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Onde gravitazionali

Era più o meno metà settembre. Irene aveva da poco iniziato la scuola, e quella per noi era la gran novità del momento. Io pensavo a tutt’altro, insomma, quando una sera Giuliano mi disse che al suo gruppo di ricerca era arrivato un alert per la ricerca di possibili controparti ottiche di onde gravitazionali. Era una mail che veniva dall’America, e indicava una grossa porzione di cielo in cui cercare.
«Mi stai dicendo che abbiamo visto le onde gravitazionali? Dopo settant’anni è più che le cerchiamo?» chiesi io già con una certa accelerazione del battito cardiaco.
«Sembra di sì».
Per capire perché fossi emozionata, occorre fare un passo indietro. Di cento anni, per la precisione, a quel geniaccio di Einstein che, se c’è un aldilà, oggi sta brindando alla faccia nostra.
Tutti conoscete la forza di gravità, una delle forze fondamentali della natura. La forza di gravità agisce tra le masse, tutte le masse, e le fa attrarre. La sua forma matematica è stata elaborata da Newton, e credo la conosciate tutti.

gravità

Sostanzialmente significa che i corpi si attirano con forza maggiore tanto più grandi sono le masse coinvolte, e che questa forza decresce abbastanza rapidamente con la distanza.
La forza di gravità la sperimentiamo tutti i giorni: è quella che fa cadere gli oggetti, che ci tiene saldi a terra, che fa girare la Terra intorno al Sole.
Nel 1915, cercando di spiegare una serie di effetti sperimentali che non tornavano con le teorie, Einstein diede una descrizione più precisa della forza di gravità con la sua Teoria della Relatività Generale. La teoria della relatività dice sostanzialmente questo: lo spazio e il tempo sono un’entità unica, lo spazio-tempo, appunto. Le masse sono in grado di deformare lo spazio-tempo; per capire cosa vuol dire immaginiamo di vivere in uno spazio a due dimensioni, per comodità, un bel telo elastico. Se è ben teso, il telo è piatto e, per andare da A a B (vedi disegno a) la via più breve è una linea retta.

relatività

Se però metto tra A e B un peso, questo deforma il telo. Per andare da A a B rimanendo vincolati al telo la via più breve sarà una linea curva (disegno b). La stessa cosa succede nello spazio-tempo, solo che è impossibile da visualizzare facilmente, perché lo spazio-tempo ha quattro dimensioni, ma l’effetto è, sostanzialmente, lo stesso.
Ora, in linea di massima parrebbe che tanto l’interpretazione di Newton che quella di Einstein portino allo stesso risultato: nel caso del sistema solare, ad esempio, i pianeti girano intorno al Sole sia che la si veda come Einstein che come Newton. In realtà ci sono effetti osservativi che la relatività spiega, e Newton no. L’esempio più straordinario sono le lenti gravitazionali. Vi incollo qui sotto un esempio.

Cheshire Cat

Questo è il Cheshire Cat, lo Stregatto; quelle che vedete formare il contorno del volto e il sorriso del gatto sono lenti gravitazionali. Funzionano così: immaginiamo di avere un grosso oggetto tra noi e una stella lontana. Se consideriamo la legge di gravitazione universale di Newton, non dovremmo essere in grado di vedere la stella; i fotoni non hanno massa, quindi non risentono della forza di gravità. Secondo la relatività generale, invece, i fotoni si muovono comunque sullo spazio-tempo, e dunque sono costretti a seguirne la curvatura. L’effetto è che, nonostante la presenza del grosso oggetto, noi vediamo comunque la luce della stella: deformata, e ci sembrerà venire da un’altra direzione, ma la vedremo. La cosa è esemplificata da questo disegno.

lenti gravitazionali

Tornando allo Stregatto, sorriso e il profilo del volto sono galassie poste dietro un ammasso (gli occhi del gatto), che non dovremmo vedere; ma poiché lo spazio-tempo è curvato dall’ammasso, i fotoni “girano” e dunque le vediamo lo stesso. Einstein aveva previsto quest’effetto, che venne osservato per via sperimentale nel 1919, durante un’eclisse di Sole.
Fin qui, però, non s’è parlato di onde gravitazionali. Sono un’altra predizione della teoria della relatività generale. Un’onda, vabbè, lo sappiamo tutti cos’è: pensate al mare. Lì la superficie dell’acqua viene in qualche modo modificata, perturbata si dice, e questo movimento si propaga. Notate che le particelle non si spostano realmente: oscillano intorno a una posizione d’equilibrio. Le onde elettromagnetiche, tra le quali annoveriamo anche la luce, sono perturbazioni del campo elettromagnetico. Le onde gravitazionali sono dunque perturbazioni del campo gravitazionale. Si generano quando delle masse subiscono un’accelerazione, e il problema è che sono minuscole. Tecnicamente, se ne producono di continuo. Qualsiasi massa accelerata le produce, ma sono così minuscole che non siamo in grado di vederle. Possiamo captarle solo quando a produrle sono masse molto, molto grandi.
Ora, le onde gravitazionali le cercavamo da qualcosa come settant’anni. I primi rivelatori risalgono agli anni ’50, e nessuno ha mai visto niente. Ci sono antenne che stanno lì a cercare di captare qualcosa da decenni. Ogni tanto arriva un falso positivo; un terremoto ad esempio, perché, quando il segnale da rivelare è così piccolo, le sorgenti di rumore (ossia i segnali che disturbano la mia misura) sono veramente tantissime. Ma mai, mai era stato visto niente. Confesso, io pensavo non le avremmo mai trovate.
Ora, facciamo un salto avanti e fermiamoci al 2003. In questo anno entrano in azione due nuove antenne per la rivelazione di onde gravitazionali: LIGO, negli USA, e VIRGO, in Italia, a Cascina, vicino Pisa. Si tratta di due interferometri. Funzionano così:

LIGO

ci sono due lunghissimi fasci laser (4 km per LIGO, 3 km per Virgo). I due fasci sono perpendicolari, vengono riflessi, e infine ricombinati su un rivelatore. In questa situazione i due fasci interferiscono producendo una figura di interferenza nota. Immaginiamo che come in figura passi un’onda gravitazionale: a seconda della direzione, modificherà la lunghezza dei due bracci in modo diverso. Cambiando la lunghezza dei bracci, cambia anche la figura di diffrazione, e dalla sua modifica, grazie alle predizioni teoriche, saprò che è passata un’onda gravitazionale. I rivelatori sono due (in verità tre, perché LIGO è composto da due antenne distanti migliaia di km) per rendere più robusta la rivelazione (un segnale visto contemporaneamente, simile, in due antenne ha meno probabilità di essere un “falso positivo”) e per permette di identificare meglio in cielo la sorgente. Detto così, potrebbe sembrare semplice (spero :P ). Si tratta di misurare una differenza in lunghezza. Pari a 10^-18 m su 3 km; per chi non ha troppa dimestichezza con questo tipo di notazione, 10^-18 è uguale a 0,000000000000000001 metri. Su 3000 metri. Durante la già celebre conferenza stampa di oggi pomeriggio Catherine Nary-Man ha detto che è come voler misurare lo spessore di un capello sulla distanza tra la Terra e il Proxima Centaury. E, infatti, la storia della ricerca delle onde gravitazionali è stata fin qui soprattutto la storia di una sfida tecnologica, nel cercare di produrre strumenti sempre più precisi, sempre più accurati. Senza risultato.
Così, nel 2010 i tre rivelatori vengono spenti per aggiornarli in modo da renderli più precisi. Gli anni passano, e, finalmente, nel settembre del 2015, LIGO torna operativo. VIRGO, nel frattempo, è ancora spento. Il 14 settembre, alle 5:51 del mattino ora locale, all’improvviso le due antenne di LIGO rivelano qualcosa. Questo.

LIGO detection

Vi spiego un po’ il grafico. Hanford e Livingston sono le due antenne. In alto, vedete il segnale osservato. Si nota immediatamente che è pressoché identico tra le due antenne (nel grafico di destra le due curve sono anche state sovrapposte per farlo vedere). Al centro, c’è il segnale previsto dalla relatività generale. In basso, la differenza tra dato e previsione, nel quale si vede sostanzialmente solo il rumore della misura. Notate anche, al netto del rumore, quanto il segnale rivelato sia simile a quello previsto. In base alle previsioni teoriche, i ricercatori sono anche in grado di dire cosa ha generato l’onda captata: si tratta della coalescenza di due buchi neri. Un buco nero è un oggetto densissimo, per quanto ne sappiamo con densità infinita. Sono oggetti così densi che la loro forza di gravità è in grado di intrappolare persino la luce; per questo sono “neri”. Due buchi neri coalescenti sono due buchi neri che si girano intorno avvicinandosi sempre di più, fino a fondersi. Fino a quel 14 settembre, due buchi neri del genere sono un oggetto teorico, di cui non si hanno prove sperimentali dirette. Le caratteristiche dell’onda permettono di risalire alle masse: uno ha 36 volte la massa del Sole, l’altro 29 volte. L’oggetto finale nato da questo scontro mostruoso ha 62 volte la massa del Sole (sì, la massa finale è minore della somma, perché parte di questa massa si è persa in energia gravitazionale).
Questo, però, è solo l’inizio della storia. Iniziano le verifiche per essere sicuri che non sia un errore, e parte la macchina della collaborazione: il protocollo prevedere che si cerchi in cielo una controparte, ossia una nuova sorgente in una delle bande nelle quali studiamo l’Universo (ottico, il visibile, o alte energie, raggi X e gamma). Potrebbe essere lei ad aver generato l’onda gravitazionale. È a questo punto della storia che Giuliano mi fa il suo annuncio, e io percepisco chiaramente che siamo tutti sull’orlo di un momento storico.
C’è però un ma. La macchina che dalla rivelazione porta infine alla determinazione che sì, abbiamo visto le onde gravitazionali, è complessa, e coinvolge centinaia di persone (questo è l’articolo originale; contate il numero degli autori…e sono solo una parte delle persone coinvolte). Per questo, ogni tanto si testa l’efficacia del tutto. Nella collaborazione esistono tre persone che possono iniettare nell’antenna un falso segnale, per testare che tutto vada secondo i piani. Nessuno, a parte chi ha iniettato il segnale, sa che si tratta di un falso allarme. Lo dice solo alla fine, quando la collaborazione è sul punto di dare la notizia, altrimenti che esercitazione sarebbe…È già successo in passato, e la collaborazione era pronta per la conferenza stampa di annuncio. Per questa ragione c’è anche una regola, che vincola tutti i partecipanti al progetto: è un accordo di segretezza. In caso di rivelazione, nessuno può parlare prima della conferenza stampa pubblica.
Comunque, la macchina si mette in moto. Solo che il 24 settembre compare questo tweet.

Krauss tweet

Krauss non è l’ultimo arrivato, ed è anche noto al grande pubblico per un bel libro di divulgazione, La Fisica di Star Trek. Solo che il suo tweet significa che qualcuno ha parlato, contravvenendo alle regole (e rischiano anche di essere cacciato dalla collaborazione). Per mesi le indiscrezioni si rincorrono, in uno spettacolo assai poco edificante. E se fosse stata tutta una simulazione? O un errore? Ve li ricordate i neutrini superluminali del Gran Sasso? Lì era stato un errore.
E io intanto guardavo alla cosa dall’esterno; guardavo mio marito e i colleghi andare avanti col lavoro, vedevo la notizia farsi sempre più concreta…e me lo tenevo per me, ovvio :P .
Fino a ieri pomeriggio.
Ora, io sapevo cosa avrebbero detto. Perché era assurdo che facessero una conferenza stampa per dire “guardate che era un falso allarme”. Io lo sapevo, eppure, quando hanno annunciato di aver captato per la prima volta le onde gravitazionali, ebbene, il mio cuore ha fatto un salto, ho abbracciato Irene, chiamato mio padre e scritto a mio zio. Perché era un momento storico, era la fine di una ricerca lunghissima, e l’inizio di una nuova pagina per l’astrofisica. Sì, perché la cosa straordinaria non è tanto – o solo – che dopo settant’anni abbiamo visto le onde gravitazionali. Prove indirette della loro esistenza c’erano già. No, è che ora è possibile studiare l’Universo in una nuova banda, non più solamente la luce visibile (l’ottico) o le alte energie. In sintesi, non possiamo più misurare solo l’emissione elettromagnetica dei corpi celesti. Adesso possiamo misurare anche l’emissione gravitazionale, aprendo un campo completamente nuovo di indagine. E questo significa chissà quanti altri misteri da spiegare, quante altre scoperte che ci attendono. È un cambiamento di paradigma, e per questo è una scoperta da premio Nobel; cambia l’astrofisica per davvero e per sempre.
Io sono onorata di aver avuto la fortuna di assistere, e per di più abbastanza da vicino, a un momento del genere nella mia vita. Quasi sempre la storia ci passa di fianco sotto forma di guerra, tragedia, e sconvolge le nostre vite. È così bello, invece, quando è la conoscenza a toccarci, a farci capire innanzitutto che, sebbene a fronte del cosmo, della sua vastità nello spazio e nel tempo, siamo nulla, restiamo pur sempre, per quanto ne sappiamo, l’unica forma di vita in grado di capire l’Universo. È così bello sapere che, quando ci mettiamo assieme, siamo capaci di cose straordinarie. È così bello che per una volta – non l’unica, certo, per fortuna, ma a me così vicina per gusti e per sentire – sia la pace a scrivere la storia.
Io sono eccitata e contenta. Spero di avervi resi partecipi di questa storia che stiamo scrivendo in questa forma da più di 400 anni, da quel Galileo Galilei che è stato – a ragione – molto citato oggi, ma che viene in realtà da molto più lontano: dalla prima volta in cui abbiamo alzato gli occhi al cielo e ci siamo chiesti perché.

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Belle Addormentate spaziali

Era il 2004. Dieci anni fa. All’epoca la laura in fisica si conseguiva discutendo la tesi e una tesina che veniva scelta tra due che erano state preparate dal candidato, e che fossero di argomento diverso da quello della specializzazione. Se ti stavi laureando in astrofisica, la tesina non poteva parlare di astrofisica.
All’epoca, Giuliano era in Cile per la tesi di laurea. Visto che per tutta una serie di ragioni era costretto a laurearsi a luglio, un paio di settimane dopo il suo ritorno in Italia, io gli diedi una mano con una delle due tesine – che per altro poi neppure discusse, perché gli chiesero l’altra – mettendomi a reperire in giro il materiale che gli sarebbe servito per scriverla, e andando a parlare al posto suo coi professori, visto che lui stava dall’altra parte del mondo. La tesina verteva su Rosetta.
Passo indietro. Immagino più o meno tutti abbiate familiarità con la stele di Rosetta: si tratta di una stele, appunto, col medesimo testo – una specie di panegirico di un re in occasione dell’anniversario della sua incoronazione – in greco ed egiziano. La sua scoperta fu una tappa fondamentale della traduzione dei geroglifici.
La Rosetta di cui invece avrete sentito parlare questa settimana, e di cui parlava la tesina di Giuliano, è una sonda che è stata lanciata nel 2004. Si chiama così proprio dalla stele di Rosetta. Per quanto ci piaccia credere di sapere ormai più o meno tutto sull’universo, in realtà sono tantissime le cose che ancora non sappiamo, persino dei dintorni della Terra. Per esempio, non abbiamo completamente chiaro il rapporto tra asteroidi e comete. Ok, i primi sono oggetti preminentemente rocciosi, le seconde sono “palle di neve sporca”, secondo una definizione piuttosto diffusa. Ma una cometa può diventare asteroide, magari perché ha un nucleo roccioso che viene “scoperto” quando tutto lo strato ghiacciato superficiale viene sciolto? Inoltre, le comete e gli asteroidi sono quanto rimane della nube dalla quale si è formato il Sistema Solare, e quindi sono una specie di “fossili” astronomici che possono darci informazioni sulla composizione di questa nube primordiale, e dunque su come dalla nube si siano formati i pianeti. C’è poi la teoria della panspermia, secondo la quale addirittura le comete hanno portato la vita sulla Terra. La teoria è diventata famosa quando nel 2006 venne annunciato che nei detriti di una cometa raccolti dalla sonda Stardust erano state trovate molecole organiche. Insomma, le comete sono interessanti e nascondono ancora parecchi misteri. Rosetta, come la stele, si propone di decifrarli.
Rosetta, vi dicevo, è stata lanciata nel 2004. Ha compiuto un viaggio lunghissimo, che trovate illustrato in questo video.

La tesina di cui vi parlavo si concentrava proprio sulle caratteristiche meccaniche (nel senso della branca della fisica, la meccanica, appunto, che studia il moto dei corpi) del viaggio. Come vedete, più volte Rosetta sfrutta l’effetto fionda, ossia vola vicino ad un pianeta per sfruttarne la spinta gravitazionale e guadagnare velocità. Infatti, l’obiettivo di Rosetta è la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, che attualmente si trova dalle parti di Giove, e nessun razzo è in grado di spedire direttamente una sonda fin là. Durante il suo viaggio, non è stata con le mani in mano: ha misurato il campo magnetico di Marte, fatto foto di asteroidi, osservato la coda di detriti di un asteroide, confermando che non si trattava di una cometa. Poi, nel 2011, è stata spenta. Lo shut-down è stato fatto per preservare gli strumenti e le funzionalità della sonda fino al suo arrivo nei dintorni della cometa. Dopo circa tre anni, era previsto che Rosetta si svegliasse, e lo facesse da sola, senza comandi da Terra. Il risveglio è avvenuto proprio in questi giorni, nello specifico il 20 gennaio. Il risveglio era ovviamente un momento delicatissimo: per 31 mesi la sonda è stata spenta, e non ha neppure comunicato con la Terra, mentre si apprestava a raggiungere il suo obiettivo, che, ve lo ricordo, sta a quasi 800 milioni di chilometri dalla Terra (per un raffronto, la Luna dista circa 400 000 km). Le comunicazioni da parte di Rosetta al momento impiegano quasi 45 minuti per arrivare fino a noi. E insomma, se non si fosse accesa sarebbe stato un bel problema. Ma l’ha fatto. Il controllo a terra dell’ESA (European Space Agency, Rosetta è una sonda europea) si è messo in ascolto e il 20 Gennaio, alle ore 18.18 ora di Greenwich, a Terra è arrivato questo segnale qua

segno che la Bella Addormentata c’era risvegliata. Questa, invece, è stata la reazione degli scienziati coinvolti nel progetto

:P . Sono anni di lavoro che trovano compimento nel giro di pochi minuti. Io, per altro, mi commuovo sempre un po’ quando immagino che ci sono prodotti dell’intelletto umano in giro per lo spazio, così lontani da noi che noi non potremo mai raggiungerli, e che dimostrano che quando ci mettiamo di buzzo buono, quando usiamo il cervello per qualcosa di utile e creativo, siamo in grado di fare grandi cose.
Comunque. La storia di Rosetta è solo all’inizio. Una volta raggiunta la cometa 67/P-CG, Rosetta si metterà in orbita attorno ad essa. Piccola digressione: come vi dicevo, una cometa è un oggetto composto principalmente di ghiaccio e detriti. Gira intorno al Sole tipicamente con orbite molto eccentrice (ossia a forma di ellisse molto allungata); quando si trova vicino al Sole, il suo calore fa fondere lo strato di ghiaccio superficiale che, spazzato via del vento Solare (le particelle cariche emesse dal sole), forma la famosa coda. In verità di code ce ne sono due: una fatta di polvere, più pesante, l’altra di gas in stato di plasma, uno stato particolare della materia. Le code in genere sono separate, poiché quella di polvere si incurva nella direzione dell’orbita. Un’immagine vale più di mille parole: questa qua sotto è Hale-Bopp, una cometa meravigliosa che ho avuto modo di ammirare in tutto il suo splendore da ragazzina (e vi assicuro che era uno spettacolo mozzafiato, in condizioni di cielo particolarmente buio era enorme). La coda azzurra è quella di plasma, e si vedeva ad occhio nudo.


(http://siriusalgeria.net/HaleBopp.htm)

Ecco, per la prima volta Rosetta seguirà una cometa in tutte le sue fasi, per studiare come si comporta lungo l’orbita e per studiarne la struttura e la composizione. Inoltre, c’è di più: Rosetta ha un lander, ossia un robottino che si prevede atterrerà sulla cometa. Avete capito bene: un robottino tipo Spirit e Opportunity, che stanno su Marte, che atterrerà su una cometa. Che è una cosa che non ha mai fatto nessuno. Ora, atterrare su una cometa non è proprio una cosa facilissima. Saprete che noi possiamo camminare sula superficie della Terra perché c’è una forza, che si chiama forza di gravità, che ci tiene incollati al suolo. La forza di gravità è proporzionale alla massa: più è grande la massa, più è grande la forza. La massa della Terra è di 5 974 200 000 000 000 000 000 000 kg; quella della cometa 67/P-CG è stimata essere 3 140 000 000 000 kg. In soldoni, più o meno 1000 miliardi di volte più piccola. La forza di gravità sulla cometa 67/P-CG è insufficiente a tener fermo sulla sua superficie un robottino, che dovrà ancorarsi con una specie di arpione. È una cosa difficile, ma noi terremo tutti le dite incrociate perché riesca. In ogni caso, la missione Rosetta sarà un successo indipendentemente dal fatto che Philae – il lander si chiama così – riesca o meno ad ancorarsi alla cometa.
Insomma, per usare termini scientifici, io Rosetta la trovo una figata :P . Spero di aver convinto anche voi.

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Asteroidi e meteoriti

Alle sette di una qualsiasi mattina di inizio estate, anno domini 1908, il cielo si spacca in due, una luce fortissima avvolge ogni cosa e la foresta di Tunguska viene avvolta dal fuoco. L’esplosione è così violenta che a 600 km di distanza alcuni convogli della Transiberiana rischiano di deragliare. La luce è così forte che a Londra, dove è ancora notte inoltrata, si può leggere il giornale senza l’ausilio di alcuna luce artificiale.
È l’evento di Tunguska, come avrete già capito: quel mattino, un asteroide o una cometa, non è ben chiaro, entra in rotta di collisione con la Terra ed esplode ad una decina di chilometri d’altezza nell’atmosfera. Il risultato è questo, ad esempio


(fonte: http://www.webalice.it/maxba10/TUNGUSKA_1908.html)

È il più violento episodio di collisione che si conosca nella storia recente. Ma, a parte sdraiare migliaia e migliaia di alberi, non fece vittime né danni: avvenne in una zona disabitata.
Ora, a quando pare la Russia è molto amata dagli asteroidi in cerca di fine gloriosa, perché, stamattina, aprendo come di consueto Repubblica, mi imbatto in questi (guardare sulla colonna di snistra e cliccate i link). Si tratta di una serie di video assolutamente straordinari di una pioggia di meteoriti che si è verificata questa mattina ora locale sugli Urali. Nessuno degli oggetti ha raggiunto il suolo (tutti, a causa dell’attrito con l’atmosfera, si son scaldati e disintegrati prima di toccare il suolo), ma, nonostante l’evento si sia verificato in una zona fortunatamente poco popolata, si hanno notizie di feriti e danni. Sarò onesta: il mio cuore di astrofisico, lo ammetto, rimane senza parole davanti ad uno spettacolo del genere. Nonostante non ci sia ormai nulla di misterioso, a livello scientifico, circa eventi del genere, uno non può non rimanere scioccato davanti alla potenza di una natura che riesce a essere così devastante persino con quattro sassolini messi in croce. Poi, però, penso ai danni, ai feriti, allo shock di chi ha vissuto quest’esperienza, e i video mi incantano decisamente di meno.
Ecco, se uno volesse una prova di quanto l’universo sia più grande – in senso metafisico, se vogliamo – di quanto possiamo comprendere, questi video sono perfetti. Non stiamo parlando di oggetti di grandi dimensioni, ma di sassi. Tunguska stessa fu provocata da un oggetto del diametro non superiore a qualche decina di metri. Capite che, a petto degli ordini di grandezza sui quali si giocano gli eventi cosmici, noi siamo veramente la polvere della polvere della polvere.
Per altro, io ricordo ancora come fosse ieri l’unico bolide che abbia mai visto in vita mia (ossia un meteorite particolarmente luminoso): era il 12 di agosto, notte di S. Lorenzo, ero all’inizio della mia adolescenza ed eravamo tutti al Tuscolo. E passò questa cosa straordinaria, che non solo sembrava enorme e luminosissima, ma lasciò anche una scia di fumo. Nel silenzio più assoluto. Una cosa da restare senza fiato.
Comunque. Come vi ho detto più volte, esistono programmi per il monitoraggio dei corpi minori del Sistema Solare, ossia tutti quegli oggetti che potrebbero finirci in testa. Ma eventi come quello di oggi sono pressoché imprevedibili, perché riguardano oggetti troppi piccoli, molto difficili da individuare. Ma che, come vedete, in certe condizioni possono fare ugualmente male. En passant, vi avviso che oggi ci sfiorerà proprio un asteroide (ma la cosa non è collegata alla pioggia di meteoriti di stamane): trattasi di 2012 DA 14 (il nome, al solito, indica la data di scoperta). È un oggetto del diametro stimato di un cinquantina di metri, e la cosa straordinaria è che ci farà davvero il pelo. Passerà infatti a circa 35000 km da noi. È cinque volte e mezzo il raggio terrestre, ma soprattutto è al di sotto della quota dei satelliti geostazionari, ossia il posto in cui si trovano quei satelliti artificiali che guardano sempre lo stesso pezzetto di Terra. Tale distanza è di 36000 km, e, per intenderci, lì stanno i satelliti che ci permettono di vedere la tv. Niente di cui preoccuparsi, comunque: le dimensioni dell’oggetto fanno sì che non ci sia alcuna probabilità di impatto. L’asteroide non sarà neppure visibile ad occhio nudo.
E insomma, giornata tra l’affascinante e lo spaventoso, per noi che ci si interessa di cose cosmiche. E anche per chi non lo fa, direi.

Addendum:
Mi è stato fatto notare da chi ne sa più di me (ossia una persona che lavora su queste cose) che oggetti come quello di stanotte possono essere individuati, ma sono tantissimi, e gli studi al riguardo sono relativamente recenti. Questo significa che ancora non li conosciamo tutti, e dunque può capitare che ne sfugga più di qualcuno. Ma stanno lavorando per noi :) .

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Same old story

Torno da Lucca, già mezza acciaccata, e scopro, prima qui nei commenti del blog, e poi da una serie di tweet allarmati, che l’apocalisse è vicina. L’ha detto il tiggì. Nello specifico, pare che un asteroide grande quanto il Texas stia per schiantarsi sulla Terra tra novembre e dicembre.
Ora, chiariamo subito una cosa: l’eventualità che un asteroide ci caschi in testa, prima o poi, esiste. È altresì possibile che se ne scopra uno pericoloso con poco preavviso, anche se al mondo è pieno così di progetti volti all’identificazione dei NEOs (Near Earth Objects = Oggetti Vicini alla Terra, leggi oggetti, tipicamente asteroidi, che potrebbero entrare in rotta di collisione col nostro pianeta), senza contare le schiere di astrofili che fanno lo screening del cielo tutte le notti. Ma, ripeto, la possibilità, per quanto remota, molto più remota di molti dei pericoli cui ci esponiamo quotidianamente nella nostra vita, c’è. Per cui, la mia reazione istintiva è stata quella di andare subito a controllare nell’unica fonte sicura di informazioni al riguardo: il sito della NASA dedicato ai NEOs.
Ecco, d’ora in avanti consiglio anche a voi di fare così ogni volta che chiunque spari che moriremo tutti investiti dall’asteroide fine ti monto: andate su questo sito e controllate la lista. Sono elencati tutti gli asteroidi conosciuti che hanno una possibilità di impatto con la Terra. Sono elencati il nome, il periodo del possibile impatto, quanti incontri ravvicinati ci saranno e, quel che più interessa a noi, la possibilità di tale impatto e il diametro dell’oggetto. In linea di massima, sono questi due parametri che danno la pericolosità dell’asteroide.
Piccola parentesi: la pericolosità di un asteroide viene di solito indicata da due scale, quella di Palermo e quella di Torino. Vediamo la seconda: gli oggetti vengono classificati in 11 diverse classi:
0 sono gli oggetti di cui non bisogna preoccuparsi, perché la probabilità di impatto è piccolissima o perché sono picoli loro;
1 sono oggetti appena più pericolosi, ma che in effetti non richiedono altro se non un calcolo più preciso dell’orbita, che tipicamente li fa declassare a classe 0. Non c’è bisogno di prendere misure precauzionali, né di allertare nessuno;
2-4 sono oggetti per i quali occorre avere un’attenzione maggiore, perché la probabilità di impatto inizia a salire all’1% o giù di lì. Si tratta inoltre di oggetti che potrebbero produrre danni consistenti a livello regionale, e, in caso il possibile impatto disti meno di una decina di anni, val la pena allertare il pubblico;
5-7 sono oggetti seriamente pericolosi, perché grandi e perché con alta probabilità (>1%) di impatto. In questo caso è necessario predisporre programmi di prevenzione, il governo dev’essere allertato e vanno prese contromisure serie;
8-10 questi sono quelli davvero, davvero pericolosi, perché il loro impatto è certo. Non si parla più di probabilità, ma di sicurezza, così come sicuri sono i danni, che vanno da catastrofi localizzate a effetti globali più o meno gravi.
Per facilitare la lettura del tutto, la tabella sul sito ha affibbiato dei colori a ogni numero della scala di Torino: 0 è bianco, 1 è verde, 2-4 è giallo, 5-7 è arancione, 8-10 è rosso. Questo significa che basta scorrere la lista, senza neppure stare a leggere, per sapere immediatamente se ci dobbiamo preoccupare o meno. Come è evidente a tutti, il massimo del pericolo è rappresentato da 2011AG5, che ha lo 0.2% di probabilità di impatto ed è grande un centinaio di metri. Subito dopo viene 2007VK184, con lo 0.057% di probabilità di impatto e dimensioni comparabili a quelle dell’oggetto precedente. Nessuno dei sue è il famigerato asteroide di cui si parla in giro. Il che ci dice immediatamente che il gionalista italiano medio chiamato a parlare di scienza ignora completamente l’esistenza di questo sito.
Il secondo passo della mia ricerca è stato quello di risalire alla notizia. Cercando “asteroide” su Google, almeno in una ricerca fatta lunedì sera, dava come primo risultato un certo DA14, che dovrebbe colpirci il 15 febbraio, suppongo per vendicarsi di chi ha festeggiato San Valentino in santa pace. Sempre andando sul sito della NASA, si trova un 2012DA14, che è un oggetto di 45 metri di diametro classificato 0, e tra l’altro i possibili impatti sono tutti previsti nel ventennio 2040-2060, per cui qui qualcuno ha preso lucciole per lanterne.
Oggi faccio di nuovo la ricerca e finalmente trovo la notizia: Studio Aperto, che, a livello di informazione scientifica, non è esattamente Nature, durante l’edizione del 7 novembre accenna proprio ad un asteriode “grande quanto il Texas” che avrebbe il 30% di possibilità di schiantarsi sulla terra tra novembre e dicembre di quest’anno. Ora, qualsiasi notizia di catastrofi che cadano a cavallo del 21 dicembre va presa con le molle, per via della bufala della predizione dei Maya, ma, siccome a volte la vita ha uno strano senso dell’umorismo, la data in sé non è una ragione per credere che la notizia sia una bufala. Ma ci sono altri elementi: si dice che la notizia è stata data da un “pentito della NASA”, un dipendente anonimo che non vuole mantenere la consegna del silenzio che l’Agenzia Spaziale Americana ha deciso di mantenere sulla vicenda per non causare il panico. E questo è un grande classico del complottismo: notare per altro come la scala di Torino preveda che dal livello 2 in su si debba avvisare il pubblico. Per dire. Infine, ultima chicca: l’asteroide si chiama Nubiru. E qui ogni credibilità va a farsi benedire. Perché Nibiru è il nome del fantomatico pianeta X che ogni tot anni, secondo una teoria completamente priva di qualsivoglia straccio di prova, e che dunque possiamo rubricare semplicemente a “fantasia paranoide”, entra in rotta di collisione con la Terra causando catastrofi a non finire. Quindi, qui qualcuno ha messo insieme un classico della leggenda metropolitana con la profezia Maya con gli allarmi immotivati sugli impatti di atseroidi che periodicamente i giornali a corto di notizie mandano in giro.
Sulla rete si dice che la notizia è stata data dalla CNN, chiamando dunque in causa un altro grande classico del complottismo, il principio di autorità. Non è esatto: quello linkato non è un articolo della CNN, ma un post di un blog ospitato dal sito della CNN: anche Repubblica ha una piattaforma di hosting per blog, su cui scrive certo gente tipo Odifreddi o la Lipperini, ma anche emeriti sconosciuti, soli responsabili di quel che scrivono. Dunque, non è la CNN che ha dato la notizia, ma un tizio su un blog. Quindi, ricapitolando:
il sito della NASA non indica nessun asteroide pericoloso nella sua pagina dedicata;
la CNN non ha mai dato una notizia circa un asteroide pericoloso che starebbe per venirci addosso;
un tizio ha detto che un tipo della NASA che, guarda un po’, non vuole essere nominato, ha detto a qualcuno che sta per caderci in testa un asteroide.
A questo punto, ognuno è libero di credere o meno alla voce di un tizio anonimo sul web, che per altro chiama in causa un altro tizio anonimo (“mio cugino mi ha detto che una volta lui è morto”…). Io preferisco la scienza :) .
Ultima nota: come dicevo all’inizio, il rischio di un impatto nel futuro esiste, ma ogni giorno ci esponiamo a rischi per peggiori per la nostra incolumità. Ci sono centinaia di altre cose che minacciano la nostra vita e la nostra salute, sia a livello di singole persone che in quanto comunità di persone. Gli asteroidi sono l’ultimo dei problemi. State tranquilli :)

P.S.
La regia mi dice che da oggi è in vendita I Regni di Nashira 2 – Le Spade dei Ribelli, per cui dateci sotto in libreria, su! :P
Per festeggiare l’evento, una bella foto con quelle che qualcuno ha definito su Twitter le mie figlie, sempre presa in quel di Lucca.

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Povera scienza

Ho cercato di informarmi un po’ su questa storia della condanna dei membri della Commissione Grandi Rischi per il terremoto de L’Aquila. A parte che, per inciso, vorrei capire perché, per capire qualcosa di attualità, il cittadino deve sempre farsi ricerche da tesi di laurea. Se non inizi a seguire una notizia coi primi articoli che ne parlano, poi capire di cosa si sta parlando diventa una missione impossibile. Tante volte mi è capitato di perdermi tra link e contro-link sui quotidiani online cercando di capire di cosa si sta parlando, da quali fatti sono originati i commenti successivi. Ecco, i fatti, i fatti non te li spiega mai davvero nessuno. In compenso, so cose ne pensano i capi di tutte le varie forze politiche. Utilissimo, direi. Comunque.
Non trovo la sentenza, per cui non posso dire di poter parlare con reale cognizione di causa, ma mi pare di aver capito – mi pare, sottolineo – che la condanna non sia stata originata dalla incapacità della Commissione di prevedere il terremoto. In effetti la sentenza, almeno negli stralci che ho trovato, dice esplicitamente che i terremoti non si possono prevedere, è un fatto assodato. Piuttosto, la condanna deriva dal fatto che, a fronte di una sostanziale incapacità della scienza a fornire dati che permettessero di rassicurare la popolazione, la Commissione si è affrettata a dire che non c’era di che preoccuparsi, che la gente poteva stare tranquilla. E se è così, mi spiace, ma è stata commessa una leggerezza.
La cosa che però mi preme è in realtà collaterale alla sentenza. Per l’ennesima volta noto che il grande pubblico non sa cosa sia la scienza. Viviamo circondati di scienza, o dei suoi prodotti, ma continuiamo o a non crederle o a crederle troppo. Da un lato, prolificano complottismi di ogni genere, e quest’idea che esista una “scienza ufficiale” prona ai “poteri forti” che soffoca le voci “altre”, invariabilmente portatrici della verità. Si, sto parlando di Giuliani, ad esempio, ma il discorso vale anche per il complottismo sui vaccini, o sulle cure per il cancro. E dunque, della scienza non ci si fida. Dall’altra, c’è una fiducia cieca, totale, nella capacità della scienza di prevedere tutto, che è antiscientifica anche lei. La scienza non è tanto un corpus unico di conoscenze: è un metodo che, allo stato attuale delle cose, si è dimostrato efficacissimo per cercare di apprendere come funziona la natura. La scienza è il sistema per discernere, nella descrizione dell’universo, le teorie “giuste” da quelle “sbagliate”, dove giusto e sbagliato non hanno un senso assoluto, ma relativo alle conoscenze attuali e agli strumenti di indagine in nostro possesso.
Ci sono cose che la scienza non può fare. Ma non significa per questo che la scienza non funzioni. Basta intendersi su quali risposte può dare, e con quale margine di certezza, soprattutto, e quali no. I terremoti non si possono prevedere. E non perché il metodo scientifico non funziona, anzi: è perché non abbiamo i dati sufficienti, non abbiamo i modelli, i parametri da considerare sono troppi, e via così. E la scienza funziona proprio perché è in grado di tracciare con precisione il proprio seminato, di dire “questo posso dirlo, questo no”. È frustrante, certo, soprattutto quando in gioco c’è la vita umana. Ma se tutti sapessimo come funziona, forse smetteremmo di non crederle quando le risposte ci sono, e note con un considerevole grado di certezza, o di chiederle cose impossibili.
Da ormai troppi anni passa l’idea che non saperne di scienza non ti qualifichi come ignorante: sei ignorante se non sai coniugare i verbi, se non sai chi è Dante, ma se non sai la basi della meccanica, se non sai la differenza tra onde sonore e elettromagnetiche non è un problema. Puoi anche vantartene, se vuoi. Ecco, non è così. Siamo dove siamo, a livello di sviluppo tecnologico, e possiamo sperare di costruire un mondo migliore solo se sappiamo come funziona la natura. Così come serve l’abc per essere cittadini a pieno titolo, servono la fisica, la biologia, le scienze. Spero che prima o poi qualcuno se ne renda conto, o tra qualche anno perderemo tutto quel che abbiamo conquistato in termini di tecnologia e comprensione dell’universo.

P.S.
Io e Rossella vi aspettiamo stasera, ore 18.00, a Roma, Libreria IBS di Via Nazionale :)

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Neutrini non più così veloci

E così sembra che i neutrini non vadano poi così veloci. La notizia, invece, s’è diffusa a velocità lampo ieri sera. Io l’ho scoperta di ritorno da una cena di lavoro, dove per lavoro intendo il mio secondo lavoro, l’astrofisico.
Devo dire la verità, io ci avevo sperato, e immagino ve lo ricordiate. Mi sono sempre chiesta come si è sentita la gente quando è stata presentata la teoria della relatività generale, come si è posta nei confronti del dualismo onda-particella, quando insomma la scienza ha preso una curva un po’ brusca. Questa dei neutrini superluminali sembrava perfetta, e vi vado a spiegare perché. Ora, il quadro della nostra comprensione della natura è lacunoso, nonostante possa sembrare il contrario al profano. Voglio dire, ok, abbiamo capito molte cose, ma ce ne sono tantissime altre che ancora non siamo in grado di spiegare o di inserire negli attuali quadri teorici. Ma si tratta di cose che al non addetto ai lavori non interessano particolarmente. Alcune cose – teorie delle stringhe, ad esempio – sono al di là anche delle mie conoscenze. Per dire, quando spiego che col mio lavoro di dottorato il mio gruppo ha trovato un valore per l’abbondanza (con abbondanza intendo proprio “quanto ce n’è”) dell’elio primordiale (ossia quello prodotto quando il nostro universo si è formato, col Big Bang) diverso da quello comunemente accettato, la gente mi guarda con quella faccia lì che dice chiaramente “e a noi?”. A volte me lo dicono direttamente, e io fatico non poco a spiegare che è una cosa interessante, che ha implicazioni sulla nostra comprensione di come si è formato l’universo.
Invece i neutrini erano una cosa semplice e accessibile alla comprensione di tutti. Dai tempi di Einstein ormai è assodato che nulla viaggia più veloce della luce, è roba che più o meno tutti sanno. Se ti vengo a dire che qualcosa non rispetta quest’assunto, tutti saltano sulla sedia, anche quello che la scienza non sa neppure dove sta di casa – e purtroppo ce ne sono molti… -. Poi, ok, forse non potrai apprezzare esattamente perché questo contraddica la relatività, o perché la velocità della luce è un limite invalicabile, ma a grandi linee capisci.
E invece no. Pare ci fosse un errore. Anzi due. Uno che tenderebbe a far sovrastimare la velocità dei neutrini, uno che la farebbe sottostimare. Forse i due effetti si annullano, ma più probabilmente no. Risposta finale: dobbiamo fare altre misurazioni.
È presto per tirare le somme su tutta questa storia, ma il dubbio che l’annuncio della presunta scoperta sia stato dato un po’ frettolosamente viene. Insomma, in tre anni di esperimenti non sei riuscito a trovare quello che poi ha scoperto in cinque mesi. Anch’io faccio molti errori stupidi, ma in genere me li fanno notare gli altri, se io non li vedo, oppure mi balzano agli occhi quando stacco per un po’ dal lavoro e lo riprendo in mano dopo qualche tempo. Comunque, non conosco i dettagli e non sta a me giudicare il lavoro altrui.
Di tutto il bailamme di questi mesi, al momento ci resta di sicuro una cosa importante: il pubblico ha avuto modo di vedere e sperimentare in diretta il funzionamento del metodo scientifico. Ha visto il processo magari tortuoso, ma sempre rigoroso, attraverso il quale la scienza raggiunge la sua verità, ha assistito a qualcosa che in genere avviene nel chiuso dei laboratori. E di questo la nostra società, sempre più prona alle pseudoscienze e ad una certa irrazionalità di fondo, aveva un gran bisogno. Il resto, chi vivrà vedrà. Io, confesso, un pochino sono delusa.

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