Ieri, non lo posso negare, per me è stata una giornata esaltante. Per capire il perché, bisogna fare un balzo indietro di dieci anni, e incontrare la me stessa studente di laurea. Era il 2004, e, per la tesi, preparavo delle tesine da presentare alla discussione. Una di queste riguardava una sonda spaziale che era partita da poco, e che sarebbe giunta a destinazione niente meno che dieci anni dopo: Rosetta. La tesina si occupava del suo incredibile viaggio, complicatissimo, fatto di giri infiniti, effetti fionda e quant’altro, utili a farle raggiungere la sua destinazione finale: una cometa dal nome impronunciabile, 67P/Churyumov-Gerasimenko. Qui sotto, potete vedere una bella animazione del viaggio.
(http://www.esa.int/spaceinvideos/Videos/2013/10/Rosetta_s_twelve-year_journey_in_space)
All’epoca dieci anni mi sembravano un’eternità, per cui anche il fatto che, una volta arrivata, la sonda avrebbe sganciato un robottino, Philae, che sarebbe sceso sulla superficie della cometa, sembrava una roba fantascientifica e remota, che magari non avremmo mai visto.
Stacco in avanti, e si arriva a gennaio di quest’anno. Quando Rosetta, dopo essersi spenta per l’ultima fase del suo lungo viaggio, si è riaccesa. Ne avevo anche parlato in un post. Io non ho lavorato su Rosetta, in effetti non conosco neppure nessuno che l’abbia fatto, eppure quella tesina remota me l’ha resa un oggetto familiare, cui, in qualche modo, voglio bene, e la notizia del suo risveglio mi fece molto piacere. Ma il meglio doveva ancora venire, ed è arrivato ieri, quando Philae si è staccato e in sette ore ha raggiunto la superficie della cometa.
Quando ho appreso la notizia che Philae era atterrato mi trovavo sulla Tuscolana per fare una commissione. Il cielo stava virando lentamente al blu e intorno a me era pieno di gente. La vita scorreva normalmente, nessuno era occupato in altro che nelle sue incombenze quotidiane, probabilmente ben pochi, intorno a me, sapevano anche solo cosa fosse Philae, o Rosetta. Eppure io, alzando gli occhi al cielo, non potevo fare a meno di pensare a quel pezzetto di latta appoggiato al ghiaccio sporco di 67P/C-G, e quella piccola sentinella così lontana da noi, testimone che il nostro cervello, quando vuole, è capace di cose straordinarie. Mi sono sentita sola, in mezzo alla folla, col mio sorriso ebete che nessuno capiva, col mio entusiamo che non potevo condividere con nessuno. Eppure Philae era qualcosa che ci univa: non stava dove stava per l’orgoglio di pochi, ma per l’umanità tutta, e dimostrava quanto abbiamo capito della natura, e quanto ancora ci resta da scoprire, e ci diceva che tutto è possibile, quando si collabora, si ha costanza, si è capaci di guardare al futuro.
Allora io ve lo spiego, perché quello che è successo ieri è una cosa straordinaria.
Le comete cono oggetti antichissimi che vanno in giro per il nostro sistema solare. Sono quel che resta della nube di materiale dal quale si è formato tutto ciò che vediamo nelle nostre immediate vicinanze: Sole, pianeti, lune, asteroidi. Sappiamo che sono fatte sostanzialmente di ghiaccio, che hanno orbite ellittiche (cerchi schiacciati), che periodicamente, quando arrivano abbastanza vicine al Sole, il calore di quest’ultimo fa sublimare (ossia passare da stato solido a stato gassoso) il ghiaccio, producendo la famosa coda. Non sappiamo però un sacco di cose: i dettagli della struttura interna, per dire, l’esatta composizione. Le comete, essendo oggetti molto antichi, ci possono dare tante informazioni su com’era la nube da cui il Sistema Sola s’è formato. Inoltre, c’è un’affascinante teoria: l’esogenesi. È l’idea che la vita sia nata altrove (un altro pianeta, o addirittura nello spazio interstellare, secondo la teoria detta della panspermia) e in un secondo momento sia stata portata sulla terra, proprio attraverso le comete. Insomma, le comete sono tutto sommato oggetti semplici, ma molto affascinanti, che vale la pena studiare.
Rosetta ha raggiunto 67P/C-G il 6 agosto di quest’anno, e ha iniziato a inviare a terra immagini incredibili della cometa (qui ne trovate un bel po’). È la prima volta che vediamo così da vicino una cometa. Già questo semplice fatto era straordinario: Rosetta da sola è già in grado di inviare a terra una gran mole di dati di rilievo scientifico su 67P/C-G, la sua composizione, la sua natura. Philae era, tutto sommato, un di più, e una straordinaria scommessa. Perché atterrare su una cometa non è semplice per niente.
67P/C-G ha una massa di diecimilia miliardi di chili, e una lunghezza, lungo l’asse maggiore, di circa 4 km. Eccola paroganata alla città di Roma.

(http://www.esa.int/spaceinimages/Images/2014/11/Comet_over_Rome)
Capirete che, rispetto alla Terra, alla Luna, e a qualsiasi altro oggetto su quale l’uomo abbia fatto scendere una sonda, è sostanzialmente un sasso. Poca massa significa bassa gravità, bassa gravità vuol dire che è facile staccarsi dalla superficie. Nello specifico, la gravità sulla superficie di 67P/C-G è 100 000 volte inferiore a quella della Terra. Philae, che sulla Terra pesa 21 kg, su 67P/C-G pesa circa 2 grammi. La velocità di fuga di 67P/C-G (ossia la velocità necessaria per lasciare la superficie e sfuggire alla sua forza di gravità) è di 1 m/s. Per confronto, quando un tennista spara un servizio, la palla può raggiungere tranquillamente i 200 km orari, ossia 55 m/s. Basta letteralmente un niente per staccarsi dalla superficie di 67P/C-G. Per questo, al momento della discesa di Philae la cosa più probabile era che toccasse la superficie a velocità troppo elevata e rimbalzasse via. Per evitare questo, la sonda è dotata di due arpioncini che si infilano nel ghiaccio una volta toccata la superficie, e di quattro viti, una per zampetta, che la inchiodano letteralmente al ghiaccio. Ma in ogni caso era una manovra delicatissima, resa ancor più complessa da una complicazione ulteriore: la cometa 67P/C-G si trova a circa 400 milioni di chilometri dalla Terra, e questo fa sì che i segnali inviati da Terra ci mettano circa 28 minuti a raggiungere Rosetta, e altrettanti per tornare indietro. Insomma, non c’era margine di errore.
Eppure, Philae ha toccato la superficie di 67P/C-G. Pare che l’arpioncino non abbia funzionato, mentre le viti sì, per cui ancora non è chiara la stabilità della sonda sulla superficie, ma Philae pare sia ancora lì. È ha già mandato splendide immagini della sua mamma Rosetta e della superficie della cometa (questa invece è Philae vista da Rosetta). È un trionfo assoluto della tecnologia, qualcosa di impensabile. Ma la cosa che mi piace pensare di più, è che Rosetta e Philae sono un trionfo della pace. Rosetta non l’hanno fatta gli americani, come starano pensando il 90% di voi. L’hanno fatta gli europei. L’abbiamo fatta anche noi italiani; l’ASI, l’Agenzia Spaziale Italiana, è il terzo contributore in termini economici, e l’Italia ha prodotto alcuni degli strumenti che serviranno all’analisi dati. Settant’anni fa, l’Europa era in fiamme. Per secoli è stata un luogo di guerra, incapace di stare in pace se non per brevissimi periodi. Nel corso della storia, ferite insanabili sono state inferte dall’una all’altra nazione. Settant’anni dopo, questa gente ha saputo sedersi da un tavolo, lavorare per anni, e intendo davvero decenni, se si pensa che dieci anni è durato soltanto il viaggio di Rosetta, con l’unico scopo di capire qualcosa, e capirlo per tutti. Al momento, solo la scienza può un tale miracolo. Rosetta ci insegna un’altra cosa fondamentale, della quale credo abbiamo un gran bisogno in Italia: bisogna avere una prospettiva sul futuro. Non si può continuare a guardare solo qui e ora, il nostro piccolo giardino, e con una prospettoiva temporale che non va oltre l’anno in corso. L’uomo non è fatto così. Tra tutti gli animali, siamo gli unici a poter immaginare non soltanto un progetto per la nostra vita, ma anche per la vita di quelli che verranno dopo di noi, in una prospettiva infinta sui secoli a venire. Perché non usiamo più questa straordinaria facoltà? Perché ci continuiamo a guardare la punta dei piedi? E poi bisogna osare, gettare il cuore oltre l’ostacolo. Era impossibile far atterrare Philae? Praticamente sì. Ci siamo fatti spaventare da questo? No.
Ecco. Per questo, ieri, nonostante l’umanità stesse vivendo una grande occasione di fratellanza, mi sono sentita sola in una folla che non condivideva il mio entusiasmo. E ho scritto questo pezzo (e vi assicuro che c’è voluta molta fatica e impegno) perché anche voi oggi guardiate il cielo e pensiate a cosa è riuscita a fare questa nostra specie che non è altro che un puntolino minuscolo nell’universo, eppure può esplorarlo tutto, con la forza della sua mente.