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Donne, immigrati, satira. In una parola, Vieni via con Me

E anche oggi la consueta esegesi di Vieni via con Me. Non è accanimento. È che io, ogni lunedì sera, esco un po’ modificata dalla visione, e il desiderio di parlarne, di condividere le mie osservazioni, è sempre fortissimo.
Stavolta, tra le tante cose, quella che mi è piaciuta di più è stato lo spazio dedicato alle donne. È sempre commovente per me vedere in tv donne che escono dallo stereotipo imperante: l’ho pensato quando sono andata ospite a Nero su Bianco, e mi sono trovata davanti una Casella professionale, seriamente interessata a me e al mio lavoro, l’ho pensato ieri sera, quando per una volta le donne non erano lì a fare le grechine – per usare una definizione efficacissima usata nel libro Sii Bella e Sta’ Zitta -, ma a parlare della condizione femminile, uno dei problemi in assoluto più ignorati nella nostra società.
Non ho trovato la Bonino poi molto incisiva: ha detto cose giustissime e condivisibili, ma anche lei non è riuscita a sfuggire alla tentazione del comizio. Io mi domando se scrivere una lista è davvero così impossibile per un politico. Invece sono state tremende e terribilmente efficaci le parole della Camusso, che ha portato alla luce una realtà che non si conosce o si preferisce ignorare. Infinite sono le declinazioni della discriminazione della donna sul lavoro, qualsiasi esso sia, che sia tra le mura di casa o fuori. E c’era una tale rabbia, in quell’elenco, che l’ho trovato adeguato persino a me, che tutto sommato sul lavoro mi sono sempre trovata bene, ma comunque devo fare i conti col tempo che manca, con l’estrema difficoltà di conciliare il mio essere madre, moglie e donna con tutto il resto.
Splendido anche l’elenco letto dalla Morante. Verissimo. Mi odio quando mi capita di uscire la sera e ho paura di prendere la macchina. Mi odio quando rientro, e non ho il coraggio di mettere l’auto in garage per la paura di quei pochi metri del sottoscala, chiusi tra due porte, dove se uno vuole farti del male può farlo indisturbato. Mi odio ogni volta che penso che certi vestiti posso metterli solo con Giuliano, perché così so che la gente non mi guarderà troppo, non mi considererà una puttana. Vorrei essere libera, vorrei essere abbastanza forte da non aver paura, ma non ci riesco. Perché gli stupri esistono, perché gli uomini spesso ti guardano come un oggetto. E sono sicura che questi pensieri li facciamo tutte, che ciascuna di noi ha paura e non vorrebbe. Quando finirà? Non lo so. Ma presentarci per quel che siamo, come persone dotate di talenti e capacità, non come meri corpi che esauriscono le loro attrattive in un paio di tette e due chiappe, è un passo. Per questo ieri sera è stato importante.
Capitolo Maroni. I politici in quella trasmissione ci azzeccano come i cavoli a merenda. Finora l’unico che mi è piaciuto è stato Vendola, come ho già avuto modo di dire. Gli altri si rifiutano di parlarne il linguaggio, non vanno lì a indurre riflessioni, vanno lì a dare stantie risposte preconfezionate con lo sterile stile del comizio. Maroni ha detto la sua, una sua che aveva già ripetuto nei tg e in duecento trasmissione diverse in una settimana. A Vieni via con Me è andato sostanzialmente a vincere il suo braccio di ferro vigliacco con uno scrittore di trent’anni che dalla sua ha solo la forza delle sue parole. E il bello è che l’ha anche perso. Innanzitutto perché non c’era nulla di efficace nel suo discorso, tranne un tardivo apprezzamento per l’operato di magistratura e forze di polizia. Poi perché Fazio non s’è voluto far mancare un accenno alla polemica, e perché Saviano non s’è fatto mettere i piedi i testa, e ha ribadito, nel suo secondo monologo, la “parola dello scandalo”, quell’interloquire che a Maroni proprio non va giù. Comunque, contento il ministro…
Infine, Guzzanti. Io Guzzanti lo adoro. Io sono cresciuta con l’Ottavo Nano, Pippo Chennedy Show, Il Caso Scafroglia. Io Guzzanti l’ho visto dal vivo, ed è straordinario. Secondo me Guzzanti si magna tranquillamente l’ultimo Benigni, Rossi e Luttazzi. E non mi ha delusa per niente. Intanto, ho apprezzato molto che decidesse anche lui di presentarsi con un elenco. Peccato per la brevità del tutto, ma sono state risate a scena aperta. Un grande. Trentatré battute tutte memorabili, ma credo che “La camorra contro Saviano: la scorta ci impedisce un contraddittorio” sia da antologia.
E per quella storia dei senza voce, per una volta abbiamo ascoltato questi tremendi immigrati che vengono qui a far nulla, a rubarci lavoro e donne. E non mi dite che queste sono voci che ascoltiamo, perché in genere uno o ha il vicino di casa di colore, o raramente in tv vede un clandestino o un rifugiato. Vende poco a livello politico, diciamo così.
Insomma, un altro lunedì in cui è valsa davvero la pena. Meno male che non tutta la tv è così, o non riuscirei più a scrivere dopo cena :P .

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Linguaggi

Ormai l’esegesi di Vieni Via Con Me è una specie di appuntamento fisso di questo blog. Dovrei farci su una rubrica. Per altro, oggi parlo di politica. Non che non l’abbia mai fatto, ma in questi termini credo mai.
Tra tutte le cose viste ieri sera, infatti, vorrei soffermarmi su quella più attesa: i famosi due monologhi di Bersani e Fini. È che li ho trovati davvero significativi. Significativi di un certo tipo di politica che ormai s’è proprio staccata dal paese.
Fini e Bersani avevano un’occasione: una platea grande e prestigiosa, composta per lo più dai delusi della politica. Una platea cui parlare in un linguaggio nuovo. Del resto, quello usato da Fazio e Saviano per le due puntate che abbiamo visto fin qui è proprio questo: un linguaggio nuovo, che tratta con leggerezza temi pesanti, che rende avvincenti cose che in linea di massima la gente considera lontane e pallose.
La scelta è stata invece quella di fare due comizi vecchio stile. Imbalsamati entrambi, sembravano star lì a fare tribuna elettorale. Fini soprattutto, che s’è giocato furbescamente i due pezzi da novanta – i militari in Afganistan e Falcone e Borsellino -. Non che non siano state dette cose belle e condivisibili. Non che Bersani non abbia incontrato il mio modo di vedere la sinistra, o Fini non abbia espresso ciò che tutto sommato vedo nella destra (ove per destra non intendo quella che è adesso al governo, ma quella di una Merkel o giù di lì, che comunque non condivido, ma con la quale, quanto meno, posso discutere). Ma non sono rimaste. Il tono era appunto quello da vecchia tribuna politica, il linguaggio quello stantio del partito. Non ho visto passione. Ho visto un elenco di cose dette un po’ perché si deve, cercando di imbonirsi un elettorato che non esiste più.
Non do colpe. Se uno parla così, non può inventarsi comunicatore da un giorno all’altro. Ma se a distanza di dieci giorni ancora ricordo i tre elenchi letti da Vendola, e la sua battuta finale in risposta a Berlusconi, già stamattina non ricordo una parola che sia una dei due monologhi. Forse giusto la battuta sulla dimensione pubblica del privato di Bersani. Un po’ poco.
Forse è questa la vera ragione per cui c’è tutto questo disinteresse per la politica. Il mondo è cambiato, i nostri bisogni anche, e invece la politica è rimasta al palo. Immagina un’Italia che non esiste più, che parla un linguaggio superato. Ripeto, non è stata questione di temi trattati. È stata proprio questione di linguaggio, di parole che non vibravano di passione. E invece in questo periodo di disaffezione per la cosa pubblica, soprattutto nei giovani, questo dovrebbe passare: che la politica è passione, è ideale, è credere in qualcosa di più grande.
Certo, a Fini e Bersani non ha fatto gioco il confronto con Saviano, uno le cui parole sono sempre traboccanti di una passione contagiosa, uno che non ti racconta le cose, le vive e te le fa vivere. Mi si dirà, è uno scrittore, è il suo mestiere. Beh, allora i politici dovrebbero imparare un po’ di quel linguaggio lì.

P.S.
Scusate la stratosferica dabbenaggine, ma mi sono dimenticata di avvisarvi che è online su Fantasy On Air la registrazione dell’incontro di Torino. Lo trovate qua

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Hope

Oggi parlare di Vieni Via con Me è praticamente doveroso. Non perché ne parlano tutti, è un fenomeno televisivo, blablabla. Perché mentre ieri sera me lo guardavo stesa sul divano, bucando una serata di lavoro (e che io buchi una serata di scrittura per la tv è una cosa rarissima), ho percepito il senso di un cambiamento. Quando guardo la tv, e lo faccio ormai solo quando sono troppo stanca per fare qualsiasi altra cosa, in genere mi si spegne il cervello. Quando va bene, trasmettono roba innocua, quando va male roba oscena e dannosa. Guardare la tv per me è ormai una perdita di tempo cui indulgo solo quando so che non ho niente da perdere a fare altro.
Ieri sera invece era diverso. Ieri sera più andavo avanti più mi si accendevano in testa luci a profusione. Riflessioni, domande, risposte, sentimenti. E soprattutto ho sentito una cosa che non sentivo da un sacco di tempo: un po’ di speranza e voglia di fare.
So di non farci una bella figura, ma non ho voglia di essere autoindulgente con me stessa o di mostrare una faccia che non è la mia, ma, si sarà capito da quel che scrivo, sono mesi che quel che c’è fuori dalla porta di casa mia mi accascia. Non mi riconosco nel paese in cui sono nata, o in quel che è diventato, passo il tempo a vagheggiare di andare altrove, a vivere in un posto che mi somigli. E, soprattutto, non ho speranza nel futuro. Non vedo come se ne possa uscire, non vedo come tornare indietro da questi vent’anni che ci hanno devastati come popolo e società civile. E quando perdi la speranza, la cosa peggiore è che smetti di lottare. Hai un alibi per non fare nemmeno quel nulla che facevi prima. Ti senti autorizzato a gettare la spugna e chiuderti dentro casa tua a coltivare il tuo giardino.
Ieri Vieni Via con Me è stato una sferzata alla mia ignavia, al mio crogiolarmi nel pensiero che tutto è uguale, che io non conto niente, e quindi sono autorizzata a farmi i fatti miei.
Per due ore Fazio & co. non hanno semplicemente fatto un elenco di quel che non va, una lamentosa sequela di recriminazioni su un paese che non c’è. Hanno invece chiamato all’indignazione, all’azione, alla speranza.
Saviano non ha parlato di Falcone e di quel che ha subito in vita (e che io, ammetto, non sapevo) per mostrarci che alla fine anche i migliori vengono piegati, ma per farci vedere che il segno che ha lasciato in quest’Italia è indelebile, che tutto quel che ha fatto, e subito, ha avuto uno scopo, che ci sono e ci saranno sempre migliaia di persone pronte a raccogliere il suo testimone.
E Vendola ha letto i suoi elenchi sull’omosessualità non per dirci che non c’è via d’uscita, che un omosessuale non potrà mai aspirare ad esprimere liberamente se stesso, ma che nonostante tutto quell’amore c’è ancora, che nonostante le persecuzioni, lo sputo, l’insulto, possiamo ancora amare, e andarlo a dire in prima serata.
L’atto politico, forte, ricco di speranza, è stata semplicemente la possibilità di sentire tutte queste cose in tv, sulla Rai, nell’orario di ascolto massimo. Dirle senza vergogna e senza paura, e addirittura senza acrimonia, con lo sguardo aperto verso l’orizzonte.
Sentire una suora perorare la causa della moschea di Torino è una cosa che non ha prezzo. Se non è speranza questa…
E la vittoria sono stati i dati sugli ascolti, che ho atteso fin da quando mi sono svegliata, stamattina. Non è vero che la gente vuole solo tette e culi, non è vero che la gente in tv vuole morte e pornografia. La verità è più forte, poco da fare, l’anelito che ogni uomo ha in sé verso qualcosa di più grande, di più puro e autentico, viene fuori nei modi più aspettati, e non può essere abbattuto. C’avete rincoglionito per anni con una televisione senza senso, ma ugualmente non siete riusciti ad abbattere la voglia di autenticità che ancora abbiamo dentro. Al massimo siete riusciti ad aumentarci la sete.
Domani probabilmente non cambierà niente. Continueranno a succedere cose tremende, e la società civile continuerà a latitare. Non si può pensare che bastino due ore di un programma televisivo per cambiare anni e anni di coma profondo delle coscienze. Ma probabilmente a me è bastato quell’impeto di orgoglio di ieri sera, sentire le cose chiamate col loro nome dalle 21.05 alle 23.15. Non è poco. E ho capito che il cambiamento deve partire prima di tutto da me: dalla mia scarsa fiducia nel mondo, dalla mia ignavia, dalla mia costante paura: di me, del mondo, della vita. Una droga che pian piano mi avvelena, e di cui sempre più difficilmente riesco a fare a meno. Per questo, io personalmente devo un grazie a Saviano e a Fazio. Ma credo che molti di noi, per tante ragioni diverse, siano in debito con loro, oggi.

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