
Questa è la mia parola per Quello che (non) ho. Come vedete dalla foto sopra, ieri l’ho lasciata in albergo. Suppongo sia finita dritta nel cestino, ma magari anche no. Mi fa piacere a volte lasciare in giro quel che scrivo, e anche se è stata letta una volta sola e poi buttata, ne è valsa comunque la pena.
FANTASIA
C’era una volta una bambina. Né una principessa né un guerriero, una bambina esattamente come tante altre. Ma nella testa aveva un mondo intero.
Aveva iniziato come tutti, bevendo le parole delle storie che le raccontavano. E lì aveva capito che bastava poco per essere un’altra: un inizio, uno svolgimento, e un lieto fine. Così aveva iniziato a inventare storie sue: poteva viaggiare dove voleva, vivere avventure impossibili e avere la certezza di tornare sempre a casa. Tutto era materia per la sua fantasia: un vecchio lenzuolo ingiallito, che sembrava fatto apposta per fingere un vestito elegante, se ben drappeggiato addosso, ma che all’occorrenza poteva anche servire a costruire un rifugio segreto, se ci disegnavi su una porta e due finestre e lo appendevi alla scrivania. Ogni cosa che le accadeva, nella sua testa diventava altro, perché non c’è niente che non si possa reinventare con la fantasia.
Cresciuta, il vizio non le passò, ma iniziò a coltivarlo come un piacere segreto. Raccontava le storie a se stessa, la sera a letto, e quasi se ne vergognava, perché si gioca finché sei piccolo, dopo…dopo la realtà chiede il conto. E invece, là fuori era pieno di gente che non si arrendeva, che la sera si raccontava storie, e soprattutto che aveva voglia di ascoltare quelle degli altri, anche le sue. Ne trovò uno, due, cento. E la fantasia divenne un lavoro, alla fine, menestrello di professione.
Oggi c’è un’altra bimba, più piccola. La sera, al buio nel suo letto, ha bisogno di storie che la conducano per mano verso il sonno. Perché fa paura, la terra di nessuno tra veglia e il sogno. E la bambina di un tempo, quella con un mondo nella testa, riempie per lei il nero della stanza di draghetti che non sanno sputare fuoco, burattini col naso lungo e porcellini sfaticati. Perché vuole passarle la staffetta della sua fantasia, perché vorrebbe dirle che ogni cosa è possibile, finché siamo in grado di immaginarla.
P.S.
Come vi avevo preannunciato, altra intervista fatta a Torino, stavolta per La Stampa. Enjoy.