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Cose delicate

In teoria, l’ho fatta per la sera della Vigilia, che trascorrerò a casa di mia suocera. Per altro, gli stampi per realizzarla me li ha regalati lei per il mio compleanno.
Il problema è che al 24 mancano tre giorni, che mia suocera vive a 60 km da casa mia, e che questa casetta è molto, molto delicata. Così, faccio un uso privatistico del blog, e posto le foto a futura memoria. È che temo che la casetta non arriverà intera a casa di mia suocera, e allora voglio ricordarla così, com’era. Mi rendo conto che non è bella neppure la metà di quelle che si vedono in giro, fatte da gente brava, ma il pan di zenzero non è venuto male, via.
Domani il sospirato post su Spartacus che voglio scrivere da tipo tre giorni.

P.S.
“Christmas” Egg :P : un’intervista un po’ diversa dal solito.

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Con gli occhi di Irene

Quando si vive in periferia, il centro è lontano quanto un miraggio. Immagino sia una cosa difficile da capire per uno che abita in una città di medie dimensioni. In una metropoli, soprattutto quando così estesa rispetto all’effettiva popolazione come Roma, un abisso divide le borgate dal centro. È come vivere in posti diversi. Da queste parti, quando andiamo al centro, diciamo “Andiamo a Roma”.
Ieri Irene è stata a Roma per la prima volta. In un anno di vita, aveva visto solo Villa Borghese un pomeriggio. Io avevo voglia di fare un po’ di foto, e di farle vedere la sua città. Così abbiamo preso armi e bagagli e siamo partiti.
A lei credo sia piaciuto. Si guardava in giro curiosa: tutte quelle luci, tutta quella gente, e poi la musica…
Io continuo a non riuscire a sentire questo posto mio. Ne posso ammirare la bellezza, ma davvero non riesco a credere che mi appartenga più di quanto non sia dei turisti che ci passano un solo giorno, o una settimana o due.
Però è stato bello fingere per Irene. Lei è romana di seconda generazione, di terza, se si considerano i miei suoceri, e voglio che sappia di cosa è figlia. Voglio che senta questa città più di me, e magari poi scelga da sola se amarla o meno, ma voglio che la conosca. Io forse non ho mai avuto molta scelta: i miei sono stati trapiantati qui a trent’anni dalla Campania, e giustamente non si sono mai sentiti romani. Chiusa nella mia borgata, così distante dal Cupolone, ho sempre preferito sentirmi campana. Il risultato è che adesso, nonostante il mio accento alla Ruggero di Un Sacco Bello, non so davvero cosa sono: vorrei sempre essere da un’altra parte, e se devo pensare a casa penso solo alle sere nevose di Monaco. Ma romana lo sono, qui sono nata, qui sono sempre vissuta, e devo farci i conti.
Ieri ho ammirato le luci, il cielo viola, il bianco assoluto di Trinità dei Monti contro il giallo dei palazzi di Piazza di Spagna, i mille colori di Piazza Navona, il verde delle sue fontane. Ho fatto tante foto, non ne ho trovata neppure una che mi piacesse, a sera, ma è stato bello. Portare Irene a far conoscenza col posto in cui è nata, e vederlo attraverso i suoi occhi. Ho insistito io per uscire, dopo un mese in cui non ho avuto quasi mai voglia di far niente.
Certe volte mi sembra che le cose stiano ricominciando, da capo, per la non…non lo so quale volta, un anno fa più o meno di questo periodo dicevo che si nasce e si muore un sacco di volte, e continuo a crederlo. Se penso ai Natali della mia infanzia mi sembrano distanti un’era geologica, e io ero un’altra persona. Un ciclo si chiude, uno si apre. Dopo un anno, forse finalmente ho partorito davvero, e ho preso seriamente consapevolezza di questo nuovo ruolo che mi sono ritagliata addosso: la mamma. So solo che andare a spasso con la mia famiglia, durante queste feste, è la cosa che più mi pacifica con me stessa.

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Nostalgico Natale

A me il Natale è sempre piaciuto, e continua a piacermi. Mi rendo conto di essere in assoluta minoranza, ma tutto quello che agli altri sembra caramelloso buonismo a me stimola lo spirito natalizio, persino i famigerati pasti in famiglia, che tutti sembrano odiare alla morte.
Certo, crescendo qualcosa si perde. Il Natale non è più una festa tua, ma dei piccoli di casa, in funzione dei quali organizzi i tuoi orari, prepari sorprese e regali. Ma resta sempre uno strascico che non puoi dimenticare, e che a me in particolare rende questo periodo dell’anno molto caro.
Ed è proprio per inseguire i Natali della mia infanzia che ho insistito per andare a Benevento dai miei parenti.
In tutta la mia vita, solo due volte non sono scese per Natale: la prima nel 2005, perché stavo a Monaco, la seconda lo scorso anno, perché Irene era appena nata. Quest’anno sono voluta andare. Il pranzo col cardone, la confusione di parenti e le voci che si accavallano, la passeggiata per il corso nel pomeriggio, i mostaccioli ripieni e il Taburno che occhieggia tra le case. Sono tutte cose che mi erano mancate, e cui non saprei rinunciare.
Quest’anno poi sono anche voluta passare dal paese, dal quale mancavo da quattro anni. Da ragazzina odiavo andare al paese: la casa gelida, senza riscaldamenti, nessun amico e la noia di una vita in cui il massimo divertimento era salire fin su alla Chiesa, o scendere in piazza per il mercato, la solitudine del Capodanno festeggiato giù in cucina, davanti alla tv, in silenzio perché al piano di sopra nonna dormiva…erano tutte cose che odiavo. Ora la rimpiango. Appartengono ad un’altra epoca, non più felice, solo…diversa. Un’epoca in cui forse le cose erano più semplici, gli spazi più ristretti. Mi manca il paese e il suo odore, il freddo e la vita tranquilla, persino la vecchia casa, ormai vuota e chiusa da anni.
Sono stata a Colle solo ieri mattina, e per lo più ho fatto visita ai parenti. Ma è stato bello ugualmente. Riassaporare quell’odore antico e sempre uguale, notare con soddisfazione che non è cambiato niente, forse giusto i colore di un paio di case. Colle è un porto sicuro, un luogo immutabile dove poter immaginare che il tempo scorra con un ritmo diverso, più blando. Un luogo cui tornare sapendo che sarà sempre lì.
Sì, in effetti è stato un Natale un po’ nostalgico.

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Tanti Auguri

P.S.
So di aver trascurato questo posto in questo ultimo periodo, ma c’è stato grande stress, ecco :P . Il proposito per questi ultimi giorni dell’anno e per il 2011 è di tornare a curarlo più spesso. Intanto vi anticipo che a breve avrete notizie sulla famosa (e ormai un po’ fantomatica) App per l’iPad: è in uscita, non temete :)
Auguri a tutti!

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E anche quest’anno…

Sabato sera, mentre facevo mente locale su dove fossero tutte le cose che mi servivano per fare l’albero di Natale, ho avuto un flash, e mi è sembrato non fosse passato un minuto dall’ultima volta che l’avevo fatto. Avevo un ricordo chiarissimo di me che giravo intorno al mobile del salotto per raggiungere tutti i lati dell’albero. Ricordavo le scatole, le decorazioni, la fatica del pancione. Anche l’anno scorso lo feci presto, una specie di cosa scaramantica: ero stanca, volevo partorire il prima possibile, e quindi feci l’albero prima dell’8 dicendomi “se partorisco prima, poi non avrò tempo di farlo”. Fatica sprecata, come sapete.
Non riesco a staccarmi con la mente dai ricordi dall’anno scorso. In qualche modo sono rimasta ferma lì. Nonostante non ne potessi più del diabete, fossi piena di paure, nonostante odi stare in ospedale, l’ultimo mese della mia gravidanza è un film che mando avanti e indietro a non finire. Non lo so perché. Era tutto speciale, tutto unico, tutto irripetibile. Non che ora non lo sia. Ma quei giorni avevano un’aura speciale. Così, ogni tanto riprendo in mano il libricino in cui ho raccolto tutte le riflessioni che ho fatto in gravidanza, rileggo il racconto del mio parto, e lo rivivo.
A volte mi domando cosa questo significhi. Perché, sebbene quel che è venuto dopo, quel che sto vivendo adesso, sia oggettivamente più bello, e far la mamma mi piaccia tantissimo, continuo a pensare sempre a quei giorni, al linoleum blu del reparto di patologia ostetrica, alle passeggiate fino alla libreria nell’atrio, persino all’infinita fase espulsiva che ha fatto nascere Irene.
Il Natale, da allora, ha tutto un altro senso.

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Il mio compleanno

Un tempo il mio compleanno non cadeva a Natale. Un tempo il mio compleanno era solo il mio compleanno. A Natale mancava un mese intero, e infatti mi vantavo di essere nata un mese esatto prima di Gesù. A volte faceva freddo, a volte più caldo, ma era innegabilmente solo autunno.
Quest’anno, spazio e tempo si sono contratti, e d’improvviso il mio compleanno viene a Natale.
Venerdì pomeriggio sono andata al centro commerciale per comprare un paio di cose. Profusione di alberi di natale, coccarde, palle di vario genere. Stessa cosa quando vado a pranzo, in un altro centro commerciale attaccato alla mia università. Profluvio di atmosfera natalizia. Che fa anche uno strano effetto. Perché, voglio dire, fuori fanno…9°, che non è che sia proprio una temperatura polare, c’è il sole e sugli alberi le foglie sono gialle. Ma è tempo di panettone e torrone, a quanto pare.
Cosa c’è di male in tutto questo? Che se il Natale dura due mesi non è più Natale. È due mesi di rottura di scatole con lucine colorate, buonismo et similia. E il mio compleanno perde di specificità. Non è più il giorno in cui compio gli anni. È quella cosa lì prima di Natale. Che in effetti probabilmente sarà quello che penserà Irene tutta la vita, maledicendomi per aver scientemente concepito in modo tale che lei nascesse nel periodo dell’anno che preferisco: Natale, appunto.
Comunque. Oggi faccio trent’anni. E forse per la prima volta il mio compleanno è qualcosa di diverso dal solito. Non è più quel giorno speciale in cui tutti mi coccolano, la mamma mi prepara qualcosa che mi piace molto, c’è la torta e ci sono un sacco di auguri. È quel giorno lì in cui definitivamente smetto di essere una giovane scrittrice – giovanissima, per i più spregiudicati -, in cui non sono più una ragazzina, ma divento definitivamente, fatalmente, irrevocabilmente, una donna. Sì, quella cosa lì che a tredici anni non volevo diventare per nulla al mondo, perché ero convinta significasse infelicità permanente. Ci sono arrivata. E forse quel che mi fa rabbia è che non è cambiato niente. Cioè, sono successe un sacco di cose splendide, e per tantissimo versi sono più felice di prima. Ma altre sono rimaste uguali. In altre sono ancora una bambina.
E così mi dibatto. Tra il desiderio di crescere finalmente, e abbandonare certe cose che appartengono alla mia infanzia, e la paura di farlo. E intanto, come dice una mia amica, sono entrata negli enta.

P.S.
Preparatevi ad un flusso non interrotto di foto; Giuliano mi ha regalato questa cosa qua.

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