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Capelli bianchi e bianca neve

Ieri avrei voluto spendere qualche parola su Whitney Houston. Non ero esattamente una sua fan, ma a tredici anni ero innamorata – sì, proprio innamorata – di Kevin Costner, e conoscevo più o meno a memoria Guardia del Corpo, tipo il mio film preferito dell’epoca (adesso non riesco neppure a guardarlo per intero, come si cambia…). I Will Always Love You era una specie di inno, per me, mi ero anche fatta tradurre il testo dal babbo, perché io all’epoca studiavo solo francese. Comunque, i miei progetti di post si sono infranti sulla boccetta di integratore contro l’osteoporosi che mia figlia mi ha riportato, vuota, mentre stavo sorseggiando il caffè. Io e mia madre ce l’eravamo dimenticata per due minuti netti su un tavolo, e vuoi che Irene non la prendeva e si mangiava una pastiglia? No, ovviamente. Corsa in ospedale, flebo, tentativo fallito di somministrazione di carbone attivo – sembravamo tutti usciti da Mary Poppins, alla fine – sei ore in osservazione in pronto soccorso, e infine, alle 20.00, dimissione col responso che probabilmente no, Irene non si era mangiata la pastiglia, per fortuna sta bene, giusto tenetela in osservazione domani. Che sarebbe oggi. Quindi, nulla, io sono ancora un po’ stravolta, di parlare di Whitney Houston m’è passata la voglia, ma appena mi sono affacciata dalla finestra ho visto che c’è ancora un po’ di neve. Non tanta. Un po’. E allora, niente, vi lascio col mio ricordo di questi dieci, inediti giorni di vero inverno a Roma. So che al 90% sono foto orrende, ma tutto sommato esprimono quel sentimento di pura meraviglia che questa neve mi aveva gettato addosso, e mi andava di condividere con voi. Sperando che il prossimo inverno sia come questo.

Neve a Roma

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L’arrivo di Godzilla

Domani e sabato le scuole e gli uffici resteranno chiusi. Il prefetto ha ordinato la chiusura degli uffici giudiziari a partire dalle 14.00. Polverini dice che ci attende un fine settimana terribile. Dappertutto, non si parla d’altro: ci vediamo sabato? Non so, bisogna vedere. Non se lunedì si lavora. Da domani pomeriggio meglio stare a casa. L’impressione generale è quella di una città in attesa di una catastrofe. Tutti pronti al peggio, tutti rassegnati a chiudersi dentro casa. Come se stesse arrivando Godzilla.
E invece sono previsti 30 cm di neve. Che, per carità, per Roma non sono pochi, ma è esattamente la neve caduta lo scorso week end. E, ok, la settimana scorsa era la prima volta, ma adesso abbiamo avuto una settimana per fare il punto della situazione, per prepararci e correggere quel che non ha funzionato l’ultima volta. Dobbiamo ancora star qui a guardare con ansia il cielo? Dobbiamo di nuovo chiuderci dentro casa?
Non chiedo molto. Mi piacerebbe solo di vivere, per una volta, in un paese, in una città normali.

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In difesa della mia città

Se mi avessero detto che un giorno avrei scritto un post del genere, probabilmente non ci avrei creduto. Che poi è anche quello che ho detto sabato mattina, quando sono uscita di casa e la mia via era uniformemente coperta da 15 cm di neve. Se me lo avessero detto, non ci avrei mai creduto. Ecco, la neve qui è una specie di miracolo – o una maledizione – e ha conseguenze eccezionali. È che ho letto in giro accuse varie, osservazioni fuori dalla grazia di dio e cose in generale cui vale la pena rispondere. Per cui lo faccio. Sapete che non provo un grande attaccamento per questa città in cui non solo sono nata, ma in cui ho anche sempre vissuto, e non ho alcuna stima per la giunta che la governa ora. Però è pur vero che per una volta tanto mi sembra che ci siano state mosse accuse un po’ ingiuste.

10 cm di neve non sono un’emergenza, io a Vattelappesca sono sotto due metri di neve ma nessuno si spreca in articoli su di me
Beh, nel complesso sarei anche d’accordo, ma le emergenze vanno commisurate sulla normalità. Mi sembra ovvio che 10 cm di neve a Milano non sono niente. Io ho vissuto tre mesi a Monaco di Baviera, e ha nevicato praticamente sempre, e non c’è stata una volta che la città si sia bloccata o i cittadini abbiano risentito delle avverse condizioni meteo. Ma a Roma l’inverno in genere non esiste: abbiamo sei mesi di straziante autunno, con qualche giorno a cavallo di gennaio e febbraio in cui la temperatura si degna di scendere intorno allo 0. Sì, quasi tutti gli anni finge di nevicare, ma non attacca praticamente mai. La neve è un fenomeno estremamente raro a Roma. È quindi ovvio che 10 cm di neve, che per di più rimangono nelle strade per due, tre giorni – mentre parlo qui fuori la situazione è praticamente identica a sabato mattina – siano un evento eccezionale che mette alla prova i meccanismi della città. È anche più o meno comprensibile che la città risponda in modo farraginoso all’emergenza: non credo esistano spazzaneve, e le catene per il romano medio sono quell’oggetto lì che usi per andare a sciare a Ovindoli.

Ma quindi ha ragione Alemanno?
Calma. No, non ha ragione Alemanno. Per due ordini di motivi: innanzitutto, per sapere cosa stava per succedere bastava farsi un giro sui siti meteo. Non servivano i bollettini della Protezione Civile, non servivano quelli dell’Aeronautica, lo sapevamo tutti che avrebbe nevicato, e molto. Che poi non ci credessimo davvero, è un altro paio di maniche: tu, in quanto sindaco, sei pagato per credere all’incredibile, o almeno prepararti ad affrontarlo.
Secondo poi, posso accettare che nelle prime ore dell’emergenza le cose vadano a catafascio. Sono trent’anni che non vedi la neve, posso capire che ci voglia un po’ per carburare. Non posso invece accettare che dopo 48 ore dalla nevicata l’unico sale che abbia visto l’abbiano gettato quelli del centro commerciale qui sotto per permettere l’accesso ai clienti. Degli spazzaneve manco l’ombra, idem per le squadre per spalare la neve. Oggi le vie del quartiere sono percorribili dalle macchine, ma solo perché la natura ha fatto il suo corso: sabato pomeriggio un po’ di neve s’è sciolta, ieri è stato molto secco, le macchine hanno continuato a passare e voilà, le vie ora sono non dico sgombre, ma quanto meno praticabili.

Ok, ma se il comune non fa niente, allora datevi da fare voi
A parte che nessuno ha sotto mano una pala, perché in ventisei anni non ce n’è mai servita una, anche andare ai punti di raccolta per prenderne una non è banale: come ci arrivo, se il municipio dista 10 km da casa mia, e quei 10 km sono strade a scorrimento veloce che non sono state battute? Ma mettiamo anche che abbia la mia pala: di sicuro posso spalare il marciapiede sotto casa mia, con tanta buona volontà forse anche i 300 m della mia via, ma poi? Fino a ieri l’autostrada che mi porta alla civiltà – per la cronaca l’A24, che è l’arteria che più efficacemente, traffico permettendo, ci connette a Roma – era chiusa. E per lunghe ore sono state chiuse una decina di uscite del Raccordo. Lì come ci vado a spalare? E senza sale, se anche ho spalato, quando scende la notte e gela come faccio a non rendere vana la mia fatica?
Roma ha un territorio sterminato, tanto è vero che da me venerdì nevicava, al lavoro da mio padre, 30 km più a sud, no. È resa percorribile da numerose vie che sono praticamente autostrade, vedi il Raccordo, la Tangenziale, alcuni tratti delle Consolari. Sono queste le vene che permettono la mobilità. Se sono intasate quelle, non c’è niente che il singolo possa fare.

Va bene, ma vi siete comunque lamentati per due fiocchi di neve!
Avrei voluto foste con me al parco del quartiere, sabato mattina. Sembrava di vivere in una dimensione parallela. Tutto il quartiere era lì, l’unico suono che si sentiva era quello delle risate dei bambini, e degli adulti, gente che non avevo mai visto mi sorrideva e mi salutava. Per un romano la neve è questo. E considerate anche che un romano è uno che in condizioni normali ci mette anche tre ore per andare e tornare dal lavoro, ogni giorno, che aspetta i mezzi pubblici per tempi biblici, la nostra sopportazione è piuttosto alta. E infatti la gente che si è lamentata aveva le sue buone ragioni: si tratta di chi ci ha messo 8 ore per fare 8 km. Chi ha dovuto farsela a piedi quando i mezzi, dichiarata l’emergenza, hanno fatto scendere tutti e se ne sono tornati al deposito. Chi è rimasto intrappolato sul Raccordo per ore, e per disperazione se l’è fatta a piedi, e parliamo di un’autostrada a tre corsie per senso di marcia più corsia d’emergenza. Questa è la gente che si è lamentata, e a ragione. Viviamo in una comunità, paghiamo le tasse, ci aspetteremmo dei servizi. Che non ci sono. Tutti gli altri, erano fuori sabato mattina a godersi la giornata. Poi, il resto, è tutto vero: c’è gente che è morta, paesi isolati, situazioni ben più drammatiche di quella di Roma. Ma i media ne parlano perché fa notizia la città eterna imbiancata, perché le polemiche sono il pane quotidiano dei giornali, e comunque io ho letto anche tantissimo su i posti in emergenza vera.
Per il resto, qui siamo contenti: dell’inverno vero, della città imbiancata, di essere tornati tutti un po’ bambini. E, lo devo confessare, se fossi sicura che non ci sarebbero altri casini, vorrei continuasse a nevicare così fino a primavera.

P.S.
Vi segnalo una cosa che avevo colpevolmente dimenticato: un po’ di materiale sulla nuova serie a fumetti ambientata nel mondo delle Cronache, completa di intervista a me e agli autori.
Seconda serie fumetti

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On a winter night

Neppure la neve riesce a spegnere del tutto il rumore della città. Senti, distante, il suono di una macchina che passa, il riverbero lontano dei mezzi sul Raccordo, il pulsare di una vita che non si spegne mai, perché una metropoli è così. Ma ugualmente c’è qualcosa di magico e insondabile in una notte di neve. La luminosità del cielo, i fiocchi che diventano lucciole alla luce gialla dei lampioni, il sovrapporsi lento di strato a strato, inesorabile, paziente come solo la natura sa essere.
Potresti perdonare tutto a questa città, stanotte. Il caos, la confusione, la troppa bellezza, perfino. Un interruttore magico per un istante l’ha trasfigurata, ti ha portato indietro negli anni, e l’ha trasformata in un posto che quasi ti corrisponde. Perché tutto si assomiglia, sotto la neve, tutto lentamente cambia forma. Il fiato che raggruma in nuvole compatte, mentre sul balcone, addosso solo la tua tuta e un paio di zoccoli ai piedi, guardi il silenzio del quartiere, il freddo che ti entra dentro, e una quiete strana, misteriosa. Il sonno sarà diverso, stanotte, diverso il risveglio. Fuori nevica, e dentro c’è la pace.

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Il mio brutto quarto d’ora sotto la neve

Immagino l’abbiate letto. Dalle 12.30 circa qui a Roma siamo sotto quella che in una città del centroeuropa sarebbe una normalissima nevicata. Per gli standard di Roma è una bufera. Non ha smesso un attimo, si sta posando e a terra ce ne sono già un paio di centimetri.
Ora, io dovevo andare in farmacia a prendere delle medicine per Irene. E già che c’ero, ho avuto la brillantissima idea di fare un salto al centro commerciale, che dista 800 m da casa mia, per vedere se avevano un paio di scarpe che avevo adocchiato.
Ho preso dunque la mia balda 500 e ho guardato il quadrante. Due minuti e si accende la spia di avaria al servosterzo. Ora, la 500, come tutte le dannate macchine di nuova generazione, ha spie che si accendono per ogni dove, spesso senza ragione. Una volta ci si accendeva quella del motore, ma era tutto a posto. Indi per cui, non mi sono preoccupata e sono partita.
Il tratto di strada fino alla farmacia è stato tranquillo. La strada era viscida, ma mi sentivo forte della mia guida in settimana bianca, quando ero uscita con la 147 su un bel po’ di neve. Poi, imbocco per il centro commerciale. E accelero. Oh, non sono pazza, per accelero intendo vado a 60 km/h e metto la terza. Lieve curva, e la macchina semplicemente va per i fatti suoi. Dritta. Ovviamente mi dimentico quel che ti dicono di fare in casi come questi, di assecondare il movimento. Mi prende il panico, controsterzo, la macchina sbanda. Tutto dura un’infinità di tempo. Poi, chissà come, mi rimetto sulla direttrice giusta. Col cuore che finalmente ricomincia a battere. Ma scendo in una cauta prima.
Come dio vuole, arrivo al centro commerciale. Il deserto dei tartari. Alcuni negozi sono chiusi, quelli aperti stanno per chiudere. E li capisco. Non sono a Monaco, dove nevica tutto l’inverno, non sono in Trentino, dove ci sono più spazzaneve che macchine. Sono a Roma. Dove l’ultima volta che ha nevicato così è stato nell’86. E dove stavamo finendo annegati per un acquazzone.
Le scarpe ci sono, ma m’è passata la voglia, e comunque non ero troppo convinta. Compro un paio di generi di prima necessità al supermercato. Anche qui ci guardiamo tutti come a dire “ma te che ce stai a fa’, qua? Ma ‘n’hai visto dde fori?”. Prendo le mie bustine, e inizio ad avere le palpitazioni al pensiero di riprendere la macchina.
Vado a piedi.
Giuliano, telefonicamente, mi dice no, ce la posso fare, devo solo andare piano.
Forse ho le catene. M’invento un modo per montarle e vado.
Ma no, non ce le ho le catene, o comunque non a bordo. Salgo. Beeeep. La fottuta spia del servosterzo. E mi viene il dubbio che il quasi testacoda non sia solo colpa della neve. Salgo pregando tutti i santi del paradiso, mi avvio nel parcheggio. Vado spedita verso l’uscita. Che è chiusa. Ok, non è l’unica. Vado verso l’altra. Che è chiusa. Intanto, la macchina sterza un po’ a capoccia sua. Disperata, scendo nei sotterranei, giro in posti del parcheggio che non sapevo neppure esistessero, mi imbatto in vicoli ciechi, e altre uscite. Tutte chiuse. Geniale. Hanno deciso – giustamente – di chiudere il centro commerciale. Con me dentro.
Lo prendo come un segno divino: dio non vuole che torni con la macchina. Adesso la mollo qua, prendo spesa e medicine, e mi avvio sotto la bufera. La macchina…la macchina la recupererò col disgelo.
Invece un’anima pia alza la sbarra. Non so chi sia, ma si spertico in ringraziamenti esagerati. Sono di nuovo sulla strada. Memore dell’ultima performance, mi faccio gli 800 m a 20 km/h fissi in prima con le quattro frecce accese. I marciapiedi sembrano coperti di vetro satinato. Le strade sono una poltiglia informe di acqua, ghiaccio e neve sporca. E lì veramente capisco che dopo aver preso per il culo il Big One, la Grande Nevicata Fine ti Monto, è arrivata per davvero, e sono cavoli amari. Perché gli spazzaneve a Roma credo neppure esistano, e dubito che verranno a spalare sotto casa mia. Capitemi, lo so che è solo neve, ma qui stiamo parlando di una città che la neve seria l’ha vista due volte in venticinque anni, e questa è la seconda.
Comunque, come dio vuole sono riuscita ad arrivare a casa, intimamente convinta che entro stasera Roma sarà esplosa. Se a ottobre l’acquazzone c’ha combinati di quella maniera, con questa faremo una fine à la The Day After Tomorrow.
Per il resto, è splendido. Nevica fitto e grosso, i giardini sono imbiancati e io spero duri fino a domani, così vado a giocare a palle di neve con Irene. Per farci due risate, vi linko un significativo video al riguardo: come dire, Fascisti sulla Neve :P .

http://www.youtube.com/watch?v=_OH5QNIDKFw

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Neve, malattie e articoli di giornale

A quanto pare, siamo in attesa della Big One, la Nevicata Apocalittica che, considerando cos’è successo l’ultima volta che ha piovuto, promette veramente la fine della civiltà occidentale. Io, devo dire la verità, spero nevichi. Spero di più che, in caso, la preparazione del Comune sia adeguata – e su, ci hanno messi in preallarme da tipo due settimane… – ma spero che nevichi. L’ultima vera nevicata è stata quella dell’86, era febbraio anche allora, e io ho ricordi vaghissimi della cosa. Del resto, avevo cinque anni. Mi piacerebbe vedere la neve a Roma ora che ho l’età della ragione, e la Reflex già pronta per le riprese. Comunque. Qui si inganna l’attesa a colpi di starnuti e malanni vari. Da quando Irene va all’asilo sembriamo un lazzaretto: se non sta male lei, sta male uno di noi due. Adesso tocca a me. Ho una gran voglia di dormire oggi pomeriggio, ma La Ragazza Drago 5 mi chiama con voce suadente. Tra uno starnuto e un colpo di tosse, però, ho fatto in tempo a scrivere un brevissimo pezzo per l’Espresso: si parla di Facebook, e potrete leggerlo venerdì. Come sapete, non sono una FB-maniaca, anche se confesso di usarlo davvero tanto. Comunque, fatemi sapere che ne pensate. Io, intanto, giaccio col fazzoletto a portata di mano.

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