Diciamo che un concetto che è si è inciso piuttosto profondamente in me è il valore del denaro. Vivaddio, sono una persona estremamente oculata nelle spese, magari pure un po’ troppo, ma prima di tirar fuori dei soldi per qualcosa mi faccio due miliardi di domande. Soprattutto quando si tratta di qualcosa di non strettamente utile per la sopravvivenza, categoria merceologica a me nota come “sfizi”. Sfizio è un lettore di MP3 – anche se è quello subacqueo che cercavo da una vita -, sfizio sono un paio di scarpe col tacco, sfizio è un vestito che mi piace. La cosa, ovviamente, prescinde completamente dal fatto che i soldi per lo sfizio, ovviamente ci siano. È a prescindere. E veniamo al punto.
Qualche tempo fa, per ragioni che al momento non riesco a ricostruire, mi son messa a cercare immagini di abbigliamento giapponese. Il fato ha voluto che lo facessi sul raccoglitore mondiale di sfizi: Etsy. Etsy non è un sito di ecommerce qualsiasi, Etsy c’ha roba intrinsecamente, ontologicamente sfiziosa. C’ho comprato degli inutilissimi, ma assolutamente meravigliosi, baciamano ricamati. E un paio di guantini di pizzo. E le tazze di Star Wars con le silouettes di Leia e scritto dietro “I love you” e di Han con la scritta “I know” – che sono irrinunciabili, ne converrete. E…vabbeh, avete capito. E quindi niente, ho trovato questi kimono vintage meravigliosi. Roba che non potevo dire di no. Ora, qualsiasi sfizio superi i venti euro richiede un elaborato rituale per concludere l’acquisto.
Si comincia con l’innamoramento dell’oggetto. Nello specifico, un haori. Poi si passa alla contemplazione: beh, è proprio figo.
Sì, ma costa più di venti euro.
Ok, ma non tanto.
Però non ne hai bisogno.
Vabbeh, che vuol dire…è bello.
Sì, ma dove te lo metti?
Ovunque.
Davvero ne hai il coraggio?
Ma davvero me lo stai chiedendo?
Ok, questa è scema, hai ragione. Ma comunque son più di venti euro.
Dannazione…
Seguono lunghi giorni di contemplazione estatica del prodotto. Se l’ossessione è particolarmente intensa, inizio anche a sognarmelo. Sicché, si giunge all’ultimo atto. L’assoluzione.
Non posso, non posso! comprare una cosa per – signore aiutami a dirlo… – il mio puro piacere senza aver ricevuto una preventiva assoluzione per il mio peccato. Assoluzione che consiste nell’assenso delle due figure di riferimento della mia vita: il marito, e la mamma. Irene si aggiungerò di sicuro appena avrà raggiunto l’età della ragione.
Ora, capitemi. Mio marito traffica in retrocomputing; gli ho messo un freno sul budget, altrimenti avrebbe dato via le mutande per un Apple II. Per sua ammissione, s’è sempre tenuto lontano da Magic perché aveva paura di vendersi la mamma per una carta rara. Tipo gli ex-alcolizzati che non bevono per non cadere in tentazione. Quale può essere il suo commento al mio dramma esistenziale “lo prendo/non lo prendo”?.
«Ma sì, che te frega».
E una è andata.
Poi si passa al consiglio della mamma. Che deve ovviamente approvare anche foggia e caratteristiche del prodotto, sennò non vale. Mia madre, che assieme al babbo mi ha inculcato quest’etica del danaro, ovviamente non mi liquida con frasi lapidarie. In genere però capitola abbastanza rapidamente. Anche perché non salgo mai sopra i cento euro. Ma proprio mai. In genere la reazione finale è un bonario “ma prenditelo e non rompere!”.
Com’è andata a finire con l’haori, lo potete vedere qua sotto.

Il dramma è che adesso aspetto l’arrivo di uno yukata dal Giappone. E un obi. Sennò con cosa lo chiudo lo yukata. Ma lo posso riutilizzare anche sull’haori, eh? I colori ci stanno. Lo userò un sacco, giuro! Mi assolvete anche voi?