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Tu quoque, Big Bang Theory

The Big Bang Theory, come ama ricordare mio marito, è l’unica cosa che ancora seguiamo dai tempi in cui Irene non era ancora nata. Arrivata all’undicesima stagione, è l’unica serie che sia durata così a lungo che non ci siamo stufati di seguire.
Ora, ok, col tempo la qualità è calata. Era un po’ inevitabile, visto anche che, dopo dieci anni, era impossibile continuare a seguire il concept originale (sfigati nerd che ci provano con figaccione stellari, che a loro volta se li calcolano poco). Ma, nel complesso, tiene botta. Per altro, è stato probabilmente il prodotto che ha dato inizio alla rivincita dei nerd, che tanto adesso – pure un po’ troppo… – vanno di moda. Insomma, io a Big Bang tutto sommato gli volevo ancora bene. Fino a ieri sera.
Ieri sera, con un bel po’ di ritardo, mi sono vista il secondo episodio dell’undicesima stagione.
Faccio un breve riassunto, senza scendere troppo nei dettagli perché credo che lo show sia così popolare che più o meno tutti sappiano che i protagonisti sono tre fisici e un ingegnere. Comunque; in sintesi, Leonard, fisico sperimentale, viene invitato a una trasmissione radio per parlare un po’ di fisica, con lo scopo dichiarato di sensibilizzare la gente al tema dei finanziamenti della ricerca. Peccato che Leonard se ne esca che la fisica si trova a un punto di stallo, che negli ultimi anni non ha scoperto nulla di davvero importante, e che l’LHC è stato uno spreco di soldi.
Vabbé, fin qui…voglio dire, opinione personale. Ovviamente l’Università per cui lavora s’incazza, e gli chiede una ritrattazione. Che lui non riesce a fare. Perché quello che ha detto è quello che pensa. E neppure uno solo degli altri suoi amici trova una singola argomentazione per contraddire quanto detto da Leonard: la fisica non serve a una ceppa (viene ripetuto più volte) e spreca soldi (e anche questo viene detto più volte).
Beh, ottimo, direi. Viviamo in un’epoca in cui a ogni piè sospinto la ricerca deve giustificare se stessa, e manco conto più le infografiche che le pagine di divulgazione pubblicano su Facebook solo per spiegare che no, non buttiamo i soldi nella ricerca, semmai li buttiamo in armi et similia, e che sì, andare nello spazio serve. E in questo contesto di scetticismo e sospetto generalizzato nei confronti della scienza ci voleva proprio una serie televisiva con largo seguito e che ha sempre posto la scienza al centro dell’intreccio che ci dice “ahò, amo scherzato, avete ragione voi, è tutto uno spreco di soldi e tempo”. Il massimo della difesa d’ufficio è Leonard ubriaco che dice “la scienza non morirà fino a quando sarà in grado di appassionarci”. Eh?
Tra l’altro, che l’LHC non sia servito a niente è una cazzata bella e buona, e che la fisica non abbia fatto passi avanti in questi anni idem. Non che sia la prima volta che lo show decide di far ridere con le battute sbagliate; vedasi tutte le prese in giro dell’astronautica russa, che giusto uno che non sa una ceppa di conquista dello spazio può farlo. Comunque. Qui fa particolarmente male, perché tocca un nervo scoperto.
Per dire, le onde gravitazionali? Sono state viste per la prima volta due anni fa, dopo che le abbiamo cercate per sessant’anni, e da qualche mese sappiamo che effettivamente hanno aperto un intero nuovo campo di indagine del cosmo. Incidentalmente, alla loro scoperta si è accompagnata la prima prova diretta della coalescenza dei buchi neri, e la prima kilonova. In due stagioni di TBBT manco un accenno alle onde gravitazionali, a parte le ridicole magliette di Sheldon, che al massimo sono un inside joke per noi fisici.
La scoperta del bosone di Higgs passa in cavalleria, come una roba che sì, ok, ma ce ne frega poco. Le conferme al modello standard (quello che descrive la composizione più intima della materia in termini di particelle elementari) vengono tutte tralasciate. Per altro, è notizia di pochi mesi fa che proprio l’LHC potrebbe aver trovato una nuova particella non prevista dal modello.
Ora, intendiamoci, c’è del vero in quanto detto da Leonard. La fisica è effettivamente in una situazione di stallo: il modello standard sembra funzionare alla perfezione, la meccanica quantistica ha avuto un numero impressionante di conferme, così come la teoria della relatività. Eppure ancora non siamo in grado di trovare un modo per sposare insieme queste due teorie in una descrizione coerente del funzionamento dell’universo. Per non parlare della materia oscura, sulla cui natura ancora brancoliamo nel buio. Ma questo non significa che la fisica è morta e che gli esperimenti sono soldi buttati. Anzi. Significa che ci mancano dei pezzi, e che probabilmente siamo sull’orlo di qualcosa di grosso davvero, che probabilmente rivoluzionerà il nostro modo di concepire l’universo. La situazione, per certi versi, è simile a quella della fisica di fine ’800. Tutto sembrava tornare alla perfezione, e molti parlavano anche allora di morte della fisica, ed erano convinti che di là a qualche anno si sarebbe capito tutto. Bastava mettere a posto un paio di dettagli, quelle piccole cose che non tornavano nei modelli. Il resto è storia: sono arrivate la meccanica quantistica e la relatività che non solo hanno rivoluzionato la fisica e la tecnologia, permettendoci di fare un balzo avanti davvero quantico e nella comprensione dell’universo e nello sviluppo tecnologico, ma anche la filosofia e il nostro modo di intendere il nostro posto nel cosmo.
Ecco, questo avrebbe dovuto dire uno qualsiasi di quei quattro idioti. Questa è la fisica contemporanea, questo è quello che la gente non sa, perché nessuno glielo dice. E invece no, diamo alla gente quel che la gente vuole: hai ragione, uomo della strada, si stava meglio quando si stava peggio, la fisica sono solo pippe mentali dei ricercatori, hai ragione, quei soldi si potevano spendere meglio.
Sarebbe da smettere di guardarlo. Tanto più che, mi sembrava di capire, ci fosse una qualche consulenza scientifica dietro, e allora mi piacerebbe conoscere questi tizi qua che reputano il loro lavoro inutile.
Chiudo con una cosa che secondo me ci sta veramente a fagiolo. Quasi 50 anni fa, una suora scrisse al direttore scientifico della NASA, chiedendogli conto del perché si spendessero tanti soldi per la ricerca spaziale quando, con le stesse cifre, si poteva dar da mangiare a chi di fame moriva. La sua risposta, esemplare, la trovate qua. Oppure potete continuare a credere che la scienza non abbia migliorato le nostre vite, e le migliorerà ancora in futuro. A quanto pare gli autori di TBBT hanno fatto la loro scelta.

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Trappist-1 e le sette sorelle

Buongiorno :) . Breve post, giusto per condividere anche di qua il video che ho fatto circa la scoperta del sistema stellare Trappist-1. Ho fatto una specie di esperimento: invece di fare un post, ho provato con un video. Non mi sembra la cosa sia granché riuscita, per cui non so se avrà un seguito. Intanto, ve lo beccate comunque :P .
Al momento, non ho altro da dirvi; restate però sintonizzati, perché spring is coming e si porterà dietro un po’ di eventi.
Buona giornata!

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Belle Addormentate spaziali

Era il 2004. Dieci anni fa. All’epoca la laura in fisica si conseguiva discutendo la tesi e una tesina che veniva scelta tra due che erano state preparate dal candidato, e che fossero di argomento diverso da quello della specializzazione. Se ti stavi laureando in astrofisica, la tesina non poteva parlare di astrofisica.
All’epoca, Giuliano era in Cile per la tesi di laurea. Visto che per tutta una serie di ragioni era costretto a laurearsi a luglio, un paio di settimane dopo il suo ritorno in Italia, io gli diedi una mano con una delle due tesine – che per altro poi neppure discusse, perché gli chiesero l’altra – mettendomi a reperire in giro il materiale che gli sarebbe servito per scriverla, e andando a parlare al posto suo coi professori, visto che lui stava dall’altra parte del mondo. La tesina verteva su Rosetta.
Passo indietro. Immagino più o meno tutti abbiate familiarità con la stele di Rosetta: si tratta di una stele, appunto, col medesimo testo – una specie di panegirico di un re in occasione dell’anniversario della sua incoronazione – in greco ed egiziano. La sua scoperta fu una tappa fondamentale della traduzione dei geroglifici.
La Rosetta di cui invece avrete sentito parlare questa settimana, e di cui parlava la tesina di Giuliano, è una sonda che è stata lanciata nel 2004. Si chiama così proprio dalla stele di Rosetta. Per quanto ci piaccia credere di sapere ormai più o meno tutto sull’universo, in realtà sono tantissime le cose che ancora non sappiamo, persino dei dintorni della Terra. Per esempio, non abbiamo completamente chiaro il rapporto tra asteroidi e comete. Ok, i primi sono oggetti preminentemente rocciosi, le seconde sono “palle di neve sporca”, secondo una definizione piuttosto diffusa. Ma una cometa può diventare asteroide, magari perché ha un nucleo roccioso che viene “scoperto” quando tutto lo strato ghiacciato superficiale viene sciolto? Inoltre, le comete e gli asteroidi sono quanto rimane della nube dalla quale si è formato il Sistema Solare, e quindi sono una specie di “fossili” astronomici che possono darci informazioni sulla composizione di questa nube primordiale, e dunque su come dalla nube si siano formati i pianeti. C’è poi la teoria della panspermia, secondo la quale addirittura le comete hanno portato la vita sulla Terra. La teoria è diventata famosa quando nel 2006 venne annunciato che nei detriti di una cometa raccolti dalla sonda Stardust erano state trovate molecole organiche. Insomma, le comete sono interessanti e nascondono ancora parecchi misteri. Rosetta, come la stele, si propone di decifrarli.
Rosetta, vi dicevo, è stata lanciata nel 2004. Ha compiuto un viaggio lunghissimo, che trovate illustrato in questo video.

La tesina di cui vi parlavo si concentrava proprio sulle caratteristiche meccaniche (nel senso della branca della fisica, la meccanica, appunto, che studia il moto dei corpi) del viaggio. Come vedete, più volte Rosetta sfrutta l’effetto fionda, ossia vola vicino ad un pianeta per sfruttarne la spinta gravitazionale e guadagnare velocità. Infatti, l’obiettivo di Rosetta è la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, che attualmente si trova dalle parti di Giove, e nessun razzo è in grado di spedire direttamente una sonda fin là. Durante il suo viaggio, non è stata con le mani in mano: ha misurato il campo magnetico di Marte, fatto foto di asteroidi, osservato la coda di detriti di un asteroide, confermando che non si trattava di una cometa. Poi, nel 2011, è stata spenta. Lo shut-down è stato fatto per preservare gli strumenti e le funzionalità della sonda fino al suo arrivo nei dintorni della cometa. Dopo circa tre anni, era previsto che Rosetta si svegliasse, e lo facesse da sola, senza comandi da Terra. Il risveglio è avvenuto proprio in questi giorni, nello specifico il 20 gennaio. Il risveglio era ovviamente un momento delicatissimo: per 31 mesi la sonda è stata spenta, e non ha neppure comunicato con la Terra, mentre si apprestava a raggiungere il suo obiettivo, che, ve lo ricordo, sta a quasi 800 milioni di chilometri dalla Terra (per un raffronto, la Luna dista circa 400 000 km). Le comunicazioni da parte di Rosetta al momento impiegano quasi 45 minuti per arrivare fino a noi. E insomma, se non si fosse accesa sarebbe stato un bel problema. Ma l’ha fatto. Il controllo a terra dell’ESA (European Space Agency, Rosetta è una sonda europea) si è messo in ascolto e il 20 Gennaio, alle ore 18.18 ora di Greenwich, a Terra è arrivato questo segnale qua

segno che la Bella Addormentata c’era risvegliata. Questa, invece, è stata la reazione degli scienziati coinvolti nel progetto

:P . Sono anni di lavoro che trovano compimento nel giro di pochi minuti. Io, per altro, mi commuovo sempre un po’ quando immagino che ci sono prodotti dell’intelletto umano in giro per lo spazio, così lontani da noi che noi non potremo mai raggiungerli, e che dimostrano che quando ci mettiamo di buzzo buono, quando usiamo il cervello per qualcosa di utile e creativo, siamo in grado di fare grandi cose.
Comunque. La storia di Rosetta è solo all’inizio. Una volta raggiunta la cometa 67/P-CG, Rosetta si metterà in orbita attorno ad essa. Piccola digressione: come vi dicevo, una cometa è un oggetto composto principalmente di ghiaccio e detriti. Gira intorno al Sole tipicamente con orbite molto eccentrice (ossia a forma di ellisse molto allungata); quando si trova vicino al Sole, il suo calore fa fondere lo strato di ghiaccio superficiale che, spazzato via del vento Solare (le particelle cariche emesse dal sole), forma la famosa coda. In verità di code ce ne sono due: una fatta di polvere, più pesante, l’altra di gas in stato di plasma, uno stato particolare della materia. Le code in genere sono separate, poiché quella di polvere si incurva nella direzione dell’orbita. Un’immagine vale più di mille parole: questa qua sotto è Hale-Bopp, una cometa meravigliosa che ho avuto modo di ammirare in tutto il suo splendore da ragazzina (e vi assicuro che era uno spettacolo mozzafiato, in condizioni di cielo particolarmente buio era enorme). La coda azzurra è quella di plasma, e si vedeva ad occhio nudo.


(http://siriusalgeria.net/HaleBopp.htm)

Ecco, per la prima volta Rosetta seguirà una cometa in tutte le sue fasi, per studiare come si comporta lungo l’orbita e per studiarne la struttura e la composizione. Inoltre, c’è di più: Rosetta ha un lander, ossia un robottino che si prevede atterrerà sulla cometa. Avete capito bene: un robottino tipo Spirit e Opportunity, che stanno su Marte, che atterrerà su una cometa. Che è una cosa che non ha mai fatto nessuno. Ora, atterrare su una cometa non è proprio una cosa facilissima. Saprete che noi possiamo camminare sula superficie della Terra perché c’è una forza, che si chiama forza di gravità, che ci tiene incollati al suolo. La forza di gravità è proporzionale alla massa: più è grande la massa, più è grande la forza. La massa della Terra è di 5 974 200 000 000 000 000 000 000 kg; quella della cometa 67/P-CG è stimata essere 3 140 000 000 000 kg. In soldoni, più o meno 1000 miliardi di volte più piccola. La forza di gravità sulla cometa 67/P-CG è insufficiente a tener fermo sulla sua superficie un robottino, che dovrà ancorarsi con una specie di arpione. È una cosa difficile, ma noi terremo tutti le dite incrociate perché riesca. In ogni caso, la missione Rosetta sarà un successo indipendentemente dal fatto che Philae – il lander si chiama così – riesca o meno ad ancorarsi alla cometa.
Insomma, per usare termini scientifici, io Rosetta la trovo una figata :P . Spero di aver convinto anche voi.

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Non è un gioco

Ieri sera ho registrato la puntata di Presa Diretta dedicata al Metodo Stamina, e oggi pomeriggio me la sono guardata. Per carità, tutto è perfettibile, e io poi sapevo già più o meno tutto – ma perché avevo attinto a duecento fonti differenti in questo anno e passa in cui ho seguito tutta la vicenda, in tv nessuno mai aveva messo tutto insieme e con tale chiarezza – ma devo dire che c’è un abisso, un abisso tra il modo in cui Iacona e il suo team ha trattato questa storia e quello usato dalla gran parte di altre trasmissioni televisive che se ne sono occupate prima. Poco spazio al patetismo spicciolo, all’inquadratura del bambino malato, se non per la splendida parte finale, in cui finalmente il dolore viene trattato con dignità e rispetto, molto più a dati, fatti e pareri. Soprattutto tanta scienza. Se vi siete persi la puntata, vi consiglio di rivedervela qua. E secondo me le cose più significative, più tremende, le dicono proprio Vannoni e Andolina. Questo per tutti quelli che “il complotto, Big Pharma, la scienza ufficiale”.
Mi sono interessata alla faccenda Stamina pressoché da subito, da quel primo articolo che colsi su Repubblica, anno domini 2011, in cui si diceva che a Brescia i NAS avevano costretto ad interrompere un trattamento con le staminali. Come molti, credetti si trattasse di una questione di ricerca scientifica e delle controverse norme che regolano quella sulle staminali, ma mi accorsi ben presto che si parlava di tutt’altro.
Stamina mi interessa perché credo rappresenti l’immagine di ciò che in futuro accadrà sempre più spesso. Viviamo in tempi in cui la scienza è sotto attacco, in cui nessuno sa più cos’è il metodo scientifico, e la cosa non viene considerata una vergogna, anzi. Viviamo in tempi in cui l’ignoranza non viene più considerata una condizione da colmare e correggere, ma qualcosa portatore di una verità ulteriore e più profonda di quella che si può ottenere con la scienza: la verità del buon senso, della chiacchiera da Bar Sport, del “io non sono medico, fisico, meterologo, però…”. E questo capovolgimento non può che condurre a esiti come quello di Stamina, accelerati da questo strumento che ancora non siamo in grado di sfruttare al massimo delle suo potenzialità: la rete. Credevamo che il web ci avrebbe fatti tutti più consapevoli, informati e colti. È diventato la cassa di risonanza di ogni bufala possibile e immaginabile, proparlata all’infinito con un click, un caos multiforme in cui la notizia attendibile sta di fianco alla cazzata bella e buona, e in cui capire cosa è vero e cosa non lo è è diventato impossibile. Mettete insieme queste due cose e avrete Stamina. Non che prima queste cose non succedessero. Ma si sperava avessimo ormai gli anticorpi per combatterle. Non è così.
La scienza, è ovvio, non dà tutte le risposte. Ci sono persino domande che non ha senso porre alla scienza. Ma ci sono ambiti in cui solo la scienza può darci le risposte. L’ho detto un sacco di volte, lo ripeto: la scienza è uno dei pochi ambiti umani in cui si hanno criteri di verità univoci, in cui è possibile stabilire un metodo che permette di discernere le fantasie dalla verità. Perché vogliamo sputarci sopra?
Può sembrare innocuo far girare su FB per l’ennesima volta la bufala dei vaccini che causano l’autismo. Non lo è. Con un semplice click non si fa altro che diffondere disinformazione, sostenere l’ignoranza di cos’è la scienza, come funziona e che risultati ci ha fatto ottenere da quando esiste. E i frutti li vediamo ora: preparati dalla composizione ignota iniettati a malati gravi, gente che si cura il cancro con l’aloe, ricomparsa di epidemie di malattie che si speravano debellate.
È la nostra salute, la nostra vita a essere in pericolo. Ogni singola volta che preferiamo il sentito dire al rigore della scienza, il “ma al cugino di mio fratello pare abbia funzionato” al test in doppio cieco.
Pensateci, per favore. Pensateci perché non è un gioco. Non lo è mai stato, ora meno che mai.

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Guilty Pleasure

Lo confesso con discreta vergogna, ma per due giorni di seguito ho visto Ghost Hunters. Ebbene sì. No, è che la pubblicità mi aveva incuriosita, per cui…Lo devo confessare: mi sono divertita. Ma non perché ci sono i fantasmi e roba del genere. Mi sono divertita perché è praticamente la fiera della prova inoppugnabile dell’esistenza del paranormale.
Vi contestualizzo un po’ la cosa. Due idraulici nel tempo libero fanno gli acchiappafantasmi. Eh sì. La gente li chiama perché crede di avere la casa/l’hotel/la barca(!) infestata. Loro arrivano e cercano “prove”. Si vantano di avere attrezzatura molto sofisticata. Cioè torcette, videocamere a raggi infrarossi e registratori video e audio. Roba all’ultimo grido, insomma.
Entrano nella casa/hotel/barca(!) rigorosamente di notte (perché? Voglio dire, c’è gente che dice di aver visto i fantasmi di giorno…), spegono le luci (ancora, perché? I fantasmi c’hanno la fotofobia?) e restano lì tutta la notte a provocare i fantasmi.
Scena tipia: tizio1 e tizio2 al buio, con torcia, entrano in una stanza.
Tizio1: «Sei qui?».
Silenzio.
Tizio2: «Perché non batti un colpo per farci sapere che sei qui?».
Silenzio.
Tizio1: «Anvedi che bel sopramm…hai sentito!».
Tizio2: «Sì! Mi è sembrato di sentire un rumore che veniva da destra!».
Tizio1: «Lì! Esatto!».
Inutile dire che lo spettatore non ha sentito una mazza.
È tutto un: «Mi è sembrato di vedere un’ombra!», «Mi è sembrato di sentire uno che camminava al piano di sopra, ma quando siamo saliti non c’era nessuno!», «Mi è semblato…» ah no, scusate, quello è un’altra cosa. Ma la cosa migliore è quando uno se ne esce «C’ho la nausea, devono essere le forti presenze paranormali». O la peperonata della sera prima…anche quella ritorna…
Le prove audio e video sono più o meno dello stesso livello.
Tizio1: «Guarda! Qui si vedono due gambe!».
Inquadratura all’infrarosso di tre pixel rossi che sono probabilmente un difetto della camera.
Tizio2: «È vero!».
Sul video di una barca:
Tizio1: «E qui si vede chiaramente il cancello aprirsi da solo».
Inquadratura di un cancello che sembra muoversi vagamente, probabilmente perché, sai, sei su una barca, ok che è alla rada, ma me l’hai detto pure te che dondola…
Tizio2: «È una cosa inspiegabile».
Comunque, nell’episodio di ieri arriva quella grossa. Tizio1 e Tizio2 sentono (loro, perché dall’audio lo spettatore non sente niente) un rumore, tipo qualcosa che viene trascinato. Salgono al piano di sopra e si rendono conto che è il rumore di un passeggino giocattolo che struscia contro il muro.
Tizio1: «La videocamera lo riprende?».
Tizio2: «No».
Ah, ‘sta minchia! Avete gli strumenti più putenti dell’universo, ma riprendere una camera infestata da una sola angolazione. Grande. Vabbeh, Tizio1 prende il passeggino e lo mette a favore di camera, vicino al letto.
Passa la notte, i nostri riguardano le riprese. E, meraviglia, il passeggino si muove: ma non si muove di poco, si muove parecchio, nel senso che la cosa è chiaramente percepibile a occhio nudo. E uno dice: ammazza, finalmente qualcosa di concreto! Solo che il passeggino non è inquadrato interamente: ci manca un pezzo. Nello specifico, il passeggino si trova nel margine in basso dell’inquadratura, tagliato a metà, proprio la metà verso la quale il passeggio ruota. Non si vede neppure il manico, per dire. Potrebbe esserci l’abominevole uomo delle nevi che lo spinge, o Tizio1, o, cosa che mi pare più probabile, un topo, visto che per tutto il tempo gli acchiappafantasmi si lamentano di sentire un grattare nelle pareti e squittii («è una bimba che ride!»; se, lallero). Ma no. È il fantasma.
Ora, tutto ciò potrebbe essere molto divertente, e lo è. Mettersi a cercare la spiegazione più probabile per quelle quattro cose in croce cun po’ più esotiche che accadono nello show è divertente. Il problema è che la gente guarda Ghost Hunters e crede che un’indagine scientifica si faccia così. Adducendo come prova che uno c’ha la nausea, quello con la coda dell’occhio ha visto forse qualcosa che si muoveva, quell’altro sente un rumore in una casa vuota (a casa mia allora c’è una legione di spiriti; dovreste sentire quando tira vento, la prima volta che è successo eravamo convinti ci fosse qualcuno che stava morendo sul balcone). Non è che quando facevo fotometria se vedevo una lucina strana sull’immagine dicevo subito che era un ufo: prima di saltare alle spiegazioni sconvolgenti si eliminano prima quelle banali, che, grazie Occam per il tuo rasoio, in genere sono le più probabili. Una luce strana è spesso un pixel caldo, un difetto del rivelatore. Come le gambe di qualche puntata fa.
Ora, se programmi del genere fossero sparuti e isolati, potrebbe anche andar bene. A tutti piace divertirsi in modo un po’ sciocco, non c’è niente di male. Ma la scienza, in TV, è sempre presentata così: a parte i bastioni di Rai3 e i prodi Angela, tutti gli altri ammanniscono cazzate apocalittico-complottistiche come “scienza”, e presentano esempi di metodo scientifico che sono completamente campati in aria. E questo, spiace dirlo, fa male, perché allontana ulteriormente la gente dalla scienza. E forse val la pena ricordare come si stava quando il metodo scientifico non esisteva e la vita media era trent’anni o giù di lì.
Per cui, nulla, probabilmente smetto. Non ho particolare antipatia per la gente di Ghist Hunters, tutto sommato ho visto di peggio, in giro, ma fanno del male, magari non tanto a chi li chiama, che si ritrova un mucchio di clienti perché c’ha l’hotel infestato, “è certificato da quelli di Ghost Hunters”, ma per tutti gli altri, quelli che guardano questa roba e poi si curano il cancro con l’aloe.
Lo so, sono monotematica, di recente, ma credo che questa siano cose pericolose, e che siamo su una brutta china.

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Natura matrigna

Uno pensa che gli anni passano, le conoscenze si accumulano, e questo dovrebbe cambiare qualcosa nella testa della gente. Invece per certi versi siamo ancora legati a visioni del mondo medievaleggianti. Qualcuno dovrebbe farci su uno studio sociologico.
Mi riferisco al modo in cui l’uomo guarda alla natura. Ora, che la natura possa far paura non lo metto in dubbio: ne succedono di cose tremende, e la percezione è sempre di essere ospiti più o meno sgraditi (anche perché non facciamo molto per essere graditi, va detto). Però la natura è anche sede di meraviglia, e la molla che ha sempre spinto l’uomo a cercare di conoscere è proprio lo stupore di fronte a certi spettacoli del creato. Senza contare, poi, che abbiamo il cervello: l’intelligenza ci ha fatto fare passi da gigante nei secoli circa il nostro rapporto con l’ambiente, e tante cose delle quali era giusto aver paura secoli fa adesso dovrebbero al massimo stimolare uno stupore meramente scientifico. E invece no. Leggo infatti due notizie: i soliti terrori catastrofisti circa la cometa Ison e il raccapriccio della gente di fronte ad una pioggia, a quanto pare manco insolita, di tele di ragno. I media ci mettono il carico da undici: nel primo caso con un titolo completamente fuorviante rispetto al contenuto del pezzo, il secondo con assurdi toni dubitativi circa la natura del fenomeno, che è invece ben noto.
Io davvero non capisco. Non stiamo parlando di terremoti, uragani et similia. Stiamo parlando di una cometa, oggetto celeste di cui sappiamo vita, morte e miracoli da un bel po’, e di ragnatele. Ripeto: ragnatele. Invece di goderci lo spettacolo, deve sempre spuntare quello con le tesi millenaristico/complottiste, che si diffondono su FB e altri social network peggio di un cancro. Perché, ovviamente, fa troppa fatica controllare che la notizia abbia un qualche fondamento, o, peggio, mettere in moto il cervello e farsi due domande per capire se la cosa sta in piedi o no. Meglio il click compulsivo. Condividi e il mondo sarà un posto migliore.
Lo vado ripetendo da tempo, ma è un paradosso della nostra epoca che davvero non capisco: nonostante i vantaggi in termini di allungamento della vita media e miglioramento della qualità della stessa garantitici dalla scienza siano letteralmente sotto gli occhi di tutti ogni giorno, c’è un sospetto generale e diffuso nei confronti della stessa assolutamente inspiegabile. C’è nei media, che devono sempre buttarla là in termini di “lascienza ufficiale dice…ma noi pensiamo siano gli alieni”, c’è presso la gente, che preferisce aver paura e credere al complotto pluto-catto-giudaico piuttosto che credere che a volte una ragnatela è una ragnatela e una cometa è solo qualcosa di bello, da ammirare. Perché, vi svelo il segreto di Pulcinella, la scienza serve anche a non aver paura. L’ignoto fa spavento, ma 90 volte su 100 se sai con cosa hai a che fare la paura scompare. Non c’è ragione di aver paura di un’eclisse, di una cometa, di una scia bianca in cielo, perché sappiamo cosa sono e sappiamo che non possono farci male. Invece la gente preferisce star lì terrorizzata e affidarsi a soluzioni folkloristiche che potevano andar bene quando credevamo ancora agli unicorni, non adesso che sappiamo un bel po’ di cose sull’universo (non tutte e non la maggior parte, per carità, ma sufficienti per vivere tranquilli e sereni).
Niente. Parole buttate al vento. E non crediate che sia questione di lana caprina, non pensiate che “e vabbeh, lasciamo che la gente creda quel che voglia, i complottisti sono innocui” perché non è vero. Il disprezzo per la cultura scientifica ci fa tornare indietro di secoli; basti pensare alle recenti epidemie di morbillo dovute al fatto che la gente non fa più vaccinare i figli perché crede alla truffa di un medico che qualche decennio fa collegò i vaccini proditoriamente all’autismo.
La vita è un casino, definire criteri di verità in cose come il giusto e lo sbagliato, il bene e il male è un’operazione improba sulla quale si sono rotti la testa centinaia di filosofi nei secoli, e ancora non ne veniamo a capo. Nella scienza, vivaddio, i criteri di verità sono chiari, univoci e ripetibili. Perché diavolo non ci attacchiamo a questa unica certezza che abbiamo?

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Crediti assai poco formativi

Oggi avrei voluto fare un post esclusivamente di servizio, in cui segnalarvi tutti i miei prossimi eventi. Poi viene fuori questa storia, e mi rendo conto che no, non posso parlare solo delle mie prossime presentazioni.
Sono consapevole di aver parlato dell’argomento fino allo sfinimento, ma ci sono cose che vanno ripetute, e ripetute, e ripetute, perché evidentemente non passano.
Il fatto in sé è di estrema gravità. A scuola si dovrebbe insegnare la scienza, che, fino a prova contraria, al momento rappresenta il nostro strumento più efficace e potente per la comprensione dei fenomeni naturali. C’è gente che è morta per l’affermazione del metodo scientifico, e la sua ideazione, la sua elaborazione e il suo perfezionamento sono cose che ci sono costate secoli di fatica, e sono comunque processi ancora in fieri. La scienza ci ha dato moltissimo, ha allungato la nostra aspettativa di vita, ci ha liberato da moltissime paure, ci ha permesso ad esempio di fare quel che stiamo facendo ora: comunicare istantaneamente sebbene siamo in luoghi lontanissimi.
La scienza non è una casta chiusa in cui un certo numero di scienziati dotati di bollino di approvazione se la cantano e se la suonano escludendo il resto del mondo. So che questa è la visione che se ne ha, e non nego che la colpa sia anche di chi la scienza la pratica, e che spesso ritiene non sia necessario aprire al mondo la conoscenza che produce col proprio lavoro, ma, semplicemente, non è così. Nessuno rifiuta a priori le idee di Giuliani, che, peraltro, non sono neppure nuove, e sono ancora oggetto di numerosi studi. Semplicemente, le sue idee non hanno superato il vaglio della prova sperimentale. Giuliani non ha mai predetto niente, il radon non ha mai dimostrato grandi capacità predittive, ci sono stati dei casi di correlazione tra terremoti e aumenti della concentrazione del radon, ma ci sono anche stati terremoti senza aumento del radon e aumenti del radon senza terremoti. Giuliani, per altro, non è neppure un geologo. Ok, nella scienza, fino ad un certo punto, ovviamente, c’è posto anche per i semplici amatori (gli astrofili fanno un egregio lavoro nell’identificazione degli asteroidi potenzialmente pericolosi per la Terra, e progetti come Galaxy Zoo dimostrano che anche gente senza specifiche competenze scientifiche può dare un contributo alla scienza), ma ci vuole un certo know-how di base per elaborare una teoria decente, dove per decente intendo capace di resistere alla prova dei fatti. È un’idea molto contemporanea quella che tutti possano essere esperti di tutto: leggo due pagine di Wikipedia e improvvisamente sono un costituzionalista, leggo un sito online è divento un esperto di fisica teorica. No. Non ci vogliono competenze specifiche per classificare la forma delle galassie, e dunque questo è un lavoro utilissimo che può essere fatto anche dal comune cittadino, ma ci vogliono certe conoscenze geologiche per attaccare un problema delicato come la previsione dei terremoti. Giuliani ce le ha?
Questa storia è un segnale bruttissimo. È l’ennesima prova che la scienza è considerata qualcosa di vilissimo, in Italia, e dimostra che la gente che insegna ai nostri figli mette sullo stesso piano la cialtroneria e il metodo scientifico. Non pensiate che si tratti solo di colore locale, che questa cosa non abbia conseguenze. Il sistematico svilimento della scienza che si pratica nella nostra società avrà esiti nefastissimi in futuro, se non si inverte la tendenza: già il morbillo è tornato una minaccia per i bambini, perché i genitori non vogliono più vaccinare i figli. Dare soldi a ricerche che non hanno nulla di scientifico significa toglierli a chi invece la scienza la conosce e la pratica con cognizione di causa: per secoli ci siamo affidati al sentito dire, alla religione e alla superstizione per capire cose come la natura e la malattia, e morivamo come mosche. La scienza, nei suoi cinquencento anni di vita, ha invece dimostrato di essere efficace nello spiegare e predire i fenomeni naturali. Vogliamo tornare agli sciamani?
Vi copio qui sotto il testo della petizione che ho sottoscritto per chiedere che le scuole non riconoscano crediti formativi agli studenti che parteciperanno alla conferenza di Giuliani. Siete in tempo fino a domani per aderire, mandando una mail a petizionegiuliani@outlook.com. Io l’ho fatto, perché conoscere significa essere liberi, e per conoscere occorre avere gli strumenti giusti. Qui si parla del nostro futuro, e io vorrei per mia figlia una scuola che insegni davvero a capire il mondo, e che non venda paccottiglia pseudoscientifica che attira solo perché ci dà un falso senso di rassicurazione.

Ai signori Dirigenti Scolastici e Consigli di Classe:
Istituto Tecnico Industriale “E. Fermi” – Via Cesare Minardi 14 – Frascati
Istituto Professionale per i Servizi Commerciali “M. Pantaleoni” – Via B. Postorino 27 – Frascati
Liceo Classico “Marco Tullio Cicerone” – Via Fontana Vecchia 2 – Frascati
Istituto Tecnico Commerciale “Michelangelo Buonarroti” – Via Angelo Celli 1 – Frascati
Liceo Scientifico “Bruno Touschek” – Via Kennedy – Grottaferrata
Scuola Superiore “Giovanni Falcone” – Via Garibaldi,19 – Grottaferrata
Scuola Superiore “San Nilo” – Piazza Marconi, 7 – Grottaferrata
Istituto Salesiano Villa Sora – Via Tuscolana, 5 – Frascati
e, per conoscenza:
Italia Nostra – Settore Educazione al Patrimonio – educazioneformazione@italianostra.org

Oggetto: Crediti formativi per conferenza Giampaolo Giuliani

Egregi Signori,
scriviamo per richiedere una vostra presa di posizione in merito all’evento del titolo “È possibile prevedere i terremoti?”, che si terrà il 19 Aprile a Frascati. Questo evento prevede la presenza di Giampaolo Giuliani, che ha recentemente fatto parlare di sé perché sostiene di poter prevedere i terremoti osservando le emissioni di radon, affiancato da Leonardo Nicoli, direttore della Fondazione Giuliani.
Dobbiamo con rammarico osservare che un’associazione meritoria, Italia Nostra, offra il proprio patrocinio a un evento in cui un signore che si muove all’esterno della comunità scientifica può liberamente divulgare le sue opinabili ipotesi su un tema alquanto delicato e sensibile, il tutto senza alcun contraddittorio. Certamente ognuno ha il diritto di esprimere le proprie opinioni, il rammarico nasce dalla perentorietà di certe affermazioni del signor Giuliani, che non risultano a tutt’oggi verificate (vedi approfondimento allegato), diffuse sull’onda emotiva in un paese che negli ultimi anni ha avuto a che fare con eventi sismici particolarmente distruttivi. Il rammarico si trasforma però in sdegno nell’apprendere che la partecipazione a questo incontro verrà considerata come credito formativo per gli studenti, nonostante non ci sia alcun riconoscimento ufficiale delle idee del Sig. Giuliani, né da parte del MIUR né da parte di altri Istituti che si occupano di territorio, a qualunque titolo.
Una cosa che vorremmo fosse insegnata agli studenti è che qualunque teoria riguardante fenomeni naturali deve umilmente sottoporsi al giudizio di tutti coloro che studiano, nei vari aspetti, questo stesso fenomeno (peer-review). Questo giudizio dovrà avvenire attraverso procedure standard, che non possono prescindere da metodologie condivise di indagine; dall’elaborazione di ipotesi e previsioni potenzialmente verificabili; da adeguata pubblicazione dei risultati sperimentali; dal controllo di esperti indipendenti; dalla verifica sperimentale indipendente delle ipotesi formulate, ecc.
L’insieme di queste procedure non è un capriccio di qualche fantomatico establishment; al contrario, queste regole hanno lo scopo di garantire una conoscenza della realtà oggettiva, affidabile, verificabile e condivisibile. Esse costituiscono il metodo scientifico, che si è andato costruendo nel corso dei secoli con il contributo di tutti coloro che si occupano di Scienza e di Conoscenza, nella consapevolezza che la conoscenza scientifica ha come giudice unico la Natura stessa, non un’autorità terrestre, non sicuramente l’opinione pubblica. Chi si colloca al di fuori di queste pratiche collaudate – che, proprio in virtù del fatto di ammettere la possibilità di errore, forniscono gli strumenti per individuarlo e correggerlo – si colloca al di fuori del mondo della scienza.
Purtroppo – e l’esame delle cause sarebbe lungo e complesso – in questi ultimi anni in Italia stiamo assistendo al fiorire di sedicenti “ricercatori indipendenti” in vari campi del sapere; personaggi che si fanno vanto dell’essere “emarginati dalla scienza ufficiale”, e trovano così la maniera di diventare noti all’opinione pubblica, propugnando fantomatiche “scoperte eccezionali”, rifiutate a causa di chissà quali indegni complotti. Questi venditori di illusioni giocano spesso con la sofferenza delle persone, e trovano chi li sostiene per meri interessi politici, ideologici od economici.
Contemporaneamente viene sottovalutato, non finanziato, ostacolato il lavoro di tanti ricercatori seri (spesso precari e malpagati) la cui colpa è quella di non far parte del grande circuito mediatico, di non “far notizia”. Il vero scandalo non è il presunto ostracismo verso Giuliani o quelli come lui: il vero scandalo è che l’Italia destina sempre meno risorse alla ricerca seria, all’Università, all’Istruzione, mettendo una seria ipoteca sul nostro futuro come nazione sviluppata e costringendo molti dei nostri ingegni più brillanti a trasferirsi all’estero. Dare legittimità agli outsider come Giuliani di certo non aiuta a muoversi in questa direzione.
In conclusione chiediamo a tutti voi, Dirigenti Scolastici e Docenti, di dare la massima visibilità a questo documento e di non riconoscere, in sede di consiglio di classe, crediti formativi a fronte della presentazione dell’attestato di frequenza all’evento. Possiamo suggerire, in alternativa, la partecipazione all’incontro “La previsione dei terremoti: tra miti e realtà” di Warner Marzocchi, direttore di ricerca presso l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – INGV, che si terrà il 18 aprile ore 16-18 presso il Dipartimento di Fisica, Università la Sapienza, Aula Amaldi.
Ci auguriamo, ove possibile e compatibilmente con il carico didattico, che quanto scritto funga da stimolo per aprire una discussione con gli studenti sull’importanza di una corretta e rigorosa informazione scientifica.
Distinti saluti.

Marco Fulvio Barozzi, blogger scientifico e insegnante
Luca Di Fino, ricercatore TD Dip. Fisica, Università Tor Vergata
Aldo Piombino, blogger scientifico
Simone Angioni, chimico, Università di Pavia, Segretario Associazione Culturale Scientificast
Marzia Bandoni, esperta e-learning
Martino Benzi, ingegnere
Paolo Bianchi, blogger scientifico, Associazione Culturale Scientificast
Marco Casolino, Primo Ricercatore INFN e Dip. Fisica, Università Roma Tor Vergata
Pellegrino Conte, professore associato di Chimica Agraria, Università degli Studi di Palermo
Carlo Cosmelli, docente di Fisica, Dipartimento di Fisica, Università Roma Sapienza
Marco Ferrari, giornalista scientifico
Mario Genco, Dibattito Scienza
Milena Macciò, Dibattito Scienza
Silvano Mattioli, Dibattito Scienza
Marco Messineo, fisico, Dibattito Scienza
Silvia Onesti, Elettra-Sincrotrone Trieste
Daniele Oppo, cronista free lance e blogger
Giuseppe Perelli, studente di dottorato in Scienze Computazionali e Informatiche
Lisa Signorile, biologa e blogger scientifica
Fabrizio Tessari, Dibattito Scienza
Luca Vanini, studente in Ingegneria Meccanica
Bruna Vestri, blogger
Veronica Zaconte, fisico
Ignazio Verde, primo ricercatore, CRA – Centro di Ricerca per la Frutticoltura, Roma

Un breve approfondimento
Le idee di Giampaolo Giuliani non sono così originali e rivoluzionarie come certa stampa afferma: sulle relazioni fra emissioni di radon e terremoti ci sono diversi studi in molte aree sismiche del mondo, da Taiwan all’Islanda, passando per la California. Tutte le principali riviste scientifiche specializzate ne hanno prima o poi parlato. Che non sia propriamente una novità lo dimostrano le prime tracce in bibliografia, che risalgono al 1967. In California il sistema fu usato regolarmente per un po’ di tempo negli anni ’70. Ci furono dei riscontri per un paio di eventi nel 1979, ma poi il metodo è stato sostanzialmente eliminato perché la sua affidabilità era scadente; per esempio, il terremoto di Landers del 1972 fu seguito un paio di settimane dopo l’evento da anomali valori del gas e nel 1981 ci fu un brusco innalzamento dei livelli nell’area di Los Angeles, ma non accadde nulla. A Taiwan, dove vi sono aree particolarmente idonee a questi studi, sia geologicamente che climaticamente, si sono registrati diversi episodi di correlazione tra radon e sismicità. Ad esempio, la sorveglianza della faglia di Chuko ha dimostrato un aumento delle emissioni di radon prima di eventi sismici lungo quella specifica faglia, ma ancora senza raggiungere una predizione degli eventi stessi in qualche misura soddisfacente.
Il problema è che questi studi hanno dato troppi falsi positivi mettendo in evidenza quanto poco il radon sia predittivo. Una previsione è valida quando funziona, cioè quando l’evento si verifica. Una previsione è sbagliata sia se prevede qualcosa che poi non avviene (falso positivo), sia quando non prevede qualcosa che invece avviene (falso negativo). Dire che prima o poi pioverà a Roma è sicuramente una previsione che sarà confermata dai fatti, ma non può considerarsi di certo rivoluzionaria, anche se basata su osservazioni condivise.
C’è poi una differenza fondamentale fra Giuliani e queste ricerche: tutte si basano sullo studio di una singola faglia, quando invece Giuliani parla genericamente di aree. Questo è un particolare di non trascurabile importanza: prevedere un terremoto significa fare un comunicato in cui si scrive che “circa il tal giorno alla tal ora si verificherà lungo quella faglia un evento di magnitudo n il quale provocherà uno scuotimento come da cartografia allegata”. Come si può definire l’area in cui vanno presi provvedimenti di protezione civile senza sapere quale faglia si muoverà?
Ricordiamo inoltre che Giuliani non ha mai realmente previsto nulla di significativo, come dimostra un video del Marzo 2010 preparato dai ricercatori dell’INGV, grazie al quale vengono messe in evidenza tutte le sue contraddizioni: infatti non riesce, nemmeno successivamente al tragico sisma che il 6 Aprile del 2009 colpì la città dell’Aquila, a fornire una informazione coerente sulla sua presunta previsione del terremoto. Anzi, risulta agli atti che una settimana prima del fatale terremoto aquilano voleva sgomberare Sulmona a seguito dell’evento di Magnitudo 4.0 che aveva colpito la cittadina il 29 marzo 2009. Insomma, si prevede pioggia a Frascati e poi aprono gli ombrelli a Ladispoli. Che previsione è?
Siamo convinti che la ricerca sui segnali premonitori dei terremoti sia importante, ma debba essere condotta in contesti davvero affidabili, non certo sull’onda dell’emotività o della personalizzazione. Siamo tuttavia altrettanto certi che in un paese come il nostro sia più importante investire nella prevenzione, con una adeguata gestione del territorio e con norme e controlli più stringenti sul patrimonio edilizio. La lezione ci viene dal Giappone, paese con sismicità anche superiore alla nostra: costruire in maniera corretta e nei luoghi corretti vuol dire anzitutto abbattere drasticamente la perdita di vite umane, anche in caso di forti terremoti, oltre a ridurre sensibilmente i costi per la ricostruzione post-sismica. Certo che ci vogliono precise scelte politiche, e all’orizzonte non si vedono segnali confortanti.

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La parente scema della lettere

Ieri, spulciando Twitter, ho letto una cosa che mi ha in egual misura irritata e itristita. Come saprete, questo fine settimana a Milano si è tenuta Book City, una manifestazione dedicata ai libri. Il mio incontro di venerdì sera alla Libreria Mondadori di Piazza del Duomo rientrava proprio nel contesto di questa manifestazione. Tra i vari autori che hanno partecipato, c’è stato anche Paolo Giordano; forse i lettori di lungo corso di questo blog si ricorderanno che è un autore che apprezzo molto. Comunque, ieri sera vedo comparire sulla mia timeline questo tweet:

#PaoloGiordano Mi sono reso conto che l’unico approccio razionale alla realtà non è la fisica,che non contempla il mistero,ma la #scrittura

Ora, Twitter è un po’ come il telefono senza fili, le informazioni arrivano filtrate dalle esperienze personali e dalla sensibilità dei singoli, e comunque una frase, avulsa dal suo contesto, non può essere giudicata per sé. Con questo voglio dire che non ho idea se queste siano le esatte parole pronunciate da Paolo Giordano, né, in caso lo fossero, in che contesto erano calate. Resta il fatto che qualcuno ha scritto questa frase su Twitter, considerandola evidentemente degna di essere condivisa. Se questa persona ragiona come me, l’ha messa online perché la considera una riflessione portatrice di una qualche verità. Ed è sotto queste premesse che si svolgerà tutto il resto di questo post.
Una frase come quella, detta da un fisico che, a quanto ne so, adesso fa solo lo scrittore, fa male alla scienza, molto più male di quanto bene possiamo fare io e tutte le altre persone che hanno a cuore la cultura scientifica del nostro paese e fanno magari anche divulgazione, quando possono. Fa male perché pronunciata (o attribuita, non so) ad una persona che fin qui rappresentava una figura a cavallo tra due mondi che gli italiani ritengono separati e contrapposti: scienza e lettere.
Lo sappiamo tutti: viviamo in un posto in cui la scienza non viene considerata cultura, e viene deprezzata a tale livello che non si ritiene sia necessario che l’italiano medio abbia almeno un’infarinatura di matematica, fisica e biologia. Ti sputano in faccia se non sai chi è Dante, ma se ignori la formula matematica della forza di gravità sei comunque una persona colta. E questa mentalità ci ha fatto male, tantissimo male.
Vedere un fisico che “salta il fosso”, dicendo che la scrittura ha criteri di determinazione della verità migliori della fisica (??) convince la gente che tutto sommato è vero, la scienza ammazza la poesia ed è un qualcosa a cavallo tra l’inutile e il dannoso.
È una vita che mi sento ripetere che studiare i meccanismi che regolano l’universo significa “togliere il mistero”, spoetizzare qualcosa che è bello di per sé. Per me questo equivale a dire che si può amare una persona solo se la si conosce poco; se la distanza si accorcia, tolgo “il mistero” e non posso più amarla.
La scienza nasce dal mistero. Da quello, e dal sense of wonder. Qualcuno, migliaia di anni fa, ha alzato gli occhi al cielo, e la meraviglia di quel che ha visto lo ha spinto a capire. A capire proprio perché ha amato quel che ha visto, è rimasto affascinato dalla sua perfezione, dalla sua immutabilità. Per altro, a quei tempi e per moltissimi secoli dopo, filosofia e scienza naturale erano indistinguibili, e il corpus del sapere umano era concepito come un tutto unico, in cui lettere e scienze non solo potevano ma dovevano convivere.
Il fatto che io sappia cos’è una galassia o una nebulosa planetaria non mi toglie una virgola all’esperienza emotiva che un’immagine come questa stimola.

(fonte: http://hwilson.zenfolio.com/p187515715/h8321F28#h8321f28)

A me piace il cielo, nello stesso senso in cui mi piace un quadro o una scultura. Il cielo è un posto di meraviglia, e di mistero, sì, perché se non ci fosse il mistero non ci sarebbe nulla da indagare.
Certo, la scienza il mistero cerca di dipanarlo. Credo che però la letteratura faccia lo stesso, o no? Non si raccontano storie per cercare di venire a capo della vita? Non si intrecciano trame per cercare di proporre la propria verità, o anche solo lanciare una domanda, nella speranza che qualcuno risponda? Scienza e letteratura, in modi ovviamente diversi, sono discorsi intorno e dentro il mistero, un mistero che tanto il letterato che lo scienziato sanno di non poter mai dipanare del tutto. È così, è il nostro destino, forse la nostra grandezza.
Infine, una frase del genere si gioca su un equivoco di fondo: che si possano applicare strumenti e mezzi della lettaratura e della scienza agli stessi argomenti. Scienza e lettere fanno lavori diversi: non mi sognerei mai di fare un’indagine scientifica per appurare come si diventa un bravo genitore, quand’è che inizia l’età della ragione, o che senso ha la vita, così come non userei la letteratura per capire cos’è successo durante il Big Bang. Ci sono argomenti per i quali il miglior approccio è quello scientifico, altri in cui l’indagine non può che essere letteraria. Ma immaginare che si debba usare l’una o l’altra indifferentemente secondo me è una stupidaggine bella e buona.
Forse sto montando un caso sul nulla, ma mi spiace, la scienza mi ha dato tanto in tutti questi anni, e le ho sacrificato moltissimo. Non ce la faccio a vederla ridotta sempre alla parente un po’ scomoda e scema delle lettere, loro sì dotate di grande dignità. Non è così. Il sapere non è questo, la cultura non è questo. L’uomo vuole sapere, è la molla che lo spinge, e quando questo sapere si esercita sui fatti di natura, sui meccanismi del cosmo, la scienza dà risposte, le lettere descrizioni poetiche. Che servono anche loro, ma non aumentano la comprensione del cosmo. Inutile poi che stia a enumerarvi come sempre quanto la scienza ci ha permesso in termini di miglioramento della vita e allungamento della stessa.
Ma a volte ho l’impressione che siano solo parole gettate al vento: combattiamo contro decenni di cultura umanistico-centrica, diffusa capillarmente a tutti i livelli. E intanto, la gente ha paura di “asteroidi grandi come il Texas”, frase presa di peso da Armageddon, che dovrebbero caderci sulla testa e di fantomatiche scie chimiche.

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Ci sono cose che non capisco

Torno sull’argomento della sentenza per il terremoto de L’Aquila – peraltro, per chi non avesse colto, citando Caparezza – per due ragioni: la prima è che oggi ho trovato alcuni dei sospirati documenti, e l’altra è che la discussione è andata avanti anche su altri lidi, e ci sono cose da aggiungere al post di ieri, che, comunque, era centrato più che altro sui rapporti scienza/società.
Ho trovato il verbale della famosa riunione della Commissione Grandi Rischi, quello dal quale, secondo quando si è capito della sentenza – ricordo che le motivazioni ancora non sono state rese note, quindi da questo punto di vista siamo nel campo delle supposizioni – fa parte della “cattiva comunicazione del rischio” da parte della Commissione. Leggetela anche voi, è linkata in questo post. Ebbene, devo dire che mi pare una cosa onestissima, in cui viene specificato a chiare lettere che i terremoti non si possono prevedere, e da cui non emerge alcuna sottovalutazione del rischio. Evidentemente c’è qualcosa che mi sfugge, anche perché la famosa dichiarazione “tanti piccoli terremoti fanno scaricare l’energia” nel verbale non c’è, e dunque parrebbe un’iniziativa personale del vice capo della Protezione Civile dell’epoca, che scienziato non è. Comunque.
Il secondo elemento che si è aggiunto è il fatto che ho scoperto cos’è la Commissione Grandi Rischi. Scopro che la sua funzione principale è di fornire pareri di carattere tecnico-scientifico su quesiti del Capo Dipartimento e dare indicazioni su come migliorare la capacita di valutazione, previsione e prevenzione dei diversi rischi grazie alla consulenza di un panel di scienziati. E già qui inizio a non capire.
La prevenzione dei terremoti è effettivamente l’unica arma a nostra dispozione al momento; peccato che tale prevenzione giochi sul lunghissimo periodo, e consista principalmente nel costruire con critesi antisismici dettati dalle stime di smismicità della zona. Una cosa che, a occhio e croce, non si fa durante uno sciame sismico, ma prima. Mi sfugge dunque che senso avesse la convocazione della Commissione in quel momento in quel luogo. I terremoti non si prevedono, e quindi?
Anche sul fronte della stima del rischio, non capisco che senso avesse convocare la commissione: era o non era cosa cognita la sismicità della zona e lo stato delle costruzioni in città? Se non lo era, siamo di fronte ad un grosso problema, se lo era cosa avrebbe potuto dire la commissione, se non che in caso di una scossa forte, imprevedibile e poco probabile, anche se possibile, vista la storia della zona, sarebbe stata una strage? E a cosa serviva una cosa del genere?
Mi sembra di capire che ai membri della Commissione venga imputato di non aver consigliato alla gente di dormire fuori, ma di aver detto loro di tornare tranquillamente a casa. A parte che questo dal verbale della riunione non emerge, che senso ha far dormire la gente di fuori quando non c’è un’allerta precisa? Voglio dire, nessuno era in grado di dire se e quando ci sarebbe stata la scossa: cosa si faceva, si teneva la gente in strada a tempo indeterminato? E se poi non fosse successo niente? Tutti condannati per procurato allarme?
C’è evidentemente un problema metodologico di fondo, che è un po’ IL problema dell’Italia: che si fa tutto in emergenza. Nessuno pensa a preparare i sacchi di sale prima che nevichi, nessuno cerca di conservare il territorio prima di un’alluvione, nessuno applica i criteri antisismici prima di un terremoto. Però ci piace chiedere aiuto al momento dell’emergenza; stavolta il totem non è il santo del paese, ma la scienza, che miracolosamente doveva intervenire per rimediare ad anni e anni di condoni a caso e illegalità diffusa. E certo.
Tra l’altro, decidere se rassicurare o meno la popolazione, se evacuarla, se farla stare dove sta non spetta alla “scienza”, ma alla politica, in base ai dati forniti dalla scienza. I sismologi ti dicono come stanno le cose, poi sta a te politico prenderti le tue responsabilità e decidere cosa fare della comunità che governi. E, ancora, ricadiamo nell’ambito di ciò che la scienza può fare o non può fare.
La verità è che più mi inoltro in questa storia, più mi sembra c’entri pochissimo la scienza, tirata per la giacchetta, e molto la cattiva politica.

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Povera scienza

Ho cercato di informarmi un po’ su questa storia della condanna dei membri della Commissione Grandi Rischi per il terremoto de L’Aquila. A parte che, per inciso, vorrei capire perché, per capire qualcosa di attualità, il cittadino deve sempre farsi ricerche da tesi di laurea. Se non inizi a seguire una notizia coi primi articoli che ne parlano, poi capire di cosa si sta parlando diventa una missione impossibile. Tante volte mi è capitato di perdermi tra link e contro-link sui quotidiani online cercando di capire di cosa si sta parlando, da quali fatti sono originati i commenti successivi. Ecco, i fatti, i fatti non te li spiega mai davvero nessuno. In compenso, so cose ne pensano i capi di tutte le varie forze politiche. Utilissimo, direi. Comunque.
Non trovo la sentenza, per cui non posso dire di poter parlare con reale cognizione di causa, ma mi pare di aver capito – mi pare, sottolineo – che la condanna non sia stata originata dalla incapacità della Commissione di prevedere il terremoto. In effetti la sentenza, almeno negli stralci che ho trovato, dice esplicitamente che i terremoti non si possono prevedere, è un fatto assodato. Piuttosto, la condanna deriva dal fatto che, a fronte di una sostanziale incapacità della scienza a fornire dati che permettessero di rassicurare la popolazione, la Commissione si è affrettata a dire che non c’era di che preoccuparsi, che la gente poteva stare tranquilla. E se è così, mi spiace, ma è stata commessa una leggerezza.
La cosa che però mi preme è in realtà collaterale alla sentenza. Per l’ennesima volta noto che il grande pubblico non sa cosa sia la scienza. Viviamo circondati di scienza, o dei suoi prodotti, ma continuiamo o a non crederle o a crederle troppo. Da un lato, prolificano complottismi di ogni genere, e quest’idea che esista una “scienza ufficiale” prona ai “poteri forti” che soffoca le voci “altre”, invariabilmente portatrici della verità. Si, sto parlando di Giuliani, ad esempio, ma il discorso vale anche per il complottismo sui vaccini, o sulle cure per il cancro. E dunque, della scienza non ci si fida. Dall’altra, c’è una fiducia cieca, totale, nella capacità della scienza di prevedere tutto, che è antiscientifica anche lei. La scienza non è tanto un corpus unico di conoscenze: è un metodo che, allo stato attuale delle cose, si è dimostrato efficacissimo per cercare di apprendere come funziona la natura. La scienza è il sistema per discernere, nella descrizione dell’universo, le teorie “giuste” da quelle “sbagliate”, dove giusto e sbagliato non hanno un senso assoluto, ma relativo alle conoscenze attuali e agli strumenti di indagine in nostro possesso.
Ci sono cose che la scienza non può fare. Ma non significa per questo che la scienza non funzioni. Basta intendersi su quali risposte può dare, e con quale margine di certezza, soprattutto, e quali no. I terremoti non si possono prevedere. E non perché il metodo scientifico non funziona, anzi: è perché non abbiamo i dati sufficienti, non abbiamo i modelli, i parametri da considerare sono troppi, e via così. E la scienza funziona proprio perché è in grado di tracciare con precisione il proprio seminato, di dire “questo posso dirlo, questo no”. È frustrante, certo, soprattutto quando in gioco c’è la vita umana. Ma se tutti sapessimo come funziona, forse smetteremmo di non crederle quando le risposte ci sono, e note con un considerevole grado di certezza, o di chiederle cose impossibili.
Da ormai troppi anni passa l’idea che non saperne di scienza non ti qualifichi come ignorante: sei ignorante se non sai coniugare i verbi, se non sai chi è Dante, ma se non sai la basi della meccanica, se non sai la differenza tra onde sonore e elettromagnetiche non è un problema. Puoi anche vantartene, se vuoi. Ecco, non è così. Siamo dove siamo, a livello di sviluppo tecnologico, e possiamo sperare di costruire un mondo migliore solo se sappiamo come funziona la natura. Così come serve l’abc per essere cittadini a pieno titolo, servono la fisica, la biologia, le scienze. Spero che prima o poi qualcuno se ne renda conto, o tra qualche anno perderemo tutto quel che abbiamo conquistato in termini di tecnologia e comprensione dell’universo.

P.S.
Io e Rossella vi aspettiamo stasera, ore 18.00, a Roma, Libreria IBS di Via Nazionale :)

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