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The New Pope

Avevo minacciato questa recensione sui social, ed eccola.
Ho pensato un po’ al titolo, ma il problema è che una cosa così è irriducibile a qualcosa di semplice e immediato come un titolo, e allora lasciamo perdere, e basta.
Dunque. Non so neppure da dove cominciare. Perché The New Pope è una roba soverchiante: nelle immagini, nella regia, nei contenuti, nei dialoghi. Ti sovrasta, esattamente come San Pietro e il Vaticano, quelli veri. Sono troppo, e così troppo è pure The New Pope. Troppo bella, soprattutto.
Sgombriamo subito il campo dai fraintendimenti. No, The New Pope non descrive il Vaticano, non è quella la sua ambizione e credo fosse chiaro fin da The Young Pope. Sorrentino far partire il suo discorso da un ragionamento su cos’è il potere quando si suppone esso provenga da Dio, e il modo migliore per farlo è inventarsi la propria personale versione del potere divino con cui il mondo intero è familiare. Infilandoci cose che fanno parte della percezione collettiva del Vaticano, certo, ma, voglio dire, davvero nessuno può pensare che quella cosa lì sia il Vaticano. Posso capire che per un credente, uno parecchio ortodosso, la visione di The New Pope possa essere irritante – non quanto il giovane papa, comunque – ma, a ben guardare, Sorrentino non gioca mai coi santi. Il Vaticano che descrive è una realtà completamente umana: umani tutti i suoi attori, umani i giochi di potere, umani i dilemmi, le fragilità, i peccati. Pure i Papi sono tutti ridotti da figure sacrali a esseri umani come noi tutti; anzi, l’idolatria, sotto sotto presentata come una delle grandi minacce alla Chiesa contemporanea – neppure tanto sotto, a dire il vero… – viene stigmatizzata ogni volta sia possibile. È l’uomo che interessa a Sorrentino, per cui pure queste accuse di blasfemia…boh, secondo me lasciano il tempo che trovano. A meno che uno caschi dal pero alla scoperta che, ahò, pure il Papa è un essere umano, e chi l’avrebbe mai detto.
Detto questo, rimane tutto il resto. Che è immenso. Leggevo da qualche parte ieri che The New Pope è la miglior serie televisiva italiana di sempre, e non potrei essere più d’accordo.
Ho iniziato a vederla scettica. Avevo seguito The Young Pope, ma, a parte un comparto visivo e registico da urlo, non mi aveva entusiasmata. Mi era sembrato un vacuo esercizio di bravura stilistica, sotto il quale però la sostanza fosse un po’ pochina. Anzi, a conti fatti la consideravo una bella trollata. Però la bellezza formale esercita comunque su di me un discreto richiamo, e amo Sorrentino, credo di averlo già detto in passato, e allora mi sono data alla visione durante uno dei miei ultimi viaggi in treno. Sono rimasta catturata praticamente da subito.
Sorrentino prende tutto il buono della sua opera precedente, lo eleva a potenza, e ci aggiunge l’unica cosa che mancava: un’adesione vera e sincera alle regole della serialità. Leggi: c’è una trama.
The Young Pope era davvero quel che ho letto su alcune delle prime recensione di The New Pope, ossia un contenitore di “sorrentinate”: quelle robe lì che tu le vedi e capisci che può averle fatte solo lui, tipo il canguro nei giardini vaticani. Queste sorrentinate, però, non erano legate, e al di là dell’assenza di una trama, che può essere comunque una scelta stilistica, c’era soprattutto una discontinuità tematica: le cose sembravano susseguirsi un po’ a casaccio, anche in contraddizione l’una con l’altra. The New Pope, invece, pur essendo colmo di sorrentinate, file via come una spada, riuscendo nell’incredibile miracolo di spiazzarti ma al tempo stesso soddisfarti. I personaggi sono memorabili, interpretati tra l’altro con una maestria che è raro trovare nella serialità televisiva; ci si rivede in ciascuno di essi, anche nei più estremi, nei più abietti. Tifi per loro, vuoi che trovino una soddisfazione ai loro infiniti dilemmi, e al tempo stesso vuoi che le loro storie non finiscano mai, perché ormai sono diventati tuoi amici. I dialoghi sono di una potenza impressionante, potrei star qui a citare pezzi su pezzi, dai desideri dei cardinali durante il conclave, così commoventi nella loro devastante umanità, al discorso di Voiello durante un certo funerale, all’ultimo discorso di Giovanni Paolo III. Per altro, Silvio Orlando immenso, probabilmente all’interpretazione della sua vita, impeccabile sempre. Le scelte registiche, e pure qua, che gli vuoi dire? Un tripudio di movimenti di macchina, di trovate, di simmetrie sparate in faccia a palate, e al tempo stesso la capacità di essere sobri là dove il racconto lo richiede. La fotografia, pure qua, Luca Bigazzi, stiamo pure a parlarne? La bellezza visiva di questa serie è difficile pure a dirsi. Ogni scena, un’immagine da stamparsi su poster e appendersi in stanza. A volte mi domando se Sorrentino non abbia scelto il Vaticano per via di tutto quel rosso e quel bianco, che si prestano a infiniti giochi di accostamenti e contrasti, di simmetrie e inquadrature. The New Pope bello, e a volte il bello ci vuole, soprattutto quando è usato con tale sapienza. L’esercizio di stile, se ben eseguito, può bastare. Tutto sommato, bastava già in The Young Pope, che pure mi sono vista fino alla fine.
Ma c’è dell’altro. C’è la riflessione sul rapporto dell’uomo col sacro, col miracolo, con Dio. C’è lo studio sul potere, sull’amore, persino sulla Chiesa. Sì, perché questo non è il Vaticano vero, e se si può dire che la serie parta come una specie di fantasy a tema vaticano, poi verso la fine scantona invece nell’utopia, in ciò che Sorrentino sogna per questa Chiesa, cui pure non appartiene, visto che, se non erro, non è credente. Eppure, come altri non credenti – penso a De André, per dirne uno – riesce a cogliere con incredibile acutezza alcuni elementi del messaggio cristiano: l’idea rivoluzionaria di un dio che ti ama persino nei tuoi peccati, e che ti perdona, l’immagine di una chiesa universale che accoglie davvero chiunque, una chiesa degli esclusi che proprio della loro condizione di estranei a tutto, prima di ogni cosa a se stessi, si fa forza. Un’utopia, indubbiamente, ma la narrazione a volte non serve anche a sognare? E allora possiamo anche immaginare un finale come quello di The New Pope, ove ogni cerchio si chiude, e infine tutti trovano la loro pace. E poi ancora il dolore, e il nostro posto nel mondo, la missione – altro messaggio eminentemente cristiano – che siamo chiamati a condurre nelle nostre esistenze. Tutto raccontato con profondità, con sincerità. Ci sono cose sinceramente commoventi, nella serie, quella meravigliosa puntata 7, per dire, che ti fa venir le lacrime agli occhi col semplice seguire una donna che cammina sotto un portico. Ma quanta umanità in quella sofferenza, quanto del dilemma che ognuno di noi deve affrontare nella propria vita, quando dobbiamo fare i conti con l’incomprensibilità del dolore.
Tutto bene, quindi? No. Perché The New Pope non è una serie per tutti. Sorrentino ha una visione, ha una voce, come si direbbe in letteratura, e questa voce può piacere o meno. Soprattutto, è spesso soverchiato dall’imponenza della messa in scena: capisco che può essere difficile per molti andare già solo oltre la sigla con le monache che ballano ammiccanti intorno alla croce al neon. È desiderio di scandalizzare a tutti i costi? Non lo so. Io ho trovato una ragione pressoché dietro ogni provocazione, ma capisco che non tutti hanno la voglia di mettersi là ad andare oltre se già l’attacco è respingente. Io vi invito comunque a proseguire: oltre la badessa nana che fuma il sigaro c’è l’immensità della nostra miseria e della nostra grandezza di uomini, sempre sospesi tra il cielo e la terra, tra gli abissi dell’abiezione e l’insopprimibile desiderio di elevarci. E direi di chiudere qui, con queste righe deliranti, l’ennesimo mio delirio, stavolta su un delirio altrui :) .

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