Un giorno – ero ancora una studentessa di laurea – una mia collega venne da me e da Giuliano con una pagina di un noto quotidiano gratuito, di quelli che ti danno sotto la metro. Si parlava di una tempesta solare – niente più che un’eruzione di materiale sulla superficie del sole, che in genere ha come effetto un aumentato flusso di particelle verso la terra – e c’era scritto che le particelle emesse viaggiavano a 300 000 milioni di km/s. Ci facemmo una grassa risata sull’ignoranza del giornalista, che o non sapeva che la luce nel vuoto viaggia a 300 000 km/s, o ignorava che nessuna particella dotata di massa può viaggiare non solo più veloce della luce nel vuoto, ma neppure alla stessa velocità.
Vi cito quest’aneddoto perché è significativo: che niente possa andare più veloce della luce nel vuoto, e che a 300 000 km/s ci vanno solo i fotoni è una cosa che sanno in genere anche quelli che di fisica non sanno niente. È una di quelle poche cose che ti resta in testa dalla scuola, e una delle poche certezze sulle quali uno scienziato metterebbe la mano sul fuoco, assieme alla terra che gira intorno al Sole e un altro paio di cose. Questo per farvi capire perché questa notizia – per una volta – ha ben ragione di essere sparata in prima pagina sui giornali a caratteri cubitali.
Ora, vediamo se ci riesce di capire perché fino ad ora tutti eravamo convinti che c – da qui in avanti indicherò con c la velocità della luce nel vuoto – fosse una costante.
Cominciamo con le cose semplici. Immaginiamo che io sia su un treno che va a 80 km/h. Se mi metto a camminare in questo treno, diciamo ad una velocità di 5 km/h, per un omino fermo in stazione, e che misuri da terra la mia velocità, io andrò a 80+5=85 km/h, ossia alla velocità con cui mi muovo insieme al treno, più la mia velocità rispetto al treno stesso. Immaginiamo adesso che a muoversi da un capo all’altro del treno sia un raggio di luce. Lo stesso osservatore di prima, fermo in stazione, misurerà che il mio fotone – le particelle di cui la luce è composta si chiamano fotoni – va a 300 000 km/s x 3600 s (in un’ora ci sono 3600 secondi) = 1 080 000 000 km/h più la velocità del treno, ossia 1 080 000 000 km/h + 80 km/h = 1 080 000 080 km/h. Siete d’accordo? Vi immagino annuire. E invece no. È predetto dalle equazioni di Maxwell (le equazioni che spiegano i fenomeni elettromagnetici) – e in seguito è stato sperimentalmente provato – che se l’osservatore in stazione e quello sul treno misurano la velocità del fotone, trovano la stessa cosa: per entrambi, il fotone viaggia a 1 080 000 000 km/h, ossia 300 000 km/s. Ovviamente, è una cosa controintuitiva, ma è così, la natura funziona così. Su questo dilemma si ruppero la testa in molti, a cavallo tra la fine dell’800 e l’inizio del ’900. Finché non arrivò Einstein, che fece la cosa più semplice e più rivoluzionaria: disse che ok, la velocità della luce è uguale in tutti i sistemi di riferimento, in moto o fermi, ce ne dobbiamo fare una ragione. Ma se c è invariate, cioè appunto non cambia col sistema di riferimento, allora cambia tutto il resto: le misure di spazio e tempo fatte dall’omino sul treno e da quello in stazione saranno diverse. Ossia, spazio e tempo sono relativi, dipendono dal sistema di riferimento. In particolare, saranno diversi in un sistema a riposo e in uno che si muove invece a velocità costante rispetto al primo. Complimenti, avete appena capito cos’è la teoria della relatività ristretta, il primo pezzettino della rivoluzione di Einstein. Il grande vantaggio della relatività di Einstein era che spiegava le trasformazioni di Lorentz. Le trasformazioni sono semplicemente equazioni che permettono in passare da un sistema di riferimento all’altro. Nel nostro esempio, per passare dalla misura di velocità fatta dall’omino in treno a quella dell’omino fermo in stazione abbiamo applicato una trasformazione: nello specifico abbiamo sommato la velocità del treno. Ebbene, le trasformazioni di Lorentz sono formule matematiche che permettono di passare da un sistema di riferimento all’altro tenendo presente che le misure di spazio e tempo non sono più le stesse in tutti i sistemi di riferimento, che siano in moto o siano fermi. Non erano state introdotte a questo scopo, ma per permette di modificare correttamente le equazioni di Maxwell passando da un sistema di riferimento all’altro, ma è Einstein che le ha spiegate. Comunque, non vi sto a tediare con le formule, vi dico solo che in esse compare un termine piuttosto importante, il fattore di Lorentz

dove β²=v²/c². v è semplicemente la velocità con cui si muove il sistema di riferimento. E già qui capiamo l’inghippo. Se v=c, γ diventa infinito. Peggio mi sento se v>c: abbiamo addirittura la radice di un numero negativo, che matematicamente ha un senso, ma fisicamente no. La famosa legge E=mc² vale solo per velocità piccole (cioè molto minori di c; piccolo e grande sono termini che non hanno senso in fisica, occorre sempre specificare rispetto a cosa siano grandi o piccole). La sua versione generale è
E=γmc²
dal che si capisce che se γ è infinito (cioè v=c) anche l’energia diventa infinita. Questo significa che ci vuole un’energia infinita per far arrivare alla velocità della luce un oggetto dotato di massa m, indipendentemente da quanto questa massa sia piccola. È un modo complicato per dire che un oggetto con massa m non può andare alla velocità della luce.
Sento alcuni di voi dire: ma come, la luce va alla velocità c, e la luce è fatta di fotoni! Già, ma i fotoni non hanno massa.
Fin qui, tutto chiaro.
Veniamo all’esperimento.
Innanzitutto, cos’è un neutrino. È una particella piccolissima, elementare (cioè non è composta da altre particelle e sua volta) che riveste un ruolo importante anche in molti processi astrofisici. Inoltre, i neutrini sono particelle buffe. Innanzitutto, per un sacco di tempo è stato incerto se avessero o meno una massa. L’esperimento Super-Kamiokande ha provato che sì, ce l’hanno, molto piccola, ma ce l’hanno. Inoltre, i neutrini sono praticamente inarrestabili; mentre state leggendo, miliardi di neutrini vi stanno attraversando da capo a piedi, e non si fermano al pavimento, penetrano qualsiasi materiale, attraversano la terra. Si dice che interagiscono debolmente con la materia. Ossia, è rarissimo che un neutrino “urti” un’altra particella o un nucleo di atomo generandone altre, e dato che gli urti e i loro effetti sono l’unico modo che abbiamo per capire come sono fatte le particelle (gli acceleratori fanno questo, fanno urtare le particelle facendole accelerare a velocità prossime, ma non uguali per quanto detto prima, a quelle della luce), capirete bene che scovare un neutrino e capire com’è fatto non è semplice. Ma si fa.
Ora, l’esperimento Opera produceva un certo numero di neutrini al CERN, a Ginevra, e li sparava ai laboratori INFN del Gran Sasso. Dato che i neutrini interagiscono pochissimo con la materia, penetrano tutto il penetrabile tra Ginevra e il Gran Sasso, procedendo in linea – più o meno – retta senza tener conto di tutti gli ostacoli che ci sono in mezzo.
Ora, sincronizzando gli orologi a Ginevra e al Gran Sasso, se si fanno partire i neutrini al tempo t0 da Ginevra e arrivano al tempo t1 al Gran Sasso, e la distanza tra i due punti di partenza e arrivo è ben nota e pari a d, allora la velocità con cui i neutrini hanno viaggiato è presto calcolata:
v=d/(t1-t0)
È fisica elementare. Ora, l’esperimento non funziona proprio così, e tra l’altro non era neppure nato per misurare la velocità del neutrino, ma diciamo che concettualmente si fa questo. Fatta la misurazione, è venuto fuori che v>c. In particolare, i neutrini ci hanno messo 0.00000006 s meno di quanto ci avrebbero messo i fotoni nel vuoto a fare lo stesso percorso. Se ci pensate, non è così poco.
Ora, quando si trova un risultato come questo, che evidentemente mette in dubbio una teoria collaudatissima – ci arriveremo – come la relatività il primo pensiero non è “cavoli, ho vinto il Nobel”, ma “dannazione, dov’è l’errore?”. Un errore ovvio – e molto, molto marchiano – può essere questo: ma il mio strumento ha la precisione necessaria per rilevare una differenza del genere, oppure la mia misura ha un’incertezza più grande? Esempio: misuro un tavolo con un metro da sarta, che ha le tacche ogni millimetro. Potrò misurare un’altezza di 100,1 cm, ma difficilmente potrò misurare 100,01 cm. Il mio metro non ha tacche da un decimo di centimetro. Sgombriamo il campo: 0.00000006 s è ampiamente sopra l’errore della misura. Altre due fonti di errore: sono sicuro che gli orologi a Ginevra e al Gran Sasso sono sincronizzati bene? E conosco con la dovuta precisione la distanza tra questi due posti? Sono domande che ovviamente i ricercatori si sono posti e le risposte sono state: sì, sono sincronizzati per bene, sì, sono sicuro delle distanze. Pensate che hanno anche tenuto presente lo spostamento della crosta terrestre dovuto al terremoto de L’Aquila.
Si passa quindi allo strumento: non è che ha qualche errore di progettazione e/o è successo qualcosa che ha falsato la mia misura? Oppure: ho tenuto presente tutti gli effetti che potrebbero influire sulla mia misura? E ho ripetuto la misura abbastanza volte da escludere che sia un errore?
La ricerca è durata tre anni, i neutrini di cui è stata misurata la velocità sono stati 16111, e i ricercatori non sono stati in grado di evidenziare né errori sistematici né altri effetti che possano spiegare questa misurazione. Così, dopo tre anni, hanno fatto quel che fa lo scienziato serio: hanno pubblicato i dati e hanno detto “qualcuno ripeta l’esperimento altrove, o misuri la velocità dei neutrini in altro modo e vediamo se le nostre misure vengono confermate”.
La storia finisce qui. O meglio, comincia qui. La teoria della relatività è una delle teorie meglio supportate dai dati sperimentali: ha fatto molte previsioni che si sono dimostrate corrette, è stata verificata in centinaia di modi diversi, e fin qui ha spiegato in modo egregio il funzionamento della gravità. Fin qui, appunto. Se le misure di Opera venissero confermate, dovremmo concludere che si è aggiunto al quadro un elemento nuovo. Del resto, non è la prima volta che succede. Fino alla fine dell’800, Newton basava e avanzava a spiegare il moto di stelle e pianeti. C’era solo un piccolo particolare che non tornava nel quadro generale: l’orbita di Mercurio aveva delle particolarità che apparivano inspiegabili nel quadro della legge di gravitazione universale di Newton. Einstein le ha spiegate. E, beninteso, la relatività generale non ha spazzato via la gravità di Newton. Sotto precise condizioni, la relatività generale si riduce alla formulazione di Newton. Ma alcune cose che succedono nel nostro universo, Newton non le spiega, Einstein sì. La relatività ingloba e completa la legge di gravitazione universale di Newton, che infatti ancora si insegna nelle scuole.
Ora, è possibile che ci sia un errore, è possibile che non sia affatto vero che abbiamo trovato una particella dotata di massa che va più veloce della luce. Ma può anche essere invece che la Natura ci ha fregati una volta di più: quando (più o meno) tutto sembrava tornare, ci ha messo i bastoni fra le ruote, facendoci scoprire che avevamo dimenticato qualcosa, che c’è dell’altro, là fuori. La verità ce la diranno i prossimi anni. A me piace credere che la misura fatta al Gran Sasso apra nuovi orizzonti alla fisica, piace credere che abbiamo trovato qualcosa di nuovo intorno al quale arrovellarci, per cercare di dare un senso a questo puzzle complesso e indecifrabile che è l’universo nel quale viviamo. Ma è, appunto, una semplice speranza, che al momento non è supportata da nessun fatto concreto.
Intanto, mi diverto a vedere una notizia di fisica in prima pagina sui quotidiani, per una volta a ragione.