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San Totò da Rebibbia

In un questo momento storico, nel quale non si può proprio dire che ci sia penuria di notizie da dare, c’è una categoria di articoli che da un po’ di tempo appaiono sui giornali di cui proprio faccio fatica a capire il senso. O meglio, lo capisco, ma mi lascia interdetta. Trattasi della cronaca, pressoché giornaliera, delle avventure di Salvatore Cuffaro in galera. L’opera di santificazione è iniziata al momento della condanna in via definitiva per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra. Lo spunto è che il Nostro, contrariamente all’uso dei politici italiani, si è andato a costituire, e quindi è stato rinchiuso a Rebibbia per scontare la sua condanna a sette anni di reclusione. Subito si sono levate voci di lode: che bravo, che alto senso dello stato che ha dimostrato Cuffaro andandosi a costituire! Ecco uno che rispetta la magistratura! Io mi domando dove fosse il suo alto senso dello stato quando intratteneva rapporti con la mafia in cambio di voti. Sarà stato fulminato sulla via di Damasco dopo la condanna, chissà.
Da quel momento, è stato tutto un fiorire di articoli che ci informano della sua vita in carcere: qualcuno lo va a trovare, lui prega, è provato ma sereno, si è iscritto all’università. Ne esce l’immagine di un uomo che forse ha sbagliato, ma poco poco, e comunque, provato dalla condanna inflittagli, sta dimostrando altissima dignità.
Posso dire che tutto l’apparato mediatico mi fa venire il voltastomaco? A nessuno frega mai niente di cosa faccia in carcere Nicolae Mailat, se s’è pentito, se prega o se studia. A nessuno interessa se nel 2010 in carcere si sono uccisi 63 detenuti. Invece ci commuoviamo tutti davanti a Cuffaro che trascorre “sereno” la prima notte in carcere. E la cosa mi fa venire il voltastomaco per due motivi: il primo è che dimostra ancora una volta – come ce ne fosse ancora bisogno – che c’è una giustizia per i poveri Cristi e una per i potenti. Che i primi sono sempre colpevoli prima ancora che ci sia una sentenza – vedi caso Loyos e Racz, ingiustamente accusati di stupro, sbattuti in prima pagina come mostri, e graziati di due righe laconiche quando si scoprì che non c’entravano niente – e che i secondi sono innocenti anche quando sono colpevoli. E intendiamoci, in un paese civile il carcere non è la vendetta della società contro il singolo, ma un’occasione di recupero, e quindi è anche giusto che le colpe vengano emendate, che si inizi davvero un percorso di rieducazione. Ma che questo discorso valga per tutti, e non solo per i politici condannati per mafia. La seconda è che questa santificazione avalla la percezione distorta che la gente ha della mafia. In fin dei conti, la gente continua a pensare che le mafie siano una cosa che non le riguarda: si tratta di tizi che si fanno fuori solo tra di loro, sono problemi che interessano al massimo quelli che vivono a Scampia o a Corleone, non certo me, onesto cittadino, che vivo nella capitale. Secondo questa logica, uno condannato per favoreggiamento di Cosa Nostra non ha compiuto un reato ai danni della collettività tutta, non ha attentato alle regole della democrazia, ha favorito comportamenti che nuocciono a noi tutti: scommetto che la maggior parte degli italiani non sa manco cosa sia il favoreggiamento. Ma sa che Cuffaro si è iscritto a legge in carcere.
Mi scoccia ripetermi, mi sembra di fare la figura di quella monotematica, ma pensiamo al ciclo dei rifiuti: la criminalità organizzata lucra sullo smaltimento illegale dei rifiuti, e questa è una cosa che ci riguarda tutti. Vi siete mai chiesti se nelle colonne portanti di casa vostra ci siano rifiuti tossici? Io sì, da quando ho iniziato a leggere certe storie.
Ma in fin dei conti questa roba qui non fa notizia. Molto meno, comunque, dell’immagine da santino di un povero politico perseguitato che accetta con pazienza la sua croce.

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