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Astrofisica e astrusità

Venerdì la notizia si è diffusa come il lampo tra noi ricercatori. Ce la passavamo sui social network, nel parlavamo durante la pausa caffè, e qualcuno, molto più bravo di me, ne ha poi parlato in modo chiaro e persino non astioso. Perché, credetemi, da incazzarsi c’era, e un sacco.
Sto parlando del promo della puntata di ieri sera di Report. Si parla di banche, si parla dei Monti dei Paschi di Siena. Dopo un cappelletto introduttivo, si passa a parlare anche dell’omonima Fondazione, che finanzia progetti di vario genere. Tra questi, alcune “astrusità”, come vengono definite dal commentatore con un tono ironico del tipo “guarda come buttano i soldi”. E la prima astrusità è lo studio delle popolazioni stellari di Omega Centauri. Che è sostanzialmente roba mia, nel senso che si tratta di un progetto di fisica stellare, e per altro io ho un’amica e collega che ha passato metà della sua vita lavorativa a studiare Omega Centauri, che, vi assicuro, è un oggetto particolarissimo (un ammasso globulare, ossia un insieme di qualche milione di stelle, di forma più o meno sferica, molto antico). Soldi stanziati, 20 000 euro. Lo speaker inserisce questo finanziamento tra gli altri sprechi, tra aragoste e amanti. Come fossero la stessa cosa. Come se studiare l’universo, la sua storia e la sua formazione fosse la stessa cosa che pagarsi una cena di lusso.
Ora, prima di continuare metto i puntini sulle i. In molti hanno scritto a Report per far presente lo scivolone, chiamiamolo così, e Report ha avuto il gusto e l’educazione di rispondere, e, in seguito, di tagliare il riferimento. Onore al merito. In una società in cui non si ammette di aver fatto una cazzata neppure sotto tortura (pensiamo all’infelicissima sparata di Grillo sulla mafia), è bello vedere qualcuno che emenda i propri errori. Il problema però è sintomatico. Report non è una qualsiasi altra trasmissione di intrattenimento. Report è un programma serio che ha fatto della propria precisione nei reportage la base per la sua autorevolezza, il marchio di fabbrica, diciamo. Ora, io l’ho beccato anche altre volte a dire cose non esattamente vere, piegando evidentemente i fatti all’interpretazione che si stava cercando di provare. Però c’è un abisso tra Report è moltissime altre trasmissioni di approfondimento giornalistico. Ecco, che proprio Report mi sia caduto su una cosa del genere significa che siamo davvero alla frutta: significa che la cultura scientifica in Italia sta esalando gli ultimi respiri, e che anche i più illuminati considerano la ricerca pippe mentali per sociopatici. Altrimenti non mi spiego la cosa.
Comunque, non ho visto il servizio ieri, indi per cui non ho idea se Report abbia semplicemente espunto il riferimento a Omega Centauri (che mi sembra la cosa più semplice e probabile), o abbia invece proprio spiegato perché quei 20 000 euro non solo non sono uno spreco, ma sono quel per cui la Fondazione è nata. Nel dubbio, ve lo spiego io.
Cosa sono quei 20 000 euro? Sono una borsa di studio per un dottorando o un ragazzo appena dottorato. Fatevi due conti: 20 000 euro bastano per un’anno di stipendio a circa 1000 euro lordi al mese. Servono al mero sostentamento di un ragazzo che fa il ricercatore. E vi assicuro che è il minimo indispensabile, soprattutto se questo ricercatore è magari anche un fuori sede. Per altro, la borsa di studio ha prodotto tre articoli su riviste scientifiche referate. Per chi non lo sapesse, nella ricerca la qualità di un lavoro si misura anche dal numero di articoli che produce, e dal numero di citazioni che quell’articolo riceve. Tre articoli sono una gran cosa. I 20 000 euro sono stati tutt’altro che buttati. Per inciso, la Fondazione ha questo scopo: finanziare progetti di rilevanza culturale, oltre ad attività di mera beneficenza. E direi che uno studio scientifico su uno degli oggetti più enigmatici del cielo, almeno se restiamo nell’ambito della fisica stellare, mi sembra coerente con questo obiettivo. Per altro, credo di aver usufruito anch’io di una borsa del genere; 6000 euro per sei mesi, per una breve collaborazione che ho avuto con l’Università di Pisa.
Ora, visto che ci siamo, perché Omega Centauri? Cos’è ve l’ho già detto. Ma Omega Centauri è un oggetto un po’ strano, per essere un ammasso globulare: è molto massiccio, e poi ha una cosa strana. Dentro ci sono varie “generazioni” di stelle (in termine tecnico popolazioni stellari), ossia stelle che si sono formate in epoche differenti. Questa è una cosa un po’ rara nel caso degli ammassi globulari, le cui stelle tipicamente si sono formate tutte nello stesso periodo e hanno più o meno tutte la stessa composizione chimica (ci sono eccezioni, ma questa è la regola). Questa e altre evidenze inducono a credere che Omega Centauri non sia un ammasso globulare, ma il nucleo di una galassia nana che ha perso tutte le stelle intorno. Stop. Cos’è una galassia nana: è una galassia, ossia un insieme di stelle, più piccola delle altre. Intorno alla nostra, la Via Lattea, ce ne sono svariate che le girano intorno, come satelliti. Girando, se sono molto vicine, perdono stelle per la strada per via dell’attrazione gravitazionale della nostra galassia. Ecco, forse ad Omega Centauri è successa una cosa del genere. Ora, poiché alcune teorie prevedono che le galassie nane siano i primi oggetti che si sono formati dopo il Big Bang, la grande esplosione che ha dato inizio alla formazione dell’universo, è interessante capire come si sono formate, che fine hanno fatto, come sono. Considerate anche che gli ammassi globulari, al contempo, sono oggetti molto antichi, che ci danno informazioni sulla composizione dell’universo primordiale. Voilà, ecco perché studiare Omega Centauri è tutt’altro che uno spreco.
Ora, possiamo stare a discutere del fatto che se i Monti dei Paschi di Siena è vicina alla bancarotta forse sarebbe meglio ridurre al minimo le spese. Io poi non sarei d’accordo, perché è proprio nei tempi di crisi che occorre spendere in ricerca e sviluppo, altrimenti vorrei capire come si fa ripartire l’economia. Comunque, sarebbe un discorso sensatissimo. Poi però nessuno si venga a lamentare della fuga dei cervelli, dell’Italia che non cresce e della ricerca trattata come la figlia della serva. Cosa che, se non erro, Report farà domenica prossima.

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Articolando

Come sapete, ho ormai una certa dimestichezza con l’editoria, almeno con quella di narrativa. Dopo dieci anni circa che faccio questo lavoro, posso dire che ormai riesco più o meno a fare i conti con l’eccitazione per la pubblicazione di un nuovo libro. Certo, il giorno dell’uscita me lo vado a vedere in libreria, poi vado a cercarmi pareri su internet, ma bene o male sta diventando una cosa quasi normale.
Tutt’altra cosa con l’editoria scientifica. Ok, ho pubblicato quattro o cinque articoli, ma due erano ad uso interno del consorzio che lavorava sul satellite Gaia, gli altri due erano proceeding di un congresso pubblicati su rivista apposita – un proceeding è un articolo in cui spieghi meglio il lavoro presentato al congresso -. Non avevo mai avuto a che fare con una rivista referata.
Passo indietro. Cos’è il referee. Quando scrivi un articolo scientifico, lo presenti ad una rivista. La rivista lo passa ad un ricercatore che se lo legge e stabilisce due cose: a) se l’articolo è degno di pubblicazione, b) se ci sono suggerimenti da dare agli autori o correzioni da fare. Il ricercatore in questione si chiama referee.
Circa due settimane fa, abbiamo proposto un articolo alla rivista Pubblications of Astronomical Society of the Pacific. Tempo una settimana, mi ha scritto il refree con tre suggerimenti. Abbiamo corretto e aggiunto, abbiamo rispedito l’articolo. Settimana scorsa ci hanno detto che è stato approvato, e uscirà sul numero di Agosto. La cosa mi ha gettata in uno stato di vera e propria euforia.
Sono due anni e mezzo di lavoro: di sudore, di cose che non venivano, di momenti di sconforto e di esaltazione. Ed è quel che fa la differenza tra uno che prova a fare il ricercatore e uno che è ricercatore. Ecco, è come aver ricevuto una specie di battesimo. È il coronamento di un percorso. Esagero? Probabilmente sì. Ma sono contenta quasi come quando vidi per la prima volta Nihal della Terra del Vento in libreria. Ok, non proprio così, ma quasi.
L’articolo è questo. Vorrei potervi invitare a leggerlo, ma mi rendo conto che senza certe conoscenze di astrofisica è praticamente arabo. Magari un giorno ve lo spiego, appena ho un po’ di tempo.
Io, intanto, gongolo felice.

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