Io non sono mai stata una di quelle che sotto stress danno il massimo. Ma proprio per niente. Per funzionare, ho bisogno di tranquillità, tempo libero, e gente che mi incoraggi. Che mi incoraggi il giusto, senza sbrodolarsi in complimenti iperbolici: che mi faccia sentire che ci sia, ecco. Se vengono meno queste condizioni, crollo.
La mia storia di studente è costellata di episodi in cui ho mollato ad un passo dalla vetta, solo perché non reggevo. Dalla lode mancata all’ultimo esame, a quello in cui mi sono fatta sfuggire il 30 a causa dell’ansia, alle innumerevoli volte in cui ho dato di matto davanti alla consegna risicata. Io la pressione non la reggo. Per questo scrivo, e non faccio l’atleta.
È un po’ di tempo che rifletto sullo sport agonistico. È una via che non ho mai incrociato neppure di striscio, anche se ho praticato nuoto con una certa costanza, ma quando ormai era già tardi. Però c’è qualcosa nell’agonismo che mi affascina. È la pratica pressoché ascetica che richiede, il doversi votare ad una causa, ed una sola, che piano si mangia tutta la tua vita. E siccome io ho sempre creduto che la volontà, il sacrificio e la dedizione possono molto, non posso che ammirare chi si allena otto ore al giorno per due minuti di gara.
“In questi anni nella mia vita sono sempre vissuto come un soldato… allo stesso modo sarei vissuto secondo il costume dei religiosi se avessi vestito l’abito che voi portate” dice Giovanni dalle Bande Nere ne Il Mestiere delle Armi, uno dei miei film preferiti. Ecco, ho l’impressione che questo sia l’agonista. E quest’impressione l’ho ricavata sostanzialmente da due cose: la visione di Ginnaste – Vite Parallele, il docu-reality di MTV sulle ginnaste della nazionale italiana di artistica, di cui ormai sono appassionata spettatrice, e Open, lo splendido libro di Andre Agassi. E l’altra riflessione è che c’è qualcosa di sostanzialmente disumano nell’agonismo. Queste vite completamente devote ad un obiettivo, che per forza di cose si mangia tutto il resto, il corpo spinto ogni oltre limite, anche quando soffre, anche quando urla che non ce la fa, e i due minuti che ti cambiano la vita: la caduta dalla trave, l’ace sbagliato, e tutti i sacrifici finiscono nel vuoto. Adolescenze mangiate da un sogno, o dall’incubo di un altro, nel caso di Agassi, responsabilità troppo grandi per dei sedicenni, e quest’idea che più ancora del corpo conti la testa, la testa del campione, che in quei secondi là, quando si gioca tutto, riesce a farsi sottile come una lama, a superare la paura del fallimento, o quella della vittoria, che è anche peggio, e va come un treno. Ecco, c’è qualcosa di titanico e tremendo in tutto questo, qualcosa di letterario direi, qualcosa in cui mi riconosco, in cui forse tutti ci riconosciamo, ad è per questo che seguiamo lo sport, anche se il massimo dell’esercizio fisico che pratichiamo è cambiare canale sul telecomando.
Per tutti arriva quel momento lì: quello in cui devi superare te stesso, devi dimostrare di essere più forte delle tue paure, in cui o si fa, o si precipita. A me è capitato un sacco di volte. E in tante occasioni, come dicevo, non ce l’ho fatta, ma in altre…in altre veramente importanti ho spinto, ho fatto quel che potevo, e ce l’ho fatta.
Allora forse è un po’ disumano anche lo sforzo che ogni giorno la vita ci richiede: un passo avanti, oltre la paura, oltre la fatica, qualche centimetro più in là, oltre il nostro limite. È una lotta, sempre, il 99% delle volte contro noi stessi. Ed è quel che vado ripetendo in mille salse da sedici libri a questa parte, la mia personale ossessione, l’ossessione di tutti, forse.
P.S.
Mi chiedevate della firma copie in quel di Lucca. La prima la farò al Cinema Centrale, il 3 novembre, dopo la presentazione delle ore 11.30. Quello stesso pomeriggio, alle 16:15, mi troverete a firmar copie allo stando B114, padiglione Carducci.