La Norvegia continua a tenere banco. Scusate, ma per me questo evento segna un punto di svolta imprescindibile: qualcosa, molto deve cambiare dopo quel che è successo a Oslo e Utoya. Comunque. Purtroppo ci sono chiari segni che invece c’è gente che non è disposta a mettersi in dubbio neppure di fronte all’evidenza dei fatti. Del resto, sono venti anni che ci dicono che la realtà non esiste, esistono solo le opinioni.
Oggi, su Il Giornale esce il seguente editoriale di Feltri. Saltate pure il commento sopra, leggete direttamente le parole di Feltri, che sono più significative di qualsiasi discorso.
Ora, è evidente che c’è una fetta dell’Italia che di fronte al terrorismo di destra si sente a disagio. Si tratta di imprinting, credo. Fin da piccoli gli hanno insegnato a reagire di fronte all’uomo nero, quando ne vedono uno bianco entrano in crisi. Notare prima di tutto che in generale i terrorismi di matrice islamica non sono mai frutto di pazzia: sono la diretta conseguenza di una “religione criminale”, l’Islam tutto. Se invece un ultranazionalista norvegese compie una strage, è un matto. E questo purtroppo vale sia per i giornali come quello di Sallusti che per quelli più seri, tipo Repubblica o Corriere della Sera. Comunque. Feltri fa il passettino oltre. Breivik è un pazzo, e vabbeh, ma non avrebbe potuto fare quel che ha fatto se non ci fosse stato un minimo di collaborazione da parte delle vittime. Lo spostamento di responsabilità è presto compiuto: Breivik è pazzo, dunque non è neppure del tutto responsabile delle sue azioni, mentre i savissimi ragazzini di Utoya, a causa presumibilmente dei valori malati che li hanno riuniti sull’isolotto, non sono stati capaci di reagire, tutti presi dal salvarsi la pelle piuttosto che cercare di compiere un gesto eroico e salvare gli altri. Testuali parole “è incredibile come, in determinate circostanze, ciascuno pensi solo a salvare se stesso, illudendosi di spuntarla, anziché adottare la teoria più vecchia (e più efficace) del mondo: l’unione fa la forza”.
Avete capito? Se Utoya è stata una mattanza è colpa dei giovani che sono “incapaci di reagire”, come da titolo. O tempora, o mores.
Ora, qui non si tratta più nemmeno di un patetico tentativo di sviare l’attenzione dai fatti, che ci dicono chiaro e tondo che Breivik ha idee politiche che non si discostano molto da quelle della Lega, almeno sui massimi sistemi, tanto è vero che nel suo documento programmatico si definisce affine al movimento. Qui è direttamente vilipendio di cadavere. Qui è mancanza assoluta di rispetto per le vittime e i sopravvissuti. È mancanza di vergogna, una virtù che al Giornale è sempre difettata, ma mai in modo così osceno, così diretto, così intollerabile.
Siccome le cose devono cambiare, occorre dire alto e chiaro che noi non siamo più disposti a berci in silenzio editoriali del genere alzando le spalle, come abbiamo fatto finora. Non si può più dire “che ti aspetti dal Giornale, che ti aspetti da Feltri”, non possiamo più girare pagina. Ci dobbiamo indignare. Dobbiamo recuperare il sano senso dell’indignazione, e dobbiamo dirla a chiare lettere. Alle parole d’odio, a ciascuna di esse, dobbiamo contrapporre le nostre: che chiamino le cose col loro nome, che non abbiano paura neppure di mettersi in dubbio, se necessario, perché il dubbio è l’unica cosa che ci salverà, alla fine. Ma che non abbiano neppure paura di dire la verità. E la verità è che le parole di oggi di Feltri sono uno sputo in faccia alle vittime, e un patetico tentativo di giustificare l’ingiustificabile.
Vergogna.
Vergogna.
Vergogna.