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Kilonove, stelle di neutroni e onde gravitazionali. La scienza ha fatto boom

“La capacità di comprendere prima di vedere è il cuore del pensiero scientifico”.

Apro con questa frase che mi colpì subito durante la mia lettura de L’Ordine del Tempo, di Carlo Rovelli, perché quel che è stato annunciato ieri pomeriggio, in una conferenza congiunta tra un bel po’ di enti (ESO, ASI,INAF, INFN, la collaborazione LIGO/Virgo…) è esattamente questo: da quando le onde gravitazionali sono state osservate per la prima volta, nel 2015, stiamo vedendo cose che avevamo solo immaginato, spesso per tanti anni.
Per poter spiegare cosa esattamente è stato visto, occorre la conoscenza delle puntate precedenti. L’optimum sarebbe leggere questo, che fu il mio post al riguardo quando, a febbraio del 2016, venne data la notizia della prima osservazione delle onde gravitazionali, ma mi rendo conto che è lungo, per cui, facciamo così: io provo a riassumere, se vi sfugge qualcosa, dopo aver letto questo, andate a leggere quello. Poi magari non si capisce niente uguale, ma allora me ne prendo la responsabilità :P
Mettiamo in ordine gli antefatti:
- abbiamo tre antenne che rilevano onde gravitazionali (in realtà di più, ma questi sono gli strumenti più sensibili che abbiamo oggi): Ligo, composto da due strumenti che si trovano ai capi opposti degli USA, e Virgo, che sta in Italia, vicino Pisa;
- le onde gravitazionali sono “increspature dello spazio-tempo”: potete immaginare lo spazio-tempo come la superficie di un laghetto. Quando ci tirate dentro un sasso, la superficie si increspa formando le onde. La stessa cosa succede con lo spazio-tempo, che è un po’ l’intelaiatura dell’Universo. Le onde gravitazionali sono increspature, deformazioni dello spazio-tempo. Nella nostra metafora del laghetto, il sasso sono masse (molto grandi) che si scontrano, o che implodono;
- fin qui avevamo osservato solo onde gravitazionali prodotti dalla fusione – coalescenza, si dice – di buchi neri.

Armati di questo vademecum, avventuriamoci nella scoperta del giorno. Per la prima volta, è stata osservata la coalescenza di due oggetti più piccoli, in termini di massa, dei buchi neri, ossia le stelle di neutroni. Urge piccolo excursus sulle stelle di neutroni: si tratta di oggetti che si formano quando stelle più grandi del Sole finiscono il carburante. Come forse saprete, le stelle sono palle di gas così denso e caldo da innescare reazioni di fusione nuclare, ossia due atomi di un certo elemento si fondono per formarne un altro. In questo momento nel sole atomi di idrogeno si stanno fondendo producendo elio ed energia. Ci possono essere anche fusioni di altri elementi chimici, che si innescano a seconda di quanta massa ha una stella e di qual è la sua fase evolutiva (in soldoni: quanto è vecchia). Tutte le fusioni però si fermano alla produzione del ferro; fondere due atomi di ferro richiede più energia di quanto ne venga prodotta, e quindi nelle stelle questo processo non avviene.
C’è un’altra cosa da sapere circa le stelle: sono oggetti in equilibrio. Da un lato c’è la forza di gravità, che tende a farle collassare (quindi a far cadere tutta la materia in un punto), e la pressione della radiazione prodotta dalle reazioni nucleari, che invece tende a farle espandere. L’equilibrio tra queste due forze fa sì che le stelle ci appaiano come grosse palle di gas più o meno sempre delle stesse dimensioni.
Detto questo, a un certo punto, come dicevamo, stelle molto grandi esauriscono il loro carburante trasformandolo in ferro. A questo punto, all’equilibrio di cui dicevo prima viene a mancare una componente: le reazioni termonucleari non riescono più a controbilanciare la forza di gravità, e la stella inizia a collassare. La materia viene pressata così tanto che nei nuclei protoni e elettroni si fondono formando neutroni (da cui il nome). A questo punto il collasso, se la massa non è troppo grande, può essere fermato dalla pressione della materia degenere. È una cosa un po’ complicata legata alla meccanica quantistica; due particelle, in questo caso neutroni, non possono trovarsi entrambi nello stesso stato, ed è questa “resistenza” che contrasta la forza di gravità e tiene in equilibrio la stella. La cosa si può immaginare come un cinema, in cui gli spettatori sono ordinatamente disposti uno per posto davanti allo schermo. Non ci possono essere due spettatori per sedia. Il risultato è che le stelle di neutroni sono piccole (hanno un diametro di qualche decina di chilometri) ma sono densissime (hanno fino a due, tre volte la massa del Sole).
Nel caso della sorgente oggetto della scoperta – che, per la cronaca, si chiama GW170817, ove GW sta per gravitational wave (onda gravitazionale) e 170817 è la data di scoperta – si tratta di due stelle di neutroni che si girano intorno. Lentamente le loro orbite decadono, ossia le due stelle girano su orbite sempre più strette, via via avvicinandosi, finché non si fondono. Si produce così una kilonova, che è tra i fenomeni più violenti che possono verificarsi nell’Universo. L’animazione qua sotto rende molto bene l’idea.

Questo fenomeno era stato teorizzato, ma mai osservato prima con tale completezza. Il segnale di onda gravitazionale osservato è, come nel caso della prima detezione di onde gravitazionali, molto simile al modello previsto dalla teoria. Ma c’è di più. Per la prima volta è stato possibile osservare lo stesso fenomeno con tanti telescopi diversi. Non intendo solo strumenti diversi – cioè telescopi posti in luoghi diversi del mondo – ma proprio telescopi che osservano cose diverse. Sono state infatti osservate le onde gravitazionali prodotte dal fenomeno, ma anche i raggi gamma, le onde radio, i raggi X, l’ emissione ultravioletta, infrarossa e inluce visibile. Piccola parentesi, mio marito fa parte della collaborazione che cerca le controparti ottiche delle onde gravitazionali, cioè l’emissione in luce visibile associata alle onde gravitazionali, ed è per questo che io questa storia la conoscevo da un po’ :P . Per chi se la cava con l’astronomia, qui e qui ci sono gli abstract degli articoli che ha firmato assieme al resto del gruppo. Ma torniamo a noi: è la prima volta che di un’onda gravitazionale si vedono le controparti. Anche questa era una cosa prevista, ma mai osservata. Anche perché in generale la coalescenza di buchi neri non produce altra emissione che non sia quella di onde gravitazionali. Anche le emissioni nelle altre bande vanno come previsto dalla teoria, e questo conferma l’esistenza delle kilonovae e la correttezza del modello che ne spiega il meccanismo. Inoltre conferma che sono proprio le kilonovae a produrre una certa categoria di lampi in raggi gamma, chiamati Gamma Ray Bursts (GRB, per gli amici), effettivamente osservati in associazione a questa sorgente. Infine, dall’emissione ottica è venuta anche la conferma che sono proprio questi fenomeni di coalescenza di stelle di neutroni che producono anche gran parte degli elementi pesanti (oro, e minerali più pesanti del ferro) di cui siamo fatti noi, la terra, e tante cose in giro per l’Universo.
Come avrete capito, è una scoperta storica per davvero. Sono tante prime volte tutte assieme, che, per altro, confermano la teoria, dunque ci dicono che stiamo dando una corretta interpretazione di molti fenomeni che avvengono nel nostro Universo. Inoltre, questa scoperta ci dice anche che davvero le osservazioni nelle onde gravitazionali hanno aperto una nuova era dell’astronomia. La prima cosa che è stata osservata di questa sorgente è stato il segnale di onda gravitazionale. Poco meno di due secondi dopo, i telescopi gamma, che si trovano in orbita, hanno osservato il GRB. A quel punto, grazie al fatto che il segnale è stato osservato da tre punti diversi (i due Ligo e Virgo in Italia) e alle osservazione nei raggi gamma, è stato possibile fare la triangolazione, ossia identificare una finestra nel cielo dalla quale il segnale era partito. Quasi immediatamente, gran parte dei telescopi del mondo è stato puntato in quella regione, permettendo di identificare una nuova sorgente in una galassia distante 130 milioni di anni luce da noi, NGC 4993. Incidentalmente, questo ne fa anche il segnale di onda gravitazionale più vicino mai osservato. Le onde gravitazionali sono state come un faro, che hanno guidato i ricercatori alla scoperta.
Inoltre, la scoperta è stata ottenuta grazie allo sforzo congiunto di centinaia di ricercatori da tutto il mondo. Non solo la collaborazione Ligo/Virgo, ma anche tutti coloro che lavorano ai vari telescopi ad alte energie, ottici, radio, infrarossi e ultravioletti. In totale sono circa 3500 persone che hanno lavorato assieme, e io questa cosa la trovo davvero straordinaria. In politica stiamo ancora a parlare di confini, barriere, ma la conoscenza già non ne ha, e la scienza lavora a livello mondiale, mettendo insieme esigenze e standard diversi, in uno sforzo unico che ha come obiettivo solo e soltanto capire le cose. È l’umanità al suo meglio, come qualcuno ha già detto in riferimento a Cassini. Non dovremmo forse prendere esempio?
Lo ripeto ogni volta, ma lo credo davvero: quando lavoriamo insieme, siamo capaci di cose straordinarie. Siamo confinati a un angolo insignificante di un Universo immenso, in quel puntino pallido sospeso nel nulla mostratoci dalla foto della sonda Voyager. Eppure, da qui, possiamo capire eventi lontanissimi, e misteri insondabili, perché siamo pur sempre il modo che l’Universo ha trovato per capire se stesso.

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Onde gravitazionali

Era più o meno metà settembre. Irene aveva da poco iniziato la scuola, e quella per noi era la gran novità del momento. Io pensavo a tutt’altro, insomma, quando una sera Giuliano mi disse che al suo gruppo di ricerca era arrivato un alert per la ricerca di possibili controparti ottiche di onde gravitazionali. Era una mail che veniva dall’America, e indicava una grossa porzione di cielo in cui cercare.
«Mi stai dicendo che abbiamo visto le onde gravitazionali? Dopo settant’anni è più che le cerchiamo?» chiesi io già con una certa accelerazione del battito cardiaco.
«Sembra di sì».
Per capire perché fossi emozionata, occorre fare un passo indietro. Di cento anni, per la precisione, a quel geniaccio di Einstein che, se c’è un aldilà, oggi sta brindando alla faccia nostra.
Tutti conoscete la forza di gravità, una delle forze fondamentali della natura. La forza di gravità agisce tra le masse, tutte le masse, e le fa attrarre. La sua forma matematica è stata elaborata da Newton, e credo la conosciate tutti.

gravità

Sostanzialmente significa che i corpi si attirano con forza maggiore tanto più grandi sono le masse coinvolte, e che questa forza decresce abbastanza rapidamente con la distanza.
La forza di gravità la sperimentiamo tutti i giorni: è quella che fa cadere gli oggetti, che ci tiene saldi a terra, che fa girare la Terra intorno al Sole.
Nel 1915, cercando di spiegare una serie di effetti sperimentali che non tornavano con le teorie, Einstein diede una descrizione più precisa della forza di gravità con la sua Teoria della Relatività Generale. La teoria della relatività dice sostanzialmente questo: lo spazio e il tempo sono un’entità unica, lo spazio-tempo, appunto. Le masse sono in grado di deformare lo spazio-tempo; per capire cosa vuol dire immaginiamo di vivere in uno spazio a due dimensioni, per comodità, un bel telo elastico. Se è ben teso, il telo è piatto e, per andare da A a B (vedi disegno a) la via più breve è una linea retta.

relatività

Se però metto tra A e B un peso, questo deforma il telo. Per andare da A a B rimanendo vincolati al telo la via più breve sarà una linea curva (disegno b). La stessa cosa succede nello spazio-tempo, solo che è impossibile da visualizzare facilmente, perché lo spazio-tempo ha quattro dimensioni, ma l’effetto è, sostanzialmente, lo stesso.
Ora, in linea di massima parrebbe che tanto l’interpretazione di Newton che quella di Einstein portino allo stesso risultato: nel caso del sistema solare, ad esempio, i pianeti girano intorno al Sole sia che la si veda come Einstein che come Newton. In realtà ci sono effetti osservativi che la relatività spiega, e Newton no. L’esempio più straordinario sono le lenti gravitazionali. Vi incollo qui sotto un esempio.

Cheshire Cat

Questo è il Cheshire Cat, lo Stregatto; quelle che vedete formare il contorno del volto e il sorriso del gatto sono lenti gravitazionali. Funzionano così: immaginiamo di avere un grosso oggetto tra noi e una stella lontana. Se consideriamo la legge di gravitazione universale di Newton, non dovremmo essere in grado di vedere la stella; i fotoni non hanno massa, quindi non risentono della forza di gravità. Secondo la relatività generale, invece, i fotoni si muovono comunque sullo spazio-tempo, e dunque sono costretti a seguirne la curvatura. L’effetto è che, nonostante la presenza del grosso oggetto, noi vediamo comunque la luce della stella: deformata, e ci sembrerà venire da un’altra direzione, ma la vedremo. La cosa è esemplificata da questo disegno.

lenti gravitazionali

Tornando allo Stregatto, sorriso e il profilo del volto sono galassie poste dietro un ammasso (gli occhi del gatto), che non dovremmo vedere; ma poiché lo spazio-tempo è curvato dall’ammasso, i fotoni “girano” e dunque le vediamo lo stesso. Einstein aveva previsto quest’effetto, che venne osservato per via sperimentale nel 1919, durante un’eclisse di Sole.
Fin qui, però, non s’è parlato di onde gravitazionali. Sono un’altra predizione della teoria della relatività generale. Un’onda, vabbè, lo sappiamo tutti cos’è: pensate al mare. Lì la superficie dell’acqua viene in qualche modo modificata, perturbata si dice, e questo movimento si propaga. Notate che le particelle non si spostano realmente: oscillano intorno a una posizione d’equilibrio. Le onde elettromagnetiche, tra le quali annoveriamo anche la luce, sono perturbazioni del campo elettromagnetico. Le onde gravitazionali sono dunque perturbazioni del campo gravitazionale. Si generano quando delle masse subiscono un’accelerazione, e il problema è che sono minuscole. Tecnicamente, se ne producono di continuo. Qualsiasi massa accelerata le produce, ma sono così minuscole che non siamo in grado di vederle. Possiamo captarle solo quando a produrle sono masse molto, molto grandi.
Ora, le onde gravitazionali le cercavamo da qualcosa come settant’anni. I primi rivelatori risalgono agli anni ’50, e nessuno ha mai visto niente. Ci sono antenne che stanno lì a cercare di captare qualcosa da decenni. Ogni tanto arriva un falso positivo; un terremoto ad esempio, perché, quando il segnale da rivelare è così piccolo, le sorgenti di rumore (ossia i segnali che disturbano la mia misura) sono veramente tantissime. Ma mai, mai era stato visto niente. Confesso, io pensavo non le avremmo mai trovate.
Ora, facciamo un salto avanti e fermiamoci al 2003. In questo anno entrano in azione due nuove antenne per la rivelazione di onde gravitazionali: LIGO, negli USA, e VIRGO, in Italia, a Cascina, vicino Pisa. Si tratta di due interferometri. Funzionano così:

LIGO

ci sono due lunghissimi fasci laser (4 km per LIGO, 3 km per Virgo). I due fasci sono perpendicolari, vengono riflessi, e infine ricombinati su un rivelatore. In questa situazione i due fasci interferiscono producendo una figura di interferenza nota. Immaginiamo che come in figura passi un’onda gravitazionale: a seconda della direzione, modificherà la lunghezza dei due bracci in modo diverso. Cambiando la lunghezza dei bracci, cambia anche la figura di diffrazione, e dalla sua modifica, grazie alle predizioni teoriche, saprò che è passata un’onda gravitazionale. I rivelatori sono due (in verità tre, perché LIGO è composto da due antenne distanti migliaia di km) per rendere più robusta la rivelazione (un segnale visto contemporaneamente, simile, in due antenne ha meno probabilità di essere un “falso positivo”) e per permette di identificare meglio in cielo la sorgente. Detto così, potrebbe sembrare semplice (spero :P ). Si tratta di misurare una differenza in lunghezza. Pari a 10^-18 m su 3 km; per chi non ha troppa dimestichezza con questo tipo di notazione, 10^-18 è uguale a 0,000000000000000001 metri. Su 3000 metri. Durante la già celebre conferenza stampa di oggi pomeriggio Catherine Nary-Man ha detto che è come voler misurare lo spessore di un capello sulla distanza tra la Terra e il Proxima Centaury. E, infatti, la storia della ricerca delle onde gravitazionali è stata fin qui soprattutto la storia di una sfida tecnologica, nel cercare di produrre strumenti sempre più precisi, sempre più accurati. Senza risultato.
Così, nel 2010 i tre rivelatori vengono spenti per aggiornarli in modo da renderli più precisi. Gli anni passano, e, finalmente, nel settembre del 2015, LIGO torna operativo. VIRGO, nel frattempo, è ancora spento. Il 14 settembre, alle 5:51 del mattino ora locale, all’improvviso le due antenne di LIGO rivelano qualcosa. Questo.

LIGO detection

Vi spiego un po’ il grafico. Hanford e Livingston sono le due antenne. In alto, vedete il segnale osservato. Si nota immediatamente che è pressoché identico tra le due antenne (nel grafico di destra le due curve sono anche state sovrapposte per farlo vedere). Al centro, c’è il segnale previsto dalla relatività generale. In basso, la differenza tra dato e previsione, nel quale si vede sostanzialmente solo il rumore della misura. Notate anche, al netto del rumore, quanto il segnale rivelato sia simile a quello previsto. In base alle previsioni teoriche, i ricercatori sono anche in grado di dire cosa ha generato l’onda captata: si tratta della coalescenza di due buchi neri. Un buco nero è un oggetto densissimo, per quanto ne sappiamo con densità infinita. Sono oggetti così densi che la loro forza di gravità è in grado di intrappolare persino la luce; per questo sono “neri”. Due buchi neri coalescenti sono due buchi neri che si girano intorno avvicinandosi sempre di più, fino a fondersi. Fino a quel 14 settembre, due buchi neri del genere sono un oggetto teorico, di cui non si hanno prove sperimentali dirette. Le caratteristiche dell’onda permettono di risalire alle masse: uno ha 36 volte la massa del Sole, l’altro 29 volte. L’oggetto finale nato da questo scontro mostruoso ha 62 volte la massa del Sole (sì, la massa finale è minore della somma, perché parte di questa massa si è persa in energia gravitazionale).
Questo, però, è solo l’inizio della storia. Iniziano le verifiche per essere sicuri che non sia un errore, e parte la macchina della collaborazione: il protocollo prevedere che si cerchi in cielo una controparte, ossia una nuova sorgente in una delle bande nelle quali studiamo l’Universo (ottico, il visibile, o alte energie, raggi X e gamma). Potrebbe essere lei ad aver generato l’onda gravitazionale. È a questo punto della storia che Giuliano mi fa il suo annuncio, e io percepisco chiaramente che siamo tutti sull’orlo di un momento storico.
C’è però un ma. La macchina che dalla rivelazione porta infine alla determinazione che sì, abbiamo visto le onde gravitazionali, è complessa, e coinvolge centinaia di persone (questo è l’articolo originale; contate il numero degli autori…e sono solo una parte delle persone coinvolte). Per questo, ogni tanto si testa l’efficacia del tutto. Nella collaborazione esistono tre persone che possono iniettare nell’antenna un falso segnale, per testare che tutto vada secondo i piani. Nessuno, a parte chi ha iniettato il segnale, sa che si tratta di un falso allarme. Lo dice solo alla fine, quando la collaborazione è sul punto di dare la notizia, altrimenti che esercitazione sarebbe…È già successo in passato, e la collaborazione era pronta per la conferenza stampa di annuncio. Per questa ragione c’è anche una regola, che vincola tutti i partecipanti al progetto: è un accordo di segretezza. In caso di rivelazione, nessuno può parlare prima della conferenza stampa pubblica.
Comunque, la macchina si mette in moto. Solo che il 24 settembre compare questo tweet.

Krauss tweet

Krauss non è l’ultimo arrivato, ed è anche noto al grande pubblico per un bel libro di divulgazione, La Fisica di Star Trek. Solo che il suo tweet significa che qualcuno ha parlato, contravvenendo alle regole (e rischiano anche di essere cacciato dalla collaborazione). Per mesi le indiscrezioni si rincorrono, in uno spettacolo assai poco edificante. E se fosse stata tutta una simulazione? O un errore? Ve li ricordate i neutrini superluminali del Gran Sasso? Lì era stato un errore.
E io intanto guardavo alla cosa dall’esterno; guardavo mio marito e i colleghi andare avanti col lavoro, vedevo la notizia farsi sempre più concreta…e me lo tenevo per me, ovvio :P .
Fino a ieri pomeriggio.
Ora, io sapevo cosa avrebbero detto. Perché era assurdo che facessero una conferenza stampa per dire “guardate che era un falso allarme”. Io lo sapevo, eppure, quando hanno annunciato di aver captato per la prima volta le onde gravitazionali, ebbene, il mio cuore ha fatto un salto, ho abbracciato Irene, chiamato mio padre e scritto a mio zio. Perché era un momento storico, era la fine di una ricerca lunghissima, e l’inizio di una nuova pagina per l’astrofisica. Sì, perché la cosa straordinaria non è tanto – o solo – che dopo settant’anni abbiamo visto le onde gravitazionali. Prove indirette della loro esistenza c’erano già. No, è che ora è possibile studiare l’Universo in una nuova banda, non più solamente la luce visibile (l’ottico) o le alte energie. In sintesi, non possiamo più misurare solo l’emissione elettromagnetica dei corpi celesti. Adesso possiamo misurare anche l’emissione gravitazionale, aprendo un campo completamente nuovo di indagine. E questo significa chissà quanti altri misteri da spiegare, quante altre scoperte che ci attendono. È un cambiamento di paradigma, e per questo è una scoperta da premio Nobel; cambia l’astrofisica per davvero e per sempre.
Io sono onorata di aver avuto la fortuna di assistere, e per di più abbastanza da vicino, a un momento del genere nella mia vita. Quasi sempre la storia ci passa di fianco sotto forma di guerra, tragedia, e sconvolge le nostre vite. È così bello, invece, quando è la conoscenza a toccarci, a farci capire innanzitutto che, sebbene a fronte del cosmo, della sua vastità nello spazio e nel tempo, siamo nulla, restiamo pur sempre, per quanto ne sappiamo, l’unica forma di vita in grado di capire l’Universo. È così bello sapere che, quando ci mettiamo assieme, siamo capaci di cose straordinarie. È così bello che per una volta – non l’unica, certo, per fortuna, ma a me così vicina per gusti e per sentire – sia la pace a scrivere la storia.
Io sono eccitata e contenta. Spero di avervi resi partecipi di questa storia che stiamo scrivendo in questa forma da più di 400 anni, da quel Galileo Galilei che è stato – a ragione – molto citato oggi, ma che viene in realtà da molto più lontano: dalla prima volta in cui abbiamo alzato gli occhi al cielo e ci siamo chiesti perché.

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Titani

Ieri ho assistito ad un workshop in cui si illustravano le attività di ricerca del dipartimento di fisica. In verità confesso di aver seguito la sessione di astrofisica, perché era quella che mi interessava di più. S’è parlato di tante cose interessanti, ma in particolare una mi ha colpita, perché mi affascina da quando seguii un corso di dottorato al riguardo: le onde gravitazionali.
Facciamo un passettino indietro. Ci sono le onde del mare, come tutti sappiamo: diciamo che sono increspature della superficie dell’acqua, più nello specifico sono modificazioni della densità e della pressione dell’acqua. Quel che si propaga è il “movimento” (energia e quantità di moto, per usare una terminologia fisica), ma non la materia, almeno nel caso delle normali onde che fanno ballare il pedalò quando andiamo al largo, al mare. Onde simili si propagano anche nell’aria: ad esempio i suoni sono esattamente delle variazioni periodiche della densità dell’aria. Questi due tipi di onde hanno bisogno di un mezzo per propagarsi: no acqua, no onde, no aria, no suoni, come sappiamo (quelli che fanno i film di fantascienza lo sanno un po’ meno ma sorvoliamo).
Esistono però anche onde che non hanno bisogno di un mezzo fisico per propagarsi: è il caso delle onde elettromagnetiche. Infatti, se nel vuoto i suoni non possiamo sentirli, la luce, che è l’onda elettromagnetica con cui abbiamo più a che fare ogni giorno, la vediamo benissimo. In quel caso, ad oscillare periodicamente è il campo elettromagnetico, ossia, per metterla giù facile, la direzione e l’intensità delle forze elettromagnetiche.
Ora, come voi sapete esiste la gravità. Noi la conosciamo nella forma classica lasciataci da Newton, ossia

dove M e m sono le due masse che si attraggono, r la loro distanza e G la costante di gravitazione universale. Solo che questa formula va bene solo sotto certe approssimazioni. La forma più esatta che esprime il funzionamento della forza di gravità è la teoria della relatività generale di Einstein, da lui proposta nel 1916. Già, sono quasi cento anni; come passa il tempo. Potrei scrivervi le formule, ma hanno un aspetto decisamente meno amichevole di quella della gravità di Newton, e richiedono conoscenze avanzate di matematica per essere spiegate, per cui mi esimo. Vi basti sapere che la teoria della relatività generale prevede che anche il campo gravitazionale possa oscillare e produrre dunque onde, le onde gravitazionali. Sostanzialmente, le onde gravitazionali sono modificazioni dello spazio-tempo: è come se lo spazio fosse un tessuto che viene increspato da queste onde. E già questo l’ho sempre trovato fighissimo. Comunque. La parola chiave di tutto il discorso è: previsto. Le onde gravitazionali sono state previste, ma nessuno le ha mai viste. Perché sono estremamente elusive, ossia producono effetti minuscoli.
Si suppone vengano prodotte da qualsiasi interazione tra masse. In teoria anche battere le mani produce onde gravitazionali. Dov’è il busillis? Presto detto.
Suppongo saprete che la forza di attrazione tra voi e lo schermo sul quale state leggendo esiste, ma è minuscola. Questo perché la vostra massa e quella dello schermo è piccola, e al contempo anche G è molto, molto piccola. Invece, l’attrazione tra voi e la terra è significativa, tanto da tenervi ancorati al pavimento coi piedi. Dunque, perché la forza di gravità abbia effetti significativi occorre avere a che fare con grandi masse. E infatti, le onde gravitazionali che si cerca di misurare sono prodotte dallo scontro o dalla variazione di oggetti dotati di grandi masse: buchi neri che vibrano, stelle di neutroni che si fondo, e cose del genere. Il problema però è che anche prendendo in considerazione masse grandissime (quelle quelle stelle, di un buco nero o di una galassia) ugualmente l’effetto che le onde gravitazionali generate producono è minuscolo. Se prendiamo il caso, che so, di due stelle di neutroni che si fondono (coalescono, si dice), l’effetto dell’onda gravitazionale prodotta è quello di spostare due masse di prova di 0,000000000000000000001 m per ogni metro che le separa. Una cosa ridicola, come vedete.
Nonostante questo, sono 50 anni che le si cerca. Perché trovarle sarebbe una bella conferma della relatività generale (una delle molte), e soprattutto aprirebbero un’intera nuova branca dell’astrofisica: perché ogni segnale che proviene da una sorgente di dice tantissimo sulla struttura che l’ha prodotta, e le onde gravitazionali non fanno eccezione.
Ecco, io questa cosa l’ho sempre trovata eroica. Immaginate un ricercatore che trascorre tutta la sua vita a cercare una cosa. Sa che esiste, ma sa anche che trovarla è difficilissimo, e che, prima ancora di tentare, deve possedere lo strumento giusto. Altrimenti è come cercare di misurare una cosa lunga 10 cm con un metro che ha tacche solo ogni 50 cm. Impossibile. La storia del nostro ipotetico ricercatore è quella di affinare di continuo il suo strumento, senza sosta, fino a spingerlo a limiti di sensibilità letteralmente impensabili. Senza vedere niente.
Io, come fisico stellare, le stelle le vedo tutti i giorni. Il mio problema, anzi, è che certe volte ho troppe misure. Uno che studia le onde gravitazionali non ha mai fatto una misurazione di onda gravitazionale in vita sua. Ha misurato tante altre cose, in compenso, ma mai quella che cerca. Attende da sempre di vedere sullo schermo del suo computer quel segnale, quell’unico segnale che gli dice che ce l’ha fatta.
Io li ho visti i rivelatori di onde gravitazionali. Uno è all’INFN di Frascati. Ho visto l’enorme involucro di metallo verde, e ho visto lo schermo collegato, fisso sempre sulla stessa immagine. E ho pensato che una persona che fa questo nella vita è un eroe. Voglio dire, è una situazione à la Deserto dei Tartari. I barbari ci sono, dannazione, ma appena dietro l’orizzonte. E tu rimani lì, anche se non li hai visti mai, e continui a guardare con la stessa attenzione. Senza contare il fatto che nel frattempo sei riuscito a realizzare l’impensabile: uno strumento dotato di una precisione allucinante. E considerate che ci sono infinite fonti di rumore (in fisica il rumore è tutto ciò che “sporca” il tuo dato, segnale che non è dato di rilevanza scientifica, quindi, che so, le luci della città quando guardi le stelle) per strumenti del genere: le nuvole che si muovono, le onde del mare. I terremoti.
Un giorno il nostro professore di fisica 2 venne a lezione un po’ sbattuto. Ci disse che Nautilus, il rivelatore verde di cui sopra, quella notte aveva rilevato qualcosa. S’erano tutti eccitati, si erano messi lì a controllare i dati, solo per scoprire che aveva rivelato un terremoto che c’era stato non so dove.
A me piacerebbe chiudere questa storia di Titani con un bel “ma tra dieci anni le becchiamo di sicuro”. Purtroppo la ricerca non dà di queste sicurezze. Sono allo studio nuovi rivelatori, ancora più sensibili, uno è addirittura composto da tre satelliti che si spareranno l’uno verso l’altro dei laser potentissimi; si chiama LISA, ed era l’oggetto del mio esame di onde gravitazionali, appunto. Le speranze di riuscire a beccare questo elusivo fenomeno fisico aumentano, ma chissà. Resta la grandezza di chi continua a cercare: l’essenza di questo lavoro strano e tremendo sta tutta là, in quella persona che guarda quello schermo fisso da cinquanta anni a questa parte. Qualcuno ha detto: “Non è vero che il ricercatore insegue la verità, è la verità che insegue il ricercatore.” E forse è vero.

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