Come sa chi segue i miei tweet, sabato ho fatto una “cosa de curtura”. È passato così tanto tempo dall’ultima mostra/spettacolo teatrale/museo/monumento che ho visto che stento anche a ricordare di cosa si trattasse. Così, ho accolto la cosa con sommo sollievo. Ogni tanto ci vuole.
La cosa in questione è stata la visita ad un monumento romano un po’ misconosciuto, ma assolutamente meritevole di una visita; sotto la Basilica dei Santi Giovanni e Paolo al Celio si sviluppano le rovine di una serie di edifici romani di epoca imperiale. La particolarità del monumento sta nel fatto che si tratta di un posto chiuso. Cerco di spiegarvi cosa intendo.
Quando si visitano scavi archeologici romani, in genere si ha a che fare con rovine a cielo aperto, nel senso che delle case il più delle volte restano solo le planimetrie o poco più; i soffitti sono quasi sempre crollati, e lo sforzo d’immaginazione che occorre fare per figurarsi la casa com’era in origine è in genere non da poco. Questo succede per la maggior parte degli edifici anche di Pompei, che credo sia lo scavo meglio conservato del mondo (non meglio tutelato, purtroppo, come dimostrano fatti recenti…). Le case del Celio invece si trovano sotto terra, hai un tetto sulla testa, e, quando ci entri, semplicemente finisci in un’altra epoca, perché intorno a te hai sostanzialmente solo costruzioni di epoca romana (a parte le fondazioni della basilica). E questo, devo dire, fa una certa impressione. Tra l’altro, la visita che ho fatto io aveva la particolarità di essere accompagnata, oltre che dalle spiegazioni di un archeologo, anche dalla presenza di un attore che recitava brani di autori latini che in qualche modo erano connessi a quel che si vedeva, e questo ha ovviamente aumentato l’impressione di immergersi letteralmente in un altro mondo. Siamo abituati a considerare il passato come qualcosa di distante e per certi versi quasi alieno, come non fosse vero. Invece quella gente è esistita davvero, e la cosa più impressionante è che ci somigliava davvero parecchio. È una cosa che spesso sfugge, quando si studia la letteratura latina a scuola; l’ansia per la traduzione, quella patina da “roba che devo studiare” spesso impedisce di cogliere come l’umanità di 2000 anni fa somigliasse a noi. E la cosa non dovrebbe stupirci: un po’ perché la storia umana è il racconto di un eterno ritorno, in cui ogni generazione per certe cose riparte da zero, riscoprendo quando i suoi antenati avevano già capito, un po’ perché l’uomo è sempre l’uomo, c’è in noi un nucleo che non cambia con lo scorrere dei secoli. Così, la Roma imperiale era già una metropoli ingestibile, congestionata dal traffico, con la speculazione edilizia e la gente ammassata nei condomini dell’epoca, le insulae, non molto diverse da casa mia. Questa vicinanza in qualche modo ci commuove, e rende la storia qualcosa di palpitante, di vero.
L’altra cosa che mi ha colpita è questo privilegio che abbiamo noi italiani, e noi romani in particolare, cui non pensiamo mai: noi viviamo letteralmente sui resti di chi ci ha preceduto. Per noi la storia non è una cosa astratta che si studia sui libri, ma qualcosa di vivo e presente in ogni istante, persino per chi come me vive in periferia. Da bambina alcuni miei amici vivevano agli “Arcacci”, la zona della mia borgata più vicina al Raccordo Anulare, e così chiamata perché in mezzo alle case c’erano degli archi mezzi distrutti, i resti di un antico acquedotto romano. Mia zia, per contro, a Benevento ha un pezzo di mura longobarde dentro casa, sulla parete del salotto. Ecco, le nostre città sono tutte così.
Alla case romane del Celio si accede dal Clivio di Scauro, un meraviglioso vicoletto che è pressoché identico all’antica strada romana da cui nasce; sotto i sampietrini, c’è direttamente il basolato. E un pezzo di un vicolo adiacente si vede durante la visita stessa. Un pezzo di vicolo che ci appare identico a com’era all’epoca, come se con una macchina del tempo fosse possibile tornare indietro e vedere un pezzo della Roma di allora. Ma c’è di più. Uno dei muri della Basilica è in verità il muro dell’antica insula romana: si vedono ancora gli archi del porticato sotto il quale c’erano le botteghe e le finestre, ovviamente murate. Anche il muro di fronte è un muro romano riadattato. Di nuovo, smurando con l’immaginazione archi e finestre si è di fronte ad un panorama della Roma imperiale, sostanzialmente intatto.
E le case del Celio non sono l’unico “monumento a strati” di questa città: qualche chilometro più in là, sulla Via Labicana, c’è San Clemente, sopra chiesa barocca, in mezzo chiesa paleocristiana, sotto mitreo. Che a ben pensarci è una bella rappresentazione di come il cristianesimo s’è evoluto nei secoli, visto che ha svariate cose in comune col culto di Mitra.
Noi siamo così, frutto di quel che è venuto prima di noi, camminiamo sulla storia senza accorgercene, abbiamo cannibalizzato i nostri antenati (lo sapete, sì, che i marmi del Colosseo sono stati usati per le chiese della Città Eterna…) e viviamo letteralmente sui resti di chi ci ha preceduto. Nella zona in cui sorge casa mia, ad esempio, c’è una villa romana.
Io vi consiglio fortemente questa passeggiata serotina; l’ho trovata interessante, ma anche densa di così tante suggestioni…commovente e divertente, appassionante, direi. Perché per sapere davvero chi siamo, dobbiamo sapere anche da chi discendiamo. Per informazioni, qua.