Ed eccoci qui, a spolverare una vecchia tradizione che, mi rendo conto, avevo sospeso per qualche anno: il post del dopo-Lucca.
Non so bene perché quest’anno sì e i precedenti due no, ma già da ieri sera mi sentivo addosso la voglia di parlare di come è andato il mio Lucca Comics&Games 2019. Forse è perché mai come quest’anno ho rimbalzato come una trottola, facendo due miliardi di cose che mi hanno dato molte soddisfazioni. Forse è perché percepisco che Lucca è di nuovo a una svolta, e le cose che vedo dietro l’angolo non sono tutte belle. Forse perché, adesso che essere nerd è la nuova moda, occorre ribadire cosa è Lucca per molti di noi. Comunque, via alle danze.
Due le uniche cose che davvero mi sono spiaciute: non essere stata in grado di girarmi un po’ la fiera, causa errori tutti miei sulla gestione dei tempi e della stanchezza, e non aver ancora imparato, dopo sedici anni, che a Lucca ci devi andare con le calosce e l’impermeabile. Niente, continuo a buttare scarpe con le tomaie in disfacimento per la pioggia. Ma chissà, magari prima o poi imparerò.
Quest’anno, sono tornata al cosplay. In realtà ho sempre fatto almeno un giorno in armatura, e, nel 2017, pure un mezzo cosplay di Amy Pond. Ma quest’anno volevo, fortissimamente volevo fare cosplay, e l’ho fatto. Male, con roba accocchiata alla meno peggio, irriconoscibile, ma ho voluto farlo lo stesso. Ho ritrovato tutte le sensazioni di un tempo (se volete sapere estesamente quale, basta leggere qua); il piacere di sentirsi qualcun altro, la soddisfazione quando qualcuno ti fotografa, il sentirsi a casa tra i propri simili. Lo so che il cosplay è difficile da capire, per molti anche da tollerare, ma alla fine della fiera è tutto molto semplice: non dovete condividere, non dovete apprezzare o comprendere. Solo accettare che ognuno si diverte come preferisce, alcuni di noi così. Per inciso, ero Missy del Dr. Who era Capaldi.
Contemporaneamente, forse l’età adulta mi ha infine raggiunta, perché sabato sera, devastata di stanchezza, con l’armatura addosso e il mantello sempre più pesante per via della pioggia, i calzini zuppi e tutto il resto, ho pensato che non ce la potevo più fare, che forse quarant’anni sono troppi per viversi così le fiere. Ma poi passa un anno, torna il week end dei morti, io arrivo a Lucca ed è tutto un “Chewie, we’re home”, e allora forse devo solo accettare che è più faticoso e difficile, ma sempre bello.
Veniamo agli eventi, e alle persone, che poi sono sempre la cosa migliore. Non ho visto nulla che non mi riguardasse, tranne una luminosa eccezione che però voglio tenere per la fine, perché non ho avuto materialmente tempo. Giovedì sono uscita alle 8.40 e rientrata alle 23.30, andando in giro per tutto il tempo sui tacchi e in cosplay, collezionando in tutto tipo due ore di riposo. In queste condizioni, andare anche in giro per eventi era impossibile. Ma ho fatto cose che mi sono piaciute molto. Ho condiviso il palco e una giornata con Ilaria Palleschi, che è una grandissima artista e anche una gran bella persona, e che non finirò mai di ringraziare per aver dato corpo e consistenza a Zoe e Lu e al loro mondo (se non sapete di cosa sto parlando, qui trovate i miei due nuovi libri). Ho moderato un incontro col fior fiore della fantascienza mondiale e italiana, conoscendo persone fantastiche, e trovando anche il modo di divertirmi sul palco. Spero sia stato piacevole anche per voi e per i partecipanti al panel. Menzione d’onore per uno straordinario Bruce Sterling.
Ho avuto l’onore di dare voce alle fantasie dark di Guillermo del Toro e Cornelia Funke, presentando il loro splendido libro Il Labirinto del Fauno. Grazie mille a Cornelia Funke, che è stata davvero squisita a dedicarci il suo tempo in collegamento Skype, per altro in un momento complicatissimo per via degli incendi in California.
Ho incontrato i miei lettori, vecchi e nuovi, ho fatto la solita seduta di psicanalisi dal palco, raccontando me e le mie storie grazie all’interazione con Sandrone Dazieri, che ha dato inizio a tutto e continua a seguirmi in questo percorso, e che, niente, ormai mi sono finite le parole per ringraziarlo
. Ho infine parlato del fumetto che ho fatto per Comics&Science: è stato un panel che mi ha dato davvero tanto, anche perché sono riuscita a conoscere con grandissimo piacere Carmine Di Giandomenico, altro grande professionista e gran persona.
E poi, certo, ci sono stati gli amici, un sacco, coi quali, nonostante tutto, alla fine riusciamo sempre a ritagliarci un momento, una cena, a volte persino un incontro casuale, che mi permette di tirare il fiato, e sentirmi di nuovo a casa, anche nel marasma.
Parentesi Lucca in generale. Ormai, essere nerd non è più una roba di cui vergognarsi. Non lo è più da un bel po’, è una moda, e, come tutte le mode, molte persone che vi aderiscono prendono solo l’aspetto superficiale della cosa. Non mi scandalizzo per questo, non stigmatizzo nemmeno chi vuole sentirsi parte di questo mondo pur non conoscendolo a fondo. Tutti i fenomeni di costume partono in sordina, poi arriva il grande pubblico, e fatalmente cambiano. È tutto sommato anche giusto, soprattutto dopo che abbiamo passato anni a sentirci emarginati e a lamentarcene. Non ha senso star lì ora a spaccare il capello in quattro perché si truccano da Joker persone che non conoscono tutta la bibliografia di Batman. Lucca è diventato un festival della cultura popolare in senso lato; posso capire che qualcuno storca il naso, ma secondo me invece è una cosa positiva. È diventato un contenitore enorme, ma la mia impressione è che ci sia ancora posto per tutti, se lo vogliamo: per chi non sa nulla di fumetto, e vuole solo godersi l’esperienza, per l’impallinato che a breve verrà sfrattato di casa dai fumetti, per il cosplayer e l’amante delle graphic novel di nicchia. Secondo me, è giunto il momento di dimostrare che tutto quanto in cui abbiamo detto di credere fin qui non sono solo parole. Dobbiamo provare che quando diciamo che il mondo del fumetto, della cultura popolare in senso lato, è inclusivo non stiamo intendendo che è inclusivo per chi ci somiglia, ma lo è per chiunque voglia unirsi alla banda. Non è necessario condividere le passioni, serve solo saper stare di fianco a chi ne ha altre senza giudicare e senza volersi prendere tutto lo spazio.
Sono sedici anni che vado a Lucca, e, nonostante tutto, resta l’unica comunità cui sento di appartenere. L’ho detto molte volte, in questi giorni: ho difficoltà a sentirmi parte di qualcosa che esuli dalla mia famiglia e dai miei amici. Mi sento fuori luogo un po’ dappertutto, in tutti i circoli ai quali, in teoria, dovrei appartenere. Non mi sento come gli altri autori, fumettista non mi ci posso definire, scienziato non lo sono più, divulgatrice ho troppa poca esperienza…Il mondo di Lucca Comics&Games è l’unico cui sento di appartenere davvero, ed è così proprio perché è multiforme, cangiante, non ti vuole definire in nessun modo. Non saprei io stessa dire che comunità sia. Forse l’unica cosa che ci accomuna è il fruire di un immaginario, e percepirne tutta la potenza. Non lo stesso immaginario per tutti: per alcuni è il fumetto, per altri le serie tv, per altri ancora i film. Ma tutti percepiamo la forza che hanno avuto nelle nostre vite quei racconti, e vogliamo omaggiarli a modo nostro. Ecco, questo è il mio mondo. Vi prego, cerchiamo di non rovinarlo con settarismi vari, distinguo, o anche semplicemente comportamenti scemi. Ce la possiamo fare, ce l’abbiamo fatta fin qui.
Voglio chiudere con qualcosa che secondo me si inserisce perfettamente in questo discorso. È l’unico evento non legato al mio lavoro cui abbia assistito: Io Sono Cinzia, lo spettacolo teatrale tratto da Cinzia, il fumetto di Leo Ortolani cui io sono legata per innumerevoli ragioni che non sto qui a ripetervi. È stata in sostanza la prima cosa che ho fatto arrivata a Lucca, ed è stata forse la più intensa. Lo spettacolo, ve lo dico, secondo me è bellissimo: lo è perché è ben fatto, è divertente, appassionante, commovente, e recitato in modo straordinario. Lo è soprattutto perché è riuscito a cogliere lo spirito del fumetto, e trasporlo con un’adesione, una filologia, commoventi. Verso la fine dello spettacolo, d’improvviso su quel palco non ho più visto un attore che interpretava una transgender: ho visto una donna. Una donna vera, con un corpo diverso dal mio, ma non siamo tutti corpi differenti, varie declinazioni della stessa materia di base? E lei, Cinzia, era là, bellissima, come nel fumetto, in quelle pagine che mi avevano divertita fino alle lacrime e fino alle lacrime commossa, perché mi avevano spiegato cose persino su me stessa che non avevo mai saputo mettere in parole. Cinzia, il fumetto e lo spettacolo, non solo parlano di transessualità, di transgender, ma del nostro rapporto col corpo e la diversità. Per questo, è stato così bello vederlo messo in scena a Lucca. Perché Lucca per me è sempre stato questo: quei cinque giorni in cui il giudizio della gente viene sospeso, e tutti siamo solo ciò che siamo, nel profondo, al di là dei nostri corpi e di come appariamo.
Spero vada in tournée, perché merita di essere visto e condiviso, e sono stata così terribilmente contenta di essere stata là, quella sera, insieme agli amici, a vivere un’esperienza che a suo modo è stata unica.
Dunque, questa è stata la mia Lucca. Un atto d’amore lungo sedici anni. Al prossimo anno, con la pioggia, la stanchezza, ma anche gli amici, la soddisfazione, il piacere di essere là, ove tutto, per me, si allinea nel posto che gli spetta.