Sono diventata ormai una dipendente da Misfits. Attendo con ansia il lunedì, quando registro la nuova puntata su Sky, e poi il martedì sera, quando me la riguardo, rigorosamente in lingua coi sottotitoli (fuori sincrono, sob…) in italiano.
Come tutti gli amori, nel complesso è una cosa piuttosto irrazionale. Certo, ci sono miriadi di motivi per amare un prodotto come Misfits, e per altro li ho già espressi. Ma tutto sommato quel che ti fa amare un telefilm piuttosto che un altro è qualcosa di impalpabile, quell’atmosfera lì, difficile da descrivere, e quel quid che risuona con qualcosa che hai nel profondo.
Comunque, questo cappellotto per spiegare perché torno a parlarne di nuovo. È che due sere fa mi stavo guardando la seconda puntata della seconda stagione, e mi è venuto da pensare una cosa.
Quando Lost è finito, lo scorso anno, molti ci dissero che sbagliavamo a disprezzare il finale; la verità era che Lost non era mai stato un telefilm sui misteri dell’isola, ma che riguardava invece lo sviluppo psicologico dei personaggi, ed era dunque giusto finisse proprio con la conclusione del percorso esistenziale di Jack. Che a questa cosa non credessi molto, già ho avuto modo di dirvelo. Mi sono convinta ancora di più che come spiegazione con me non funziona guardando proprio Misfits. Anche in Misfits c’è il mistero: cos’è successo davvero durante la tempesta? E con la seconda stagione, chi è l’uomo mascherato? E l’immagine che Curtis ha avuto del proprio futuro, che senso ha?
A differenza di Lost, però, in Misfits è chiaro fin da subito che non sono i superpoteri o i misteri il centro dello show: quelli servono a mantenere una certa tensione narrativa, a dare compattezza alle varie stagioni. Ma lo spazio che occupano all’interno del singolo episodio – in tutti gli episodi – è evidentemente marginale rispetto all’indagine psicologica dei personaggi.
La prima puntata di Lost finisce con Charlie che si domanda: ma dove siamo finiti? E tutta la puntata è stata centrata sull’isola, più ancora che sull’interazione tra i personaggi. La prima puntata di Misfits finisce invece con l’occultamento di due cadaveri, e nessuna domanda specifica sui poteri dei nostri. Curtis, Kelly, Simon, Alisha e Nathan accettano i loro nuovi poteri senza farsi particolari problemi. Piuttosto si interrogano su quel che hanno fatto, su come scampare la galera per omicidio. Mi sembra lampante la differenza.
Misfits è uno show sui personaggi, sulle loro interazioni, sul modo in cui guardano al mondo. E questo perché i poteri, la misteriosa tempesta, e anche l’uomo mascherato nella seconda stagione, sono elementi in più, ma non fondano la mitologia del telefilm. Nella puntata di lunedì scorso, per dire, ci interessano molto più Nathan e il fratello, piuttosto che Simon e Alisha che cercano di capire chi sia l’uomo mascherato. Anche perché su 50 minuti di episodio, una decina a dir tanto sono dedicati alla seconda trama. E io attendo con ansia il prossimo episodio non per sapere chi sia l’uomo mascherato, ma per vedere un po’ che combineranno stavolta i nostri, se Nathan e Kelly quaglieranno, come faranno Alisha e Curtis a stare insieme senza toccarsi, se Simon riuscirà ad uscire dal guscio.
Ho amato molto Lost, lo sapete, probabilmente lo amo ancora. Ma non per i personaggi, che, in tutta sincerità, non mi sono mai sembrati, a parte rari casi, così terribilmente memorabili. Ma per tutto quello che c’era intorno, per l’isola. E adesso amo Misfits, molto, proprio per i personaggi, così tremendamente veri, così fragili, così simili a noi, che è impossibile non affezionarsi a loro.