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Sangue, dolore e morte

Al di là di qualsiasi cosa se ne pensi, questo intervento in Libia è organizzato coi piedi. Non esiste un comando centrale, e la coalizione non sa mettersi d’accordo su chi dovrebbe assumerlo: la Nato? l’ONU? Ognuno per sé?
Non c’è chiarezza d’intenti neppure sull’obiettivo degli attacchi. Far cadere Gheddafi? Mantenere la no fly zone?
Non si sa neppure cosa stiamo esattamente facendo noi italiani. Diamo le basi, e questa sembra l’unica certezza. Poi La Russa dice che non spariamo un colpo, ma i piloti non sono d’accordo.
La sparata migliore, però, è quella di La Russa di ieri sera: i nostri aerei non fanno vittime.
Siamo all’ipocrisia massima. Dopo la guerra umanitaria che porta la pace, siamo passati direttamente alla guerra che non fa vittime. E quindi i nostri caccia cosa stanno facendo? Sono necessari?
Dobbiamo raccontarcela giusta. Dobbiamo tornare a considerare la guerra per quello che è realmente: sangue, morte, dolore e disperazione. Lo è sempre. Da anni siamo abituati ad un’idea chirurgica e asettica della guerra che non esiste. Le bombe sganciate dagli aerei ci hanno liberato dal peso di doversi confrontare con le conseguenze delle nostre azioni.
Cominciò nel ’90, con la Guerra del Golfo. Ricordo ancora le immagini pulite, algide del missile che puntava il bersaglio, e poi lo disintegrava. Non si vedevano morti, membra sparse, sangue, niente. Da allora quella è diventata l’unica immagine della guerra che abbiamo in testa: un pilota che vola alto, che non vede mai negli occhi il suo nemico, e sgancia bombe che colpiscono gli edifici salvando miracolosamente le persone. Non è così. Non lo sarà mai. È per questo che invece io scrivo sempre di combattimento all’arma bianca. Perché quando hai una spada in mano non puoi fuggire lo sguardo del tuo nemico, non puoi distogliere lo sguardo dalla sua sofferenza, dal puzzo di morte e sangue del campo di battaglia, non puoi chiudere le orecchie alle grida di dolore. La guerra è questo. E a maggior ragione se si è a favore della guerra bisogna essere pienamente consapevoli di cosa provochino le bombe.
Siamo fortunati. Da sessantasei anni non c’è guerra in Italia. I nostri nonni, che videro la Seconda Guerra Mondiale, stanno morendo, e a breve non ci sarà nessuno che potrà raccontarci com’era quando le bombe cadevano, quando si combatteva casa per casa, e l’Italia era dilaniata in due. È una conquista, è una cosa positiva, certo. Ma dobbiamo guardarci dall’oblio. Perché pensare che ci siano guerre che non fanno vittime è il primo passo per ripetere gli errori del passato. Se non si pensa più che guerra è orrore, allora siamo pronti per ricominciare ad ucciderci l’un l’altro come ai bei tempi andati, per vedere di nuovo sangue e morte anche per le nostre vie.
Vale sempre il vecchio detto: la campana suona per te, sempre. Oggi è la Libia. E domani?

P.S.
Vi ricordo ancora di Autori per il Giappone. La notizia è scivolata in fondo ai quotidiani, ma in Giappone la gente ancora muore e la situazione a Fukushima rimane critica. Il fatto che non se parli non significa che la crisi è risolta, anzi. Per cui andatevi a leggere W e gli altri racconti, lasciate un commento se volete, e soprattutto donate a Save the Children.

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Guerra – Pace

Art 11 della Costituzione

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

Bel modo di festeggiare i 150 anni dell’unità d’Italia, con una bella guerra. Perché siamo in guerra, inutile starcela a menare.
Il potere dice: era necessario per salvare la popolazione civile dai bombardamenti di Gheddafi. Sarò tarda io, ma non ho mai capito come altre bombe possano salvare i civili. E ancora: qualcosa dovevamo pur fare. Se bisognava intervenire, occorreva farlo prima e con altri mezzi: con una forza di interposizione dell’ONU, ad esempio, che non si schierasse a favore dell’uno o dell’altro schieramento, ma che semplicemente separasse i contendenti, e magari imponesse elezioni e vigilasse su di esse.
Così semplicemente facciamo quel che è già stato fatto in Iraq: togliamo un dittatore che non ci sta più simpatico per metterci…chi? Chi ci mettiamo? Vedo profilarsi all’orizzonte quel che è già successo a Iraq e Afghanistan: il caos più totale, l’ingovernabilità, per altro ad un tiro di missile da noi.
Senza contare l’ipocrisia del tutto. Perché non andiamo a intervenire anche in Bahrain? Anche lì sparano sulla popolazione. La situazione è diversa. Perché?
E vi dico di più: io l’ho letto il trattato che sancisce i rapporti diplomatici tra Italia e Libia, e ha ragione Gheddafi, l’abbiamo violato. Ma Gheddafi è un dittatore sanguinario. E allora perché ieri gli abbiamo stretto la mano, l’abbiamo invitato da noi con la sua tenda e gli abbiamo offerto cinquecento fanciulle alle quali potesse delirare? Perché abbiamo stretto un accordo con lui?
Questa era la rivoluzione dei libici, espressione di una parte della sua popolazione, e come tale doveva continuare. I dittatori li abbattono i popoli che opprimono, è così che deve funzionare. Adesso è solo un’altra guerra che porterà altro sangue, altra confusione, altra instabilità.
Le immagini che vedo oggi in tv sono le stesse che vidi ventuno anni fa, quando ero ancora una bambina. Era il 1990 e c’era la Guerra del Golfo. Non è cambiato niente.

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Benché i giornali inizino già a dimenticarselo, il Giappone permane in una situazione di estrema prostrazione e di emergenza, e non solo per la questione Fukushima, ma soprattutto per il terremoto e lo tsunami. Io penso ancora a Tokyo, ci penso da dieci anni.
Lara Manni ha promosso questa iniziativa: si tratta di un blog che contiene al momento sessanta racconti scritti da professionisti e non. Alcuni sono stati redatti per l’occasione, e parlano in qualche modo del Giappone, altri no. Quel che vi chiediamo è di fare un’offerta a Save the Cildren, che in questo momento si sta occupando anche di Giappone. Donate quel che volete, anche pochissimo, ma, se potete, fatelo.
Due parole sul mio racconto. Non è stato scritto per l’occasione, ma è una cosa che avevo buttato giù nel 2007 per I Confini della Realtà. L’idea è ancora più vecchia. Mi venne in mente un giorno in aereo: stavo iniziando a sconfiggere la mia paura di volare, ma ancora non mi sentivo esattamente tranquilla a volare. Come sapete, nell’antologia poi ci finì Nulla Si Crea, Tutto Si Distrugge, e questo racconto qui finì nel cassetto. Mi è venuto in mente appena sono stata contattata per questa iniziativa. L’ho rimesso a posto sabato, ho riscritto alcune parti, ho completamente cambiato la scansione degli eventi e infine l’ho spedito. Non so se sia adeguato o meno all’occasione, visto che non parla né di Giappone né di terremoti, ma in qualche modo non ha mai smesso di parlarmi dal 2007, chiedendomi di essere messo a posto, e di essere letto. Mi appartiene molto, quando e se lo leggerete capirete perché.
Intanto, grazie a tutti.

Autori per il Giappone

P.S.
Non ce l’ho detto esplicitamente, ma ovviamente sono ben graditi i commenti sul racconto, eh? :)

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