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Un piccolo regalo

Un piccolo regalo
Salve a tutti. È stata una giornata piuttosto complessa, spesa tra cucina – mi sono data alla cucina tradizionale italiana di Pasqua :P – e il divano, dove giaccio ora vittima del duecentomiliardesimo virus influenzale-parainfluenzale-gastrointestinale della stagione. Olé. Comunque, almeno chiudiamo in bellezza.
Se vi ricordate, ieri vi avevo detto che c’erano novità che bollivano in pentola, e vi avrei tenuti aggiornati. Beh, l’aggiornamento è arrivato prima del previsto, sotto forma di un inedito. Ebbene sì, forse ve l’avevo già detto, ma non tutto quello che ho scritto per Nashira è poi finito nel libro. Le ragioni sono le più svariate: alcune cose non mi piacevano, altre invece erano più che altro lunghe digressioni all’interno della storia, e per ragioni di ritmo sono stata costretta a tagliarle. Ecco, il pezzo che state per leggere appartiene proprio a quest’ultima categoria. Si tratta di un episodio dell’infanzia di Talitha; in verità il libro, in prima stesura, si apriva proprio con questo brano che state per leggere, poi ho preferito iniziare un po’ più in media res.
Tutto qua. Io spero che vi piaccia. Io ho iniziato ad innamorarmi di Saiph e Talitha proprio qui, quando li ho visti incontrarsi per la prima volta.
Enjoy!
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Prossimi appuntamenti

Ho avuto una mattinata piuttosto intensa, e ora l’unico desiderio che ho è di giacere. Magari con un film. Ma giacere. Indi per cui, oggi vi segnalo solo le mie prossime presentazioni: la prima è il 21 aprile, al punto vendita Mediaworld di Fiumicino. Ancora non so dirvi bene l’orario, sarà in ogni caso nel pomeriggio. La settimana dopo, invece, ossia il 28, sarò a Gubbio, nell’Antico Refettorio della Biblioteca Sperelliana, presso l’Abbazia di S. Pietro, ore 11.00.
La settimana dopo ancora, il 5 maggio, sarò invece alla Libreria MelBook Store di Via Nazionale, qui a Roma; anche in questo caso, ancora non conosco l’orario, ma suppongo sempre di pomeriggio.
Infine, è previsto anche che io salga su a Torino per il Salone del Libro, solo che al momento non ho dettagli al riguardo. Si tratterà comunque del weekend 12-13 maggio.
Bon, tutto qua, almeno per il momento. Come sempre, a breve troverete il tutto indicato sulla homepage, come promemoria.
Per la verità, ci sono altre novità che bollono in pentola, ma ve le comunicherò a tempo debito. Stay tuned :) .

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Un consiglio di lettura, ancora

Stamattina, mentre cercavo di riprendermi dall’ennesima nottata “complicata” di Irene – ho letto una recensione estremamente positiva di Hugo Cabret di Scorsese. Ora, in verità il film non mi ha mai attirata, e anche i trailer che ho visto mi hanno lasciata piuttosto fredda. Ma non è colpa di Scorsese, o di qualcosa nelle immagini. È che Hugo Cabret è uno dei libri più belli e particolari che abbia mai letto, e la sua grandezza credo sia impossibile da rendere efficacemente sullo schermo. Non è solo nella storia, o nei personaggi, o nel periodo storico in cui è ambientato. È nella capacità di Selznick di inventare un nuovo modo di narrare.
La Straordinaria Invenzione di Hugo Cabret mi viene in mente ogni volta che qualcuno critica il catalogo Mondadori. Che è sterminato, quindi insieme alle belle cose ci saranno anche le cose così così e quelle francamente brutte. Peccato, però, che nessuno si renda conto di quale straordinario miracolo sia che un libro così bello, così originale, così francamente e innocentemente poco commerciale sia arrivato in libreria. È una perla apparsa in libreria, una perla che, temo, in pochi hanno davvero apprezzato.
Cos’ha di particolare? La storia di Hugo viene raccontata in parte tramite le parole, ma per buona metà tramite splendide illustrazioni a matita, in bianco e nero. E i disegni non sono un piacevole contorno alla storia, non la illustrano: la raccontano. Immaginate che ad un certo punto di un capitolo, le parole si interrompano, e quel che resta dell’azione venga raccontato con disegni muti. Ecco, questo è Hugo Cabret. Un libro come non ce ne sono altri al mondo.
La trovata non è ovviamente fine a se stessa. Un po’ è certo figlia del fatto che l’autore, Selznick – che per altro è simpaticissimo, lo conobbi all’unica Mantovaletteratura cui abbia mai partecipato, e mi fece anche un autografo sulla mia apposita Moleskine – è un illustratore, ma riguarda anche la materia del libro. Che è ambientato negli anni ’30 e parla del cinema di Méliès. Ora, io non conoscevo Méliès prima di leggere Hugo Cabret, ma tutti suppongo conoscano questo. È suo. Ha realizzato centinaia di film, è praticamente l’inventore degli effetti speciali. Il suo era un cinema di pura meraviglia, che reinventava la realtà. E dunque si capisce perché la storia di Hugo venga narrata per immagini. Sembra di assistere ad un film muto, e quanto evocativi sanno essere i disegni di Selznik, con quel suo tratto al tempo stesso rarefatto e molto preciso, prezioso. Inutile che vi stia a dire che non è soltanto il modo in cui è raccontata la storia a colpire: è anche la storia in sé, i personaggi, la poesia del tutto.
Non vi consiglio di andare a vedere il film per il semplice fatto che non so com’è. Ma vi consiglio assolutamente il libro, perché merita. Si parla tanto di originalità, di saper narrare le cose da punti di vista inediti: ecco, Hugo Cabret è tutto questo e molto altro. Per cui fatevi un regalo e leggetelo.

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Neve, malattie e articoli di giornale

A quanto pare, siamo in attesa della Big One, la Nevicata Apocalittica che, considerando cos’è successo l’ultima volta che ha piovuto, promette veramente la fine della civiltà occidentale. Io, devo dire la verità, spero nevichi. Spero di più che, in caso, la preparazione del Comune sia adeguata – e su, ci hanno messi in preallarme da tipo due settimane… – ma spero che nevichi. L’ultima vera nevicata è stata quella dell’86, era febbraio anche allora, e io ho ricordi vaghissimi della cosa. Del resto, avevo cinque anni. Mi piacerebbe vedere la neve a Roma ora che ho l’età della ragione, e la Reflex già pronta per le riprese. Comunque. Qui si inganna l’attesa a colpi di starnuti e malanni vari. Da quando Irene va all’asilo sembriamo un lazzaretto: se non sta male lei, sta male uno di noi due. Adesso tocca a me. Ho una gran voglia di dormire oggi pomeriggio, ma La Ragazza Drago 5 mi chiama con voce suadente. Tra uno starnuto e un colpo di tosse, però, ho fatto in tempo a scrivere un brevissimo pezzo per l’Espresso: si parla di Facebook, e potrete leggerlo venerdì. Come sapete, non sono una FB-maniaca, anche se confesso di usarlo davvero tanto. Comunque, fatemi sapere che ne pensate. Io, intanto, giaccio col fazzoletto a portata di mano.

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Manzoni come King

Ho inaugurato l’anno nuovo con una rilettura de I Promessi Sposi, lettura che in questi giorni si avvia alla sua conclusione. Non è la prima volta che lo leggo; l’ho già fatto un paio di volte in passato, dopo averlo studiato a scuola. È che a me è sempre piaciuto, anche quando lo studiavo. Sarà che ho trovato professori che me l’hanno fatto apprezzare, o sarà la mia naturale propensione ad un certo modo di far narrativa che andava per la maggiore nell’800, ma non mi annoiavo a studiarlo – anzi! – e lo rileggo sempre con piacere. E devo dire che quest’ultima rilettura mi ha confermata nell’ottima opinione che ho di questo libro che la maggior parte degli italiani vede come il fumo negli occhi. E invece, ragazzi, il Manzoni dà una pista a tanti narratori moderni, e sulla gestione del ritmo e sulla capacità di commuovere e divertire. Perché, e forse questo non viene evidenziato abbastanza a scuola, I Promessi Sposi è divertente. Eh già. Altro che le solite pippe sulla Provvidenza, e la religione, e la storia…Manzoni si diverte molto a scrivere, e il lettore si diverte di conseguenza molto a leggere. Pensateci: dentro c’è veramente tutto. C’è l’amore contrastato, ovviamente, ma c’è anche la passione illecita (la monaca di Monza), il “male metafisico” (l’Innominato), la morte (la peste), il perdono (e qui l’elenco sarebbe parecchio lungo), la redenzione (da Fra’ Cristoforo all’Innominato, per dirne solo due). Il tutto raccontato con un gusto per la pura narrazione, un amore per la storia e per i personaggi che a me fa venire in mente – e mi sa che qualcuno inorridirà – Stephen King. Sì, lui. Voglio dire, siamo al capitolo IV, è appena successo il patatrac, la tensione è alta, e incontriamo Fra’ Cristoforo. Manzoni che fa? Capitolo intero di digressione sulla storia del personaggio. Roba che, se non sei bravo, il lettore chiude il libro e morta lì. E invece la digressione ci sta, appassiona, trova un suo senso compiuto e nella cornice complessiva del romanzo, e nel singolo episodio. Stessa cosa dicasi per la storia della monaca di Monza, che prende ben due capitoli. Oggi, ovviamente, non si usa più di interrompere la storia con interventi diretti dell’autore come quelli che fa Manzoni. Oggi, che so, la storia della monaca verrebbe fuori con un bel flashback. Resta però il fatto che la digressione appassiona. Io adoro la storia di Gertrude; è uno di quei racconti in cui l’acutezza di Manzoni nel raccontare l’essere umano viene fuori con una vivezza, e pure con un mestiere, che non ha eguali. O come la parte sull’Innominato. Appena si inizia a parlare di lui, il tono del racconto vira bruscamente: tutto, in quel che lo riguarda, parla di un Male superiore, di ben altra caratura rispetto a quello sciocco, capriccioso, di Don Rodrigo. La valle in cui vive è intrisa essa stessa di un’atmosfera cupa, tremenda, che il lettore coglie a volo.
Non starò a dilungarmi sulla perfezione di certi passi, sui quali in genere ci si sofferma abbondantemente a scuola. Il “La sventurata rispose”, punto e a capo, è il perfetto esempio della misura, della grandezza di una narrazione che, pur affondando a piene mani in una materia “patetica”, quasi mai scantona nel retorico spinto. Dice più quel punto e a capo di tante parole. È un vuoto significativo che il lettore riempie dei più oscuri sottintesi. Comunque, per inciso vi segnalo un passo dalla notte dell’Innominato che mi sembra veramente splendido – a me l’Innominato è sempre piaciuto un sacco –

Non era la morte minacciata da un avversario mortale anche lui; non si poteva respingerla con armi migliori, e con un braccio più pronto; veniva sola, nasceva di dentro; era forse ancor lontana, ma faceva un passo ogni momento; e, intanto che la mente combatteva per allontanarne il pensiero, quella s’avvicinava”

Cioè. Tutto straordinario. Il ritmo, la scelta delle parole, tutto. Una frase che per altro spiega in due righe e mezzo l’Innominato.
Un’altra cosa che ho notato specie in quest’ultima lettura è l’ironia. Noi abbiamo quest’immagine pallosissima di Manzoni, come un tizio basettone col cipiglio severo, fissato con la religione, e invece dalle pagine de I Promessi Sposi viene fuori di continuo il ritratto di un uomo ironico. L’ironia, nel libro, è ovunque. Nei continui incisi che l’autore si permette, nei commentini sui personaggi, nel riferirsi ai “venticinque lettori” – ha ragione Eco, ne vuole venticinque milioni -, nei tanti ritratti di personaggi minori. E dietro si intravede un piacere della narrazione, un divertimento del racconto che io trovo modernissimo. Per dire, ogni volta che Don Abbondio compare in scena io vedo distintamente Manzoni che sghignazza. Ci sono parti che sono evidentemente più lunghe di quanto la narrazione richiederebbe – il monologo interiore di Don Abbondio in marcia verso la casa dell’Innominato – che stanno lì solo perché Manzoni si stava divertendo troppo. A volte ti verrebbe la voglia di essere nato duecento anni fa per conoscerlo, questo autore volpone, che non si nega nessun becero trucco per ingraziarsi il lettore e divertirlo, che ha un controllo assoluto sulla trama, che tratteggia personaggi memorabili. Ed è tutto straordinariamente moderno. È questo che ho scoperto: che I Promessi Sposi si possono leggere come si legge un Murakami, un King, un autore di genere. Che non è un libro paludato e noioso come troppo spesso si crede, che è un trattato di buona scrittura da cui abbiamo tutti da imparare, che ha attraversato duecento anni e passa di storia restando fresco e godibile come il primo giorno. Per cui vorrei consigliarvi di non chiudere la mente, quando a scuola vi fanno studiare Manzoni. Rischiate solo di perdervi una gran storia e un gran libro.

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Consigli di lettura

Oggi, come mi succede ahimè spesso, mi limito a segnalarvi qualcosa. Si tratta di una mia breve intervista per Bol: parlo un po’ del genere letterario, e del fatto che più passa il tempo meno mi raccapezzo tra le miriadi di generi e sotto generi in cui il fantastico è suddiviso – secondo me tra un po’ ogni scrittore fare un genere suo, che poi probabilmente è la classificazione più onesta da proporre al lettore – e vi do qualche consiglio di lettura, limitato al fantastico. Trovate il tutto qui. Enjoy!

Addendum
Mi avvisano or ora che c’è anche un altro pezzetto di intervista su Bol che mi ero dimenticata :P . Questa volta si parla più specificamente de Il Sogno di Talitha, e, credo per la prima volta, spiego anche la dedica, alla quale, confesso, tengo molto, anche se è orrenda come tutte le dediche. Quando si tratta delle emozioni dei personaggi, non ho mai problemi, ma quando si tratta delle mie le cose diventano enormemente più complicate. Trovate il tutto qui.

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Consigli di lettura: 22/11/’63

Visto che siamo sotto le feste, e sulla carta tutti dovremmo avere più tempo per lo svago (tutti tranne me, io non ho mai tempo, per definizione), inizio una piccolissima serie di post in cui vi consiglio roba da vedere/leggere. Per la verità adesso ho in mente solo due cose, ma magari nel prosieguo ne troverò altre.
Dunque, ho finito da pochi giorni 22/11/’63, l’ultimo libro di Stephen King. Piccola premessa: non sono una fan sfegata di King. Di lui ho letto It, che mi è piaciuto mediamente, Il Gioco di Gerald, che invece avevo apprezzato di più, e Notte Buia, Niente Stelle, che mi aveva davvero catturata. Nonostante il mio giudizio su quanto di suo ho letto sia più che positivo, non sono una fan. Solo che, circa un paio di settimane fa, mi sono imbattuta appunto in 22/11/’63, e…niente, è così bello da far male, e sono sicura che, se siete lettori forti, avete capito cosa intendo.
Ci sarebbe da dirne a pacchi sull’ultima fatica del Re. Io mi concentrerò su un paio di punti che mi hanno particolarmente colpita.

Il gusto per l’affabulazione
La prima cosa che colpisce di King, è la straordinaria capacità di narrare. Le sue storie sono dotate di quella forza dirompente e irresistibile che solo i grandi narratori sono in grado di imprimere. Inizi a leggere, ed entri in un altro mondo. Si viene catturati, non si riesce letteralmente a staccare gli occhi dalla pagina. E questo indipendentemente dall’argomento che King sta trattando, perché lui saprebbe avvincerti anche con la lista della spesa. Saper raccontare è un dono, o ce l’hai o non ce l’hai, e lui ce l’ha, al massimo grado. I personaggi diventano rapidamente i tuoi migliori amici, ti interessa di loro, ti sembra di conoscerli da sempre, vivi e soffri con loro. Appena apri le pagine, non ha più alcuna importanza dove tu sia e cosa tu stia facendo: tempo un paio di parole, e sei – nel caso di 22/11/’63 – nell’America degli anni Sessanta.
Io questa capacità “artigianale” – e sapete che artigianale in questo contesto ha per me un significato estremamente positivo – io gliela invidio dal profondo. Tra l’altro, da grande qual è, King è perfettamente consapevole dei suoi strumenti, nonché di quel che sta facendo, o non direbbe quanto segue, per tramite del suo protagonista.

“Da insegnante, ho sempre insistito sulla semplicità. Che si tratti di narrativa o di saggistica, conta solo una domanda, e una risposta: «Cosa accade?» chiede il lettore. «Questo… E questo… E anche questo», risponde lo scrittore.

Ecco. Io questa cosa qui probabilmente la scriverò a caratteri cubitali sul soffitto della mia stanza da lettore. Due righe, e c’è riassunto quel che fa uno scrittore di genere. Non c’è veramente altro da aggiungere.

La banalità del Male…
Per quanto possa capirne, in base ovviamente al mio vissuto, a me sembra che il libro porti avanti un discorso per nulla banale sul Male. Certo, lo si può considerare un libro di fantascienza, anche se gli elementi del genere stanno tutti in apertura e in chiusura del libro, o, forse, più a ragione, una struggente storia d’amore. Ma sotto sotto, si parla di Male, come del resto in tutti gli altri libri di King che ho letto. In particolare, della banalità del Male. Male incarnato innanzitutto da Oswald. Un ometto, per come ce lo dipinge King – e per come con ogni probabilità era – compresso da una madre ossessiva, ciecamente idealista, incapace di ribellarsi davvero, vigliacco. E questo acuisce l’orrore del suo gesto. Kennedy non è morto in seguito ad un complotto, non è stato colpito da un grand’uomo. Kennedy è stato ucciso da un piccolo uomo, perché quasi sempre sono i piccoli uomini ad essere capaci di gesti tremendi. Tutto il resto della fauna del libro è popolato da un’ampia galleria di cattivi il cui tratto saliente è la meschinità: meschino è Frank Dunning, la simpatica canaglia rubacuori agli occhi del mondo, capace di sterminare l’intera famiglia a colpi di martello, meschino è un altro personaggio, di cui taccio il nome per non fare spoiler – e in un libro così il gusto per la trama fa parte del godimento complessivo, e chi sono io per rovinarlo a chicchessia? – all’apparenza un nevrotico incapace di nuocere, che invece trova la forza per vendicarsi sul mondo nel peggiore dei modi. Il Male si incarna sempre nel vicino simpatico, nell’uomo qualunque, in ultima analisi in chiunque, noi stessi compresi. E in chi compie il Male non c’è niente di eroico o grande: solo infinita piccolezza.

…e il Male ontologico
Nonostante il Male si incarni in individui qualsiasi, spesso particolarmente meschini, per King il Male esiste come forza a sé stante, che percorre la storia come un ruscello sotterraneo. Anche questo è un tema che ho ritrovato nel resto della produzione di King. Torna la Derry di It, ad esempio, come un luogo contaminato nel profondo dal Male. E Dallas stessa appare come una città corrotta da forze più antiche e potenti dell’uomo, che nell’ombra attendono per ghermirci. Perché se la responsabilità dei gesti resta comunque dell’uomo che li compie – nessuna reale pietà per Oswald o per Dunning, perché potevano comunque scegliere, e non l’hanno fatto – è questa corrente maligna che dà la spinta decisiva, quella che trasforma l’uomo qualunque in un mostro. Il monda appare così un posto in bilico, in cui alcuni individui sono sempre prossimi al punto di rottura, e in cui il Male può manifestarsi all’improvviso. King sembra volerci dire che esistono luoghi che più di altri risentono di questa corrente, posti intrisi fin nel midollo di qualcosa di oscuro. Ed è proprio questa sua visione del male a renderlo il maestro dell’orrore: King è il cantore dell’orrore del quotidiano, del male che si annida in mezzo a noi, in noi. Era così in Notte Buia, Niente Stelle, è così, se possibile con ancor più forza, in questo libro.

Il Destino
E infine, il Destino, da cui davvero non si può prescindere, in un libro che parla di viaggi nel tempo. Ripeto, la responsabilità resta sempre e totalmente del singolo, nessuno dei “cattivi” è in realtà costretto a fare quel che fa. Al contempo, però, il libro sembra suggerire che esiste un piano più grande, del quale siamo tutti chiamati ad essere attori attivi. Le cose vanno come devono andare, insomma, anche se nessuno di noi è una marionetta.
La visione dell’argomento è interessante, e anche il modo in cui il viaggio nel tempo viene presentato. All’inizio, la buca del coniglio che conduce al ’58 sembra la macchina del tempo perfetta: basta tornare indietro, e tutto si ristabilisce esattamente com’era, dunque i guai prodotti nel passato possono facilmente essere aggiustati. Inoltre, il viaggio dura nel presente sempre due minuti. E invece…e invece sta a voi scoprire come e perché le cose non sono così semplici.

In conclusione
Probabilmente è il libro dell’anno, di sicuro uno dei migliori che abbia letto negli ultimi tempi. Ho aperto il 2011 leggendo King, e sono ben lieta di chiudere l’anno con questo 22/11/’63, che è un vero capolavoro. È l’affresco di un’epoca irripetibile della storia, è una straordinaria storia d’amore, è un viaggio al centro del cuore oscuro che ogni uomo ha in sé. È un libro che insegna più di molti manuali di storia, e al tempo stesso ci dice così tanto sulla nostra natura di uomini, sul senso del nostro cammino su questa terra.
Ve lo consiglio dal profondo del cuore, e sono certa che se lo leggerete non ve ne pentirete, ma vi farete un gran regalo.

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Wainting for

Sono in attesa di consegnare la tesi. Spiegare nei dettagli questa affermazione è una cosa piuttosto lunga, ed implica un’excursus sull’assenza di chiavette USB nella mia borsa e sui limiti di dimensioni dei file che si possono spedire via mail per cui prendetela così com’è. Vi lascio quindi col consueto post telegrafico.
Grazie moltissimo a tutti quelli che hanno partecipato alla tre giorni di questo week end: sono stati pomeriggi e serate molto intensi, che mi hanno dato tanto. Grazie per i regali e i sorrisi, sono stati tutti apprezzati enormemente. Grazie soprattutto per l’affetto, è una cosa che mi dà tantissima forza.
Per il resto, vi faccio ridere: vi lascio due interviste. Vi dico solo che nella seconda canto.

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Traguardi

Allora, immagino che chi mi segua voglia sapere la fine della storia, come in tutti i libri che si rispettino. Per questo, inizierò col parlavi di ieri. Ricapitolo le puntate precedenti, perché mi rendo conto che questa storia del dottorato è complicata. A differenza della tesi di laurea, la tesi di dottorato si discute due volte: davanti ad una commissione di membri interni alla propria università, e davanti ad una commissione esterna, di professori provenienti da tutta Italia, volendo anche da tutto il mondo, come sarà nel mio caso. La prima difesa serve come ammissione alla seconda. La seconda è quella ufficiale. In ambo i casi, comunque, viene dato un voto, che però è segreto. È possibile conoscere solo quello della commissione esterna, e con una specie di richiesta ufficiale. Inoltre, la commissione esterna giudica il candidato e manda la sua votazione, con eventuale raccomandazione di conferimento del dottorato, al Ministero della Pubblica Istruzione, che non ho idea di come si chiami ora, ma basta che ci siamo capiti. È il ministero che proclama i dottori, i quali ricevono l’”investitura” in una cerimonia pubblica qualche mese dopo la seconda difesa.
Tutto chiaro? Io c’ho messo tre anni a capire il tutto :P
Comunque, ieri ho discusso la mia tesi per la commissione interna. Ed è andata bene. E so che è andata bene perché la commissione si è complimentata. Che è una cosa che assolutamente non mi aspettavo. E che mi fa un sacco di piacere. Il motivo è ovvio. Questa tesi di dottorato mi è costata moltissima fatica. La mia è una vita complicata, tenere insieme tutti i pezzi, e soprattutto fare tutto sul serio e al meglio delle mie capacità, è una cosa estremamente difficile. Ho faticato per arrivare fin qui, ho sacrificato molte cose, e in tutta sincerità in molti momenti ho avuto la netta impressione di non farcela, che tutto mi stesse scivolando di mano. È per questo che mi ha fatto piacere il buon risultato di ieri, anche se è solo una tappa, e probabilmente il peggio deve ancora venire. Perché se c’è una cosa di cui sono certa nella mia vita è che molto di quel che ho realizzato non esisterebbe se non mi fossi sempre impegnata al massimo, anche esagerando a volte, lo ammetto, ma cercando sempre di temprare la mia forza di volontà. Per questo poi, quando le cose vanno bene, sono così contenta.
Comunque. La vita non si ferma mai, e quindi, oggi occorre già girare pagina: stasera 130 librerie in tutta Italia apriranno dalle 22.00 per vendere Talitha. L’elenco, vi ricordo, lo trovate qua.
Talitha è un’altra scommessa. Un mondo nuovo, personaggi nuovi…l’ho creato in un periodo difficile, l’ho scritto mentre pian piano ritrovavo la mia dimensione, l’ho corretto ovunque, ritagliandomi spazi di scrittura anche dove non ce n’erano. Amo Talitha, amo Saiph, amo Nashira. In un certo senso, rappresentano anche un omaggio a questi anni che ho dedicato all’astrofisica, anche se in questo prima libro la cosa non si coglie molto. Sono ovviamente molto in ansia, perché non so quanto amerete voi questo mio nuovo libro. Io l’ho sentito molto, come non capitava da tempo, e i personaggi sono ancora con me, e premono sulle tempie perché continui le loro storie.
Tutto qua. Ora torno alle mie cupcakes, che al solito non sono venute esattamente come volevo, ma tant’è, la pasticceria è un’arte complessa e ci vuole tanta pratica. Ci vediamo oltre la soglia dell’uscita di questo libro, quando Talitha, Saiph e tutti gli altri non saranno più solo miei, ma anche vostri.

P.S.
Aggiungo una richiesta: se fate qualche foto, stasera, poi mandatemela, così magari la posto. La condizione sulle foto è la solita: please allegati sotto i 2 MB o faccio fatica poi a metterle su. Grazie!

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Lucca 2011, un bilancio

Figata. E qui potrei chiudere direttamente il post.
No, vabbeh da dire ce n’è ovviamente. E sia mai che io mi tiri indietro di fronte alla prospettiva di scrivere qualcosa :P
Dunque, per qualche ragione, è stata la più bella Lucca di sempre per molta gente. Me compresa. Probabilmente un ruolo l’ha giocato il fatto che per una volta ho avuto addirittura tre ore o giù di lì per girare la fiera. Ho visto e comprato delle cose, e in sette anni di Lucca è la seconda volta che mi capita, e la prima da quando la fiera si tiene nelle mura cittadine. Comincio quindi col dirvi gli acquisti. Sul fronte fumettistico, mi confermo una Lady Oscarista persa, visto che mi sono comprata i due volumi di Berubara Kid: trattasi di versione comica superdeformed di Lady Oscar. Ho iniziato a leggerlo ieri, e mi sembra davvero pregevole, anche grazie ai testi che collegano le strisce al fumetto e agli episodi storici. Poi, allo straordinario prezzo di 5 euro, ho preso l’art book di Rurouni Kenshin, un fumetto che adoro (almeno fino alla prima serie, dopo, ahimè, scade). Bellissimo. Colgo l’occasione per consigliarvi Meiji Kenkaku Romantan – Tsuioku Hen, in italiano Kenshin Samurai Vagabondo – Memorie dal Passato, una miniserie di quattro puntate molto, molto bella. Poi, ho preso l’immancabile Eriadan, tutto quel che non avevo, e una minierei a fumetti, Kagemusha, che Giuliano dice essere molto bella.
Sul fronte video, ho preso il film di Escaflowne e la versione italiana, che per altro non ho mai visto, di Una Tomba per le Lucciole. È un film che vi consiglio caldamente, il miglior film di animazione di sempre, ma guardatelo quando siete molto su di morale, o l’effetto depressione è garantito, è un film estremamente intenso.
Comunque, l’acquisto più ragguardevole è stato quello di un set pugnale, mantello e corsetto di cuoio, che ho poi sfoggiato alla presentazione di Paolo di domenica. Ebbene sì, per mezza giornata sono tornata al cosplay. È stato straordinariamente piacevole. Io non so spiegare chiaramente questo desiderio di travestimento che mi porto dietro da sempre: da bambina adoravo il carnevale, e ancora oggi, se posso, a carnevale e ad Halloween cerco almeno di truccarmi in modo buffo. Forse ci vorrebbe uno psicanalista, non so, ma andare in giro col mantello che sventolava dietro di me mi ha trasmesso una sensazione strana, piacevole. Ogni tanto ho bisogno di mettermi in contatto così col mio immaginario, di tornare ad essere fruitrice di storie, di confondermi con la folla cui appartengo da sempre.
Per il resto, le presentazioni mi sembra siano andate bene nonostante il mio evidente malessere. Tra l’altro, passato il mal di pancia, ora ho il mal di gola, ma tant’è. È sempre bello vedervi, sentire le vostre voci, vedere i cosplay. E poi ho l’impressione che la partecipazione generale all’evento Lucca Comics & Games, quindi non solo alle presentazioni cui ho partecipato, è stata superiore al solito. Vedere una città vissuta così intensamente, quasi trasfigurata da questa folla di gente strana, tra la quale, ça va sans dire, io mi trovo incredibilmente a mio agio, è qualcosa di straordinario, che però, purtroppo, solo noi nerd possiamo assaporare appieno. È la fantasia, la creatività, l’originalità che si prendono la loro rivincita, e per cinque giorni il mondo cambia in qualcosa di colorato e chiassoso. E in questo, Lucca è unica. Senza contare che la città è meravigliosa, se non ci siete mai stati, andateci.
Tutto qua. Si riparte con la valigia piena, e si è già pronti al nuovo conto alla rovescia. Arrivederci, Lucca.

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