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Trappist-1 e le sette sorelle

Buongiorno :) . Breve post, giusto per condividere anche di qua il video che ho fatto circa la scoperta del sistema stellare Trappist-1. Ho fatto una specie di esperimento: invece di fare un post, ho provato con un video. Non mi sembra la cosa sia granché riuscita, per cui non so se avrà un seguito. Intanto, ve lo beccate comunque :P .
Al momento, non ho altro da dirvi; restate però sintonizzati, perché spring is coming e si porterà dietro un po’ di eventi.
Buona giornata!

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Stand your ground, Philae!

Ieri, non lo posso negare, per me è stata una giornata esaltante. Per capire il perché, bisogna fare un balzo indietro di dieci anni, e incontrare la me stessa studente di laurea. Era il 2004, e, per la tesi, preparavo delle tesine da presentare alla discussione. Una di queste riguardava una sonda spaziale che era partita da poco, e che sarebbe giunta a destinazione niente meno che dieci anni dopo: Rosetta. La tesina si occupava del suo incredibile viaggio, complicatissimo, fatto di giri infiniti, effetti fionda e quant’altro, utili a farle raggiungere la sua destinazione finale: una cometa dal nome impronunciabile, 67P/Churyumov-Gerasimenko. Qui sotto, potete vedere una bella animazione del viaggio.


(http://www.esa.int/spaceinvideos/Videos/2013/10/Rosetta_s_twelve-year_journey_in_space)

All’epoca dieci anni mi sembravano un’eternità, per cui anche il fatto che, una volta arrivata, la sonda avrebbe sganciato un robottino, Philae, che sarebbe sceso sulla superficie della cometa, sembrava una roba fantascientifica e remota, che magari non avremmo mai visto.
Stacco in avanti, e si arriva a gennaio di quest’anno. Quando Rosetta, dopo essersi spenta per l’ultima fase del suo lungo viaggio, si è riaccesa. Ne avevo anche parlato in un post. Io non ho lavorato su Rosetta, in effetti non conosco neppure nessuno che l’abbia fatto, eppure quella tesina remota me l’ha resa un oggetto familiare, cui, in qualche modo, voglio bene, e la notizia del suo risveglio mi fece molto piacere. Ma il meglio doveva ancora venire, ed è arrivato ieri, quando Philae si è staccato e in sette ore ha raggiunto la superficie della cometa.
Quando ho appreso la notizia che Philae era atterrato mi trovavo sulla Tuscolana per fare una commissione. Il cielo stava virando lentamente al blu e intorno a me era pieno di gente. La vita scorreva normalmente, nessuno era occupato in altro che nelle sue incombenze quotidiane, probabilmente ben pochi, intorno a me, sapevano anche solo cosa fosse Philae, o Rosetta. Eppure io, alzando gli occhi al cielo, non potevo fare a meno di pensare a quel pezzetto di latta appoggiato al ghiaccio sporco di 67P/C-G, e quella piccola sentinella così lontana da noi, testimone che il nostro cervello, quando vuole, è capace di cose straordinarie. Mi sono sentita sola, in mezzo alla folla, col mio sorriso ebete che nessuno capiva, col mio entusiamo che non potevo condividere con nessuno. Eppure Philae era qualcosa che ci univa: non stava dove stava per l’orgoglio di pochi, ma per l’umanità tutta, e dimostrava quanto abbiamo capito della natura, e quanto ancora ci resta da scoprire, e ci diceva che tutto è possibile, quando si collabora, si ha costanza, si è capaci di guardare al futuro.
Allora io ve lo spiego, perché quello che è successo ieri è una cosa straordinaria.
Le comete cono oggetti antichissimi che vanno in giro per il nostro sistema solare. Sono quel che resta della nube di materiale dal quale si è formato tutto ciò che vediamo nelle nostre immediate vicinanze: Sole, pianeti, lune, asteroidi. Sappiamo che sono fatte sostanzialmente di ghiaccio, che hanno orbite ellittiche (cerchi schiacciati), che periodicamente, quando arrivano abbastanza vicine al Sole, il calore di quest’ultimo fa sublimare (ossia passare da stato solido a stato gassoso) il ghiaccio, producendo la famosa coda. Non sappiamo però un sacco di cose: i dettagli della struttura interna, per dire, l’esatta composizione. Le comete, essendo oggetti molto antichi, ci possono dare tante informazioni su com’era la nube da cui il Sistema Sola s’è formato. Inoltre, c’è un’affascinante teoria: l’esogenesi. È l’idea che la vita sia nata altrove (un altro pianeta, o addirittura nello spazio interstellare, secondo la teoria detta della panspermia) e in un secondo momento sia stata portata sulla terra, proprio attraverso le comete. Insomma, le comete sono tutto sommato oggetti semplici, ma molto affascinanti, che vale la pena studiare.
Rosetta ha raggiunto 67P/C-G il 6 agosto di quest’anno, e ha iniziato a inviare a terra immagini incredibili della cometa (qui ne trovate un bel po’). È la prima volta che vediamo così da vicino una cometa. Già questo semplice fatto era straordinario: Rosetta da sola è già in grado di inviare a terra una gran mole di dati di rilievo scientifico su 67P/C-G, la sua composizione, la sua natura. Philae era, tutto sommato, un di più, e una straordinaria scommessa. Perché atterrare su una cometa non è semplice per niente.
67P/C-G ha una massa di diecimilia miliardi di chili, e una lunghezza, lungo l’asse maggiore, di circa 4 km. Eccola paroganata alla città di Roma.


(http://www.esa.int/spaceinimages/Images/2014/11/Comet_over_Rome)

Capirete che, rispetto alla Terra, alla Luna, e a qualsiasi altro oggetto su quale l’uomo abbia fatto scendere una sonda, è sostanzialmente un sasso. Poca massa significa bassa gravità, bassa gravità vuol dire che è facile staccarsi dalla superficie. Nello specifico, la gravità sulla superficie di 67P/C-G è 100 000 volte inferiore a quella della Terra. Philae, che sulla Terra pesa 21 kg, su 67P/C-G pesa circa 2 grammi. La velocità di fuga di 67P/C-G (ossia la velocità necessaria per lasciare la superficie e sfuggire alla sua forza di gravità) è di 1 m/s. Per confronto, quando un tennista spara un servizio, la palla può raggiungere tranquillamente i 200 km orari, ossia 55 m/s. Basta letteralmente un niente per staccarsi dalla superficie di 67P/C-G. Per questo, al momento della discesa di Philae la cosa più probabile era che toccasse la superficie a velocità troppo elevata e rimbalzasse via. Per evitare questo, la sonda è dotata di due arpioncini che si infilano nel ghiaccio una volta toccata la superficie, e di quattro viti, una per zampetta, che la inchiodano letteralmente al ghiaccio. Ma in ogni caso era una manovra delicatissima, resa ancor più complessa da una complicazione ulteriore: la cometa 67P/C-G si trova a circa 400 milioni di chilometri dalla Terra, e questo fa sì che i segnali inviati da Terra ci mettano circa 28 minuti a raggiungere Rosetta, e altrettanti per tornare indietro. Insomma, non c’era margine di errore.
Eppure, Philae ha toccato la superficie di 67P/C-G. Pare che l’arpioncino non abbia funzionato, mentre le viti sì, per cui ancora non è chiara la stabilità della sonda sulla superficie, ma Philae pare sia ancora lì. È ha già mandato splendide immagini della sua mamma Rosetta e della superficie della cometa (questa invece è Philae vista da Rosetta). È un trionfo assoluto della tecnologia, qualcosa di impensabile. Ma la cosa che mi piace pensare di più, è che Rosetta e Philae sono un trionfo della pace. Rosetta non l’hanno fatta gli americani, come starano pensando il 90% di voi. L’hanno fatta gli europei. L’abbiamo fatta anche noi italiani; l’ASI, l’Agenzia Spaziale Italiana, è il terzo contributore in termini economici, e l’Italia ha prodotto alcuni degli strumenti che serviranno all’analisi dati. Settant’anni fa, l’Europa era in fiamme. Per secoli è stata un luogo di guerra, incapace di stare in pace se non per brevissimi periodi. Nel corso della storia, ferite insanabili sono state inferte dall’una all’altra nazione. Settant’anni dopo, questa gente ha saputo sedersi da un tavolo, lavorare per anni, e intendo davvero decenni, se si pensa che dieci anni è durato soltanto il viaggio di Rosetta, con l’unico scopo di capire qualcosa, e capirlo per tutti. Al momento, solo la scienza può un tale miracolo. Rosetta ci insegna un’altra cosa fondamentale, della quale credo abbiamo un gran bisogno in Italia: bisogna avere una prospettiva sul futuro. Non si può continuare a guardare solo qui e ora, il nostro piccolo giardino, e con una prospettoiva temporale che non va oltre l’anno in corso. L’uomo non è fatto così. Tra tutti gli animali, siamo gli unici a poter immaginare non soltanto un progetto per la nostra vita, ma anche per la vita di quelli che verranno dopo di noi, in una prospettiva infinta sui secoli a venire. Perché non usiamo più questa straordinaria facoltà? Perché ci continuiamo a guardare la punta dei piedi? E poi bisogna osare, gettare il cuore oltre l’ostacolo. Era impossibile far atterrare Philae? Praticamente sì. Ci siamo fatti spaventare da questo? No.
Ecco. Per questo, ieri, nonostante l’umanità stesse vivendo una grande occasione di fratellanza, mi sono sentita sola in una folla che non condivideva il mio entusiasmo. E ho scritto questo pezzo (e vi assicuro che c’è voluta molta fatica e impegno) perché anche voi oggi guardiate il cielo e pensiate a cosa è riuscita a fare questa nostra specie che non è altro che un puntolino minuscolo nell’universo, eppure può esplorarlo tutto, con la forza della sua mente.

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Belle Addormentate spaziali

Era il 2004. Dieci anni fa. All’epoca la laura in fisica si conseguiva discutendo la tesi e una tesina che veniva scelta tra due che erano state preparate dal candidato, e che fossero di argomento diverso da quello della specializzazione. Se ti stavi laureando in astrofisica, la tesina non poteva parlare di astrofisica.
All’epoca, Giuliano era in Cile per la tesi di laurea. Visto che per tutta una serie di ragioni era costretto a laurearsi a luglio, un paio di settimane dopo il suo ritorno in Italia, io gli diedi una mano con una delle due tesine – che per altro poi neppure discusse, perché gli chiesero l’altra – mettendomi a reperire in giro il materiale che gli sarebbe servito per scriverla, e andando a parlare al posto suo coi professori, visto che lui stava dall’altra parte del mondo. La tesina verteva su Rosetta.
Passo indietro. Immagino più o meno tutti abbiate familiarità con la stele di Rosetta: si tratta di una stele, appunto, col medesimo testo – una specie di panegirico di un re in occasione dell’anniversario della sua incoronazione – in greco ed egiziano. La sua scoperta fu una tappa fondamentale della traduzione dei geroglifici.
La Rosetta di cui invece avrete sentito parlare questa settimana, e di cui parlava la tesina di Giuliano, è una sonda che è stata lanciata nel 2004. Si chiama così proprio dalla stele di Rosetta. Per quanto ci piaccia credere di sapere ormai più o meno tutto sull’universo, in realtà sono tantissime le cose che ancora non sappiamo, persino dei dintorni della Terra. Per esempio, non abbiamo completamente chiaro il rapporto tra asteroidi e comete. Ok, i primi sono oggetti preminentemente rocciosi, le seconde sono “palle di neve sporca”, secondo una definizione piuttosto diffusa. Ma una cometa può diventare asteroide, magari perché ha un nucleo roccioso che viene “scoperto” quando tutto lo strato ghiacciato superficiale viene sciolto? Inoltre, le comete e gli asteroidi sono quanto rimane della nube dalla quale si è formato il Sistema Solare, e quindi sono una specie di “fossili” astronomici che possono darci informazioni sulla composizione di questa nube primordiale, e dunque su come dalla nube si siano formati i pianeti. C’è poi la teoria della panspermia, secondo la quale addirittura le comete hanno portato la vita sulla Terra. La teoria è diventata famosa quando nel 2006 venne annunciato che nei detriti di una cometa raccolti dalla sonda Stardust erano state trovate molecole organiche. Insomma, le comete sono interessanti e nascondono ancora parecchi misteri. Rosetta, come la stele, si propone di decifrarli.
Rosetta, vi dicevo, è stata lanciata nel 2004. Ha compiuto un viaggio lunghissimo, che trovate illustrato in questo video.

La tesina di cui vi parlavo si concentrava proprio sulle caratteristiche meccaniche (nel senso della branca della fisica, la meccanica, appunto, che studia il moto dei corpi) del viaggio. Come vedete, più volte Rosetta sfrutta l’effetto fionda, ossia vola vicino ad un pianeta per sfruttarne la spinta gravitazionale e guadagnare velocità. Infatti, l’obiettivo di Rosetta è la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, che attualmente si trova dalle parti di Giove, e nessun razzo è in grado di spedire direttamente una sonda fin là. Durante il suo viaggio, non è stata con le mani in mano: ha misurato il campo magnetico di Marte, fatto foto di asteroidi, osservato la coda di detriti di un asteroide, confermando che non si trattava di una cometa. Poi, nel 2011, è stata spenta. Lo shut-down è stato fatto per preservare gli strumenti e le funzionalità della sonda fino al suo arrivo nei dintorni della cometa. Dopo circa tre anni, era previsto che Rosetta si svegliasse, e lo facesse da sola, senza comandi da Terra. Il risveglio è avvenuto proprio in questi giorni, nello specifico il 20 gennaio. Il risveglio era ovviamente un momento delicatissimo: per 31 mesi la sonda è stata spenta, e non ha neppure comunicato con la Terra, mentre si apprestava a raggiungere il suo obiettivo, che, ve lo ricordo, sta a quasi 800 milioni di chilometri dalla Terra (per un raffronto, la Luna dista circa 400 000 km). Le comunicazioni da parte di Rosetta al momento impiegano quasi 45 minuti per arrivare fino a noi. E insomma, se non si fosse accesa sarebbe stato un bel problema. Ma l’ha fatto. Il controllo a terra dell’ESA (European Space Agency, Rosetta è una sonda europea) si è messo in ascolto e il 20 Gennaio, alle ore 18.18 ora di Greenwich, a Terra è arrivato questo segnale qua

segno che la Bella Addormentata c’era risvegliata. Questa, invece, è stata la reazione degli scienziati coinvolti nel progetto

:P . Sono anni di lavoro che trovano compimento nel giro di pochi minuti. Io, per altro, mi commuovo sempre un po’ quando immagino che ci sono prodotti dell’intelletto umano in giro per lo spazio, così lontani da noi che noi non potremo mai raggiungerli, e che dimostrano che quando ci mettiamo di buzzo buono, quando usiamo il cervello per qualcosa di utile e creativo, siamo in grado di fare grandi cose.
Comunque. La storia di Rosetta è solo all’inizio. Una volta raggiunta la cometa 67/P-CG, Rosetta si metterà in orbita attorno ad essa. Piccola digressione: come vi dicevo, una cometa è un oggetto composto principalmente di ghiaccio e detriti. Gira intorno al Sole tipicamente con orbite molto eccentrice (ossia a forma di ellisse molto allungata); quando si trova vicino al Sole, il suo calore fa fondere lo strato di ghiaccio superficiale che, spazzato via del vento Solare (le particelle cariche emesse dal sole), forma la famosa coda. In verità di code ce ne sono due: una fatta di polvere, più pesante, l’altra di gas in stato di plasma, uno stato particolare della materia. Le code in genere sono separate, poiché quella di polvere si incurva nella direzione dell’orbita. Un’immagine vale più di mille parole: questa qua sotto è Hale-Bopp, una cometa meravigliosa che ho avuto modo di ammirare in tutto il suo splendore da ragazzina (e vi assicuro che era uno spettacolo mozzafiato, in condizioni di cielo particolarmente buio era enorme). La coda azzurra è quella di plasma, e si vedeva ad occhio nudo.


(http://siriusalgeria.net/HaleBopp.htm)

Ecco, per la prima volta Rosetta seguirà una cometa in tutte le sue fasi, per studiare come si comporta lungo l’orbita e per studiarne la struttura e la composizione. Inoltre, c’è di più: Rosetta ha un lander, ossia un robottino che si prevede atterrerà sulla cometa. Avete capito bene: un robottino tipo Spirit e Opportunity, che stanno su Marte, che atterrerà su una cometa. Che è una cosa che non ha mai fatto nessuno. Ora, atterrare su una cometa non è proprio una cosa facilissima. Saprete che noi possiamo camminare sula superficie della Terra perché c’è una forza, che si chiama forza di gravità, che ci tiene incollati al suolo. La forza di gravità è proporzionale alla massa: più è grande la massa, più è grande la forza. La massa della Terra è di 5 974 200 000 000 000 000 000 000 kg; quella della cometa 67/P-CG è stimata essere 3 140 000 000 000 kg. In soldoni, più o meno 1000 miliardi di volte più piccola. La forza di gravità sulla cometa 67/P-CG è insufficiente a tener fermo sulla sua superficie un robottino, che dovrà ancorarsi con una specie di arpione. È una cosa difficile, ma noi terremo tutti le dite incrociate perché riesca. In ogni caso, la missione Rosetta sarà un successo indipendentemente dal fatto che Philae – il lander si chiama così – riesca o meno ad ancorarsi alla cometa.
Insomma, per usare termini scientifici, io Rosetta la trovo una figata :P . Spero di aver convinto anche voi.

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È partita

Gaia è partita. Da qualche minuto si è definitivamente staccata dal vettore che l’ha spinta e ha iniziato il suo lungo cammino verso L2 – la posizione rispetto a Terra e Sole nella quale compirà il suo lavoro – tutta da sola.
Descrivere le emozioni che ho provato durante il lancio è difficile. Il countdown, i motori che si accendono, e infine la notte di Kourou che si illumina e il razzo che parte, allo stesso tempo fine e inizio dell’avventura. Il cuore mi batteva fortissimo e ho avuto gli occhi lucidi. Può sembrare una reazione esagerata, ma quel razzo porta con sé il mio lavoro di un anno e mezzo, e quello di più di venti anni di tanti miei colleghi. Sentire di aver fatto parte di qualcosa di così grande, di così bello, è un’emozione forte. C’è anche il rimpianto per non aver potuto continuare a praticare a tempo pieno questo mestiere bello e terribile, lo confesso, ma nella vita purtroppo bisogna fare delle scelte.
C’è una sola cosa sulla quale voglio farvi riflettere. Gaia è un progetto ventennale realizzato dall’ESA, l’agenzia spaziale europea; ha coinvolto centinaia di persone in tutta Europa. Rifletteteci. Solo settant’anni fa questi paesi erano in guerra, e lo erano stati migliaia di volte in passato. Oggi, sono in grado di cooperare per vent’anni e lanciare un satellite che se ne starà ad un milione e mezzo di chilometri dalla Terra a spiegarci com’è fatta e come si è formata la nostra Galassia, una cosa che accrescerà la consapevolezza, la conoscenza e anche il benessere – perché la scienza di base è il laboratorio nel quale si studiano le soluzioni tecnologiche del domani – di tutta l’umanità. La scienza è PACE. Per questo oggi ho gli occhi lucidi e non riesco a lavorare. Perché ho fatto parte di tutto questo.
Pensateci la prossima volta che studiate fisica o chimica, che vedete un razzo partire, un telescopio aprirsi per la prima volta sui misteri dell’universo, o quando vi diranno che è tutto un inganno, che la “scienza ufficiale”, “gli scienziati cattivi”, bla bla bla. Non c’è chiacchiericcio che possa fermare adesso Gaia, lanciata verso la sua meta col carico di speranze e curiosità di migliaia e migliaia di persone.

Foto di @The_SolarSystem

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Gaia

Domani partirà Gaia. Ve lo dico io, perché dubito fortemente che su qualsiasi quotidiano di diffusione nazionale, o peggio ancora al tiggì, ne sentirete parlare. Eppure Gaia è un satellite frutto del lavoro ventennale e più di un consorzio europeo, cui l’Italia ha contribuito con gran dispiego di mezzi e persone. All’interno del consorzio di analisi ed elaborazione dei dati che verranno prodotti da Gaia, l’Italia è seconda come contributo solo alla Francia. E non si tratta di una missioncina così, di secondo piano: Gaia intende produrre la mappa più accurata mai realizzata della nostra Galassia. Si propone di mapparne e analizzarne l’1% del contenuto in stelle (1 miliardo di stelle su i 100-200 miliardi che compongono la Via Lattea). Per darvi un’idea, la precedente missione simile, Hipparcos, ha prodotto un catalogo con circa 2.5 milioni di stelle.
Gaia in sostanza produrrà una mappa 3D della nostra galassia, nella quale non solo sarà indicata la posizione delle stelle con una precisione mai raggiunta prima, ma in cui saranno presenti anche distanza e moti propri (spostamenti effettivi, non dovuti alla rotazione della Terra) delle stelle. È una cosa importantissima, perché ogni lavoro scientifico che riguardi il cielo ha bisogno di una mappa del genere per potersi confrontare con i lavori precedenti, in modo da confermare o confutare precedenti scoperte o farne delle nuove. Praticamente tutti gli astrofisici passano per l’uso di mappe del genere nel loro lavoro.
Tra l’altro, Gaia guarderà tutto il cielo, quindi riuscirà anche a fare altre cose, oltre a produrre la mappa che vi dicevo: vedrà moltissimi oggetti differenti, studiati un po’ da tutte le branche dell’astrofisica, e, per esempio, andrà anche a caccia di pianeti extrasolari. Insomma, è una cosa davvero grossa.
Io ci ho lavorato per un anno e mezzo, dal 2006 al dicembre del 2007. Il progetto era ancora agli inizi, molto di quel che feci allora è stato completamente rivoluzionato in seguito, ma comunque servì a capire meglio i problemi con cui avevamo a che fare. Mi occupavo dell’analisi dati di tutte le sorgenti sovrapposte: come si fa a separare la luce di due stelle molto molto vicine, che si sovrappongono? È un problema tipico dell’analisi dati della fisica stellare, e all’Osservatorio di Roma – e al connesso gruppo di fisica stellare dell’Università di Tor Vergata – c’è una scuola molto abile nel risolverlo. Gaia proponeva problemi nuovi, visto che non produrrà proprio immagini di stelle tonde, ma disperderà la luce delle singole sorgenti su piccoli spettri a bassa risoluzione (ossia disperderà un pochino la luce delle sorgenti, dividendo le varie lunghezze d’onda, proprio come capita quando si fa passare la luce del sole attraverso un prisma e si ottiene l’arcobaleno). Poi ci ha lavorato Giuliano, quindi ho continuato a seguire la missione tramite lui e i miei colleghi che hanno continuato a essere coinvolti nel progetto.
E insomma, dopo svariati rinvii, Gaia domani parte da Kourou, nella Guyana Francese, una base dell’ESA, l’Agenzia Spaziale Europea. Il lancio di un satellite è sempre un momento estremamente delicato, tante cose possono andare storte, e quindi c’è sempre molta tensione. Quasi cinque anni fa assistetti al lancio di Plank, e fu un’esperienza davvero emozionante. Domani spero di riuscire a seguire la diretta online. Se siete interessati anche voi, la faranno qua.
Insomma, a dispetto di tutto e tutti, in condizioni di precariato, malpagati e soprattutto malvisti dalla società, che preferisce discettare di roba tipo Stamina o la bufala dei vaccini che fanno venire l’autismo, l’Italia continua a fare scienza di alto livello. E lo fa nel silenzio e nell’indifferenza generali, perché l’abisso culturale in cui questo paese si trova, e che media e governo cercano in tutti i modi di mantenere, abbiamo perso persino la capacità di interessarci a queste cose, o di capirne l’importanza. La gran parte dei ricercatori italiani, soprattutto se under-quaranta, è precaria, ma nel senso che va avanti con assegni di ricerca da un anno, e il cui rinnovo non dipende quasi mai dal lavoro svolto o dalle capacità, ma dal fatto se ci siano o meno i fondi per la ricerca, e i fondi ci sono o mancano per mere questioni politiche. Sono queste le condizioni nelle quali la scienza italiana lavora, ed è ancora una scienza di primo piano a livello mondiale.
Io spero che un giorno ci accorgeremo di quanto sapere, quanta intelligenza stiamo buttando alle ortiche. Di quanto stiamo correndo a perdifiato verso un nuovo medioevo che porterà conseguenze nefaste per tutti noi. Io, nel frattempo, getto i miei semini, sempre più convinta che occorra cambiare le cose una testa alla volta, e anche se ne hai cambiate solo dieci, o due, sono due teste in più per un mondo migliore.
Good luck, Gaia, and have a good journey.

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Asteroidi e meteoriti

Alle sette di una qualsiasi mattina di inizio estate, anno domini 1908, il cielo si spacca in due, una luce fortissima avvolge ogni cosa e la foresta di Tunguska viene avvolta dal fuoco. L’esplosione è così violenta che a 600 km di distanza alcuni convogli della Transiberiana rischiano di deragliare. La luce è così forte che a Londra, dove è ancora notte inoltrata, si può leggere il giornale senza l’ausilio di alcuna luce artificiale.
È l’evento di Tunguska, come avrete già capito: quel mattino, un asteroide o una cometa, non è ben chiaro, entra in rotta di collisione con la Terra ed esplode ad una decina di chilometri d’altezza nell’atmosfera. Il risultato è questo, ad esempio


(fonte: http://www.webalice.it/maxba10/TUNGUSKA_1908.html)

È il più violento episodio di collisione che si conosca nella storia recente. Ma, a parte sdraiare migliaia e migliaia di alberi, non fece vittime né danni: avvenne in una zona disabitata.
Ora, a quando pare la Russia è molto amata dagli asteroidi in cerca di fine gloriosa, perché, stamattina, aprendo come di consueto Repubblica, mi imbatto in questi (guardare sulla colonna di snistra e cliccate i link). Si tratta di una serie di video assolutamente straordinari di una pioggia di meteoriti che si è verificata questa mattina ora locale sugli Urali. Nessuno degli oggetti ha raggiunto il suolo (tutti, a causa dell’attrito con l’atmosfera, si son scaldati e disintegrati prima di toccare il suolo), ma, nonostante l’evento si sia verificato in una zona fortunatamente poco popolata, si hanno notizie di feriti e danni. Sarò onesta: il mio cuore di astrofisico, lo ammetto, rimane senza parole davanti ad uno spettacolo del genere. Nonostante non ci sia ormai nulla di misterioso, a livello scientifico, circa eventi del genere, uno non può non rimanere scioccato davanti alla potenza di una natura che riesce a essere così devastante persino con quattro sassolini messi in croce. Poi, però, penso ai danni, ai feriti, allo shock di chi ha vissuto quest’esperienza, e i video mi incantano decisamente di meno.
Ecco, se uno volesse una prova di quanto l’universo sia più grande – in senso metafisico, se vogliamo – di quanto possiamo comprendere, questi video sono perfetti. Non stiamo parlando di oggetti di grandi dimensioni, ma di sassi. Tunguska stessa fu provocata da un oggetto del diametro non superiore a qualche decina di metri. Capite che, a petto degli ordini di grandezza sui quali si giocano gli eventi cosmici, noi siamo veramente la polvere della polvere della polvere.
Per altro, io ricordo ancora come fosse ieri l’unico bolide che abbia mai visto in vita mia (ossia un meteorite particolarmente luminoso): era il 12 di agosto, notte di S. Lorenzo, ero all’inizio della mia adolescenza ed eravamo tutti al Tuscolo. E passò questa cosa straordinaria, che non solo sembrava enorme e luminosissima, ma lasciò anche una scia di fumo. Nel silenzio più assoluto. Una cosa da restare senza fiato.
Comunque. Come vi ho detto più volte, esistono programmi per il monitoraggio dei corpi minori del Sistema Solare, ossia tutti quegli oggetti che potrebbero finirci in testa. Ma eventi come quello di oggi sono pressoché imprevedibili, perché riguardano oggetti troppi piccoli, molto difficili da individuare. Ma che, come vedete, in certe condizioni possono fare ugualmente male. En passant, vi avviso che oggi ci sfiorerà proprio un asteroide (ma la cosa non è collegata alla pioggia di meteoriti di stamane): trattasi di 2012 DA 14 (il nome, al solito, indica la data di scoperta). È un oggetto del diametro stimato di un cinquantina di metri, e la cosa straordinaria è che ci farà davvero il pelo. Passerà infatti a circa 35000 km da noi. È cinque volte e mezzo il raggio terrestre, ma soprattutto è al di sotto della quota dei satelliti geostazionari, ossia il posto in cui si trovano quei satelliti artificiali che guardano sempre lo stesso pezzetto di Terra. Tale distanza è di 36000 km, e, per intenderci, lì stanno i satelliti che ci permettono di vedere la tv. Niente di cui preoccuparsi, comunque: le dimensioni dell’oggetto fanno sì che non ci sia alcuna probabilità di impatto. L’asteroide non sarà neppure visibile ad occhio nudo.
E insomma, giornata tra l’affascinante e lo spaventoso, per noi che ci si interessa di cose cosmiche. E anche per chi non lo fa, direi.

Addendum:
Mi è stato fatto notare da chi ne sa più di me (ossia una persona che lavora su queste cose) che oggetti come quello di stanotte possono essere individuati, ma sono tantissimi, e gli studi al riguardo sono relativamente recenti. Questo significa che ancora non li conosciamo tutti, e dunque può capitare che ne sfugga più di qualcuno. Ma stanno lavorando per noi :) .

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Same old story

Torno da Lucca, già mezza acciaccata, e scopro, prima qui nei commenti del blog, e poi da una serie di tweet allarmati, che l’apocalisse è vicina. L’ha detto il tiggì. Nello specifico, pare che un asteroide grande quanto il Texas stia per schiantarsi sulla Terra tra novembre e dicembre.
Ora, chiariamo subito una cosa: l’eventualità che un asteroide ci caschi in testa, prima o poi, esiste. È altresì possibile che se ne scopra uno pericoloso con poco preavviso, anche se al mondo è pieno così di progetti volti all’identificazione dei NEOs (Near Earth Objects = Oggetti Vicini alla Terra, leggi oggetti, tipicamente asteroidi, che potrebbero entrare in rotta di collisione col nostro pianeta), senza contare le schiere di astrofili che fanno lo screening del cielo tutte le notti. Ma, ripeto, la possibilità, per quanto remota, molto più remota di molti dei pericoli cui ci esponiamo quotidianamente nella nostra vita, c’è. Per cui, la mia reazione istintiva è stata quella di andare subito a controllare nell’unica fonte sicura di informazioni al riguardo: il sito della NASA dedicato ai NEOs.
Ecco, d’ora in avanti consiglio anche a voi di fare così ogni volta che chiunque spari che moriremo tutti investiti dall’asteroide fine ti monto: andate su questo sito e controllate la lista. Sono elencati tutti gli asteroidi conosciuti che hanno una possibilità di impatto con la Terra. Sono elencati il nome, il periodo del possibile impatto, quanti incontri ravvicinati ci saranno e, quel che più interessa a noi, la possibilità di tale impatto e il diametro dell’oggetto. In linea di massima, sono questi due parametri che danno la pericolosità dell’asteroide.
Piccola parentesi: la pericolosità di un asteroide viene di solito indicata da due scale, quella di Palermo e quella di Torino. Vediamo la seconda: gli oggetti vengono classificati in 11 diverse classi:
0 sono gli oggetti di cui non bisogna preoccuparsi, perché la probabilità di impatto è piccolissima o perché sono picoli loro;
1 sono oggetti appena più pericolosi, ma che in effetti non richiedono altro se non un calcolo più preciso dell’orbita, che tipicamente li fa declassare a classe 0. Non c’è bisogno di prendere misure precauzionali, né di allertare nessuno;
2-4 sono oggetti per i quali occorre avere un’attenzione maggiore, perché la probabilità di impatto inizia a salire all’1% o giù di lì. Si tratta inoltre di oggetti che potrebbero produrre danni consistenti a livello regionale, e, in caso il possibile impatto disti meno di una decina di anni, val la pena allertare il pubblico;
5-7 sono oggetti seriamente pericolosi, perché grandi e perché con alta probabilità (>1%) di impatto. In questo caso è necessario predisporre programmi di prevenzione, il governo dev’essere allertato e vanno prese contromisure serie;
8-10 questi sono quelli davvero, davvero pericolosi, perché il loro impatto è certo. Non si parla più di probabilità, ma di sicurezza, così come sicuri sono i danni, che vanno da catastrofi localizzate a effetti globali più o meno gravi.
Per facilitare la lettura del tutto, la tabella sul sito ha affibbiato dei colori a ogni numero della scala di Torino: 0 è bianco, 1 è verde, 2-4 è giallo, 5-7 è arancione, 8-10 è rosso. Questo significa che basta scorrere la lista, senza neppure stare a leggere, per sapere immediatamente se ci dobbiamo preoccupare o meno. Come è evidente a tutti, il massimo del pericolo è rappresentato da 2011AG5, che ha lo 0.2% di probabilità di impatto ed è grande un centinaio di metri. Subito dopo viene 2007VK184, con lo 0.057% di probabilità di impatto e dimensioni comparabili a quelle dell’oggetto precedente. Nessuno dei sue è il famigerato asteroide di cui si parla in giro. Il che ci dice immediatamente che il gionalista italiano medio chiamato a parlare di scienza ignora completamente l’esistenza di questo sito.
Il secondo passo della mia ricerca è stato quello di risalire alla notizia. Cercando “asteroide” su Google, almeno in una ricerca fatta lunedì sera, dava come primo risultato un certo DA14, che dovrebbe colpirci il 15 febbraio, suppongo per vendicarsi di chi ha festeggiato San Valentino in santa pace. Sempre andando sul sito della NASA, si trova un 2012DA14, che è un oggetto di 45 metri di diametro classificato 0, e tra l’altro i possibili impatti sono tutti previsti nel ventennio 2040-2060, per cui qui qualcuno ha preso lucciole per lanterne.
Oggi faccio di nuovo la ricerca e finalmente trovo la notizia: Studio Aperto, che, a livello di informazione scientifica, non è esattamente Nature, durante l’edizione del 7 novembre accenna proprio ad un asteriode “grande quanto il Texas” che avrebbe il 30% di possibilità di schiantarsi sulla terra tra novembre e dicembre di quest’anno. Ora, qualsiasi notizia di catastrofi che cadano a cavallo del 21 dicembre va presa con le molle, per via della bufala della predizione dei Maya, ma, siccome a volte la vita ha uno strano senso dell’umorismo, la data in sé non è una ragione per credere che la notizia sia una bufala. Ma ci sono altri elementi: si dice che la notizia è stata data da un “pentito della NASA”, un dipendente anonimo che non vuole mantenere la consegna del silenzio che l’Agenzia Spaziale Americana ha deciso di mantenere sulla vicenda per non causare il panico. E questo è un grande classico del complottismo: notare per altro come la scala di Torino preveda che dal livello 2 in su si debba avvisare il pubblico. Per dire. Infine, ultima chicca: l’asteroide si chiama Nubiru. E qui ogni credibilità va a farsi benedire. Perché Nibiru è il nome del fantomatico pianeta X che ogni tot anni, secondo una teoria completamente priva di qualsivoglia straccio di prova, e che dunque possiamo rubricare semplicemente a “fantasia paranoide”, entra in rotta di collisione con la Terra causando catastrofi a non finire. Quindi, qui qualcuno ha messo insieme un classico della leggenda metropolitana con la profezia Maya con gli allarmi immotivati sugli impatti di atseroidi che periodicamente i giornali a corto di notizie mandano in giro.
Sulla rete si dice che la notizia è stata data dalla CNN, chiamando dunque in causa un altro grande classico del complottismo, il principio di autorità. Non è esatto: quello linkato non è un articolo della CNN, ma un post di un blog ospitato dal sito della CNN: anche Repubblica ha una piattaforma di hosting per blog, su cui scrive certo gente tipo Odifreddi o la Lipperini, ma anche emeriti sconosciuti, soli responsabili di quel che scrivono. Dunque, non è la CNN che ha dato la notizia, ma un tizio su un blog. Quindi, ricapitolando:
il sito della NASA non indica nessun asteroide pericoloso nella sua pagina dedicata;
la CNN non ha mai dato una notizia circa un asteroide pericoloso che starebbe per venirci addosso;
un tizio ha detto che un tipo della NASA che, guarda un po’, non vuole essere nominato, ha detto a qualcuno che sta per caderci in testa un asteroide.
A questo punto, ognuno è libero di credere o meno alla voce di un tizio anonimo sul web, che per altro chiama in causa un altro tizio anonimo (“mio cugino mi ha detto che una volta lui è morto”…). Io preferisco la scienza :) .
Ultima nota: come dicevo all’inizio, il rischio di un impatto nel futuro esiste, ma ogni giorno ci esponiamo a rischi per peggiori per la nostra incolumità. Ci sono centinaia di altre cose che minacciano la nostra vita e la nostra salute, sia a livello di singole persone che in quanto comunità di persone. Gli asteroidi sono l’ultimo dei problemi. State tranquilli :)

P.S.
La regia mi dice che da oggi è in vendita I Regni di Nashira 2 – Le Spade dei Ribelli, per cui dateci sotto in libreria, su! :P
Per festeggiare l’evento, una bella foto con quelle che qualcuno ha definito su Twitter le mie figlie, sempre presa in quel di Lucca.

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Astrofisica e astrusità

Venerdì la notizia si è diffusa come il lampo tra noi ricercatori. Ce la passavamo sui social network, nel parlavamo durante la pausa caffè, e qualcuno, molto più bravo di me, ne ha poi parlato in modo chiaro e persino non astioso. Perché, credetemi, da incazzarsi c’era, e un sacco.
Sto parlando del promo della puntata di ieri sera di Report. Si parla di banche, si parla dei Monti dei Paschi di Siena. Dopo un cappelletto introduttivo, si passa a parlare anche dell’omonima Fondazione, che finanzia progetti di vario genere. Tra questi, alcune “astrusità”, come vengono definite dal commentatore con un tono ironico del tipo “guarda come buttano i soldi”. E la prima astrusità è lo studio delle popolazioni stellari di Omega Centauri. Che è sostanzialmente roba mia, nel senso che si tratta di un progetto di fisica stellare, e per altro io ho un’amica e collega che ha passato metà della sua vita lavorativa a studiare Omega Centauri, che, vi assicuro, è un oggetto particolarissimo (un ammasso globulare, ossia un insieme di qualche milione di stelle, di forma più o meno sferica, molto antico). Soldi stanziati, 20 000 euro. Lo speaker inserisce questo finanziamento tra gli altri sprechi, tra aragoste e amanti. Come fossero la stessa cosa. Come se studiare l’universo, la sua storia e la sua formazione fosse la stessa cosa che pagarsi una cena di lusso.
Ora, prima di continuare metto i puntini sulle i. In molti hanno scritto a Report per far presente lo scivolone, chiamiamolo così, e Report ha avuto il gusto e l’educazione di rispondere, e, in seguito, di tagliare il riferimento. Onore al merito. In una società in cui non si ammette di aver fatto una cazzata neppure sotto tortura (pensiamo all’infelicissima sparata di Grillo sulla mafia), è bello vedere qualcuno che emenda i propri errori. Il problema però è sintomatico. Report non è una qualsiasi altra trasmissione di intrattenimento. Report è un programma serio che ha fatto della propria precisione nei reportage la base per la sua autorevolezza, il marchio di fabbrica, diciamo. Ora, io l’ho beccato anche altre volte a dire cose non esattamente vere, piegando evidentemente i fatti all’interpretazione che si stava cercando di provare. Però c’è un abisso tra Report è moltissime altre trasmissioni di approfondimento giornalistico. Ecco, che proprio Report mi sia caduto su una cosa del genere significa che siamo davvero alla frutta: significa che la cultura scientifica in Italia sta esalando gli ultimi respiri, e che anche i più illuminati considerano la ricerca pippe mentali per sociopatici. Altrimenti non mi spiego la cosa.
Comunque, non ho visto il servizio ieri, indi per cui non ho idea se Report abbia semplicemente espunto il riferimento a Omega Centauri (che mi sembra la cosa più semplice e probabile), o abbia invece proprio spiegato perché quei 20 000 euro non solo non sono uno spreco, ma sono quel per cui la Fondazione è nata. Nel dubbio, ve lo spiego io.
Cosa sono quei 20 000 euro? Sono una borsa di studio per un dottorando o un ragazzo appena dottorato. Fatevi due conti: 20 000 euro bastano per un’anno di stipendio a circa 1000 euro lordi al mese. Servono al mero sostentamento di un ragazzo che fa il ricercatore. E vi assicuro che è il minimo indispensabile, soprattutto se questo ricercatore è magari anche un fuori sede. Per altro, la borsa di studio ha prodotto tre articoli su riviste scientifiche referate. Per chi non lo sapesse, nella ricerca la qualità di un lavoro si misura anche dal numero di articoli che produce, e dal numero di citazioni che quell’articolo riceve. Tre articoli sono una gran cosa. I 20 000 euro sono stati tutt’altro che buttati. Per inciso, la Fondazione ha questo scopo: finanziare progetti di rilevanza culturale, oltre ad attività di mera beneficenza. E direi che uno studio scientifico su uno degli oggetti più enigmatici del cielo, almeno se restiamo nell’ambito della fisica stellare, mi sembra coerente con questo obiettivo. Per altro, credo di aver usufruito anch’io di una borsa del genere; 6000 euro per sei mesi, per una breve collaborazione che ho avuto con l’Università di Pisa.
Ora, visto che ci siamo, perché Omega Centauri? Cos’è ve l’ho già detto. Ma Omega Centauri è un oggetto un po’ strano, per essere un ammasso globulare: è molto massiccio, e poi ha una cosa strana. Dentro ci sono varie “generazioni” di stelle (in termine tecnico popolazioni stellari), ossia stelle che si sono formate in epoche differenti. Questa è una cosa un po’ rara nel caso degli ammassi globulari, le cui stelle tipicamente si sono formate tutte nello stesso periodo e hanno più o meno tutte la stessa composizione chimica (ci sono eccezioni, ma questa è la regola). Questa e altre evidenze inducono a credere che Omega Centauri non sia un ammasso globulare, ma il nucleo di una galassia nana che ha perso tutte le stelle intorno. Stop. Cos’è una galassia nana: è una galassia, ossia un insieme di stelle, più piccola delle altre. Intorno alla nostra, la Via Lattea, ce ne sono svariate che le girano intorno, come satelliti. Girando, se sono molto vicine, perdono stelle per la strada per via dell’attrazione gravitazionale della nostra galassia. Ecco, forse ad Omega Centauri è successa una cosa del genere. Ora, poiché alcune teorie prevedono che le galassie nane siano i primi oggetti che si sono formati dopo il Big Bang, la grande esplosione che ha dato inizio alla formazione dell’universo, è interessante capire come si sono formate, che fine hanno fatto, come sono. Considerate anche che gli ammassi globulari, al contempo, sono oggetti molto antichi, che ci danno informazioni sulla composizione dell’universo primordiale. Voilà, ecco perché studiare Omega Centauri è tutt’altro che uno spreco.
Ora, possiamo stare a discutere del fatto che se i Monti dei Paschi di Siena è vicina alla bancarotta forse sarebbe meglio ridurre al minimo le spese. Io poi non sarei d’accordo, perché è proprio nei tempi di crisi che occorre spendere in ricerca e sviluppo, altrimenti vorrei capire come si fa ripartire l’economia. Comunque, sarebbe un discorso sensatissimo. Poi però nessuno si venga a lamentare della fuga dei cervelli, dell’Italia che non cresce e della ricerca trattata come la figlia della serva. Cosa che, se non erro, Report farà domenica prossima.

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