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La Volpe

“Che cosa vuol dire addomesticare?”
“E’ una cosa da molto dimenticata. Vuol dire creare dei legami…”
“Creare dei legami?”
“Certo”, disse la volpe. “Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io saro’ per te unica al mondo”. [...]
La mia vita e’ monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio percio’. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sara’ illuminata. Conoscero’ un rumore di passi che sara’ diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi fara’ uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiu’ in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me e’ inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo e’ triste! Ma tu hai dei capelli color dell’oro. Allora sara’ meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che e’ dorato, mi fara’ pensare a te. E amero’ il rumore del vento nel grano…”

Antoine de Saint-Exupéry – Il Piccolo Principe

Sabato scorso sono andata nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Sono andata principalmente per vedere il foliage (ossia per vedere il cambiamento di colore delle foglie autunnali), ma anche con la segreta speranza di vedere qualche animaletto in giro. Gli orsi stanno facendo scorte per l’inverno, e in teoria dovrebbe esserci in giro meno gente che d’estate, per cui gli incontri con la fauna dovrebbero essere più facili.
Quando ho iniziato ad inoltrarmi per la Val Fondillo, uno dei posti più belli e accessibili del parco, assieme ad una comitiva di bambini vocianti, ho un po’ perso le speranze. E invece, dopo neppure un chilometro percorso lungo il fiume, è apparsa lei. Una volpe. Stava in cima ad una collina, ci guardava e sembrava aspettarci.
In passato mi è capitato di avere incontri ravvicinati con gli animali selvatici, per cui ho messo in atto le solite precauzioni: avvicinati poco e piano, non parlare. Tutto inutile. La volpe non solo davvero ci stava aspettando, ma era incurante dei bambini vocianti e della folla.
Dopo un primo momento di vaga diffidenza, in cui si è tenuta sull’altro lato della strada rispetto a dove ci trovavamo noi, la volpe ha preso confidenza. Si è avvicinata, si è fatta ampiamente fotografare, si è messa in posa davanti ai bambini. Quando la folla si è un po’ diradata, ha deciso che io e la mia famiglia eravamo simpatici. Come potete vedere dalla foto, si è avvicinata tantissimo, e, quando le ho porto l’avambraccio perché lo annusasse, mi ha presa per la manica e ha tirato un po’. Avevo una giacca a vento e una felpa, ma ho un po’ sentito la pressione dei suoi dentini sfiorarmi la carne (e che dentini). Mia madre a quel punto s’è spaventata, e le ha tirato una mela per farla allontanare. La volpe se l’è presa ed è filata via, mentre io già cominciavo a macerarmi tra i sensi di colpa.
Comunque, la cosa sembrava finita là. Invece, dopo un po’, la volpe è tornata, e ha fatto un bel pezzetto di strada nel bosco assieme a noi. Era strano, perché sembrava volesse essere seguita. Si è messa anche a tirare il giacchetto di Giuliano. A un certo punto mi sono messa dietro di lei, e lei si girava a guardare dov’ero. Poi, ad un certo punto, ha attarversato il fiume, ha bevuto, e se n’è andata.
È stata una delle esperienze più belle della mia vita, ovviamente. Mi era capitato già in passato di vedere da vicino una volpe; aveva fatto amicizia con un signore che stava ristrutturando una vecchia casa nel bosco. Quella però era un po’ più schiva. Questa mi ha guardato negli occhi, e, non lo so, è una sensazione difficile da descrivere, quando un animale selvatico si fida così tanto di te. Poi c’era anche Irene, e mi fa piacere che sia riuscita a vivere un’esperienza così intensa. Adesso va in giro con una foto che la ritrae vicino alla volpe e racconta la storia a tutti, giocattoli compresi.
Allo stesso tempo, però, mi chiedo se non abbiamo fatto danno. Non è normale che un animale selvatico sia così confidente verso l’uomo. Mi domando perché non avesse paura, se questo comportamento non le si ritorcerà prima o poi contro, non so capire se è una cosa bella o brutta. Noi siamo stati il più possibile discreti (a parte la mela, sob…), abbiamo cercato di rispettarla e abbiamo lasciato che fosse lei a venirci incontro, ma chissà se troverà invece in futuro qualcuno che approfitterà della sua buona fede. E, al tempo stesso, non le abbiamo fatto del male con la nostra sola presenza? Non dovrebbero essere, il suo e il nostro, due mondi che non dovrebbero toccarsi, ma guardarsi solo da lontano? Non lo so. Però la foto che ho messo lassù finirà su una parete di casa mia, lo sento. E continuerò a sentire a lungo la forza lieve dei suoi dentini sul mio braccio, e i suoi occhi rossi, bellissimi, pieni di cose che non sono e non sarò mai in grado di capire.
Se vi interessa, qui altre foto sue e del foliage nel Parco. Se c’è qualche etologo all’ascolto, mi farebbe piacere che ne pensa di tutta quest’esperienza.

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Aprés Montreuil, avec une petite partie en français pour mes amis en France :)

Ieri sera, dopo lunghe peripezie dettate dalla sfiga (Parigi bloccata, treni soppressi, corse varie) sono ritornata a Roma. Previously, on Licia’s Life: ero a Parigi per lavoro. Nello specifico, ho partecipato al Salone del Libro e dell’Editoria per l’Infanzia di Montreuil, che, per la cronaca, è una piccola città letteralmente appiccicata a Parigi.
Visto che ho rimesso piede sull’italico suolo, posso fare un piccolo bilancio: grandissima esperienza.
Non era la prima volta che andavo in Francia per i miei libri, lo sapete, ma era la mia prima fiera da quelle parti, e francamente non mi aspettavo né tutto questo successo né tutto questo affetto. All’estero le cose sono sempre un po’ diverse che in patria, in genere si vende di meno e si è assai meno conosciuti, per cui ogni evento è un po’ un’incognita. A Montreuil, per altro, avevo un sacco di eventi: quattro firme copie, ciascuna da due ore, e due incontri col pubblico. E sono stati tutti un successo: quello più piacevole è stato l’incontro con le scuole. Una quarantina di ragazzini che mi hanno riempita di domande senza alcuna remora né timore. Anche la tavola rotonda con altri scrittori europei, nonostante le ovvie difficoltà dovute alle differenti lingue, è andato bene. Ma bene, soprattutto, sono andati gli incontri coi lettori, che un paio di volte hanno persino fatto la fila per venirmi a salutare e per farsi fare una dedica. Non mi aspettavo davvero tutto questo affetto e questo calore. È stato davvero bello e sorprendente. Gran parte del merito è ovviamente della mia fantastica casa editrice francese, Pocket Jeunesse, che ha investito davvero moltissimo sulle mie storie, che ci ha creduto e mi ha appoggiata e coccolata per tutti questi quattro giorni esaltanti e bellissimi, ma anche difficili per via della lingua e dei molti impegni. Menzione d’onore per Agathe, la mia splendida interprete e traduttrice delle Cronache, e Christine, che mi ha organizzato tutto, e mi ha anche salvata quando sembrava fosse impossibile riuscire a raggiungere l’aeroporto per tornare a casa. Ma ci vorrebbe una lista lunga così per ringraziare tutti.
Spendo due parole per il Salon. È qualcosa di davvero fantastico: immaginate il Salone del Libro di Torino, se mai ci siete stati, tutto dedicato alla letteratura per l’infanzia. Tutto. E immaginatelo pieno, ma davvero pieno, di gente. Tra l’altro, nei giorni infrasettimanali è pieno di ragazzini in gita con la scuola, qualcosa di davvero meraviglioso: vederli muoversi per la fiera, fare casino come è giusto che sia, e soppesare con occhio critico e attento i libri è qualcosa di indescrivibile, che ti dà speranza. Io credo che una cosa del genere in Italia manchi, e che la lacuna vada colmata al più presto. Certo, c’è Bologna, ma Bologna ha una scarsissima apertura al pubblico. A Montreuil, invece, il rapporto col pubblico è fondamentale, e trasforma la fiera in un’occasione formidabile per promuovere la lettura. È così che si cambia il rapporto della gente coi libri, e in Italia ne abbiamo un bisogno disperato.
Per il resto, che dire. Ho rispolverato il mio francese, scoprendo che tutto sommato i cinque anni in cui l’ho studiato non sono andati perduti; a parte le difficoltà iniziali, e i molteplici errori, ovviamente, mi sono fatta capire, e sono stata in grado di sostenere conversazioni di media lunghezza. Ho deciso che dovrò coltivare il mio francese, e, se avrò tempo, imparare qualche altra lingua: vivi in maniera completamente diversa un paese straniero se ne conosci la lingua.
Circa Parigi, c’è ben poco da dire che non sia stato detto da tutti e in tutte le salse. È una città splendida, c’è poco da dire, di un’eleganza suprema. Io, grazie ad Agathe, ho fatto un po’ la turista atipica, per cui l’unica cosa che ho visitato per bene è la galleria d’anatomia comparata e di paleontologia del Muséum National d’Historie Naturelle, un posto assolutamente unico che vi consiglio di vistare se siete appassionati di paleontologia o semplicemente di posti curiosi. Credo me lo giocherò in un prossimo libro, perché è veramente fantastico: un museo in stile liberty zeppo zeppo zeppo di scheletri di ogni genere, contenitori in formalina con dentro animali squartati, cervelli e interiora varie, e fossili di dinosauri. Andatevi a vedere le foto in fondo al post, così capite di cosa sto parlando.
Bene, il periodo è convulso, e non ho ancora archiviato questa esperienza che già devo parlavi dei prossimi appuntamenti: giovedì 5 Dicembre, ore 17.30, Libreria Mondadori di Piazza Cola di Rienzo, qui a Roma, farò una sessione di firma copie; sabato 7 Dicembre, ore 17.00, la firma copie sarà sempre qui a Roma, alla Libreria Mondadori del Centro Commerciale Roma Est.
Vi prego anche di far girare questa: è una manifestazione che si terrà a Roma il 7 (ahimé). Io non potrò ovviamente esserci, ma ho comunque aderito via mail, perché i diritti sono diritti, questa non è una questione che riguardi solo il movimento LGBT. Quando i diritti di alcuni di noi sono negati, sono in pericolo i diritti di tutti. Perciò fate girare, per chiunque possa andarci.
Tutto qua.

Et maintenant, pour mes amis français :) .
Pardonnez mon français, encore, mais je veuz vous fair savoir que j’ai vraiment aimé mon séjour en France. J’ai été étonée par toute l’affection que les lecteurs français m’ont témoigné. Pour moi, il a été fantastique de vous voir, de vous parler, de vous renconter. J’ai beaucoup aimé le Salon de Montreuil; il est tré beau de voir toute la passion qui tourne autour des livres pour la jeunesse, et il a été magnifique de voir tous ces jeunes qui se bougeaient pour le salon, qui faisaient du bruit (comme il est normal que soit), qui soupesaient les livres avec un regard critique.
Tous a été fantastique, et je dois remercier pour ça ma maison d’édition, Pocket Jeunesse, qu’ella a toujour cru en mes livres, qu’elle a investi beaucoup dans mes histoires, et m’a chouchoutée et aidée pandans tous mes jours à Paris. En particulier, je dois remercier ma fantastique traductrice et intérprete, qui a aussi donnez la voice à les Croniques, Agathe, et Christine, qui m’a tout organizé, et qui m’a sauvée quand il semblait impossible de retourner ici a Rome. Mais il y a beaucoup de personnes que je dois remercier.
Bon, j’éspère de retourner en France et de vous renconter encora. Merci, merci beaucoup pour tout :) .

Qua, qualche foto di Parigi.

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La mia Lucca

Spiegare cosa sia Lucca Comics & Games a chi non c’è mai stato è umanamente impossibile. Ma la verità è che anche chi c’è stato, ma non appartiene a quel mondo lì che ogni anno torna in superficie in occasione della più importante fiera del fumetto italiana, è impresa ardua. Per costoro, la tentazione di liquidare tutto con un “anvedi i disadattati” o “certo che per andare mascherato in giro a trent’anni proprio non ce la devi avere una vita” è forte.
Il fatto è che in quei quattro giorni la città viene colonizzata da tutta la gente che non ci sta. Quelli che non si vogliono adeguare, che non ritengono che per essere adulti devi abdicare alla fantasia, quelli che vogliono semplicemente essere se stessi, senza che la gente ti appiccichi un’etichetta in testa solo perché sei vestito in un certo modo.
Durante la fiera, Lucca è un’esplosione di colori e diversità, una cosa unica, che succede solo lì e una volta l’anno. Ci sono tutte le istanze possibili e immaginabili: i cosplayer, da quelli navigati con costumi spettacolari a quelli che hanno messo insieme una maglietta e un paio di jeans, quelli del fumetto d’autore, quelli che solo il Giappone, quelle nude con tutto in mostra e quelle coperte vestite da cattive ragazze. E per una volta la tua stranezza, quella roba lì per la quale la gente in genere ti giudica e ti isola, è fonte di ammirazione meraviglia. I normali a Lucca sono in minoranza.
Io a Lucca mi sento a casa. Un giorno posso andare in giro con un’armatura di acciaio brunito, coperta fino al collo, e il giorno dopo con un magliore oversize e le calze coi fiocchetti su, neanche avessi quindici anni, e nessuno ci trova niente di male. A Lucca non devi essere in un certo modo, e gli sguardi per una volta non stanno lì a giudicarti perché non sei abbastanza bello/alla moda/normale/femminile/mascolino. Semplicemente fai parte della tribù, una tribù multiforme e impossibile da definire, e solo noi che ci siamo dentro siamo in grado di riconoscerci l’un l’altro. È la fantasia che per quattro giorni prende il potere, e dimostra che non c’è niente di infatile nel credere che la vita sia anche una cosa divertente, nel pensare che sia possibile parlare di noi, di qui e di ora, e con grande efficacia, anche raccontando storie ambientate in mondi, tempi e luoghi altri.
Lo ha detto Sandrone ieri, durante la presentazione di Nashira3: 200 000 persone che per quattro giorni invadono una città che conta 80 000 abitanti in qualsiasi altro contesto provocherebbe semplicemente il delirio. Pnesate a come finisce troppo spesso quando ci sono tifoserie di calcio in trasferta. A Lucca, niente. A Lucca ci si diverte e basta, senza isterismi, senza saccheggi, senza botte. Perché noi siamo fruitori di storie, da quando eravamo alti così, e questo ci ha cambiati, ci ha insegnato un sacco di cose su di noi e sul mondo, ci ha educati. Sarà per questo che la gente ha così tanta paura di noi.
Iniziano a premere perché siamo tutti uguali fin da quando siamo molto piccoli e ancora non capiamo. Le spinte al conformismo, dalle faccende più banali a quelle più importanti, sono soverchianti. Per questo Lucca è bella: è la resistenza di chi vuole semplicemente essere se stesso, esprimere la propria creatività e il proprio essere senza remore.
Ora, certo, Lucca è molto altro. Ma quest’anno, per me, è stato questo. La rivincita dei nerd. È un onore far parte della compagnia.

Note sparse
Quest’anno avete superato voi stessi, e siete stati davvero fantastici. Ogni anno penso “vabbeh, via, non sarà mai bello come l’anno scorso”, e invece mi stupite, e siete sempre di più, sempre più appassionati, sempre più belli.
Grazie per essere venuti ai miei tre incontri, grazie per le file sotto la pioggia, la pazienza, i cosplay, i sorrisi, i pianti, le foto, tutto. È stato fantastico, e in un momento in cui ne avevo davvero bisogno. A special thanks to Vivien, Kimberly and their mom: you’ve been amazing, it was a great, great pleasure meeting you, I’ll never forget :) .
I cosplay sono stati tanti e tutti davveo bellissimi, alcuni completamente inediti. Grazie, è davvero difficile dirvi cosa significhi per me vedere una Nihal in carne ed ossa: sono stata cosplayer (e a volte lo sono ancora, le foto di sabato lo testimoniano) e so cosa si prova, perché lo si fa e perché si sceglie un personaggio piuttosto che un altro. Ripeto è un onore.
Vi incollo qui un paio di foto completamente random: sono semplicemente quelle che Giuliano ha fatto con la reflex, ce ne sono molte altre che non ho fatto io e ancora non ho ricevuto.
Grazie ancora: è stata una Lucca memorabile e lo è stato grazie a voi.

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Un po’ di freddo e molta bellezza

Più o meno tutti gli anni, giunta a Ferragosto ogni mia residua voglia di estate è scomparsa. L’estate per me ha avuto un senso solo finché andavo a scuola. Allora ogni anno era diverso da quello precedente, e l’estate era quasi sempre un’avventura. Fino ai 18 le ricordo più o meno tutte, perché ognuna ha avuto qualcosa di particolare. Non che amassi l’estate, ma sapevo godermi le ferie, ecco.
Poi sono andata all’università, e la mia prima estate da aspirante fisico l’ho passata a preparare analisi 1. Da allora ho sempre studiato o lavorato, spesso più che durante il resto dell’anno, e dato che il mio fisico funziona molto meglio col freddo che col caldo, ho smesso di aver simpatia per questa stagione. Adesso la tollero. Sì, mi piace andare a mare – a patto che sia un bel mare, e non il solito carnaio con contorno di acqua torbida -, adoro potermi lavare i capelli tutti i giorni senza doverli asciugare, apprezzo la possibilità di vestirmi leggera. Ma a Ferragosto questi vantaggi non bastano più a farmi sopportare l’umidità, le zanzare, e il caldo che spesso a Roma supera i 40° in scioltezza.
Per questa ragione, più o meno ogni anno da quando ero incinta vado a rubare un po’ di autunno all’estate. Lo faccio andando in Val Gardena; a fine agosto lì è praticamente autunno. A volte piove, ma per me non è un problema, anzi: mi piace. Una passeggiata per il bosco spesso si può fare anche con una lieve pioggia, e in ogni caso io vado lì appositamente ad assaggiare l’autunno, e l’autunno è pioggia.
Poi c’è la bellezza. Quando mi trasferii in questo quartiere ero contenta: rispetto alla borgata di prima qui c’erano ampi spazi, un po’ di campagna romana e la vista delle colline dei Castelli. Poi, non lo so, ho iniziato disamorarmi. Mi manca la natura. Il prato sotto le mie finestre da solo non mi basta per cogliere il cambio di stagione – senza contare che stando così all’aperto siamo soggetti a folate di vento devastanti – e sento che nella mia vita di cittadina manca un po’ di bellezza. E in Val Gardena ce n’è tantissima. Che si tratti di un bosco fitto, di una valle che si apre a sorpresa tra i monti, o delle cime brulle e prive di vita di un massiccio roccioso, tutto invita alla contemplazione. E io ho bisogno di cose belle, in qualche modo la cosa mi ricarica, mi aiuta ad affrontare questìaltro mese di caldo che ci aspetta qui a Roma.
Purtroppo le mie capacità di fotografa sono quelle che sono, ma comunque qui trovate un piccolo assaggio di Tirolo, con l’avviso che è molto più bello di così.
State in stand bye perché a breve ci saranno novità sui miei futuri spostamenti in giro per l’Italia.

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Non solo Parole

Post breve, ma sentito. Scusatemi, purtroppo l’estate per me è spesso punto di accumulazione per impegni di lavoro e anche, ahimé, sfighe personali di vario genere.
Donc, come sapete, questo fine settimana sono stata a Portuscuso, per partecipare a Parole Sotto la Torre. Una delle cose che più mi piacciono tra quelle che il mio lavoro implica è la possibilità di viaggiare e conoscere gente nuova. Questo week end è stato breve, ma davvero intenso. Intanto perché la Sardegna si conferma posto assolutamente meraviglioso, di una bellezza selvaggia e intatta. Si parla sempre dell’estero, che di sicuro è pieno di posti stupendi, ma vi assicuro che anche l’Italia è davvero piena di meraviglie, e in modo davvero capillare. Poi perché la presentazione è stata davvero piacevole, per altro in un contesto davvero bello, in una ex-tonnara col rumore del mare in sottofondo. Mi sono divertita molto, spero lo abbiano fatto anche le persone che mi sono venute ad ascoltare. E poi ho conosciuto tantissima gente straordinaria; questa è un’altra cosa splendida di questo lavoro, la possibilità di entrare in contatto con tutte quelle persone che fanno qualcosa, che s’impegnano per cambiare testa per testa questo paese che troppo spesso ci sembra impossibile da salvare. Sì, c’è un sacco di gente brutta in giro, ma ce n’è altrettanta, che purtroppo fa molto meno rumore, che non si limita a lamentarsi, che le cose le prova a cambiare, che crede davvero alla forza delle parole e della cultura.
Insomma, è stato un piacevolissimo weekend, in un posto splendido e in ottima compagnia. Grazie a chi mi ha invitato, a chi mi ha accompagnata in questa presentazione, a chi mi ha fatto semplicemente compagnia. Qualche testimonianza fotografica la trovate, al solito, qua.

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Cavacon 2013 Summer Edition

Oggi avrei voluto fare un post lunghissimo di esegesi di Star Trek Into Darkness, visto che sono anche fresca di rivisione di una puntata della serie classica di Star Trek legata al film (dai, non vi dico di più sennò mi dite che è spoiler, anche se l’identità del cattivo del film è tipo il segreto di Pulcinella), ma, dannazione, ci si è messa di mezza Cavacon, che è stata un’esperienza così bella e piacevole che proprio non ce la faccio a non parlarne. Mannaggia a loro :P .
E insomma, come sapete, questo fine settimana ho partecipato alla fiera del fumetto di Cava de’Tirreni. A Cava c’ero già stata eoni fa, ma non ricordavo pressoché niente, e l’ho trovata una piacevole sorpresa. Nonostante le origini campane, Cava non ospita miei parenti di vario grado – che sono invece per il resto abbastanza ben distribuiti tra le varie province campane – e dunque non la conoscevo bene. È davvero un bel posticino, per altro coi portici, elemento architettonico che io adoro, ma che in genere a sud di Bologna non si vede molto. Tra l’altro ci spira l’arietta del mare, ed è proprio piacevole.
La fiera è stata piacevolissima e divertente: a parte che era frequentatissima – e il cosplay era d’alto livello, come ormai accade sempre più spesso; non potrei proprio più praticarlo, sob… – c’era tantissima passione, che è la cosa più bella, almeno per quel che mi riguarda. Ci sono eventi magari più grandi, ma assai più freddi e impersonali; è bello invece quando c’è quell’atmosfera di casa, quel senso di condivisione, che io trovo assolutamente fantastico. Il mondo dei fumetti e dei games è soprattutto questo, almeno per come la vedo io.
E poi ho conosciuto un sacco di persone fantastiche: gli organizzatori, Barbara Baraldi, che non avevo mai incontrato di persona, Davide Perino, e tantissimi altri (sapete che ho problemi coi nomi :P ).
E poi ci siete stati voi. Che siete stati un sacco, calorosi e gentilissimi. Dovrei ricordare tutte le chiacchierate, le firme, e le foto, ma siccome siete stati un sacco, ricordo due episodi per tutti: la ragazza col cartello “We Love Licia”, che finirò per attaccarmi sul letto per i momenti discendenti della curva della mia autostima, e la ragazza che aveva tatuato su un fianco una frase delle Cronache: morire è facile, è vivere che richiede coraggio.
La macchina fotografica non ce l’avevo, per cui le foto che vi allego qui sotto sono rubate ad altri. Grazie mille a Ugo di Pace e Helena Lestrange per le foto!

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Post eventum

Sicché, anche quest’anno Anteprime è passato. È stato molto piacevole, non fosse stato per il clima assolutamente autunnale del tutto.
Innanzitutto, grazie a tutti quelli che son venuti ad ascoltarmi, a farsi firmare qualcosa, a salutarmi. È sempre un grandissimo piacere. Ve l’ho già detto, ma ve lo ripeto: per me questi incontri sono molto importanti, in un mestiere solitario come questo avere un incontro diretto con chi mi legge è una cosa che mi dà un’immensa carica. La cosa stavolta, poi, è stata ancora più apprezzata stanti le condizioni climatiche :P .
Tutto l’incontro dovrebbe essere stato registrato, per cui, se e quando verrà messo online da qualche parte, provvederò a farvi avere il link. Per chi mi chiedeva se pubblicherò qui il breve pezzo di Prologo che ho letto durante la presentazione, no, non credo: manca un sacco di tempo all’uscita del libro vero e proprio, sarebbe più che altro una crudeltà, o no? :P . Ah, ma ve l’avevo detto che il titolo sarà Il Sacrificio? Ve lo dico adesso :P .
Vi lascio con un paio di foto dal Flickr ufficiale della manifestazione, mentre qui sotto ci sono alcune immagini home made dal marito durante la firma copie. Tra di esse, una curiosità: un pezzo de Il Tirreno in cui vengo affiancata a Orhan Pamuk, che, per chi non lo sapesse, nel 2006 è stato insignitio del premio Nobel per la letteratura. Non so, l’accostamento decisamente blasfemo mi ha intimorita, divertita e, certo, m’ha anche fatto piacere, pur nella paradossalità del tutto. Infine, menzione d’onore a Chiara e Aurora, che non solo hanno vinto l’Xwriting – per la cronca, una gara di scrittura della quale sono stata giurata sabato sera – ma mi hanno anche scritto una simpaticissima lettera. A parte che son dovuta andare a cercarmi le foto di tipo il 90% del cast che mi avete proposto per le Cronache perché sono vecchia :P – però una volta viste le foto li conoscevo tutti, via -, devo dire che avete fatto alcune scelte azzeccatissime, soprattutto per Aster e Ido, devo dire. Ah, vi appoggio tantissimo Ben Barnes che mi aveva fatto innamorare già con Narnia :P .
Bon, vi ricordo che a fine settimana, il 14 giugno, presenterò Francesco Falconi e il suo Muses – La Decima Musa alla Libreria Mondadori di Via Tuscolana, ore 18.30, quindi avremo un’ulteriore occasione di incontro.

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Istantanee da Torino 2013

Dieci anni
Atterro al mio decimo Salone del Libro di Torino quasi in orario. E c’è anche il sole.
C’era il sole anche dieci anni fa. Pesavo diciotto chili più di adesso, non sapevo neppure esistessero le presentazioni dei libri, giacché, pur essendo una forte lettrice, non ne avevo mai vista una vita mia, e avevo passato tutto il tempo del viaggio a domandarmi se dovessi presentare un discorso o cosa.
Adesso come allora, non ho molto tempo per riflettere: arrivo, e mi getto nel turbine. Torino è così: una sospensione del normale flusso degli eventi, una bolla atemporale infilata nel quotidiano, un gorgo che ti attira e ti risputa fuori dopo due, tre, quattro giorni di fuoco. Un paio di incontri di lavoro, qualche intervista, e via al Lingotto.
Dieci anni fa, eravamo io, Sandrone e Marco Giusti. Essendo io una sconosciuta ventitreenne in sovrappeso, per di più autrice di fantasy, genere vituperatissimo, ci misero giustamente in un angolo della zona dedicata alla letteratura per ragazzi, praticamente davanti ad una specie di bancarella frequentata da frotte di bambini urlanti. Davanti a noi, una ventina di sedie, piene per metà. Farsi sentire era un’impresa, anche coi microfoni. In prima fila c’era seduto un mio detrattore, ed essendo io giovane e parecchio inesperta, il suo articolo mi aveva ammosciata tantissimo. Diciamo che con gli anni ho appreso a prendere un po’ più alla leggera le critiche negative, ma all’epoca non ero così zen.
Nonostante tutto, andò bene. Negli anni precedenti mi ero allenata a parlare in pubblico durante le assemblee d’istituto a scuola: una volta me ne avevano dette di ogni perché avevo espresso la mia contrarietà a continuare un’occupazione di cui stentavo a capire il senso. Figurarsi se adesso avevo paura di dieci persone e duecento bambini urlanti dietro. E andò bene. Fiammetta Giorgi mi disse che toccava ne facessi altre, perché era una cosa che mi riusciva, e per i due, tre anni successivi stetti sempre in giro, un fine settimana sì e uno no.
Oggi entro nell’area Bookstock e mi defilo. Nonostante non abbia una faccia conosciutissima, e non abbia foto sui miei libri, chi mi legge sa che faccia ho, e se comincio a firmare copie ora poi succede un casino, non riesco a far la presentazione, per cui meglio stare in disparte. Perché i dieci astanti di dieci anni fa adesso sono diventati trecento e passa. Un miracolo che è una delle prima domande che mi fanno nelle interviste, e cui io non so mai dare risposta. Semplicemente, non lo so. È andata così. Mi stupisco anch’io, guardate.
La presentazione all’Arena Bookstock è un grande classico: io, Sandrone e Fiammetta. Sono pochi gli anni in cui la formazione è stata diversa.
Entro, e c’è gente, certo, l’arena è piena, ma non più del solito. Non più dello scorso anno, per dire. Ci sono anche i volti amici, che per fortuna non mancano mai, ma ne manca uno che non riuscirò a recuperare neppure nei giorni successivi.
Comincio a parlare, cominciano le domande, tutto va come al solito. E intanto la gente aumenta. Si appoggia alle pareti dietro, si siede sulla moquette, avanza inesorabilmente verso il palco, fino a riempire tutto lo spazio dell’arena. È una cosa che esalta e spaventa al tempo stesso. Le mie presentazioni sono sempre andate bene, ma mai così bene. Non ne sono sicura, ma forse ho fatto anche più gente che a Lucca. E non ve lo sto dicendo per vanteria – o forse un po’ sì, la carne è debole :P – ma soprattutto per ringraziarvi. Dicevo proprio prima di partire che la scrittura è un mestiere solitario. Senza un po’ di solitudine, la cosa semplicemente non funziona. Ma, ad un certo punto, devi uscire dal guscio, e devi vedere l’effetto delle tue parole, o ti sembra di parlare al muro. Devi capire se è valsa la pena farsi ossessionare, e mettere le ossessioni su carta, se è valsa la pena correggere le bozze all’una di notte dopo tre ore di lettura continuativa, devi capire se la passione che ci hai messo è passata. E una sala colma è questo: l’unico premio vero cui uno scrittore può ambire. Più importante del riconoscimento della critica, del premio letterario, di qualsiasi altra cosa, perché non stai scrivendo per quella gente lì, stai scrivendo per i lettori. Almeno, noi di genere scriviamo per questo.
Per cui grazie. È stato faticoso e bellissimo. Fatiche così le farei a giorni alterni, e salterei un giorno giusto per riposarmi un pochino e godermela meglio il giorno successivo. Grazie per l’affetto e la passione, mi confermate che la via che ho scelto di percorrere magari è faticosa, ma porta frutti.
Il filo rosso di questi dieci anni passa per diciassette libri e centinaia di luoghi diversi, che ho visitato fisicamente o solo toccato coi miei libri, è un filo tortuoso e difficile da dipanare anche ai miei occhi, ma l’abbiamo tessuto insieme. Grazie per la fiducia. Grazie per le domande e le osservazioni. Grazie per la condivisione.
Mo’, però, mi aspetto almeno altri dieci anni così, eh? :P

la solita combriccola, insomma

La sala, comunque, ancora non era del tutto piena

Cosplay
Ho ricevuto parecchi commenti sul mio aspetto. Tipicamente positivi. Non sono mai stata una gran bellezza, come evidente dalle mie foto, d’altronde; anzi, diciamola tutta, ho passato la preadolescenza e l’adolescenza a considerarmi brutta, impressione avvalorata dai commenti che mi facevano alle medie, quando mi prendevano in giro per l’apparecchio ai denti. Il complimento è a tutt’oggi una cosa che mi imbarazza: non so che rispondere, una parte di me si domanda comunque “ma sta veramente parlando di me? O forse mi sta direttamente prendendo in giro?”.
Comunque, non era di questo che volevo parlare. Le mie mise al Salone, quest’anno, hanno previsto un uso massiccio del mio haori (ve lo ricordate? È la giacca giapponese vintage che ho comprato un po’ di mesi fa). La gente mi guardava e mi fotografava; devo dire che anche le scarpe vagamente ladygaghiane hanno riscontrato un certo successo, e una certa dose di curiosità, anche. Ma il top credo sia stato raggiunto alla festa cui ho partecipato (ne parlo più sotto); indossavo il solito tubino nero (quello di queste foto qua), con aggiunta di bolerino in pizzo e mezzi guanti sempre di pizzo nero. Completava la mise il rossetto rosso fuoco e questa collana qua. Non ho una foto del tutto, mi spiace, usate un po’ di fantasia. E devo dire che anche questa mise ha generato curiosità e vago sconcerto. E, nulla, ho realizzato che ormai l’estro del mio abbigliamento sta prendendo derive sempre più incontrollate. Sono sempre stata strana nel modo di vestire, ma forse, non so, credevo che sarebbe stata una cosa che sarebbe finita con l’adolescenza. E invece no. Continuo ad abbigliarmi come fossi in cosplay perenne. E non è una cosa forzata: no, è che io sono proprio così. Ho bisogno di mettermi roba che mi piace, che mi rispecchi, anche se è strana, buffa o fuori luogo. 9 volte su 10 sono vestita in modo incongruo rispetto all’evento: troppo sportiva quando occorrerebbe essere eleganti, troppo elegante quando occorrerebbe essere sportivi. Ma ho bisogno di avere addosso qualcosa che mi rispecchi, anche se è eccessivo, e poi la gente mi guarda e mi sento in imbarazzo (tipo in questa occasione). Alla fine considero anche questa un’espressione della mia creatività. Ormai sono il cosplay di me stessa :P .

Un'ora dopo, così ero in fila per andare a salutare Roberto Saviano...

Fiesta!
Poco prima di partire per Torino, fui protagonista sul mio profilo Facebook di questa discussione. No, davvero, in dieci anni di fiere non ero mai andata ad una festa. Non so perché. La verità è che sono sempre stata una donna davvero poco mondana. Anche da ragazzina. La discoteca, per dire, non mi ha mai attratta. Le feste cui partecipavo erano à la Caparezza (ve la ricordate, no? “Serate a tema ben accette, salame a fette spesse, vhs e se non bastasse su le casse”) e comunque non ho mai fatto più tardi delle 5.00, orario che ho fatto tipo tre volte in vita mia.
Solo che, poi, a Torino ad una festa mi ci hanno invitata davvero. E siccome l’invito era di un amico, e sapevo che avrei rivisto una persona cui devo tantissimo e che avevo gran piacere a reincontrare, sono andata. In cosplay da scrittrice dark-erotico-decadente, come vi dicevo. La cosa bella era Giuliano, in cospaly da Giuliano, invece, ossia jeans, giacca sportiva e camicia. La coppia più assortita dell’universo direi. Peccato che Cédric Villani è arrivato poco prima che me ne andassi, perché con lui al braccio avrei fatto un figurone :P .
Comunque. Sono andata. I primi venti minuti, lo ammetto, ho fatto l’effetto tappezzeria, che, stante l’abbigliamento, mi veniva anche bene, devo dire. Me ne stavo là, sottobraccio a Giuliano, senza capire bene il mio posto. È che io, in mezzo agli scrittori seri, mi sento sempre un po’ in imbarazzo. Mi domando cosa pensino di me, non so se sanno chi sono, non so proprio come tentare l’approccio. Poi c’è il dramma “gente che conosco ma non so se loro si ricordano di me, e comunque l’ho visti tipo per cinque secondi otto anni fa: li saluto o no?”. La soluzione, comunque, è banale: bicchiere di vino. Che a me ormai basta abbondantemente per abbassarmi quel tanto che basta i freni inibitori, e darmi quella leggera allegria che tanto mi piace, e non mi fa sentire lo stomaco felpato il giorno appresso. Ho fatto un po’ di conoscenze nuove, alcune inaspettate, ne ho riviste di vecchie, ho mirato da lontano Umberto Eco perché comunque non avrò mai il coraggio di avvicinarmi e anche solo stringergli la mano perché sono fatta così e amen. Ho rivisto Andrea Cotti, col quale ho lavorato ormai troppi anni fa, e continuo a ricordare con piacere e affetto sconfinato il periodo in cui mi ha fatto editing. Ho rivisto Massimo Turchetta, e finalmente gli ho detto quel grazie che gli dovevo da dieci anni. Insomma mi sono divertita. E chi l’avrebbe mai detto. Posso essere mondana anch’io. Però, mo’ non esageriamo, son pur sempre la pantofolaia che tutti conoscete: alle 23.00, i piedi distrutti dal tacco 12 e la fatica della fiera sul groppone, ciao a tutti e son tornata in albergo. Alle 23.30 già russavo. Un passo alla volta, via.

Incontri
Zero
Che sono una fan di Zerocalcare credo sia cognito in tutto l’orbe terracqueo. Non c’è vignetta del suo blog che non linki con passione, sua battuta che non conosca, suo libro che non abbia. Ho anche una dedica assolutamente meravigliosa, procacciatami dalla sempre fantastica Ros, che ormai dovrei eleggere a mia manager per gli incontri coi vipppppssss, perché mi sprona e mi aiuta a vincere la mia devastante timidezza in queste cose.
Quel che mi mancava era l’incontro live. E adesso ce l’ho. Sono andata a fargli la posta assieme a Rossella venerdì sera. Perdonami, Zero, ero consapevole che eri morto di stanchezza, e tutto sommato lo ero anch’io, ma son stata ugualmente spietata :P e ti ho tampinato. Perdonami anche se non sono riuscita a dirti tutto quel che penso della tua arte, che è fantastica, e mi calza addosso come un vestito fatto su misura, ma davvero non sono capace di esprimere quel che penso a parole. Mi viene molto meglio scrivere. Per cui spero passerai prima o poi di qua e leggerai queste quattro righe. Per altro, ci siamo fatti assieme una foto splendida, in cui entrambi sembriamo usciti da un funerale, e a me piace un sacco: non so, abbiamo delle facce diverse dal solito.
Tra l’altro, ho preso Ogni Maledetto Lunedì (su due), e ve lo consiglio tantissimo. Sì, principalmente è una raccolta su carta del suo blog, ma ad unire il tutto c’è una macrostoria che dà un senso diverso e più ampio a vignette che già conosciamo. E quella macrostoria – che è pure a colori – è così bella, è così devastantemente vera, che ognuno di noi ci si riconoscerà. Per certi versi, a me è sembrata la storia della mia vita, soprattutto nella parte finale. Ma è la storia della vita di tutti noi di questa mia generazione, credo. Ci hanno imbrogliati, sì, ma ci consoli sapere che è l’imbroglio più vecchio del mondo, quello che anche noi, un giorno, saremo chiamati a perpetrare sui nostri figli. È la vita, che è sempre più grande di noi, e prima di contemplarla in tutta la sua smisurata e spaventosa grandezza è necessario prepararsi, è necessario credere che sia una cosa semplice. Grazie, Zero, di tutto.

commemoriamo il caro estinto

ZeroZeroZero
A inizio aprile sono andata alla prima presentazione di ZeroZeroZero di Saviano. Anche in questo caso, credo sia cognito in ogni dove che Saviano è uno dei miei scrittori preferiti, del quale apprezzo praticamente l’opera omnia (oltre a possederla tutta). Non l’avevo mai visto dal vivo, e quindi sono andata. In quell’occasione, rimediai anche la firma sul libro.
A Torino ho bissato. Stavolta volevo presentarmi. Che è una cosa semplice, da fare, basta dire un nome. Ma se mi conoscete un pochino, capirete che per me è un’impresa titanica, avvolta da mille dubbi, intessuta di insidie. No, non dite niente. Lo so che è una cosa stupida, ma è più forte di me.
Così, ancora in vestaglia giapponese (grazie a Davide Gigli per la calzante definizione :P ) – abbigliamento che avevo tenuto per le interviste del mattino e per le foto che mi avevano fatto qualche ora prima (a proposito di chiusure del cerchio: mi ha fotografato di nuovo colui che realizzò le mie prime foto ufficiali) – e per altro con le scarpe lady gaghiane, mi sono avvicinata allo stand Feltrinelli dove sapevo avrebbe fatto una firma copie. Stand che era una bolgia infernale. Per fortuna c’era una fila, e mi sono disciplinatamente messa in coda con gli altri.
In fila la situazione devo dire ha raggiunto esiti paradossali: a parte l’immagine di questa tizia in haori con gli zepponi in fila manco dovesse andare ad una festa in discoteca, è passato anche qualche mio lettore, per cui ho fatto qualche foto e qualche firma. Tra l’altro in fila c’era una mia lettrice, e così ho passato l’ora e un quarto di attesa parlando un po’ con lei e con le persone che mi stava intorno. E lì ci siam dette una cosa ovvia, ma sempre bella quando ci pensi: che i libri uniscono. È bella questa condivisione di passione, questa staffetta che passa da scrittore a lettore e poi da lettore a lettore. Ho perso il conto delle cose meravigliose – e anche terribili, ma che mi hanno formata come persona, che mi hanno insegnato tanto – che sono riuscita a toccare coi miei libri: luoghi e persone che mai sarei riuscita a raggiungere altrimenti, realtà distanti, a volte solo nello spazio, ma altre anche nell’esperienza di vita. E Saviano, per altro, è una di queste cose.
Comunque, ve la faccio estremamente breve. È stato davvero bello riuscire a infine a presentarmi, ci siamo anche fatti una foto assieme che ho spammato un po’ in ogni dove. È che è una cosa che speravo di fare da molto. Certo, al solito non sono riuscita a dire un miliardesimo di quel che avrei voluto, ma ormai so di essere più forte nello scritto che nell’orale, e molte di quelle cose sono riuscita a scriverle, quanto meno, ed è già qualcosa. Certo, spero prima o poi di poter fare una bella chiacchierata, ma già l’abbraccio che ci siamo scambiati è stato importante per me. Ho un’ammirazione sconfintata per l’altrui talento, e quando va a braccetto con la forza e il coraggio è la cosa più bella in assoluto.

Quello che ho tralasciato
Tanto, tantissimo. I tre giorni di Torino durano come settimane, mesi di tempo normale. Succedono molte cose, tanti sono i volti, tantissimi i ringraziamenti. Tutti non ci entrano, neppure in un post chilometrico come questo. Facciamo che è come se avessi ringraziato tutti coloro che hanno resi questi giorni così particolari, anzi, questi anni così indimenticabili. Spero sarete con me ancora; questa è solo una tappa, il cammino continua.

P.S.
Scusate la sbadataggine; le prime due foto sono di Rossella Rasulo, così come quella assieme a Zerocalcare. La foto di me nell’acquario (:P) è di Giuliano, mentre quella con Roberto Saviano me l’ha scatta Serafina Ormas.

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On a winter night

Neppure la neve riesce a spegnere del tutto il rumore della città. Senti, distante, il suono di una macchina che passa, il riverbero lontano dei mezzi sul Raccordo, il pulsare di una vita che non si spegne mai, perché una metropoli è così. Ma ugualmente c’è qualcosa di magico e insondabile in una notte di neve. La luminosità del cielo, i fiocchi che diventano lucciole alla luce gialla dei lampioni, il sovrapporsi lento di strato a strato, inesorabile, paziente come solo la natura sa essere.
Potresti perdonare tutto a questa città, stanotte. Il caos, la confusione, la troppa bellezza, perfino. Un interruttore magico per un istante l’ha trasfigurata, ti ha portato indietro negli anni, e l’ha trasformata in un posto che quasi ti corrisponde. Perché tutto si assomiglia, sotto la neve, tutto lentamente cambia forma. Il fiato che raggruma in nuvole compatte, mentre sul balcone, addosso solo la tua tuta e un paio di zoccoli ai piedi, guardi il silenzio del quartiere, il freddo che ti entra dentro, e una quiete strana, misteriosa. Il sonno sarà diverso, stanotte, diverso il risveglio. Fuori nevica, e dentro c’è la pace.

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Trova le duecentomila macroscopiche differenze

Indovinate un po’ qual è la mia postazione…


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