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SOX, la radioattività e la comunicazione della scienza

Questa storia di SOX sta scivolando nel grottesco e nel pericoloso, indi per cui ci spendo altre due parole, oltre a quelle, usate da altri, che ho già provveduto a ricondividere.
Per chi se la fosse persa (beato lui…), breve riassunto. Come tutti saprete, sotto il Gran Sasso c’è un grande laboratorio di fisica delle particelle, gestito dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN). Sta lì da 33 anni, quindi non da ieri. Nei laboratori si svolgono svariati esperimenti che riguardano la fisica delle particelle. E qui occorre aprire una parentesi divulgativa.
La materia è composta da atomi, entità molto molto piccole, che non sono però i costituenti ultimi della materia. Gli atomi, infatti, sono composti a loro volta di particelle. Un atomo ve lo potete immaginare così: al centro c’è un nucleo, intorno una nube di elettroni. Gli elettroni sono particelle elementari, ossia, per quanto ne sappiamo, non sono composte da altre particelle. Il nucleo – cui fa riferimento la parola “nucleare” nell’acronimo dell’INFN, nel senso che chi lavora nell’istituto studia le particelle nucleari – è composto da neutroni e protoni, a loro volta composti da quark, che sono altre particelle elementari. Tutto ciò che sappiamo di come è composta la materia, delle particelle e delle loro interazioni è riunita in una teoria che si chiama Modello Standard.
I Laboratori Nazionali del Gran Sasso sono un’eccellenza nella fisica delle particelle, perché sono i più grandi al mondo e fanno fisica di altissimo livello. Da quelle parti si cerca di dare risposta alle grandi domande della fisica contemporanea, e lo si fa con vari esperimenti, che sono attivi anche in questo momento, mentre state leggendo questo post.
Recentemente, si è deciso di fare un nuovo esperimento, SOX, ossia Short-distance Oscillations with boreXino. Lo scopo di SOX è testare il comportamento particolare di una particella elementare che si chiama neutrino. I neutrini non hanno carica elettrica, e hanno una massa piccolissima. Interagiscono pochissimo con la materia, e sono dunque difficilissimi da rilevare. Sempre mentre ve ne state lì a leggere il mio pezzo, miliardi di neutrini sparati dal sole vi stanno attraversando da capo a piedi come foste trasparenti. Ciò che SOX cerca sono i neutrini sterili, ossia neutrini che interagiscono solo tramite la forza di gravità. È un esperimento importante perché, come vi spiegavo qualche post fa, ci sono cose che non tornano nel Modello Standard, che, per altri versi, è una teoria che ben si accorda coi dati sperimentali. Per esempio, l’esistenza dei neutrini sterili potrebbe dare una risposta parziale al problema della materia oscura, ossia il fatto che sembri che nell’Universo ci sia molta più massa di quanta ne vediamo. Lo sappiamo perché ne vediamo gli effetti gravitazionali, ma non emette luce e non interagisce con la materia attraverso nessuna delle altre tre forze fondamentali della natura: l’interazione elettromagnetica, l’interazione debole (che in genere i neutrini sentono) e quella forte. Considerando che secondo le stime più del 60% della massa dell’Universo è oscura, capirete che SOX va a indagare uno dei problemi più importanti della fisica contemporanea.
Ora, SOX si appoggia a un esperimento già in corso ai laboratori, Borexino. L’infografica de Il Post lo spiega molto bene e in termini comprensibili. Spiega anche perché i laboratori si trovano sotto il Gran Sasso: è il modo migliore per captare i neutrini solari – che, ricordiamolo, interagiscono pochissimo con la materia -, gli unici che possono attraversare indisturbati tutta quella massa di roccia, fino ad arrivare al rivelatore. Le altre particelle si fermano prima. A quella profondità sarò dunque ragionevolmente sicuro di rilevare, nel mio esperimento, solo neutrini o giù di lì.
Ora, veniamo a SOX. SOX deve sostanzialmente rivelare neutrini che scompaiono. Per questo ha bisogno di una sorgente che ne emetta un numero noto. Se qualche neutrino scompare, ne vedrò meno rispetto a quanto mi attendo. È più complicato di così, ma in linea di massima è una prima approssimazione dell’esperimento. I neutrini ad esempio si producono durante i decadimenti radioattivi. Qui ci serve un’altra parentesi: i decadimenti radioattivi sono quei processi naturali per cui un certo elemento spontaneamente si trasforma in un altro con un numero atomico differente, ossia con un numero di protoni, nel nucleo, diverso. Esempio: il fluoro-18 ha un nucleo formato da 9 protoni e 9 neutroni. Un protone spontaneamente decade in una coppia formata da un neutrone e un positrone (altra particella elementare), con la produzione di un neutrino. Nel complesso si forma l’ossigeno-18, in cui il numero di neutroni nel nucleo è 10, mentre quello dei protoni ora è 8. Durante questi processi si producono un bel po’ di particelle e radiazioni di vario genere che non fanno granché bene alla vita. Badate bene, è una roba diversa dalla fissione nucleare, in cui spariamo neutroni contro dei nuclei atomici per romperli e tirarne fuori energia. La fissione avviene in modo controllato nelle centrali nucleari, e in modo incontrollato nelle bombe atomiche.
Così, per renderla una roba un po’ meno spaventosa e aliena, vi posso dire che con la radioattività abbiamo un rapporto giornaliero. Roma ha una radioattività naturale piuttosto elevata, dovuta al fatto che giace per lo più su rocce vulcaniche. Infatti ad esempio il tufo, pietra vulcanica con la quale noi romani abbiamo grande dimestichezza, dato che si usa spesso per le costruzioni, produce il radon, un gas pericoloso per la salute. Se abitate in una casa di tufo, comunque, basta areare i locali e farlo uscire. Ma, per esempio, anche le banane sono radioattive: dentro c’è il potassio. Inoltre, usiamo la radioattività anche a scopi “benefici”, diciamo così: in medicina si usano sorgenti radioattive sia per la diagnostica (la PET, ad esempio), che con scopi terapeutici (la radioterapia per i tumori, ad esempio). Gli operatori che lavorano con queste sorgenti adottano schermature e protezioni di vario genere, e anche l’uso che se ne fa è limitato entro margini di sicurezza per il paziente. Infatti con la radioattività non si scherza: quando se ne assume troppa, ci si ammala, in casi di gravi intossicazioni si muore. Marie Curie, una scienziata che ha fatto molti studi proprio sulla radioattività, è morta per le conseguenze di un’esposizione prolungata a materiali radioattivi.
Comunque, torniamo a SOX. SOX, dicevamo, ha bisogno di una sorgente di neutrini, e l’ha trovata in un materiale radioattivo: il Cerio-144. Che è radioattivo forte, una cosa necessaria per avere un buon numero di neutrini (ricordate? Interagiscono poco con la materia, quindi ce ne vogliono tanti). Ora, l’esperimento, lo ripeto, è volto a rivelare i neutrini. Non tutti gli altri prodotti del decadimento radioattivo. Questi ultimi devono essere schermati, e molto bene, pena il fallimento dell’esperimento. In sé, la tecnologia per schermare i prodotti di un decadimento radioattivo non è roba nuova. Per esempio, il piombo in genere è molto usato per bloccare i raggi gamma, che vengono prodotti durante alcuni tipi di decadimenti. Dato che però qui abbiamo a che fare con sorgenti molto radioattive, e schermarne i prodotti di decadimento è importantissimo, i progettisti di SOX hanno inventato un contenitore metallico pesante svariate tonnellate, fatto di rame, acciaio e tungsteno, nel quale la sorgente radioattiva resterà confinata per sempre. Dal contenitore escono quasi esclusivamente neutrini, che non fanno male a nessuno. La radioattività residua del sistema sorgente di neutrini+contenitore è piuttosto bassa. Per dare un’idea, le persone che metteranno in sede la sorgente assorbiranno una dose di radiazioni paragonabile a quella di una radiografia dentistica. Gli altri prodotti del decadimento rimangono nel contenitore, che non si può aprire, e ha le pareti spesse 19 cm. In sostanza, è un cilindro alto circa mezzo metro, con dentro un buchino. Nel buchino c’è il materiale radioattivo.
Fino a qualche giorno fa, prima che mia madre mi raccontasse di un certo servizio a Le Iene, questa storia non la sapeva nessuno fuori dall’Abruzzo, fatta ovviamente eccezione per gli scienziati che studiano queste cose. L’esperimento aveva ottenuto tutte le autorizzazioni del caso, visto che la sorgente per altro la sorgente deve venire dalla Russia, ove verrà confezionata, ed eravamo tutti contenti. Sono anni però che si accusano i Laboratori del Gran Sasso di inquinare l’ambiente. Sotto il Gran Sasso c’è infatti un’importante sorgente d’acqua che abbevera un bel po’ di gente (800.000 persone ho letto da qualche parte) e il timore è che gli esperimenti ai laboratori possano inquinarla. C’è stato un precedente; nel 2002, per un errore umano, 50 litri di un materiale tossico (non radioattivo) usato per pulire un contenitore finirono in uno scarico, e da lì in un fiume. Per darvi un’idea, una vasca da bagno media contiene circa 200 litri. Infatti, le misurazioni degli enti preposti trovarono che la presenza del solvente stava comunque sotto gli standard di legge (almeno stando all’unico documento che ho trovato su questa storia). Tra l’altro, la perdita era stata tempestivamente bloccata dai sistemi di sicurezza dei laboratori. Non è stata una bella cosa, ma almeno i danni sono stati contenuti.
Le Iene sono entrate a gamba tesa appena hanno sentito “radioattivo” ed “esperimento” nella stessa frase, che unito a quel “nucleare” presente nell’acronimo dell’INFN, gli ha fatto tirare in ballo niente meno che Fukushima. Da lì, psicosi, e il Movimento 5 Stelle, sempre così sensibile nei confronti della pancia del paese, in regione ha fatto approvare all’unanimità (ripeto: unanimità, segno che alla pancia del paese ci tengono un po’ tutti…) una mozione per bloccare l’esperimento.
Ora, dalle cose che ho detto (sempre se sono stata in grado di spiegarle per bene…) dovrebbe essere chiaro che SOX non è pericoloso. Innanzitutto, l’esperimento non richiede che la sorgente radioattiva entri in alcun contatto con l’acqua. L’acqua sta dentro Borexino, nello specifico nel guscio esterno che isola parte di rivelatore, più interna. La sorgente radioattiva andrà posta in un cunicolo sotto il rivelatore, in un buco separato dal resto, per usare terminologia terra terra. Inoltre, perché lo richiede l’esperimento, la radioattività non deve in alcun modo uscire dal contenitore. Invaliderebbe i risultati. Quindi, se anche tutta la gente che lavora al Gran Sasso fosse fatta di stronzi senza scrupoli che braserebbero i figli sulla graticola per il bene della scienza, è nel loro interesse che la radioattività resti dove sta: dentro il contenitore di rame, acciaio e tungsteno.
Dice: ok, ma il contenitore viene dalla Russia. E se succede qualcosa nel tragitto? Ecco, non è che gli scienziati che lavorano su questa cosa siano tutti deficienti, eh? Ovviamente tutto è stato studiato perché il transito sia rapido, avvenga attraverso protocolli già collaudati con un viaggio a vuoto, e perché il contenitore sia a prova di qualsiasi cosa, comprese esplosioni, incendi e terremoti. Perché, dice ancora il buon senso, i laboratori di trovano in zona sismica. Se c’è un terremoto? Beh, ragazzi, purtroppo lo sappiamo già che succederebbe. Il terremoto c’è stato, nel 2009, purtroppo è morta un sacco di gente, ma ai laboratori non è successo niente.
SOX è sicuro. E non lo è perché lo dice l’INFN. Lo è perché sono state fatte valutazioni da enti terzi, per altro di tutti i paesi attraversati dalla sorgente radioattiva. In Italia, l’autorizzazione era stata data dal governo centrale e dalla regione, sulla base delle valutazioni di tutti gli enti di controllo preposto. Eh, ma noi vogliamo la sicurezza assoluta. La sicurezza assoluta non esiste. Sei assolutamente sicuro che casa tua non verrà distrutta da un incendio? Sei assolutamente sicuro che uscendo di casa non possa caderti in testa un lampione, o, più raramente, un fulmine, o, caso mai documentato ma possibile, un asteroide? Ecco: che la fonte radioattiva possa uscire dalla sua tomba di tungsteno, acciaio e rame è un evento paragonabile per probabilità all’asteroide che cade in testa a una persona.
Ora, tutta questa storia è grottesca, e prova due cose.
La prima è che paghiamo anni in cui la scienza non ha comunicato o l’ha fatto male (lo so che sta correndo ai ripari, lo so e lo dico sempre, e lo fa anche da svariati anni), e il fatto di essere una società che valuta la scienza meno di zero. Non riteniamo che un’alfabetizzazione scientifica di base sia necessaria per definirsi una persona colta, o anche solo essere un buon cittadino. Se non conosci Dante sei giustamente un buzzurro, se non sai cos’è la forza di gravità ‘sti cazzi, non è necessario. La scienza è per il 90% dei cittadini una scatola nera dalla quale può uscire un po’ di tutto, e, di recente, tutti pensano che ne escano solo bombe atomiche, medicinali che ci ammazzano e vaccini che ci fanno diventare autistici. La paura nasce dall’ignoranza, intesa come “non sapere”, senza alcuna connotazione deteriore. Molti non sanno, anche perché nessuno spiega. Tra l’altro, a volte coloro che sono preposti a spiegare nicchiano, non lo ritengono necessario, si prestano a facili strumentalizzazioni. Ma la comunicazione della scienza è una roba seria, che va fatta con la massima chiarezza e serietà. Oppure succedono ‘ste cose qua.
L’altra considerazione è che la politica ha veramente calato le braghe. Non esiste più una progettualità, un disegno…Esiste solo quello che vuole la gente. La gente pensa che gli immigrati sono tutti ladri? Niente ius soli, stop all’immigrazione. La gente pensa che del materiale radioattivo possa miracolosamente prodursi fuori da un contenitore di tungsteno spesso 19 cm e arrivarti direttamente nel rubinetto di casa? Stop a SOX, sia mai. Nessuno che si sia chiesto se ci sia una ricaduta, in tutto questo, se i laboratori non producano anche ricchezza per la popolazione locale, e per l’Italia tutta. No. La gente c’ha paura, la cosa non si fa.
Lo stesso dicasi per i media, molti dei quali non fanno informazione, ma solo click e like. E, prima che insorgiate, lo so che ci sono tante realtà giornalistiche che continuano a sbattersi nell’indifferenza per fare giornalismo vero e d’eccellenza, o solo per raccontare con onestà i fatti. Ci sono e le conosco. Ma stanno diventando la minoranza. I più danno alla gente quel che vuole: un sacco di paura. Paura del diverso, paura di ciò che non si conosce, paura della scienza. E Le Iene rappresentano il vertice in negativo di questo modo di fare informazione. Mi si dice: Le Iene sono intrattenimento. Questo lo sappiamo io e te che c’abbiamo la laurea, leggiamo più di dieci libri l’anno o semplicemente ci sforziamo di capire le cose. La maggior parte della gente non lo sa. La maggior parte della gente non sa che un cilindro di tungesteno con dentro un materiale radioattivo non può esplodere, neppure con un terremoto, non sa che la radioattività naturale e la fissione controllata sono cose diverse. La gente normale non sa manco che una centrale nucleare non può esplodere come fosse Hiroshima. Perché nessuno glielo dice. E, del resto, se mi fai un servizio come quello dell’altra sera, stai volutamente confondendo le acque. Ricordiamo tutti il caso Stamina, una roba al confronto della quale questo nuovo episodio impallidisce. Si è esaltato un semplice truffatore, si è fatta audience sulla pelle dei malati, si è portato un intero paese a credere all’olio di serpente. Per cosa? Per fare ascolti. Idem per SOX, per fortuna con esiti meno gravi del caso Stamina.
Io, davvero, non so che altro dire. È una storia brutta, ma, essendo io un’ottimista, voglio credere che possa insegnarci qualcosa. Che la scienza per pochi non è scienza. Che viviamo in una società complessa, in cui non possiamo fare quello che ci pare senza comunicare con la gente. Che i finanziamenti dipendono da quanto la gente capisce e si sente coinvolta dal tuo esperimento, dal tuo lavoro. Che occorre coinvolgere i territori sui quali ci sono gli enti di ricerca. Qui ai Castelli Romani lo si fa molto bene, annualmente, e anche giorno per giorno, con aperture al pubblico e cose del genere. E che con la gente bisogna parlare, anche quando ti fa domande che ti sembrano stupide, perché per lei non lo sono. Esiste una frattura sempre più profonda nella nostra società, tra chi ha gli strumenti per capire la complessità e chi non ce l’ha. La risposta non è prendere in giro l’ignoranza di chi magari vorrebbe anche capire, ma non ne ha modo. La risposta è parlarsi, senza paura, senza sentire costantemente il bisogno di rimarcare la propria differenza e superiorità. Quanto non ne posso più di tutte le pagine Facebook che prendono in giro chi non sa, chi non ha i mezzi. Basta con “gli analfabeti funzionali”, che finiscono per diventare chiunque non la pensi come noi, basta con “e questi hanno il tuo stesso diritto di voto!!”, perché quella è la democrazia, e starebbe allo stato dare a tutti la capacità di capire, di fare scelte ragionate. Ecco, pure basta. Occorre cambiare paradigma e farlo presto, perché stiamo raccogliendo quanto non abbiamo seminato.
Sono stata lunga, e ho finito con un pippone. Mi spiace, ma questa è anche un po’ la mia vita. E ci tengo. Perché riguarda il futuro di noi tutti.

P.S.
Ho fatto qualche piccola modifica. Grazie a Marco Casolino per l’editing :)

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Superman neutrino

Un giorno – ero ancora una studentessa di laurea – una mia collega venne da me e da Giuliano con una pagina di un noto quotidiano gratuito, di quelli che ti danno sotto la metro. Si parlava di una tempesta solare – niente più che un’eruzione di materiale sulla superficie del sole, che in genere ha come effetto un aumentato flusso di particelle verso la terra – e c’era scritto che le particelle emesse viaggiavano a 300 000 milioni di km/s. Ci facemmo una grassa risata sull’ignoranza del giornalista, che o non sapeva che la luce nel vuoto viaggia a 300 000 km/s, o ignorava che nessuna particella dotata di massa può viaggiare non solo più veloce della luce nel vuoto, ma neppure alla stessa velocità.
Vi cito quest’aneddoto perché è significativo: che niente possa andare più veloce della luce nel vuoto, e che a 300 000 km/s ci vanno solo i fotoni è una cosa che sanno in genere anche quelli che di fisica non sanno niente. È una di quelle poche cose che ti resta in testa dalla scuola, e una delle poche certezze sulle quali uno scienziato metterebbe la mano sul fuoco, assieme alla terra che gira intorno al Sole e un altro paio di cose. Questo per farvi capire perché questa notizia – per una volta – ha ben ragione di essere sparata in prima pagina sui giornali a caratteri cubitali.
Ora, vediamo se ci riesce di capire perché fino ad ora tutti eravamo convinti che c – da qui in avanti indicherò con c la velocità della luce nel vuoto – fosse una costante.
Cominciamo con le cose semplici. Immaginiamo che io sia su un treno che va a 80 km/h. Se mi metto a camminare in questo treno, diciamo ad una velocità di 5 km/h, per un omino fermo in stazione, e che misuri da terra la mia velocità, io andrò a 80+5=85 km/h, ossia alla velocità con cui mi muovo insieme al treno, più la mia velocità rispetto al treno stesso. Immaginiamo adesso che a muoversi da un capo all’altro del treno sia un raggio di luce. Lo stesso osservatore di prima, fermo in stazione, misurerà che il mio fotone – le particelle di cui la luce è composta si chiamano fotoni – va a 300 000 km/s x 3600 s (in un’ora ci sono 3600 secondi) = 1 080 000 000 km/h più la velocità del treno, ossia 1 080 000 000 km/h + 80 km/h = 1 080 000 080 km/h. Siete d’accordo? Vi immagino annuire. E invece no. È predetto dalle equazioni di Maxwell (le equazioni che spiegano i fenomeni elettromagnetici) – e in seguito è stato sperimentalmente provato – che se l’osservatore in stazione e quello sul treno misurano la velocità del fotone, trovano la stessa cosa: per entrambi, il fotone viaggia a 1 080 000 000 km/h, ossia 300 000 km/s. Ovviamente, è una cosa controintuitiva, ma è così, la natura funziona così. Su questo dilemma si ruppero la testa in molti, a cavallo tra la fine dell’800 e l’inizio del ’900. Finché non arrivò Einstein, che fece la cosa più semplice e più rivoluzionaria: disse che ok, la velocità della luce è uguale in tutti i sistemi di riferimento, in moto o fermi, ce ne dobbiamo fare una ragione. Ma se c è invariate, cioè appunto non cambia col sistema di riferimento, allora cambia tutto il resto: le misure di spazio e tempo fatte dall’omino sul treno e da quello in stazione saranno diverse. Ossia, spazio e tempo sono relativi, dipendono dal sistema di riferimento. In particolare, saranno diversi in un sistema a riposo e in uno che si muove invece a velocità costante rispetto al primo. Complimenti, avete appena capito cos’è la teoria della relatività ristretta, il primo pezzettino della rivoluzione di Einstein. Il grande vantaggio della relatività di Einstein era che spiegava le trasformazioni di Lorentz. Le trasformazioni sono semplicemente equazioni che permettono in passare da un sistema di riferimento all’altro. Nel nostro esempio, per passare dalla misura di velocità fatta dall’omino in treno a quella dell’omino fermo in stazione abbiamo applicato una trasformazione: nello specifico abbiamo sommato la velocità del treno. Ebbene, le trasformazioni di Lorentz sono formule matematiche che permettono di passare da un sistema di riferimento all’altro tenendo presente che le misure di spazio e tempo non sono più le stesse in tutti i sistemi di riferimento, che siano in moto o siano fermi. Non erano state introdotte a questo scopo, ma per permette di modificare correttamente le equazioni di Maxwell passando da un sistema di riferimento all’altro, ma è Einstein che le ha spiegate. Comunque, non vi sto a tediare con le formule, vi dico solo che in esse compare un termine piuttosto importante, il fattore di Lorentz

dove β²=v²/c². v è semplicemente la velocità con cui si muove il sistema di riferimento. E già qui capiamo l’inghippo. Se v=c, γ diventa infinito. Peggio mi sento se v>c: abbiamo addirittura la radice di un numero negativo, che matematicamente ha un senso, ma fisicamente no. La famosa legge E=mc² vale solo per velocità piccole (cioè molto minori di c; piccolo e grande sono termini che non hanno senso in fisica, occorre sempre specificare rispetto a cosa siano grandi o piccole). La sua versione generale è

E=γmc²

dal che si capisce che se γ è infinito (cioè v=c) anche l’energia diventa infinita. Questo significa che ci vuole un’energia infinita per far arrivare alla velocità della luce un oggetto dotato di massa m, indipendentemente da quanto questa massa sia piccola. È un modo complicato per dire che un oggetto con massa m non può andare alla velocità della luce.
Sento alcuni di voi dire: ma come, la luce va alla velocità c, e la luce è fatta di fotoni! Già, ma i fotoni non hanno massa.
Fin qui, tutto chiaro.
Veniamo all’esperimento.
Innanzitutto, cos’è un neutrino. È una particella piccolissima, elementare (cioè non è composta da altre particelle e sua volta) che riveste un ruolo importante anche in molti processi astrofisici. Inoltre, i neutrini sono particelle buffe. Innanzitutto, per un sacco di tempo è stato incerto se avessero o meno una massa. L’esperimento Super-Kamiokande ha provato che sì, ce l’hanno, molto piccola, ma ce l’hanno. Inoltre, i neutrini sono praticamente inarrestabili; mentre state leggendo, miliardi di neutrini vi stanno attraversando da capo a piedi, e non si fermano al pavimento, penetrano qualsiasi materiale, attraversano la terra. Si dice che interagiscono debolmente con la materia. Ossia, è rarissimo che un neutrino “urti” un’altra particella o un nucleo di atomo generandone altre, e dato che gli urti e i loro effetti sono l’unico modo che abbiamo per capire come sono fatte le particelle (gli acceleratori fanno questo, fanno urtare le particelle facendole accelerare a velocità prossime, ma non uguali per quanto detto prima, a quelle della luce), capirete bene che scovare un neutrino e capire com’è fatto non è semplice. Ma si fa.
Ora, l’esperimento Opera produceva un certo numero di neutrini al CERN, a Ginevra, e li sparava ai laboratori INFN del Gran Sasso. Dato che i neutrini interagiscono pochissimo con la materia, penetrano tutto il penetrabile tra Ginevra e il Gran Sasso, procedendo in linea – più o meno – retta senza tener conto di tutti gli ostacoli che ci sono in mezzo.
Ora, sincronizzando gli orologi a Ginevra e al Gran Sasso, se si fanno partire i neutrini al tempo t0 da Ginevra e arrivano al tempo t1 al Gran Sasso, e la distanza tra i due punti di partenza e arrivo è ben nota e pari a d, allora la velocità con cui i neutrini hanno viaggiato è presto calcolata:

v=d/(t1-t0)

È fisica elementare. Ora, l’esperimento non funziona proprio così, e tra l’altro non era neppure nato per misurare la velocità del neutrino, ma diciamo che concettualmente si fa questo. Fatta la misurazione, è venuto fuori che v>c. In particolare, i neutrini ci hanno messo 0.00000006 s meno di quanto ci avrebbero messo i fotoni nel vuoto a fare lo stesso percorso. Se ci pensate, non è così poco.
Ora, quando si trova un risultato come questo, che evidentemente mette in dubbio una teoria collaudatissima – ci arriveremo – come la relatività il primo pensiero non è “cavoli, ho vinto il Nobel”, ma “dannazione, dov’è l’errore?”. Un errore ovvio – e molto, molto marchiano – può essere questo: ma il mio strumento ha la precisione necessaria per rilevare una differenza del genere, oppure la mia misura ha un’incertezza più grande? Esempio: misuro un tavolo con un metro da sarta, che ha le tacche ogni millimetro. Potrò misurare un’altezza di 100,1 cm, ma difficilmente potrò misurare 100,01 cm. Il mio metro non ha tacche da un decimo di centimetro. Sgombriamo il campo: 0.00000006 s è ampiamente sopra l’errore della misura. Altre due fonti di errore: sono sicuro che gli orologi a Ginevra e al Gran Sasso sono sincronizzati bene? E conosco con la dovuta precisione la distanza tra questi due posti? Sono domande che ovviamente i ricercatori si sono posti e le risposte sono state: sì, sono sincronizzati per bene, sì, sono sicuro delle distanze. Pensate che hanno anche tenuto presente lo spostamento della crosta terrestre dovuto al terremoto de L’Aquila.
Si passa quindi allo strumento: non è che ha qualche errore di progettazione e/o è successo qualcosa che ha falsato la mia misura? Oppure: ho tenuto presente tutti gli effetti che potrebbero influire sulla mia misura? E ho ripetuto la misura abbastanza volte da escludere che sia un errore?
La ricerca è durata tre anni, i neutrini di cui è stata misurata la velocità sono stati 16111, e i ricercatori non sono stati in grado di evidenziare né errori sistematici né altri effetti che possano spiegare questa misurazione. Così, dopo tre anni, hanno fatto quel che fa lo scienziato serio: hanno pubblicato i dati e hanno detto “qualcuno ripeta l’esperimento altrove, o misuri la velocità dei neutrini in altro modo e vediamo se le nostre misure vengono confermate”.
La storia finisce qui. O meglio, comincia qui. La teoria della relatività è una delle teorie meglio supportate dai dati sperimentali: ha fatto molte previsioni che si sono dimostrate corrette, è stata verificata in centinaia di modi diversi, e fin qui ha spiegato in modo egregio il funzionamento della gravità. Fin qui, appunto. Se le misure di Opera venissero confermate, dovremmo concludere che si è aggiunto al quadro un elemento nuovo. Del resto, non è la prima volta che succede. Fino alla fine dell’800, Newton basava e avanzava a spiegare il moto di stelle e pianeti. C’era solo un piccolo particolare che non tornava nel quadro generale: l’orbita di Mercurio aveva delle particolarità che apparivano inspiegabili nel quadro della legge di gravitazione universale di Newton. Einstein le ha spiegate. E, beninteso, la relatività generale non ha spazzato via la gravità di Newton. Sotto precise condizioni, la relatività generale si riduce alla formulazione di Newton. Ma alcune cose che succedono nel nostro universo, Newton non le spiega, Einstein sì. La relatività ingloba e completa la legge di gravitazione universale di Newton, che infatti ancora si insegna nelle scuole.
Ora, è possibile che ci sia un errore, è possibile che non sia affatto vero che abbiamo trovato una particella dotata di massa che va più veloce della luce. Ma può anche essere invece che la Natura ci ha fregati una volta di più: quando (più o meno) tutto sembrava tornare, ci ha messo i bastoni fra le ruote, facendoci scoprire che avevamo dimenticato qualcosa, che c’è dell’altro, là fuori. La verità ce la diranno i prossimi anni. A me piace credere che la misura fatta al Gran Sasso apra nuovi orizzonti alla fisica, piace credere che abbiamo trovato qualcosa di nuovo intorno al quale arrovellarci, per cercare di dare un senso a questo puzzle complesso e indecifrabile che è l’universo nel quale viviamo. Ma è, appunto, una semplice speranza, che al momento non è supportata da nessun fatto concreto.
Intanto, mi diverto a vedere una notizia di fisica in prima pagina sui quotidiani, per una volta a ragione.

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