Come succeda coi figli, non lo so ancora esattamente. Ho vissuto la cosa dall’altra parte della barricata, ma guardare la velocità spaventosa con la quale crescono, con la quale passano dall’essere bisognosi di tutto a farsi la prima chiacchierata via telefono con un’amica, credo di aver capito un po’ come funziona. Ad un certo punto, semplicemente, ti devi arrendere. Hai fatto quel che potevi, e i tuoi figli ormai sono grandi. Non hanno più bisogno di te che gli fai da scudo contro il mondo, e sono pronti per andarsene in giro da soli, per essere adulti davvero. E non puoi chiuderli dentro casa, e far finta che sia tutto come quando gli cambiavi i pannolini. Hai fatto quel che potevi, hai cercato di dar loro tutti gli strumenti necessari per cavarsela, per viversi la loro vita. Li devi lasciare andare, anche se è doloroso, anche se hai ancora bisogno di loro, o hai paura di non aver fatto tutto quel che avresti dovuto.
Ecco. Lo so che è il paragone più trito della storia della letteratura, ma coi libri è esattamente così.
Ieri sera ho iniziato la correzione delle bozze, l’ultimo atto che prelude alla stampa, e dunque alla vita adulta del libro. E vi assicuro che fino a ieri pomeriggio dentro di me sentivo che c’era ancora un sacco di lavoro da fare, che mancava omogenieità, che quel passaggio psicologico lì andava approfondito di più, che questa scena avrei potuto descriverla meglio…E invece, mentre leggevo i primi venti capitoli di Nashira 3, improvvisamente mi sono accorta di una cosa: che ormai era un libro. Non era più una bozza, un insieme di capitoli di rivedere, una storia con delle cose ancora fuori posto. Era proprio in libro. Pronto per andare in giro per il mondo. E quando uno scrittore dice che un libro, una volta stampato, non gli appartiene più, non sta facendo allegoria di bassa lega, sta esprimendo una cosa vera, provata. Perché una volta che l’hai stampato, al libro non puoi più metterci mano. È così, è giunto alla sua forma definitiva, quella sulla quale non hai più potere. Se ne andrà per il mondo, ognuno ci leggerà quel che vorrà, ognuno lo capirà a modo suo, e tu non ci potrai più fare niente.
Hai fatto tutto quel che potevi? E chi lo sa. Ma fare altro non servirebbe più niente, se non a stuzzicare il tuo ego, a rimandare l’inevitabile: il momento in cui la tua storia sarà un libro, e dunque incontrerà il lettore.
Paranoie ne avrò ancora a non finire; del resto, sto continuando a spostare un verbo qua, togliere un aggettivo, cambiare un nome. Ma il libro ormai è grande, e se lo tengo ancora qua con me, se insisto a lavoraci su, rischio di tarpargli le ali, come quei figli che non hai il coraggio di lasciar andare via, e allora te li tieni lì stretti al petto fino a quando diventano incapaci di cavarsela da soli. Nashira 3 se ne deve andare per il mondo, non c’è niente da fare. È arrivato il momento.
Soddisfatta è una parola grossa, che credo non sarò mai in grado di usare applicata a qualsiasi prodotto della mia mente. La soddisfazione non è roba di questo mondo. Ma dentro c’è quel che volevo metterci, e mi appartiene ad un livello profondo. Parla delle mie speranze, delle persone che ammiro davvero, di cosa vorrei da questo mondo.
E allora va bene così, non dev’esserci altro. Immagino che entro fine settimana avrò finito di spostare le virgole, e il testo se ne andrà a Clés, in quel posto lì dove i files diventano libri. Da lì in poi, io non c’entretò più nulla. C’è niente di più spaventoso ed esaltante di questo?