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Senza speranza

Oggi il tema della puntata di Io, Chiara e l’Oscuro, una delle trasmissioni di Radio2 che più mi piacciono e che ascolto spesso, era Roma. Perché Roma non piace più agli italiani, ma Roma è veramente meglio o peggio di altre città, cose così.
È buffo che proprio oggi sia emersa questa storia a dir poco agghiacciante della ragazza aggredita ad Anagnina, un posto che sta dietro la scrivania in cui siedo adesso, e che ho bazzicato fin dall’adolescenza.
E proprio stamattina pensavo che Roma forse è stata così amata, e ormai è così odiata, perché è la summa dell’italianità. Tutto quello che un tempo avete amato di questa città, e che ora odiate, è solo il riflesso di ciò che eravate e ora non siete più. L’arte di arrangiarsi, il farsi i fatti propri spesso a discapito degli altri, l’orgoglio per un passato glorioso…non sono cose romane. Sono cose italiane.
Ieri in tv passava Il Medico della Mutua. Un film straordinario, per quanto mi riguarda. Sordi è stato – a ragione – considerato l’emblema della romanità. Un po’ come Totò quello della napoletanità. Ma se i personaggi di Totò sono spesso dolenti, bravi guaglioni presi a mazzate dalla vita, che anche quando delinquono lo fanno con cuore e una specie di onestà di fondo, i personaggi di Sordi sono spesso sordidi, cattivi, meschini. Come il dottor Terzilli, pronto a tutto pur di avere successo. Sordi non ha alcuna indulgenza nei confronti dei suoi personaggi, Sordi nel ’68 ci mostrava quel che siamo sempre stati, e che ora siamo diventati con estrema chiarezza.
Roma è lo specchio di quest’Italia, e per questo quando la guardi ti fa orrore. La metropoli disumanizzante, in cui si vive aggrappati con le mani e coi denti al proprio giardino, ergendogli mura altissime intorno, perché l’altro non è né risorsa né specchio: è solo un nemico. Un posto dove non si pratica più l’accoglienza, in cui il motto è “fatti i cazzi tuoi”. Come la vecchia che scavalca il corpo della ragazza che giace ad Anagnina. Ci poteva essere uno qualsiasi di noi, là per terra. Siamo entità separate che si muovono sperdute in un contesto che le spaventa, tra periferie disumane in cui tutto sembra essere un elogio al brutto: dalle palazzine tutte identiche, barricate nella loro singolarità, ai prati spelacchiati deserti dopo una certa ora, alle mura coperte di scritte inneggianti all’odio (withe power, trans raus, shoa must go on). E intorno a noi non c’è nessuno che ci chiami all’aggregazione, ma tutti che ci invitano invece a separarci, ad avere ancora più paura, dai tg pieni solo di cronaca nera, da seguire morbosamente, come nel caso Scazzi – vera e propria pornografia del dolore e della violenza – o su cui esercitarsi in finta indignazione, come quanto accaduto ad Anagnina venerdì. Tutti col senno di poi a dire che si sarebbero fermati. Chi lo sa. Davvero? E quante volte abbiamo girato la testa di fronte al barbone che dorme alla stazione Termini? Alla prostituta ragazzina aggredita dal cliente? E poi i politici, che sfruttano la nostra paura, la aizzano, perché la prima cosa è creare un nemico, additarcelo. Gli extracomunitari, gli islamici, i cinesi, i rumeni, gli uomini. Tutti.
Siamo tutti così? No, certo. Due anni fa una ragazza venne investita sotto i nostri occhi da un motorino. Si fece subito il capannello, aspettammo con lei i soccorsi, e, a parte un intelligentone che la acchiappò per le braccia per spostarla da terra e togliere l’ingombro dal traffico, tutti furono collaborativi e gentili. Ma alla fine, alla sera, tutti chiudiamo la porta a due mandate, e lasciamo il mondo fuori. Io stesso non saprei neppure descrivere la faccia dei miei vicini di pianerottolo.
E si va avanti così, in un paese che non sa più sperare. Perché questo è il vero morbo che sta portando l’Italia verso l’abisso: l’incapacità generalizzata di pensare un domani diverso.

P.S.
Per chi fosse interessato, sul sito di Radio2 Social Club c’è il podcast della puntata di sabato.

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