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Altre cose che non dovrei dire

Io non ho mai capito quelli che criticano le star che si lamentano della perdita della loro privacy. Quelli che ogni volta che un’attrice, un cantante fanno presente che non sempre hai voglia di sorridere alla folla plaudente, farti le foto con loro, avere a che fare coi paparazzi ogni minuto della tua giornata, subito partono con il consueto rosario di “eh, è la fama, hai voluto la bicicletta e mo’ pedali, però ti piacciono i soldi”. Sarò un’ingenua, ma ho sempre pensato che quando uno fa l’attore o il cantante abbia più che altro voglia di recitare e cantare, e che la fama sia una cosa che viene dopo, una specie di effetto collaterale. Con questo non voglio dire che non ci siano quelli per i quali la fama è l’obiettivo; ce ne sono, ma quelli magari non si lamentano di essere stati ripresi dai paparazzi mentre fanno gli sporcaccioni alle Maldive. È che quest’idea che il personaggio pubblico, poiché tale, deve incassare in silenzio e col sorriso sulle labbra ogni tipo di angheria mi sembra una concezione vagamente punitiva della fama: hai voluto essere famoso? E allora paghi con l’annullamento della vita privata. Ripeto, sono sicura che c’è un sacco di gente che vuole essere famosa e basta, ed è ben lieta di dare in pasto il proprio intimo alla folla. Ma c’è anche tanta gente che vorrebbe fare solo il proprio lavoro.
Mi viene in mente questa cosa riguardo agli scrittori e alla famosa querelle “gli scrittori devono accettare le critiche negative, anche quando sono stroncature”. Che, per carità, se ci fermassimo qui, se affermassimo solo questo, forse potrei quasi essere d’accordo. Solo che molti estendono il discorso in due direzioni: gli scrittori devono anche accettare gli insulti (“questo libro è una merda”, “è roba da minorati” e via così) e gli scrittori devono essere persone simpatiche che anche quando le insulti ti rispondono un sorriso e magari ti dicono anche “beh, sì, hai ragione, sono una merda, scusa che vado un attimo a scudisciarmi di là per espiare”.
Tempo fa, qualcuno scrisse a Neil Gaiman lamentandosi che Martin sul suo blog non dava alcuna informazione circa la prossima uscita de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco. Poneva poi delle domande sulle responsabilità che uno scrittore ha nei confronti dei lettori. La discussione è qui. Gaiman rispose con una frase che mi si è scolpita in testa: “Martin is not your bitch”, tradotto “Martin non è la tua puttana”.
Uno scrittore è una persona, e, in quanto tale, ha il diritto di essere scorbutico, insopportabile, stronzo, così come gentile, carino, amichevole. Ognuno ha il suo carattere, con quello nasce, e con quello si rapporta col mondo. Soprattutto, il carattere non dovrebbe influire sul godimento dei suoi libri da parte del pubblico, né dovrebbe servire a giustificazione di comportamenti del tipo “hai un brutto carattere, ergo ti insulto alla morte”.
Quando leggo un libro, cerco una storia, non cerco un amico. So che Salinger ci ha ingannati tutti, con quella storia del “Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l’autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira.” Purtroppo non funziona così. L’unica cosa che l’autore ti dà è una storia. Non una spalla su cui piangere, non un amico, non un juke box che sforni storie a tuo piacimento. La persona dell’autore, l’ho detto un miliardo di volte, non è allegata al libro, neppure quando ti fanno credere che sia così. Per esempio, io so che la Mondadori ha venduto le Cronache allegando la storia dell’astrofisica che scrive fantasy: ma la persona Licia non si riduce a questo stereotipo. La persona Licia non si riduce neppure a quel che scrivo sul blog, perché per ogni parola che vergo qui ce ne sono miliardi che mi tengo dentro. Ci sono cose importanti, brutte, gravi, belle che mi sono capitate in questi dieci anni da personaggio pubblico che qui non hanno mai trovato posto, e mai lo troveranno. E sono cose importanti, che fanno di me la persona che sono. Per dire. Io lascio trasparire di me solo quel che sento di poter condividere con la comunità dei lettori, perché so che la rete è una cosa bella, ma è anche pericolosa, e per non farsi male va saputa usare. E anche se vi sembra che non ci sia filtro tra il mio intimo e il web, penso duecento volte alle cose che scrivo in rete, fosse anche uno stupido Tweet.
Ma sto divagando. Voglio dire che lo scrittore, per il solo fatto di aver scritto un libro, non ha l’obbligo di essere come i lettori lo vogliono. Neppure i suoi libri hanno l’obbligo di seguire i dettami che i lettori gli impongono. Martin non ha l’obbligo di scrivere un tot di libri l’anno, G.L. D’Andrea non ha l’obbligo di mostrarsi in rete come la gente lo vuole. Quello tra un libro e un lettore che lo apprezza è un incontro casuale: uno scrittore scrive quel che sente, quel che ama, e questo è l’unico modo che ha di rispettare il suo lettore, l’unico obbligo, se vogliamo, cui deve sottostare, e il lettore per qualche ragione risuona con quel che lo scrittore ha scritto. Se questa risonanza non ha luogo, non è colpa di nessuno. Non ha senso prendersela con lo scrittore, né tanto meno con la sua persona. Non ha senso neppure prendersela con l’editore, o con il lettore. Non ha funzionato, punto.
Senza contare che io ho imparato tanto anche dai brutti libri, tanto è vero che mi sono fatta un punto di non fare mai recensioni negative. Preferisco spingere i bei libri, mi sembra più costruttivo. I brutti o cadranno da soli nel dimenticatoio, o comunque avranno un loro pubblico, e chi sono io per mettermi a questionare i gusti altrui?
Ma, soprattutto, ripeto, quando uno decide di scrivere non firma un patto col demonio nel quale c’è scritto: offrirai la tua persona in sacrificio al lettore. No, non è così. Uno scrittore scrive per condividere qualcosa, ed è sua discrezione cosa condividere. Si attende ovviamente le critiche negative, e in qualche modo le accetta. Di buono o di cattivo grado sono fatti suoi, e nessuno può accusarlo di non saperla prendere con sportività. Ma assolutamente non è tenuto a far buon viso a cattivo gioco quando lo si insulta. Mi spiace, per quanto vi abbia deluso, lo scrittore non è la vostra puttana.

P.S.
Visto che nel complesso ho come l’impressione che questo sia il mio post meno compreso di sempre – per colpa mia, eh? evidentemente non mi sono spiegata bene – vi spiego da cosa è nato. È presto detto: dalla lettera di questo (è un po’ vecchio, lo so, ma l’ho riletto di recente) e di questo.
Per il resto, non ho di che lamentarmi sulla mia privacy, e se mi incontrate per strada mi potete salutare, non mordo, qualcuno da queste parti credo possa anche testimoniarlo :P

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