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GoT 8×05 o ci volevano altre quattro stagioni per fare bene tutto questo

Ultima volta che leggerete di Game of Thrones da queste parti; la prossima recensione sarà altrove :) , stay tuned.
Bon, penultimo episodio molto discusso di una stagione a sua volta controversa. Io dove mi pongo nello spettro che va da “ommioddio niente di tutto ciò ha senso” a “è tutto ovvio, siete voi che non capite, è un capolavoro”? Nel mezzo, as usual. Via col parere; al solito, SPOILER in ogni dove.
La critica principale all’episodio è: Daenerys non è così. Daenerys fa una cosa incomprensibile e out of character. Ecco, io non credo sia proprio così. La follia dei Targaryen è uno dei primi temi che vengono presentati nella serie, e tutti sono sempre un po’ intimoriti da Daenerys, che ha tre draghi e uno storico sulle malattie mentali non proprio immacolato. Di cose crudeli, per altro, ne ha fatte un bel po’ nella sua vita, ed è sempre stata in bilico tra la semplice inflessibilità e l’esercizio del potere un po’ fine a se stesso. Quindi, il suo “cambiamento” non viene fuori dal nulla, e anzi era stato ampiamente preannunciato, soprattutto in questa ultima stagione. Possiamo discutere che dar fuoco a una città che si è arresa, così, sia in effetti un gesto un po’ esagerato anche per una che col fuoco non ci va leggera, ma che dovesse finire così era abbastanza scontato. Sì, la liberatrice di schiavi e quel che volete, ma era sempre stato chiaro che a Daenerys interessava solo il trono. Tutto il resto era strumento, tutto il resto era ipocrisia di chi non voleva accettare che il castello si conquista sempre calpestando pile di cadaveri (Grifis in Berserk ce lo spiega molto chiaramente). Tutto bene, quindi? No, perché comunque lo svelamento della reale pasta di cui è fatta Daenerys l’ho trovato comunque meccanico e poco fluido. L’unico arco del personaggio che abbia un senso è quello della prima stagione: Dany passa da bambolina soggetta ai capricci del fratello prima e del marito poi a donna consapevole di sé e di ciò che vuole. Tutto chiaro, tutto anche bello. Poi, da lì in poi, il delirio. Daenerys vuole il trono, e ha anche gli strumenti per prenderselo, ma i draghi sono giovani, devono crescere, e allora è abbastanza evidente che gli sceneggiatori hanno il problema di farle fare cose nel frattempo. Quindi via di lunghissime pippe esistenziali sull’imparare a fare la regina, strazianti discussioni su come usare la forza, se usarla e quanto, rapimenti e passaggi nel fuoco. Tutto per cosa? Il personaggio non si è mosso di mezza virgola, narrativamente parlando, dalla fine della prima stagione. Anzi, adesso regredisce, e torna pischelletta con problemi d’affetto, un po’ quel che era all’inizio. Io capisco che creare uno sviluppo dei personaggi coerenti su otto stagioni, quando all’inizio non sai neppure quanto durerà la serie, sia pressoché impossibile. È il grande limite della narrativa seriale, che solo pochissimi prodotti sono riusciti a superare, e forse mai con reale successo. Dany è sempre stata un punto interrogativo, sospesa tra l’essere la salvatrice e le potenzialità per diventare una villain; questo l’ha depotenziata, l’ha resa più sfocata. E il risultato è che molti hanno visto questa svolta come qualcosa di incongruo. Invece, per me, è solo raccontato maluccio. Per motivi per lo più indipendenti dalla volontà degli autori, però.
Per il resto, che dire? Tutto molto bello visivamente. Alcune scene con Drogon sono straordinarie, da brividi, e anche se l’assedio rimane nel solco ormai immutabile della narrazione di queste cose, tracciato la bellezza di quasi venti anni fa da Peter Jackson (l’avete pensato anche voi, a momenti, di trovarvi a Minas Tirith?), è un bel guardare. Piccolo appunto: ho trovato sommamente ipocrita mostrare la guerra come qualcosa di terribile solo ora, quando serve a fini di sceneggiatura che lo spettatore non empatizzi più con Daenerys. Ce lo sottolineano con l’evidenziatore che è stronza: ricompaiono il sangue, il gore, a fiumi, grandi assenti delle ultime stagioni. Ci piazzano anche la mamma e la figlia per farci vedere che gran cattivona è diventata Daenerys. Ma, ragazzi, gli innocenti sono sempre morti, sempre, che a falcidiarli fossero i buoni o i cattivi. GoT è una storia di re e regine, e la gente comune è sempre expendable, non ce l’hanno mai fatta vedere che schiattava, se non, appunto, per sottolineare la cattiveria di certi personaggi. Ma il potere e il suo esercizio sono più complessi di così, la guerra è più complessa di così. E da un prodotto che tutti osannano per la sua profondità e il suo realismo, io un minimo di approfondimento al riguardo me lo aspetto. Invece no. Arya che cucina due tizi per darli da mangiare al loro padre è ok, perché quelli erano stronzi e meritavano la morte, Daenerys che dà fuoco a una città no, perché quelli sono tutti innocenti. Vabbè.
Ho apprezzato invece l’umanizzazione di Cersei e Jaime, che alla fine ti dispiace anche che schiattino, anche se ho trovato un po’ incongruo far fare a Cersei l’ennesima inversione a U, da donna disperata pronta a tutto a cretina che non capisco come poteva pensare di vincere la guerra. A tal proposito, bello che nella puntata precedente gli scorpioni fossero tipo l’arma definitiva e adesso Drogon improvvisamente sa scendere in picchiata, aggirare le navi e bruciarle da dietro. Altra soluzione di trama pigra e brutta vedersi.
Premio inutilità a Arya, che si fa da nord a sud per ammazzare finalmente qualcuno della sua lista, e, alla prima avvisaglia di casino, si gira e se ne va. La sua unica utilità è stata quella di permettere la realizzazione di una serie di pregevoli piani sequenza. Non mi dilungo sul duello tra i Clegane che confesso l’argomento non mi è mai interessato.
Detto questo, episodio bellissimo a vedersi, ma per il resto sulla media di stagione. Gli autori continuano a muoversi indecisi tra il fan service (Cersei e Jaime, che, per inciso, rende la storia d’amore di dieci minuti tra quest’ultimo e Brianne completamente inutile, oppure Sandor e Gregor) e la volontà di stupire a tutti i costi (la battaglia che si supponeva finale spostata al penultimo episodio, Daenerys che fa la pazza). Ci voleva più coraggio, più polso autoriale, e, soprattutto, più tempo. Compattare tutto in sei episodi infiniti è stato un errore. Un errore inevitabile, almeno dal punto di vista degli autori. Non è stata certo loro la decisione di chiudere così, non decidono loro né i tempi né le risorse per la realizzazione della serie. Forse, con i limiti che avevano, meglio non si poteva fare. E questo, ripeto, apre un’ampia pagina sui limiti di questo tipo di narrazione, che magari affronterò più avanti.
Resta l’ultima episodio. Le possibilità sono sostanzialmente due: Daenerys sbraca tutti e finisce con la tirannia che vince, Daenerys viene brasata da Jon, e qualcun altro si prenderà il trono. Che, per altro, credo non esista più, quindi boh. Vedremo lunedì prossimo :) .

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Il Padre di tutti i Pareri non Richiesti: recensione di GoT8x04

Vabbè, dai, un po’ ci ho preso gusto, per cui, fin quando ne avrò voglia, continuo: il padre di tutti i pareri non richiesti, la recensione della 8×04 di GoT :P .
Ovviamente, SPOILER.
Un po’ di tempo fa, non molto, pubblicai un parere su GoT che condividevo molto, questo qua. Commentai anche dicendo che ormai GoT era diventata una serie fantasy classica. Ecco, a neppure un mese di distanza, lo sviluppo successivo della serie mi fa fare inversione a U. Magari prima della fine cambierò idea ancora altre novanta volte :P .
Se mi conoscete un minimo, avrete capito che questa puntata ha dentro per me una pietra dello scandalo: la morte di Rhaegar. E siamo a due. Daenerys è stata sette stagioni con tre draghi pressoché inutilizzati, a parte qualche “dracarys” ben piazzato, e adesso, nel giro di cinque episodi, ne ha persi due. Prevedo che prima della fine, forse direttamente nel prossimo episodio, ci dirà addio pure Drogon.
Non che ci sia nulla di male, in linea di principio. È una guerra, ci sono delle perdite, ognuno si gioca le sue carte in modo da infliggere danni al nemico. Per Cersei, aver ragione dei draghi di Daenerys è questione di vita o di morte. Il problema è a che cosa siano serviti fin qui questi draghi. Già nella battaglia precedente, ne ho discusso qua, sono stati trattati dagli sceneggiatori come una specie di McGuffin di lusso, buono per scene d’impatto, ma che non influiscono mai realmente sulla trama, né hanno un senso tattico vero. Sono stati in volo per 70 minuti perché in realtà gli sceneggiatori non sapevano che farci.
La storia si ripete ora. I draghi di Daenerys, per come sono stati presentati, sono un po’ la bomba atomica di Westeros. Infatti, il dibattito intorno al loro uso è identico: sono un’arma terribile, da usare a scopo deterrente. Appena li abbiamo visti entrare in scena, alla fine della prima stagione, sapevamo che, quando fossero cresciuti, Daenerys li avrebbe usati con successo per prendere il trono. E questo è un problema. Quindi, gli sceneggiatori devono toglierli di mezzo, o è ovvio che Cersei non ha mezza possibilità di vincere, e chi vuole assistere a un massacro indiscriminato di cui si conosce già l’esito?
Qui però c’è un grosso problema di fondo. Non puoi introdurre qualcosa di così potente, e poi togliertelo dai piedi perché, ehi, ragazzi, è troppo forte, ci distrugge l’intreccio. Per altro senza che questo elemento di trama abbia mai fatto la differenza, se non una volta sola, più o meno. Tra l’altro, non è che Cersei stia dando prova di chissà quali fini doti strategiche che giustifichino la sua attuale posizione di predominanza su Daenerys. È solo che nell’altro schieramente non hanno una chiara strategia, hanno un’arma che non sanno come usare e in ultima analisi sono molto più interessati a combattersi tra loro che far le scarpe a lei. Per altro, come fa notare giustamente il Doc Manhattan, nella scena finale della puntata Cersei poteva scatenare gli arcieri e far secchi in un solo colpo Tyrion e Daenerys assieme a ciò che resta degli Immacolati, dando una svolta alla guerra. Invece no, meglio ammazzare Missandei così, a uffa.
Ma il problema è ancora più ampio di così. Gli sceneggiatori, a inizio serie, si sono trovati tra le mani un materiale di partenza sul quale non potevano intervenire: il mondo includeva in particolare alcuni elementi light fantasy, tra cui i White Walkers e i draghi. Ma quello che li interessava di più era l’intrigo. Il sense of wonder, l’epica, e tante altre caratteristiche fondative del fantasy giocano un ruolo nullo in GoT, che è più che altro un thriller politico. Rapidamente, questi elementi sono diventati un ingombro. I White Walkers imbattibili, i draghi potentissimi si sono dimostrati immediatamente pericolosi per lo sviluppo dell’intreccio. Non a caso Daenerys è stata tenuta ben lontana da Westeros così a lungo, e i White Walkers dietro il muro. Al momento della resa dei conti, quando la trama doveva per forza di cose convergere verso un finale, la necessità di aver ragione di questi elementi rapidamente e senza influire troppo sulla trama principale è diventata vitale. Ed ecco che assistiamo all’annichilimento dell’esercito dei morti con una coltellata ben piazzata e a draghi sterminati così, a caso.
GoT non è fantasy. A GoT il fantasy, anzi, fa pure un po’ schifo, coi suoi personaggi predestinati, la magia, il mistero, le creature fantastiche. Non è questo che ci interessa. E allora via. Ma, ripeto, allora non me li mettere proprio. Facciamo una cosa ambientata in un mondo a caso, senza draghi, senza streghe che partoriscono ombre e senza ‘sta roba qua. Funziona uguale. E io non mi faccio un fegato grosso così vedendo draghi massacrati come fossero cavalli.
Ve lo dico: se GoT è l’unico fantasy che seguite e amate, non vi piace il fantasy. Vi piace GoT. Che del fantasy è parente alla lontana. Non c’è niente di male, ma lasciateci soli coi nostri draghi, i nostri mondi incantati, e le nostre stupide magie.
Per il resto, che dire. La prima mezz’ora di puntata, a parte fan service piuttosto smaccato, non aggiunge niente. Scene di addio tirate oltre i limiti del sopportabile, gente che beve e fa battute argute, che potrebbe essere la tag line di serie. Lo diceva anche Tyrion quando era ancora un personaggio interessante: bevo e so cose.
Il resto è broccolo Jon che si dimostra uno Stark ad honorem, Cersei che fa Cersei e Jaime che dopo aver soddisfatto i fan va a grandi falcate verso il suo inevitabile destino. Le distanze non esistono più, gente va e viene da nord a sud come se ci fosse in mezzo il teletrasporto, l’impossibilità di capire quanto tempo stia passando è ormai endemica e segreti mortali ci mettono dieci minuti di screen time a diventare dominio pubblico.
L’arco di Daenerys non mi è chiarissimo: pare sia il jolly, che, a seconda dei casi, puoi giocarti come cattivo o come buono, senza però lineari ragioni di sviluppo psicologico, tranne che i Targaryen sono tutti un po’ matti, si sa.
GoT è imprevedibile, sì. Tanto che io comincio a sperare vinca Cersei, così passa il messaggio che il potere lo vuole e lo può mantenere solo chi è davvero stronzo. Sarebbe un sano e bello spot per l’anarchia. Ma non mi pare un’imprevedibilità che abbia le radici in ciò che è avvenuto prima. È che ci serve così, e allora cambiamo.
Resta al solito l’apparato ben realizzato, le interpretazioni, tutto ciò che GoT ha costruito fin qua e la curiosità di sapere come finisce. Alla fine gli stessi elementi che mi hanno trascinata senza troppo entusiasmo fin qua. Vedremo settimana prossima :) .

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La Madre di Tutte le Recensioni non Richieste: GoT 8×03

So che non dovrei. Non dopo anni passati a far la brava e cercare di non infilarmi in grosse polemiche. Ma niente, una vocina dentro di me mi spinge…spingitori di blogger inutili…e insomma, per amor di flame, La Madre delle Recensioni non Richieste: Game of Thrones 8×03.
Disclaimer: è la mia opinione, non supportata da particolari conoscenze tecniche che le diano un qualche valore, e ammetto che sono generalmente sempre un po’ prevenuta nei confronti di GoT, anche perché è tangenziale al genere che piace a me, nel senso che ci si avvicina quel tanto che basta a darmi false speranze, ma poi è tutt’altro. Quindi, i pochi che mi leggono non mi saltino al collo.
Ovviamente, SPOILER. TANTISSIMI SPOILER.
Allora, è un episodio polarizzante: o ti è piaciuto tantissimo, e hai gridato al capolavoro, o ti ha fatto schifo, e sei deluso. Il che, in linea di massima, segna già chiaramente l’importanza del prodotto. Solo le cose che lasciano un segno si amano o si odiano: tutte le altre, te le dimentichi contestualmente alla visione, e questa qui rimarrà, è indubbio.
Io però, nella scala, dove mi colloco? A metà, direi. Forse avevo eccessive aspettative, forse sono una persona dai gusti piuttosto dozzinali in ambito televisivo, forse il mio televisore non era semplicemente all’altezza, ma niente, a parte un paio di cose che dirò, mi ha davvero impressionata, o profondamente coinvolta, in The Long Night.
Sulla questione del buio, che tiene banco da quando la puntata è stata trasmessa, sorry, ma anch’io l’ho trovata poco riuscita: sì, capisco l’idea di rendere tutto oscuro, perché la notte è buia e piena di terrore, sì, lo spettatore non deve capire nulla, esattamente come i personaggi, e aspettarsi qualsiasi cosa da questo buio, tutto vero, tutto bello. Ma se io ho passato 60 minuti a cercare di ignorare quella voce che nel retro della testa mi sussurrava “ma adesso che sta succedendo? Ma quello lì chi è? Ma è schiattato Caio o è un altro?” forse l’immersione non ti è riuscita proprio al top. E non è solo questione di fotografia livida. È proprio come è girato l’assedio che fa sì che la confusione regni sovrana, anche quando ci si vede benissimo. Io capisco che una produzione televisiva non sarebbe mai stata in grado di girare una cosa del genere, con un tale contenuto di effetti speciali, con la luce del giorno, e vabbè, ma non fatecela passare per una raffinata scelta artistica. Avevate un problema, comprensibilissimo, e avete cercato di risolverlo come fanno tutti, anche questo comprensibilissimo, ma non vi è venuto proprio benissimo, ecco. Se poi, come sospetto, tutto sarebbe stato più chiaro sul tv ultimo modello, che dire, scusa se i miei soldi quest’anno me li sono spesi in altro e non nel cercare di riuscire a contare al buio i peli della barba di Jon con un televisore da mille mila euro. Che poi la puntata l’ho vista su Sky sul televisore di casa, ma non ti abbastava comunque (cit.).
Altro gran problema, le cose che succedono perché devono succedere. Forse Martin ha dei piani chiari per Melisandre, ma gli sceneggiatori no, e così la rossa con lifting incorporato diventa tout court un deus ex machina che ti svolta la trama quando necessario. Compare dal nulla, come dal nulla era comparsa per resuscitare Jon, fa solo lo stretto indispensabile: accende i falcetti dei Dothraki, nell’unica scena che mi abbia davvero dato i brividi, accende la trincea, tutte cose per la verità abbastanza inutili, e infine suggerisce il finale ad Arya, finale che solo io non avevo colto, perché in effetti ce lo sottolineano con l’evidenziatore – occhi azzurri, capito? AZZURRI – perché sono rimbambita. Certo, la giustificazione la possiamo trovare anche qua: è il Signore della Luce che agisce per vie imperscrutabili. Sempre però a favore di sceneggiatura, mi raccomando.
Stesso problema per i draghi, sia di Daenerys che del Night King. È un problema che chiunque faccia fantasy, e più ancora chi lo porta sullo schermo, conosce: come cacchio li usi i draghi in battaglia? Sono potenti, inceneriscono la gente in mezzo secondo, potenzialmente uccidono l’intreccio. E gli sceneggiatori lo sanno bene, visto che hanno fatto l’impossibile per toglierne uno a Daenerys la scorsa stagione e darlo al Night King. A un certo punto ho seriamente pensato che tutta questa battaglia sarebbe servita solo ad accoppare i draghi a Dany e così riequilibrare il prossimo scontro con Cersei. Per fortuna hanno preferito accopparle tutto l’esercito e via. Comunque. Oltre a questo, c’è la questione del combattimento: due formiche sul dorso di due cani come le fai combattere? Perché questo sono Jon e il Night King sui draghi. Sono problemi che capisco benissimo, con cui mi scontro di continuo anch’io. Ebbene, la soluzione è: usiamo i draghi per i dieci minuti finali e via. Nel frattempo, perdono tempo. Il Night King ci mette una vita ad arrivare a Winterfell, Jon e Daenerys passano la battaglia a girare in tondo in mezzo alla tempesta, senza capire cosa fare. Nessuno usa i draghi per niente se non quando costretto: tre fiatelle a inizio battaglia, poi arriva la nebbia e ciao. Diciamo che anche qua ci si poteva inventare qualcosa di più convincente.
Anche il passaggio dagli spazi aperti a quelli chiusi appare confuso e tutto sommato pretestuoso: d’improvviso, i nostri sono tutti stipati dentro, non è ben chiaro perché. Non a combattere. Girano per i corridoi in scene Jurassic Park like. Non è chiarissimo cosa sia successo nel frattempo.
Sorvolo sulle questioni circa le strategie scelte dai Nostri per l’assedio perché, tutto sommato, secondo me lasciano il tempo che trovano: finché fai succedere cose che mi piacciono e mi appassionano, io me ne frego della verosimiglianza. E quindi amen che i Dothraki siano utili quanto il due di bastoni con la briscola a spade, e che tu abbia deciso scientemente di ammazzarli tutti al minuto 1; la scena iniziale delle fiaccole che si spengono è potentissima, e mi ha dato i brividi, per cui sto.
Ma veniamo al vero problema, per me, un problema che, lo ammetto, nasce solo dalle aspettative sbagliate che ho sempre avuto su GoT.
Ricordo che quando lessi il prologo de Il Trono di Spade, in cui compaiono i White Walkers, mi esaltai: avevo trovato il fantasy definitivo. Erano poche pagine di una potenza straordinaria, che facevano appello a tutto quanto di oscuro, primordiale e incontrollabile c’è al mondo, e che comunicavano un senso di orrore supremo. L’inverno stava arrivando, e la sua notte infinita avrebbe portato con sé tutto ciò che temiamo: orrori senza volto che nessuno di noi sarebbe stato in grado di arrestare.
Ora, sono scema, ma non fino al punto di non aver capito, venti pagine dopo, che in realtà Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco non erano quello, bensì un romanzo basato soprattutto sulla costruzione di solidi personaggi e infinite beghe politiche intorno a questo maledetto trono. Un sottogenere che sapevo perfettamente non essere proprio my cup of tea. Infatti mollai la saga al primo libro, anche se Martin aveva provato a fregarmi mettendo in chiusura i draghi. Ma i White Walkers continuavano a essere evocati, e allora prima o poi sarebbero usciti fuori davvero. Così iniziai a seguire la serie televisiva.
Pensateci, i White Walkers sono una presenza costante. Non tanto in termini di screen time, quanto come pericolo evocato, immaginato, negato o temuto. Compaiono poco, in scene gelate e misteriose; fanno cose che non capiamo, sono terribili e oscuri. Ci spiegano poi anche come sono nati, ma questo non intacca l’aura di orrore che si portano dietro. Pensate al simbolo di pezzi di cadaveri che lasciano dietro di sé nella 8×01, all’orrore che quella scena genera. Molti ci dicono che è quello Il Nemico. Hanno costruito un intero muro per tenerli lontani, si favoleggia di queste infinite notti in cui faranno strage dei viventi, al loro confronto il trono sembra solo un gingillo, ed è su queso argomento che fa leva Jon per raccattare un esercito che lo aiuti a fermarli. Tutta la trama di Jon, al di là del classico viaggio dell’eroe, è basata sul difendere Westeros dai morti, e guadagnare autorevolezza sufficiente per riuscire a farlo.
Ecco, di sicuro sbagliavo, ma ammetterete che sbagliavo per una ragione a credere che la guerra contro di loro sarebbe stata importante.
Quando finalmente arriva il loro momento, tutto viene risolto in dieci minuti alla fine della precedente stagione e questi 80 minuti di assedio. L’orrore che viene dal nord, l’esercito che in alcun modo può essere sconfitto, il misterioso Night King, bastano ottanta minuti per levarseli dalle scatole. Quella che speravo sarebbe stata la Grande Guerra per il futuro di Westeros e non solo è un impiccio sul cammino verso il trono di Daenerys e Jon. E basta la lama di Arya. Sì, il pugnale di Bran e tutto quel che volete, la circolarità della trama, oddio tutto torna al principio, bravi, bene, 10+, ma basta il pugnale di Arya. Con un trucchetto anche abbastanza banale. Fuori da Winterfell manco si saranno accorti che è successo qualcosa. Se ne riparla, al massimo, al prossimo inverno.
Ora, io so che non poteva andare altrimenti. Quando l’inverno arriva alla penultima stagione, e ti mancano sei episodi alla fine, è ovvio che per gli scontri che durino più di un’ora e mezza non ci sarà spazio. La cosa è stata resa ancor più chiara dal fatto che questa battaglia fosse nella puntata tre di sei. Era persino giusto che andasse così. Ma io non posso fare a meno di restare delusa. Perché la trama ha alluso ad altro.
Guardate, mi sembra Lost all over again: anche lì sembrava che il mostro di fumo chissà cosa fosse, anche lì ti avevano tenuto attaccato al televisore con la promessa di cose mirabolanti. Poi bastava una fucilata di Kate, e per il resto, scusaci, sei tu che non hai capito Lost: l’isola è solo la scenografia, quel che conta sono i legami tra i personaggi. Vai col limbo sincretico.
Anche qui: scusa, Licia, ma sei tu che non hai capito niente. I White Walkers sono un nemico tra tanti, il boss di fine livello è Cersei, e, comunque, quel che conta sono i personaggi e i loro legami. E via Arya che tromba con Gendry, Sansa e Tyrion che, dai, ce n’è.
Mi spiace. Mi spiace tantissimo. Dalla lotta tra vivi e morti si potevano tirare fuori altri sette libri. Poteva venirne fuori un survival horror fantasy da sturbo. Ma non era questo che interessava a Martin, e men che meno agli sceneggiatori. E sono perfettamente nel loro diritto, ovvio. È una scelta poetica legittima, giusta. Ma mi spiace quando certe idee così potenti vengono buttate via. Non le usare, allora. Facciamo che oltre il muro ci sono i Wildlings e basta. Funziona lo stesso.
Per il resto, in tema di assedio e con un quarto del budget di GoT, ho trovato infinite volte più efficace e potente l’assedio di Parigi di Vikings, ultima cosa davvero bella vista in quella serie; teso come una spada, pieno di colpi di scena, e con tre parole in croce pure lui. E girato di giorno, per di più. Ma so di avere gusti rozzi, e GoT è un prodotto con ambizioni ben più alte di Vikings, e molto più raffinato negli esiti realizzativi. Quindi, probabilmente è sfuggito qualcosa a me.
Non sono rimasta neppure particolarmente colpita dalla colonna sonora, se non per l’ultimo brano, ma anche quello solo per la parte iniziale. Ho un debole per le musiche incongrue per certe scene. Ha sempre apprezzato Djawadi, la sua musica è sempre stata per nulla banale, e capace di aggiungere qualcosa alle scene. Ricordo l’esaltazione per i draghi che volano sul Mare Stretto, con quel tema tellurico, che ti parla di forze ancestrali, indomabili come i draghi di Daenerys. Ecco, anche lui ormai si è adeguato alla colonna sonora quadratica media di un fantasy. Temi tutto sommato dimenticabili, che ci siano o meno è tutto uguale. Peccato, perché erano una parte importante della bellezza di GoT.
Ma il vero problema, l’avrete capito dall’entità di questi deliri, è che in realtà a me questa puntata non ha coinvolto. È questo il punto focale di ogni cosa. Se mi avesse appassionata, se mi avesse tirata dentro il ritmo narrativo, tutti questi discorsi sarebbero stati inutili. Alla fine della fiera, per me, quando usufruisco di un qualsiasi prodotto di intrattenimento, questa è l’unica cosa che conta: hai sostituito la mia realtà con la tua per il tempo in cui ti ho visto/letto/sentito? Se sì, vale tutto. Altrimenti, troverò duemila difetti anche dove non ce ne sono.
Bon, è tutto. È davvero la madre di tutte le recensioni non richieste, sia perché è delirante, sia perché in verità tutte queste cose le avevo già dette sui social durante le discussioni di queste ore. Ma tant’è, sono logorroica e mi piace parlare :) .

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Game of Thrones

Finalmente, eccomi a parlare con un po’ di calma di Game of Thrones. Chi ha visto la mia intervista di martedì, già sa la versione breve del tutto. I tempi televisivi però non mi hanno permesso di approfondire il giudizio, che, ve lo anticipo, è un po’ più complesso.
È innegabile che Game of Thrones sia un prodotto che rasenta la perfezione. La fotografia è qualcosa di straordinario, per dire. Ottima la regia, solida e ben scritta la sceneggiatura. Sulle interpretazioni, abbiamo in realtà un po’ di alti e bassi, ma i bassi non sono poi così bassi e gli alti sono vette assolute. Tyrion è il mio personaggio preferito della saga – io ho letto solo il primo libro, dove per primo intendo in realtà i primi due dell’edizione italiana – evidentemente ho una predilezione per i nani :P (vedi alla voce Ido…), è Peter Dinklage è assolutamente straordinario, lui è Tyrion, anima e corpo. Già solo la sua voce mi ha dato i brividi la prima volta che l’ho sentita, e Sean Bean è Sean Bean, pure lui è un Ned perfetto. Bravissima anche Emilia Clarke, una Dany convincente, forte e fragile al tempo stesso, così come Harry Lloyd, un Viserys magistrale. Mi cascano un po’ invece Cersei (perché quella perenne aria da mal di pancia?) e soprattutto Jon Snow; spiace dirlo, ma Kit Harigton è tipo l’uomo meno espressivo della storia. Il casting, comunque, è in generale di alto livello, anche se Sansa è brava, ma poco bambolina di porcellana e Catelyn ha troppo l’aria da operaia. Menzione di merito alla sigla, una delle cose più belle viste di recente, e per la musica, fantastica, e per l’animazione, meravigliosa. Per altro l’idea di far vedere la mappa del mondo durante la sigla è veramente una genialata.
Tutto perfetto, quindi? M’è piaciuto un sacco e morta là? No. Perché, nonostante l’altissimo livello del tutto e la considerazione che evidentemente non si poteva trasporre A Song of Ice and Fire in modo migliore, la serie non mi ha appassionata davvero. In un paio di episodi mi sono trovata lì a sbadigliare, e comunque il grado di coinvolgimento che ho provato per i vari personaggi non è stato particolarmente elevato. Intendiamoci: mi è piaciuta, ma non mi ha entusiasmata. Il motivo è presto detto: non sono una grande estimatrice dei libri. Non è un caso che mi sia fermata a Game of Thrones e non abbia proseguito. Anche qui: riconosco il genio di Martin, la capacità di creare personaggi credibili, un mondo coerente, ma quel genere lì che fa lui non mi appassiona. L’impressione generale che ho avuto dalla lettura è stata di un’enorme digressione che non arrivava mai al punto. Uno legge il prologo oltre la Barriera e si esalta, pensando che a breve si scatenerà l’inferno. Invece no. Invece l’azione si sposta sugli intrighi intorno al Trono di Spade. Idem con patate per l’Inverno: “winter is coming” ma tutto sommato non arriva mai. Ora, io capisco che le pedine vadano disposte sul campo, e che ci voglia del tempo. I pezzi però, per i miei gusti, si muovo a lentezza straziante. Tutto molto bello, per carità, ma lento. Senza contare che Martin segue da vicino una decina o forse più di personaggi, alcuni dei quali, almeno fin dove sono arrivata io, possono risultare poco interessanti al lettore. Il risultato era che ogni tot pagine dovevo sopportare punti di vista ai quali ero pochissimo interessata. L’altra cosa che non mi piaceva particolarmente era il fatto che l’azione fosse relegata off screen: esempio classico, il primo scontro tra Rob e l’esercito dei Lannister. Ora, che nella serie televisiva la battaglia venga omessa lo posso anche capire: le scene di massa costano, quindi mi sembra ragionevole che per risparmiare le si salti. Ma nel libro francamente non capisco bene perché per una volta non possa vedere eserciti che si picchiano, tanto più che c’è un discreto climax intorno alla suddetta battaglia. Preciso, è probabilmente una questione di gusti personali, non sto parlando di difetti assoluti, ma di “difetti rispetto al mio gusto”, ecco.
Ora, la serie televisiva ricalca in modo incredibilmente fedele il libro di Martin, e dunque ai miei occhi soffre degli stessi problemi. Non succede granché, per dire, alla Barriera, e gli eventi sono diluiti su un lungo arco narrativo. Al contempo, snodi che erano trattati egregiamente nel libro nella serie sono un po’ poco riusciti: non è del tutto chiaro perché Dany si trasformi da vittima del fratello in regina consapevole e forte. Nel libro la cosa era evidente, qui sembra che il punto di svolta sia la scoperta di una nuova posizione del Kamasutra col marito.
Comunque. La bellezza della confezione alla fine la vince, e seguirò sicuramente anche la serie successiva. Però non è una di quelle cose per le quali il mio hype sia particolarmente alto. L’unica cosa positiva è che A Clash of Kings io non l’ho letto, quindi quanto meno la trama sarà nuova, per me.
Perfetto, è tutto. Adesso linciatemi pure :P

P.S.
In coda vi segnalo anche una simpatica intervista che ho fatto con la Testa e il Corpo di Chiara Gamberale, per il programma di Radio2 Io, Chiara e L’Oscuro. La trovate qua.

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