l’arco degli ultimi tredici anni della mia vita, dedicati con alterne vicende alla fisica.
La vita mi ha portato altrove, faccio due lavori, e ormai non dedico più le canoniche otto ore lavorative all’astrofisica, un po’ per scelta, un po’ per necessità (molto per necessità, in verità). Ma il cielo stellato e il suo studio fanno parte di me. A guardare il mio curriculum si potrebbe credere che feci un errore diciassette anni fa, quando decisi di fare fisica all’università. E invece la scienza fa parte della mia vita, più passa il tempo più me ne rendo conto, le devo moltissimo di quel che sono, le devo persino la scrittura. Anche se ne non la pratico più come prima, resta qualcosa di profondamente radicato in me. Le ho sacrificato molto in questi anni, le ho dedicato ore di vita e lacrime, ma non posso dire che non ne sia valsa la pena, anche solo per avere infine questo dottorato, o per il mio articolo (e quelli che verrano a breve, si spera). Ci sono cose che non si monetizzano, cosa che agiscono in te ad un livello più profondo. L’astrofisica è questo.
Vi lascio con un video che in qualche modo è emblematico di cosa sia la scienza per me: meraviglia, fonte di riflessione, bellezza. Grazie ad Amedeo Balbi che l’ha segnalato.

Further Up Yonder

Chiudo con un avviso; venerdì 30 novembre, ore 17.00, potremo parlare un po’ presso l’Auditorium Cassa Rurale Bassa Vallagarina ad Ala (Tn). Non sarò fisicamente presente, faremo il tutto via Skype. Il perché è presto detto: continuo a passare venti minuti ogni mattina a tossire come non ci fosse un domani, manco fumassi da vent’anni. Evidentemente, il virus parainfluenzale ancora non ha mollato la presa. Metteteci pure che ho vinto altre due settimane di fisioterapia, e capirete perché preferisco riguardarmi ancora un po’. Purtroppo il tour nordico di due settimane fa è stato davvero massacrante…Bon, se vorrete esserci, io sarò onorata :) .

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Sole, triangoli e interviste

Avrete tutti quanti visto questo. Ovviamente, un grosso triangolo – o una cosa che sembra un triangolo – che compare sul Sole stimola la curiosità un po’ di tutti. Repubblica la butta sul misterioso, ma sono andata sul sito di SOHO e SDO – che per la cronaca sono due satelliti che osservano il Sole – e non c’è manco una news connessa a quest’immagine che ci sembra così strana. La cosa mi fa supporre – ma è appunto una supposizione – che nessun fisico solare ci trovi nulla di strano, che dunque con ogni probabilità si tratta di un fenomeno noto e spiegabilissimo che ha assunto una forma un po’ particolare. Notare anche che il triangolo non è completo, siamo noi che interpoliamo le macchie nere fino a comporre un triangolo. Comunque, queste sono appunto tutte supposizioni. Piuttosto, il triangolone gigante è un pretesto per dirvi due cose.
La prima, è che quest’immagine tanto a me che a Val ha ricordato questo. Ha un senso rispolverarlo ora, innanzitutto perché domenica è stato il primo anniversario dello tsunami in Giappone, e poi perché è al momento il mio unico tentativo di racconto “fisico”, e ci sono molto affezionata. Era nato come racconto per l’antologia I Confini della Realtà, ma, come potete vedere se avrete la pazienza di leggervelo tutto, non aderiva molto allo spirito della raccolta, così è stato scartato. Un anno fa l’ho ripreso in mano e praticamente riscritto. Era la prima volta che infilavo così tanta fisica in un racconto (poi, vabbeh, è venuta Nashira, ma questo racconto, nella sua forma originaria, l’ho scritto nel 2007).
Colgo anche l’occasione per dirvi che domani sera, alle 22.00, dovreste vedermi su Rai News, all’interno della rubrica Spacelab. Per una volta, non parlerò da scrittrice ma da astrofisica, e si parlerà proprio di Sole, così risponderò meglio anche a chi qui sopra mi aveva chiesto lumi sulla recente tempesta solare.
Insomma, enjoy il video quando sarà, intanto magari ditemi che ne pensate di W, se avete voglia di leggervelo.

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Quando un astrofisico scrive fantasy

Chi ha detto che la narrativa deve fare concorrenza allo Stato Civile? Ma forse deve fare concorrenza anche all’assessorato all’urbanistica
Umberto Eco, Postille a “Il Nome della Rosa”, Bompiani, 1986

La domanda in assoluto più ricorrente che mi viene fatta da quando faccio presentazioni (ossia ormai dal lontano maggio 2004) è che cosa c’entri l’astrofisica con la scrittura. È che la Mondadori, comprensibilmente, ha venduto il mio essere astrofisico insieme ai libri, e ovviamente la cosa non poteva non stuzzicare la curiosità della gente: perché un astrofisico scrive fantasy e non fantascienza? È una forma di fuga dalla realtà? Ma, soprattutto, essere un astrofisico aiuta a fare lo scrittore?
Fino ad un annetto fa rispondevo che no, in fin dei conti questi due aspetti della mia vita non erano collegati, che tutto sommato vivevano in momenti diversi della giornata – strano a dirsi, ma scrivevo di notte e facevo l’astrofisico di giorno – e che al massimo applicavo la stessa disciplina mentale e alla scrittura e alla ricerca.
Poi, però, ho iniziato a pensarci. Ma dove sta scritto che le due cose non debbano comunicare? In fin dei conti non mi sentivo esattamente dimidiata: ricerca e scrittura convivevano placidamente l’una al fianco dell’altra, a parte ovvie acrobazie per trovare il tempo di far tutto. Magari esisteva un modo per mettere assieme le due cose, chissà…
I Regni di Nashira è nato allora. Ok, prima forse c’erano altre suggestioni, che erano venute fuori da discussioni con Sandrone Dazieri, mio editor, scrittore e amico. Però l’idea di mettermi a costruire il mondo in modo un po’ più consapevole rispetto alla prima volta che l’avevo fatto e cercando di metterci dentro anche i miei studi, ha giocato un ruolo fondamentale nella creazione del mondo. Per cui: serve l’astrofisica per scrivere fantasy? Sì, serve, e ve lo vado a dimostrare.
Le idee che avevo in testa erano essenzialmente due: volevo un pianeta che girasse intorno ad un sistema doppio – perché Star Wars ci insegna che nulla fa più alieno di un paio di soli in cielo – e in cui ci fosse scarsità d’aria – idea questa che mi era venuta appunto parlando con Sandrone. Per la prima, avevo l’imbarazzo della scelta. I sistemi doppi sono semplicemente due stelle che si girano intorno, o meglio, girano attorno ad un punto chiamato centro di massa. Se una delle due stelle è molto più grande dell’altra, diciamo A è più grande, B è più piccola, il centro di massa cadrà dentro A, e vedremo sostanzialmente B che gira intorno ad A. Altrimenti, vedremo le due stelle che più o meno girano intorno ad un punto che non vediamo.
Di sistemi binari in giro ce ne sono molti. Per esempio, Sirio, una delle stelle più luminose del cielo estivo, è un sistema binario. Esistono anche sistemi multipli, composti da un numero n di stelle legate dalla gravità: Mizar, nell’Orsa Maggiore (magari qualcuno di voi se la ricorderà dalla meravigliosa serie di Asgard de I Cavalieri dello Zodiaco) è composta da sei, dico sei stelle. Comunque. Un sistema binario semplice, con due stelle che si girano intorno, non è nulla di particolare. Io volevo qualcosa di più tragico e spettacolare. Chi di voi ha letto Notturno di Asimov ha visto un pianeta che girava intorno a sei stelle, senza notte. Una volta ogni svariati secoli, le stelle vengono eclissate dalla luna del pianeta, causando pochi, devastanti minuti di notte. Immaginate la notte in un posto che non ne ha mai conosciuta una, in cui c’è sempre luce. Ecco, volevo qualcosa di tragico, che mettesse in discussione le credenze, le certezze degli abitanti del pianeta esattamente come la notte in Notturno.
La fisica mi fa gioco. Il bestiario di sistemi binari è composto da ben più che due semplici stelle che si girano intorno. Una delle due stelle, ad esempio, può essere un oggetto compatto, come una nana bianca. Una nana bianca è il “cadavere” di una stella di dimensioni non molto diverse dal sole: quanto le reazioni termonucleari che la fanno splendere cessano per esaurimento del carburante, la stella si comprime, diventando più piccola e caldissima. Il suo destino è quello di raffreddarsi lentamente – molto lentamente – fino a non essere più visibile. Per inciso, alcune nane bianche sono fatte di carbonio, e il carbonio ad alta pressione diventa…esatto, diamante. Altro che De Beers…Oppure in un sistema binario ci possono essere casi di vampirismo: sotto certe condizioni, una delle due stelle può “succhiare” materia all’altra. L’immagine è suggestiva, come mostrano anche le rappresentazioni pittoriche.

O, ancora, ci sono sistemi binari che contengono buchi neri; un buco nero è una stella morta, come la nana bianca, solo che la stella che l’ha generata ha una massa di decine di volta quella del Sole, per cui, quando il carburante finisce e la stella si spegne – in questi casi in genere lo fa in modo spettacolare, con un enorme botto che si chiama esplosione di supernova – genera un oggetto in cui la densità è infinita. È un concetto impossibile da immaginare, e infatti i buchi neri sono bestie strane e affascinanti, sulla cui stessa esistenza a lungo si è dibattuto. Comunque, come vedete, di roba interessante non ne manca. Per non essere spoilerosa, non vi dirò cosa scelsi più o meno due anni fa, quando iniziai a pensare a Nashira e al suo sistema binario. Chi ha letto il libro, sa quali sono le caratteristiche di Mira, la stella rossa, e Cetus, la stella bianca, che illuminano Nashira. Detto incidentalmente, i nomi non sono scelti a caso: Mira è una stella variabile, ossia la sua luminosità varia nel tempo, e si trova, indovinate un po’, nella costellazione di Cetus. Per altro, Mira è la prima variabile mai scoperta, e il suo nome, infatti, significa “meravigliosa”. Nessuna aveva mai visto nulla di simile, prima. Cetus, invece, vuol dire balena.
Trovato il sistema binario, mi è venuta in mente un’altra idea. Volevo rendere Nashira il più possibile peculiare. Niente di meglio, allora, che agire sull’alternanza delle stagioni. Ad esempio, sarebbe interessante un posto in cui le stagioni non si alternino: ci sono dei posti in cui è sempre estate, altri in cui è sempre autunno, altri sempre inverno…Ma è possibile? Certo che sì. Perché sulla Terra ci sono le stagioni? È a causa dell’inclinazione dell’asse terrestre rispetto al piano dell’Eclittica. Innanzitutto, cos’è l’Eclittica: è quel piano sul quale si trovano più o meno i pianeti nel loro moto di rotazione intorno al Sole. Ora, tutti sappiamo che oltre al moto di rivoluzione intorno al Sole, i pianeti girano anche su se stessi, intorno ad un asse. Quest’asse, a seconda del pianeta, ha un’inclinazione rispetto al piano dell’Eclittica. Ad esempio, Urano ha un asse inclinato di circa 8°, il che ne fa un pianeta che letteralmente “rotola” sull’eclittica.

Nel caso della Terra, l’inclinazione rispetto al piano dell’Eclittica è di circa 70°, quasi perpendicolare. Appunto, quasi, e il trucco sta tutto lì. Durante la rivoluzione intorno al Sole l’inclinazione dell’asse terrestre rimane invariata. Ciò significa che l’angolo con cui i raggi del Sole colpiscono la stessa porzione di globo cambia a sei mesi di distanza. Anche qui, vi allego disegnino.

Immaginate che il sole stia al centro della figura. A sinistra, in inverno, la città di Allentown viene illuminata con raggi radenti, a destra, in estate, da raggi più perpendicolari. E sappiano tutti che i raggi radenti illuminano – e dunque riscaldano – meno di quelli perpendicolari. Infatti d’estate al tramonto si respira, a mezzogiorno si muore di caldo.
Dunque, affinché su Nashira non ci fossero le stagioni, bastava far sì che l’asse di rotazione fosse dritto, perpendicolare rispetto al piano di rotazione intorno a Mira e Cetus. Immaginate infatti la stessa figura precedente nel caso in cui l’asse di rotazione fosse dritto. Vi allego ulteriore figura.

I riflettori fanno le veci del sole. Se spostate il pianeta a destra dei riflettori, l’angolo con cui la luce incide sulla superficie, a qualsiasi latitudine – ossia per qualsiasi distanza (angolare) dall’equatore – non cambia. Ecco a voi Nashira.
Ecco qua. È solo l’inizio, ovvio, ma il mondo è creato. E per altro vi assicuro, come quelli che hanno letto il libro avranno già intuito, che la presenza del sistema binario, e la scelta della tipologia dello stesso, ha segnato il destino di Nashira: quando ho fatto quello, la storia è venuta fuori da sola.
Lascio a voi l’interpretazione dell’enigmatica citazione in apertura a questo post. Di mio dico solo che a volte serve un fisico per scrivere una storia ambientata in un altrove :)

Riferimenti per le figure
http://members.wolfram.com/jeffb/poster/poster.html
http://www.astronomy.org/programs/seasons/
http://www.skylive.it/123StellaSistemaSolare/urano.aspx

P.S.
Questo post partecipa al Carnevale della Fisica.

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Titani

Ieri ho assistito ad un workshop in cui si illustravano le attività di ricerca del dipartimento di fisica. In verità confesso di aver seguito la sessione di astrofisica, perché era quella che mi interessava di più. S’è parlato di tante cose interessanti, ma in particolare una mi ha colpita, perché mi affascina da quando seguii un corso di dottorato al riguardo: le onde gravitazionali.
Facciamo un passettino indietro. Ci sono le onde del mare, come tutti sappiamo: diciamo che sono increspature della superficie dell’acqua, più nello specifico sono modificazioni della densità e della pressione dell’acqua. Quel che si propaga è il “movimento” (energia e quantità di moto, per usare una terminologia fisica), ma non la materia, almeno nel caso delle normali onde che fanno ballare il pedalò quando andiamo al largo, al mare. Onde simili si propagano anche nell’aria: ad esempio i suoni sono esattamente delle variazioni periodiche della densità dell’aria. Questi due tipi di onde hanno bisogno di un mezzo per propagarsi: no acqua, no onde, no aria, no suoni, come sappiamo (quelli che fanno i film di fantascienza lo sanno un po’ meno ma sorvoliamo).
Esistono però anche onde che non hanno bisogno di un mezzo fisico per propagarsi: è il caso delle onde elettromagnetiche. Infatti, se nel vuoto i suoni non possiamo sentirli, la luce, che è l’onda elettromagnetica con cui abbiamo più a che fare ogni giorno, la vediamo benissimo. In quel caso, ad oscillare periodicamente è il campo elettromagnetico, ossia, per metterla giù facile, la direzione e l’intensità delle forze elettromagnetiche.
Ora, come voi sapete esiste la gravità. Noi la conosciamo nella forma classica lasciataci da Newton, ossia

dove M e m sono le due masse che si attraggono, r la loro distanza e G la costante di gravitazione universale. Solo che questa formula va bene solo sotto certe approssimazioni. La forma più esatta che esprime il funzionamento della forza di gravità è la teoria della relatività generale di Einstein, da lui proposta nel 1916. Già, sono quasi cento anni; come passa il tempo. Potrei scrivervi le formule, ma hanno un aspetto decisamente meno amichevole di quella della gravità di Newton, e richiedono conoscenze avanzate di matematica per essere spiegate, per cui mi esimo. Vi basti sapere che la teoria della relatività generale prevede che anche il campo gravitazionale possa oscillare e produrre dunque onde, le onde gravitazionali. Sostanzialmente, le onde gravitazionali sono modificazioni dello spazio-tempo: è come se lo spazio fosse un tessuto che viene increspato da queste onde. E già questo l’ho sempre trovato fighissimo. Comunque. La parola chiave di tutto il discorso è: previsto. Le onde gravitazionali sono state previste, ma nessuno le ha mai viste. Perché sono estremamente elusive, ossia producono effetti minuscoli.
Si suppone vengano prodotte da qualsiasi interazione tra masse. In teoria anche battere le mani produce onde gravitazionali. Dov’è il busillis? Presto detto.
Suppongo saprete che la forza di attrazione tra voi e lo schermo sul quale state leggendo esiste, ma è minuscola. Questo perché la vostra massa e quella dello schermo è piccola, e al contempo anche G è molto, molto piccola. Invece, l’attrazione tra voi e la terra è significativa, tanto da tenervi ancorati al pavimento coi piedi. Dunque, perché la forza di gravità abbia effetti significativi occorre avere a che fare con grandi masse. E infatti, le onde gravitazionali che si cerca di misurare sono prodotte dallo scontro o dalla variazione di oggetti dotati di grandi masse: buchi neri che vibrano, stelle di neutroni che si fondo, e cose del genere. Il problema però è che anche prendendo in considerazione masse grandissime (quelle quelle stelle, di un buco nero o di una galassia) ugualmente l’effetto che le onde gravitazionali generate producono è minuscolo. Se prendiamo il caso, che so, di due stelle di neutroni che si fondono (coalescono, si dice), l’effetto dell’onda gravitazionale prodotta è quello di spostare due masse di prova di 0,000000000000000000001 m per ogni metro che le separa. Una cosa ridicola, come vedete.
Nonostante questo, sono 50 anni che le si cerca. Perché trovarle sarebbe una bella conferma della relatività generale (una delle molte), e soprattutto aprirebbero un’intera nuova branca dell’astrofisica: perché ogni segnale che proviene da una sorgente di dice tantissimo sulla struttura che l’ha prodotta, e le onde gravitazionali non fanno eccezione.
Ecco, io questa cosa l’ho sempre trovata eroica. Immaginate un ricercatore che trascorre tutta la sua vita a cercare una cosa. Sa che esiste, ma sa anche che trovarla è difficilissimo, e che, prima ancora di tentare, deve possedere lo strumento giusto. Altrimenti è come cercare di misurare una cosa lunga 10 cm con un metro che ha tacche solo ogni 50 cm. Impossibile. La storia del nostro ipotetico ricercatore è quella di affinare di continuo il suo strumento, senza sosta, fino a spingerlo a limiti di sensibilità letteralmente impensabili. Senza vedere niente.
Io, come fisico stellare, le stelle le vedo tutti i giorni. Il mio problema, anzi, è che certe volte ho troppe misure. Uno che studia le onde gravitazionali non ha mai fatto una misurazione di onda gravitazionale in vita sua. Ha misurato tante altre cose, in compenso, ma mai quella che cerca. Attende da sempre di vedere sullo schermo del suo computer quel segnale, quell’unico segnale che gli dice che ce l’ha fatta.
Io li ho visti i rivelatori di onde gravitazionali. Uno è all’INFN di Frascati. Ho visto l’enorme involucro di metallo verde, e ho visto lo schermo collegato, fisso sempre sulla stessa immagine. E ho pensato che una persona che fa questo nella vita è un eroe. Voglio dire, è una situazione à la Deserto dei Tartari. I barbari ci sono, dannazione, ma appena dietro l’orizzonte. E tu rimani lì, anche se non li hai visti mai, e continui a guardare con la stessa attenzione. Senza contare il fatto che nel frattempo sei riuscito a realizzare l’impensabile: uno strumento dotato di una precisione allucinante. E considerate che ci sono infinite fonti di rumore (in fisica il rumore è tutto ciò che “sporca” il tuo dato, segnale che non è dato di rilevanza scientifica, quindi, che so, le luci della città quando guardi le stelle) per strumenti del genere: le nuvole che si muovono, le onde del mare. I terremoti.
Un giorno il nostro professore di fisica 2 venne a lezione un po’ sbattuto. Ci disse che Nautilus, il rivelatore verde di cui sopra, quella notte aveva rilevato qualcosa. S’erano tutti eccitati, si erano messi lì a controllare i dati, solo per scoprire che aveva rivelato un terremoto che c’era stato non so dove.
A me piacerebbe chiudere questa storia di Titani con un bel “ma tra dieci anni le becchiamo di sicuro”. Purtroppo la ricerca non dà di queste sicurezze. Sono allo studio nuovi rivelatori, ancora più sensibili, uno è addirittura composto da tre satelliti che si spareranno l’uno verso l’altro dei laser potentissimi; si chiama LISA, ed era l’oggetto del mio esame di onde gravitazionali, appunto. Le speranze di riuscire a beccare questo elusivo fenomeno fisico aumentano, ma chissà. Resta la grandezza di chi continua a cercare: l’essenza di questo lavoro strano e tremendo sta tutta là, in quella persona che guarda quello schermo fisso da cinquanta anni a questa parte. Qualcuno ha detto: “Non è vero che il ricercatore insegue la verità, è la verità che insegue il ricercatore.” E forse è vero.

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Ansia

Tra mezz’ora circa terrò un seminario sul mio lavoro all’università. Sono graditi pensieri di solidarietà tra le 13.00 e le 14.00.

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