In Italia il motto è “tengo famiglia”. D’altronde, tutti i politici si affannano a difendere i valori della famiglia, perché per l’italiano medio la famiglia è la cosa più importante, e proteggiamo la vita fin dal concepimento, e facciamo più bambini, e i bambini sono il futuro. Sembreremmo insomma una società in cui i bambini sono tutelati e tutto sommato amati. Sarà. Perché a me pare che quando si viene all’atto pratico viga un’intolleranza generalizzata verso i bambini e chi li ha fatti: della serie “sì, fate i bambini, poi però per favore occultateli fino alla maggiore età, che, diciamocelo, rompono parecchio le palle”.
Ho iniziato ad accorgermene quando Irene neppure camminava; i marciapiedi sono decisamente non carrozzina-friendly. Mi sono fatta due bicipiti come John Cena nei due anni in cui ho scorrazzato Irene in passeggino per mezza Italia. Sono uscita confermata nella mia intuizione, in seguito, ogni volta che mi sono trovata in mezzo alla folla. Col passeggino. Ero accompagnata da selve di sguardi di rimprovero. Come osi, tu, portare tue figlia non deambulante a Piazza Navona, in mezzo a noi pischelli gggggiovani e non prole muniti? Perché mi obblighi a spostarmi per far passare il tuo infante? Non te ne potevi stare a casa?
Qualche giorno fa, poi, ho fatto un viaggio sola con Irene. Abbiamo preso l’aereo. Per una serie di sfortuite coincidenze, ci siamo dovute presentare in un aeroporto minuscolo con due di anticipo sul viaggio. Per due ore ho tenuto Irene occupata in modo che non desse fastidio a nessuno; ci siamo messe in posti appartati se voleva correre, l’ho impegnata in attività poco rumorose, ho fatto del mio meglio, perché ho sempre creduto che il rispetto degli altri fosse un principio basilare. E per due ore Irene ha sopportato il caldo, il posto piccolo, e l’attesa, senza capricci, senza urla e anzi divertendosi con quel che aveva a disposizione, senza infastidire nessuno. Roba che io m’ero rotta le scatole al minuto dieci. Comunque. Dopo il controllo di sicurezza Irene è comprensibilmente stanca. Viene pure da una notte pressoché insonne, perché ci hanno cancellato il volo, abbiamo dovuto dormire in albergo, lei non aveva una stanza tutta sua (è abituata a dormire da sola, a casa), e insomma si è addormentata tardi (pur stando buona buona a letto con me, per altro, non saltando in giro fino all’una di notte). Le do l’iPad, e si vede il Re Leone. Saliamo sull’aereo, e io le lascio l’iPad fino al momento del decollo, quando devo toglierglielo per forza. E lei, ovviamente, piange. Piange per un minuto, un minuto di, sì, chiamiamolo col suo nome, capriccio. Al secondo 10 del capriccio, un tronfio signore due posti avanti a me, scocciatissimo, prorompe in uno “sshhh!” che fa saltare i servi a me, figurarsi a Irene. Ma, siccome sono una persona educata, faccio tutto il possibile per tacitare la pupa. Che dopo un minuto, appunto, se ne fa una ragione, e non fiata più per tutto il resto del volo. Un’ora e venti, per la cronaca.
Ecco. Di episodi così ne ho vissuti a iosa. E evidentemente non capitano solo a me, se su Twitter la gente posta stati in cui si lamenta del bambino che piange al ristorante, o ridono su cartelli del genere. Sapete che vi dico? Che ne riparliamo quando avrete un figlio. E vi renderete conto che a due anni e mezzo non è facile capire perché, al decollo dell’aereo, non puoi usare apparecchiature elettroniche. Per inciso, più di una volta ho visto gente adulta e vaccinata che non lo capiva, e continuava a telefonare col cellulare. Che i bambini a volte fanno i capricci, a volte non sono per niente come vuoi tu, ed educarli vuol dire star lì a far caciara per spiegare perché non si fa, punire, oppure, a seconda dei casi, ignorare. E che è sicuramente una mancanza di rispetto permettere ad un bambino di dar fastidio ad altri nei luoghi pubblici, ma lo è anche l’intolleranza della gente che ti guarda male appena il bambino fiata, o si mette a rimproverarlo al posto tuo, quando per altro tu lo stai già facendo. E che educare un essere umano non è la passeggiata che immaginate voi, per cui gli dici zitto e lui tace, gli dai uno scappellotto e lui, miracolosamente, diventa un adulto in miniatura. O forse sono incapace io. Possibile. Me lo ripeto più o meno cento volte al giorno, per ogni stupida decisione che prendo, dall’impormi per la pasta non mangiata alle modalità sull’eliminazione del pannolino. Ma io almeno ci provo. Voi, a parte criticare, che fate?