Quand’ero bambina parlavo con l’accento collese, l’accento misto campano-molisano che hanno al paese di mia madre. La gente capiva subito che non ero proprio di Roma. Ricordo due episodi: una volta, facevo le elementari, studiammo un po’ di poesie dialettali, tra cui una di Salvatore Di Giacomo. Dopo aver ridacchiato alla pronuncia non proprio perfetta della mia maestra, la fecero leggere a me e fu chiaro che non mi chiamavo Troisi di cognome per nulla. Alle medie, invece, la mia amatissima professoressa di matematica conduceva una battaglia senza speranza contro le mie “u” chiuse. Io dicevo “quoto” con u e o chiuse, e lei cercava disperatamente di farmelo dire con la pronuncia corretta. Io non ci riesco nemmeno oggi. Comunque, sebbene io adesso parli come Ruggero di Carlo Verdone, ogni tanto il dialetto torna a galla: quando mi arrabbio, ad esempio, o quando sono in compagnia di altri campani. In loro compagnia, trovo sempre il modo di tirare fuori le mie origini; un po’ di tempo fa, durante una piacevole e inaspettata telefonata, stavo per uscirmene con un “e poi anch’io sono campana, di origine!” che c’entrava un po’ come i cavoli a merenda.
Ecco, da sabato non sono più campana di origine. Sono campana per cittadinanza, anche se mi è stato fatto notare che più che altro sono Sannita, che non è proprio la stessa cosa. Non dimentichiamoci che i Sanniti riuscirono almeno una volta a fare il paiolo ai Romani, che a lungo ricordarono le Forche Caudine, quindi direi che l’orgoglio è ben riposto e di lontane origini. In effetti, sabato ho ricevuto la cittadinanza onoraria di Colle Sannita, il paese dove è nata mia madre e che conosco piuttosto bene, visto che fino ai 23 anni ci andavo tre volte l’anno almeno.
È difficile spiegare quanto questa cosa mi abbia fatto piacere. Innanzitutto, io sento fortemente le mie origini, e anche questo è piuttosto complicato da giustificare. In genere si è fieri di essere nati in una città come Roma, che indubbiamente è una delle più belle al mondo. Io sono molto più fiera di avere la famiglia campana, perché so che è lì che è cominciata la mia storia, che sarei una persona completamente diversa senza Colle, Benevento e Napoli. Lì sta il mio cuore, più o meno da sempre.
E poi è stato un cerchio che si chiudeva. Con gli anni Colle è diventato sempre più importante per me, e fatalmente è successo quando ho iniziato ad andarci meno spesso, perché mia nonna è morta e casa sua, ormai vuota, è diventata più o meno off-limits per ragioni che potrete intuire. Colle è il posto dove nevicava tutti gli inverni, e ogni volta che ci andavo a Natale speravo di vedere la neve, il posto dove per la prima volta, a sedici anni, alzando gli occhi al cielo notturno ho visto la Via Lattea, dove, un anno dopo, vidi in tutto il suo splendore la cometa Hale-Bopp, con la sua coda infinita, dove per la prima volta ho visto le lucciole, tante e tutte insieme, dove ho scritto Sindy e Mindy, il mio “romanzo” di 20 pagine che scrissi a otto anni. Ho avuto amori da quelle parti – nessuno concretizzato, ovviamente, in queste cose ero veramente una frana – mi sono divertita, annoiata, fatto cose che non avrei potuto fare da nessun’altra parte, ho vissuto.
Con la morte di mia nonna, le mie visite a Colle si sono diradate da tre l’anno a una ogni due anni. Mi dicevo di continuo che le cose dovevano cambiare, che dovevo trovare il modo di andare più spesso. Ma è difficile quando non hai una casa cui appoggiarti – o non hai più la forza di usare quella che hai – e il tuo legame più forte non c’è più. E questo è l’altro motivo per cui questa cosa mi ha non solo onorata, ma anche fatto enorme piacere: è un modo per approfondire questo legame, che sento forte dentro di me, ma che finora non sono riuscita ad onorare come volevo. So che quel che è stato non può tornare, che le lunghe passeggiate in bicicletta fino al lago, i pomeriggi passati a raccogliere more non potranno tornare, ma chissà, magari ci saranno altre cose, con Irene, cose che diverse e non meno belle. Spero la volontà basti. In tantissime cose della mia vita è bastata.
Vi lascio tre sole foto di sabato; Giuliano era il fotografo designato, ma ha dovuto badare tutto il tempo ad Irene, che era eccitatissima, e quindi non ha avuto modo. Forse qualcun’altra l’ha fatta mio padre, se sono carine magari nel corso della giornata le posto. Intanto, un grazie grandissimo a chi ha voluto farmi quest’onore e a tutte le persone che sono venute a festeggiarlo con me.