E siamo arrivati all’ultima puntata di questa controversa rubrica. Ieri sera, infatti, ho visto l’ultima puntata della terza stagione di Misfits. Ok, ho saltato anche il commento all’episodio sugli zombie, ma l’ho visto tipo venerdì, e mi è passata la voglia di farci un post con tutto quel ritardo. A questo punto, direi che si può direttamente dare un giudizio su tutta la stagione e su quest’ultimo episodio. Ci saranno degli spoiler, per cui chi ancora non ha visto la puntata o la serie, oppure non è interessato, può direttamente saltare al P.S., che contiene un po’ di informazioni sui miei prossimi spostamenti. Per tutti gli altri…
A quanto pare Misfits è finito. Sì, lo so che è stata confermata una quarta stagione, ma la dipartita ormai di tre dei personaggi storici, e l’assenza anche di un qualche indizio che colleghi questa serie alla prossima (tipo le apparizioni del tizio mascherato per la prima stagione, o di Seth e la perdita dei poteri dei nostri per la seconda) segnano una cesura netta. Quel Misfits, quello con Simon, Nathan & co., è finito, e forse è finito da otto episodi. La scena dei nostri sul tetto che guardano l’orizzonte in attesa non si sa di cosa è desolante: sembra veramente che le idee siano finite, e che gli autori stiano aspettando un miracolo.
Per quel che riguarda l’episodio in sé, chiude perfettamente la serie perché ripropone gli stessi problemi della prima puntata della stagione: come allora, la trama è frammentata, incapace di trovare un fulcro, come allora Rudy tenta invano di fare il Nathan della situazione, e come allora regna la noia. Francamente ci frega davvero poco del ritorno dei morti viventi, e i tocchi di romanticismo spennellati qua e là sembrano semplicemente incongrui all’interno dell’universo di Misfits. Poi, a dieci minuti dalla fine, gli autori si ricordano che devono spiegarci tipo una tonnellata di roba: come fa Simon a tornare indietro nel tempo, perché poteva toccare Alisha e via così. Ora, apprezzo che la questione viaggi nel tempo sia stata risolta con perfetta coerenza dal punto di vista logico. Peccato che per evitare paradossi irrisolvibili, gli autori abbiano sacrificato la coerenza dei personaggi. Ok, tutto torna, ma non si capisce perché Simon, per il quale Alisha dovrebbe essere tutto – o almeno così ci hanno fatto credere per due stagioni – decida ora di fare la scelta più egoistica di tutte e invece di tornare indietro nel tempo per salvare la sua bella ci torna per…ecco, per far cosa? Perché “tutto doveva andare esattamente così”? Per regalarsi tipo due mesi in più di amore con Alisha? Senza contare che adesso tutta la storia d’amore di Alisha e Simon si illumina di una luce tetra: lui le ha mentito fin da principio, e tutta la loro storia d’amore, che tanto ci è piaciuta, è basata su una menzogna. All’anima del “io lo trovo romantico” di Kelly. Ma il problema, ripeto, non è tanto questo, quanto la coerenza del personaggio Simon, che, a questo stadio della sua evoluzione, non ha una ragione che sia una per non tornare indietro di mezzo secondo ed evitare che la bigotta pazza uccida Alisha, e vada a quel paese la coerenza temporale, future-Simon e tutto il resto. Alisha così non potrà innamorarsi di lui? E chi se ne frega, almeno sarà viva.
Vabbeh. Comunque qui c’è anche un’altro problema. Gli autori di Misfits sembrano convinti che i personaggi non siano un elemento importante della serie. Posso capire che Nathan se n’è andato di sua spontanea volontà, per altro suppongo in aperta rottura con gli autori, visto che questi ultimi hanno cercato per metà della terza stagione di mettere in bocca le sue battute a Rudy, e l’hanno pure segato via da tutte le scene del mega-recap a inizio puntata. Ma perché hanno tolto di mezzo Simon e Alisha, e in modo tutto sommato anche così sbrigativo? Ok, in tutta la terza stagione il loro contributo generale alla storia è stato praticamente nullo, e tutto sommato anche la loro evoluzione come personaggi era ormai compiuta. Ma, in ogni caso, Misfits è i personaggi. L’idea di base non è nulla di sconvolgente, quel che ci piaceva era proprio vedere cinque poveri disadattati infilati in situazioni più grandi di loro. Ci interessava di quel che gli accadeva, ci piaceva vederli muoversi in quella periferia desolata alla ricerca di se stessi. E no, non è lo stesso se al posto di Nathan ci metti un’altro, come fecero intendere gli autori quando Sheehan se ne andò – “le sue battute le scrivevamo noi, e noi siamo ancora qua”, una dichiarazione che ho trovato di una mancanza di rispetto nei confronti degli attori francamente imbarazzante -.
Per quel che riguarda il giudizio generale sulla terza stagione, alcuni episodi, presi in sé, non sono stati male. Il problema è che è mancato il quid. Se avete seguito le mie interviste per Nautilus la scorsa settimana, avrete visto l’elzeviro della puntata sull’arte, in cui si discettava proprio del quid, quell’elemento inafferrabile, irriproducibile, che alcune opere d’arte hanno e altre no. E il quid non riguarda solo le arti figurative, ma anche la letteratura, e i fumetti, e insomma tutte le espressioni della creatività umana, telefilm compresi. Misfits il quid ce l’aveva, anche se non saprei dire esattamente di cosa si trattasse. Era un mix di molte cose, probabilmente, una sorta di miracolosa alchimia tra sceneggiatura, musica, recitazione e fotografia. Adesso, semplicemente, non ce l’ha più. Fa ridere, ma non come prima, è fatto bene, ma non come prima. È un prodotto cui manca l’anima. Non sto dicendo che non valga più la pena vederlo, anche se mi pongo seriamente il problema se seguirò la quarta stagione. Sto dicendo che se tutto Misfits fosse stato come questa terza stagione, forse questa rubrica non sarebbe mai esistita, e la serie sarebbe morta lì, perché nessuno si sarebbe davvero appassionato.
Ma forse il suo destino era scritto fin da principio, forse semplicemente un prodotto del genere alla lunga stanca proprio a causa degli elementi che ne hanno decretato il successo: troppo trash, troppe incongruenze, troppa sgangheratezza – che era proprio quel che amavamo – alla fine annoia, come un dolce con troppo zucchero. Resta il mistero: cos’era davvero che lo rendeva così piacevole, così bello, e perché quel qualcosa non c’è più. Ma questo è il problema che chiunque abbia mai bazzicato con la creatività si è sempre posto.
P.S.
Abbiamo poi anche notizie di Torino: il mio incontro sarà domenica 13 maggio, ore 18.00, presso l’Arena Book Stock, come al solito, insomma. Se poi ci sarà qualcos’altro, ve lo farò sapere nei prossimo giorni.
Per l’incontro di Gubbio, scusate, ho fatto un pasticcio io, non è aperto al pubblico, ma è solo un incontro con le scuole, per cui, nulla, scusate l’errore.