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Di giovani ed eternità

Ieri ho visto il season finale della prima stagione di Misfits. Sono ufficialmente innamorata. Sei puntate senza una caduta di stile, anzi in crescendo. La dimostrazione che anche con quattro lire si possono realizzare prodotti degnissimi, anzi ottimi, se ci sono le idee. E le idee ci sono eccome, a pacchi.
Gli attori sono sempre all’altezza, scelti con cura, perfetti. E hanno le facce giuste. Questa è una delle cose che mi piacciono delle serie europee: gli attori non sono fighi allucinanti, che mai incontreresti per strada, come in una qualsiasi serie americana. Non so, in Lost, ad esempio, pare che siano sopravvissuti solo i bonazzi, fatta esclusione per il povero Hurley. Nelle serie europee no. I protagonisti sono persone comuni. Girando per il mio vecchio quartiere, è pieno di gente come Kelly. E anche Alisha, la “bella” del gruppo, è una ragazza carina, ma nulla di straordinario, niente che tu non possa vedere mentre fai due passi in città.
La scrittura è perfetta, senza sbavature. Certo, è volgare, ma è giusto che lo sia. Da cinque teppistelli pieni di problemi non ti aspetti un eloquio da principe del foro, ma il linguaggio della strada. E i continui riferimenti al sesso sono giusti: quando, se non nell’adolescenza, il sesso è il chiodo fisso, che spaventa e attrae, esorcizzato con la volgarità, sempre inseguito, a volte catturato, ma quasi sempre nel modo sbagliato?
Le location sono quattro in croce, ma filmate da dio. Lo squallore degli ambienti urbani, il grigio del cemento, il colore dei graffiti, l’acqua. Ambienti che dicono molto dei personaggi, che non sono mero sfondo, ma parte integrante della narrazione.
Musiche scelte sempre con attenzione, ossessive o dolci, tamarre o raffinate.
Effetti speciali dosati con cura, messi solo lì dove davvero serve.
Insomma, in sei episodi io non sono riuscita a trovarci un difetto. Finalmente una serie che parla di adolescenza senza ipocrisie, con pacchi di sano cinismo e humor nero, mostrandoci i giovani per quel che sono: gente che si cerca disperatamente, senza trovarsi mai. E non occorre essere cresciuti in borgata per riconoscersi in Nathan, Curtis, Alisha, Kelly e Simon. Siamo tutti stati come loro, alcuni di noi lo sono ancora. Io, per dire, lo sono ancora, forse l’adolescenza non mi abbandonerà mai, forse sarò sempre la ragazzina che proprio non ci riesce a crescere, e per questo scrive quel che scrive.
Il tutto è riassunto perfettamente dal discorso di Nathan, in cima al tetto, verso la fine dell’episodio. La libertà di sbagliare, l’ebbrezza di sentirsi eterni ed onnipotenti, il diritto a essere liberi. Non è questo che volevamo, quando avevamo sedici anni? E i genitori non ci facevano arrabbiare perché invece sapevano sempre la verità, e ce la sbattevano in faccia ogni volta che sbagliavamo? Ecco, il discorso di Nathan è questo. Vi incollo la clip qui sotto, perché vale; è in inglese, ma per quelli di voi che conoscono la lingua non dovrebbe essere troppo un problema, Nathan ha una parlata abbastanza comprensibile. Per quelli di voi che invece non capisco, sotto metto una mia traduzione approssimativa. Ho censurato un po’ di roba, giusto per preservare le menti dei più giovani :P . Enjoy

Questa tipa vi sta facendo credere che questo è il modo in cui dovreste essere. Non lo è. Siamo giovani. Siamo fatti per ubriacarci. Siamo fatti per comportarci male e sco**re fino alla morte. Siamo fatti per fare casino. Lo dobbiamo a noi stessi di fare davvero un sacco di casino. Lo dobbiamo l’uno all’altro. È così. Questo è il nostro tempo. Ok, qualcuno di noi finirà in overdose, o diventerà matto. Charles Drawin disse “non puoi fare una frittata senza rompere un po’ di uova”. Perché di questo si tratta – rompere uova – e per uova intendo fot***si il cervello con un coktail di prima classe. Se vi poteste vedere. Voglio dire, avete addosso dei fot**ti cardigan! Avevamo tutto. E abbiamo mandato tutto a put**ne meglio e più in grande di qualsiasi generazione prima di noi. Eravamo così belli…Siamo dei cogl**ni. E ho intenzione di rimanere un cogl**ne fino ai trenta, e magari anche dopo. E mi sc**o mia madre piuttosto che lasciare che lei, o chiunque altro mi levi questo!

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Palestra

I.
Madri snaturate

Sono nello spogliatoio, e mi sto cambiando. Il mio turno coincide con quello delle bambine di danza, per cui incrocio sempre mamme con prole. Stavolta si tratta di due bambine, di cui una, bionda e ricciolina, che avrà un paio di anni.
Le sorrido, e – sorpresa – lei mi ricambia con un sorriso amplissimo.
Lei: “Come ti chiami?”
Io, piacevolmente stupita dalla sua intraprendenza: “Licia. E tu?”
Lei: “Francy”
Io: “Francesca? Che bel nome! Il mio papà si chiama così. E quanti anni hai?”
Lei: “Due”
Io: “Sai che io ho una bimba che ne ha uno? È più piccolina di te”
Lei: “È un maschio?”.
La mamma borbotta qualcosa su Francy che non si fa mai i fatti suoi, ma tutto sommato è divertita dalla scena.
Io: “È una femminuccia, si chiama Irene”
Lei: “E adesso dove sta?”
Io: “Con la nonna”.
lei: “E il papà?”
Io: “A lavoro”
A questo punto interviene la mamma.
“È che lei non è abituata all’idea dei bimbi che stanno coi nonni. Lei i nonni ce li ha lontani”.
È un commento semplice, tanto per fare quattro chiacchiere, non ha implicazioni di sorta. Ma nella mia testa si apre una finestra tipo Windows, ed è la fine.
Ecco. Il papà sta a lavoro, e vabbeh, è giustificato. Ma la mamma sta qua a fare palestra. È questo che starà pensando quest’altra mamma: che io lascio la figlia alla nonna per venire in palestra. Sono una madre snaturata… e via così di autoflagellazione in autoflagellazione.
Avoja a fare le donne emancipate e di mente aperta. Certi stereotipi te li ficcano in testa con tanta forza e per così tanto tempo che non adeguarsi è pressoché impossibile.

II.
Potenza del TG1
La bimba è uscita. Io prendo le ultime cose dalla borsa: asciugamano, acqua, chiave dell’armadietto. Davanti a me una ragazza più o meno mia coetanea.
Lei: “Scusa…presentazione…libro?”
C’è la musica, per cui colgo solo queste parole. Cerco di metterle insieme in qualcosa di compiuto e giungo alla conclusione che mi sta chiedendo se possa avermi visto a qualche presentazione. Sorrido un po’ timida.
Io: “Sì può essere”
Lei: “Sì, domenica scorsa”.
Resto perplessa. Non faccio presentazioni da due mesi, e domenica scorsa sono rimasta a giacere sul divano fino a compenetrarmici, per cui non vedo come possa avermi visto da qualche parte.
Io: “Ti ricordi dove?” continuo fingendo di aver capito.
Lei: “Eh, non mi ricordo…era una trasmissione sui libri…”
E finalmente ci arrivo. Domenica scorsa hanno mandato in onda la mia breve intervista per il TG1.
Io: “Ah, sì, è stato al tg1. L’hanno vista tutti tranne me” e via di breve conversazione sulla cosa, con complimenti e chiacchiere varie.
Non pensavo che quel minuto e mezzo sarebbe stato visto da tutta ‘sta gente. No, perché è tipo la decima persona che si complimenta. Mi hanno vista in osservatorio, mi hanno vista i parenti, mi avete vista voi…È un po’ come quando feci un’intervista per Tu. D’improvviso tutti l’avevano letta. Potenza del TG1…

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La buona notizia del giorno

Non è un bel periodo, e questo l’abbiamo capito. La considerazione che l’Italia gode presso gli altri paesi è ai minimi storici, la percezione è che tra l’altro di questo all’italiano medio freghi meno che niente, e mentre il mondo cambia – vedi Albania, vedi Tunisia, vedi Egitto – noi restiamo attaccati alle mutande del premier.
La sensazione è che si stia scivolando sempre più in basso, in una spirale della quale non si vede la fine. Siamo indignati? Ce ne frega qualcosa? Pare di no.
È ovvio che tutto si gioca intorno alla figura della donna. As usual, verrebbe da dire. D’improvviso, sembra che anni e anni di lotte femministe, di conquiste sudatissime, finiscano diritte nel cesso. Vai con prostituzione minorile, gente che finisce in parlamento per meriti che hanno ben poco a che fare col cervello e molto con tette e culo, la rivelazione che siamo ancora ferme lì, alla donna che è solo un pezzo di carne, e che dunque solo tramite la carne può aspirare a qualcosa di diverso, con tanto di beneplacito dei genitori che sanno e annuiscono soddisfatti, se non partecipano direttamente al commercio.
È desolante. Per questo penso che quel che serve ora è un po’ di speranza. Perché senza speranza non si va da nessuna parte. La disperazione è amica dei potenti: se sei disperato non fai niente, stai lì a crogiolarti nel tuo dolore, convinto che nulla di quanto tu possa fare servirà mai a qualcosa. Ma è un inganno. Si può fare sempre qualcosa. E per questo si deve farlo.
Vi ho già parlato de Il Corpo delle Donne e di Lorella Zanardo. Nelle poche parole che avemmo modo di scambiarci a Matera, in autunno, mi parve di intravedere una persona che non solo si lamentava di come stavano le cose, ma cercava mezzi concreti per cambiarle. Una mattina di queste, surfando tra intercettazioni sempre più deprimenti e i deliri isterici del premier, ho trovato questa notizia. Che è una buona, buonissima notizia.
In genere stiamo sempre lì a dirci che il mondo non si cambia. Che è brutto che la tv ci mostri un’immagine grottesca della donna, e che la società cerchi di relegarci in ruoli assolutamente marginali e decorativi. Ma che comunque non ci puoi fare niente. Voglio dire, è la tv, che cosa posso fare io singolo? Quello che sta facendo Lorella Zanardo. Mostrare il re nudo. Insegnare a svelare l’inganno, a guardare oltre l’immagine laccata, per capire il messaggio. Vi pare poco? A me per niente. Il mondo si cambia cambiando la testa della gente, la rivoluzione si fa conquistando un’anima alla volta. Una ragazzina consapevole è una ragazzina che difficilmente si farà incasellare. Un ragazzino che ha capito cosa c’è dietro l’ossessiva esposizione di tette e culi avrà più rispetto per le donne.
E insomma, questa è la mia buona notizia giornaliera. Il segno che c’è ancora una società civili, e che cambiare le cose è possibile. Forse non ne vedremo i frutti domani, e neppure dopodomani, ma l’importante è continuare a lottare.

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Misfits

Prima di cominciare col post di oggi, qui potete leggere un po’ di aggiornamenti sulla questione che abbiamo discusso ieri.

Dunque, si torna all’antico, con un bel post di recensioni.
Dopo Lost, sono rimasta orfana. Sì, seguivo Dexter, ma non con la passione con cui mi avvicinavo a Lost; certo, c’era Desperate Housewives, che però dà una fruizione un po’ diversa, e comunque seguivo da prima del famigerato show di Lindelof&Cuse. Insomma, cercavo qualcosa di nuovo. La Fox ha cercato di ammaliarmi con torme di pubblicità: Glee su tutti (visto un episodio, carino, ma pretestuoso al massimo nel cercare con tutti i mezzi possibili e immaginabili di infilare tot canzoni in ogni puntata), e poi Walking Dead, Body of Proof, No Ordinary Family. E poi lui. Misfits.
Non lo so cosa mi abbia attirata. L’idea di base è qualcosa tra il ridicolo e il banale: cinque baldi giovanotti, riuniti per partecipare a un programma di rieducazione per minori – sono costretti ai servizi sociali per via di crimini che hanno commesso – durante uno strano temporale acquisiscono i superpoteri. Sostanzialmente la stessa idea alla base di No Ordinary Family. Solo che quelli sono good guys, questi sono i cattivi. Per cui, non è che l’idea mi attirasse più di tanto. Ma è una serie inglese, e i pochi episodi che avevo visto di Whitechapel e Life on Mars – anch’esse inglesi – mi avevano convito che in UK ci sanno fare. E così, un pomeriggio che ero costretta a casa perché mia mamma non poteva stare con Irene, ho visto il pilot.
Ora, io non lo so cosa mi abbia colpito così tanto. Ma il primo episodio mi ha convinta a seguire tutta la serie. Innanzitutto mi è piaciuta l’atmosfera scazzata e sottoproletaria, che grida UK da ogni poro. Non siamo in america, e la serie lo rimarca ogni tre per due, insistendo sul contesto degradato, e sugli antieroi che non sono duri dal cuore tenero, sono proprio relitti umani tout court. Qui non c’è nulla di edulcorato, non ci sono sconti. I nostri “eroi” sono cinque sociopatici che se li vedi per strada cambi marciapiedi. Credo sia questo il vero segreto della serie: un’atmosfera tremendamente realistica nella quale irrompe il sovrannaturale. Ma anche l’elemento da fumetto supereroistico viene trattato in modo assolutamente credibile: i Nostri fanno quel che faremmo noi se scoprissimo così, di punto in bianco, di avere i superpoteri.
Poi, finalmente un teen drama in cui i protagonisti sono ragazzi veri, non versioni ripulite e “adultizzate”. Questi sono adolescenti difficili come se ne possono incontrare davvero: sono sboccati, violenti, fissati col sesso, strafottenti, perduti. E ci si immedesima con loro perché sono vivi e vividi. Non per niente guardando la prima puntata – che al momento è anche l’unica che ho visto – mi sono ritrovata catapultata nella mia scuola media, la bellezza di diciassette anni fa, negli anni più difficili della mia vita. Io ce l’avevo in classe gente così: c’era un Nathan che ha fatto una brutta fine, e le Kelly abbondavano. E tutti noi, del resto, abbiamo mandato a puttane almeno una buona occasione come ha fatto Curtis. Ed è per questo che in qualche modo finiamo per voler bene a quei cinque poco di buono: perché magari li abbiamo incontrati nella vita vera, o perché siamo come loro, nei nostri angoli bui. Come loro siamo soli e disperati, sono il nostro lato oscuro, che non vorremmo mostrare a nessuno.
Insomma, a me sembra veramente promettente. Ieri ero tentata di vedere in diretta la seconda puntata, ma stavo lavorando – e molto bene – sul mio prossimo libro, quello off Mondo Emerso, e non volevo interrompere la vena. Comunque, se non sarà stasera, presto vedrò il secondo episodio, e allora inizierò a capire se ne vale davvero la pena, o è solo un fuoco di paglia.

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Donne, immigrati, satira. In una parola, Vieni via con Me

E anche oggi la consueta esegesi di Vieni via con Me. Non è accanimento. È che io, ogni lunedì sera, esco un po’ modificata dalla visione, e il desiderio di parlarne, di condividere le mie osservazioni, è sempre fortissimo.
Stavolta, tra le tante cose, quella che mi è piaciuta di più è stato lo spazio dedicato alle donne. È sempre commovente per me vedere in tv donne che escono dallo stereotipo imperante: l’ho pensato quando sono andata ospite a Nero su Bianco, e mi sono trovata davanti una Casella professionale, seriamente interessata a me e al mio lavoro, l’ho pensato ieri sera, quando per una volta le donne non erano lì a fare le grechine – per usare una definizione efficacissima usata nel libro Sii Bella e Sta’ Zitta -, ma a parlare della condizione femminile, uno dei problemi in assoluto più ignorati nella nostra società.
Non ho trovato la Bonino poi molto incisiva: ha detto cose giustissime e condivisibili, ma anche lei non è riuscita a sfuggire alla tentazione del comizio. Io mi domando se scrivere una lista è davvero così impossibile per un politico. Invece sono state tremende e terribilmente efficaci le parole della Camusso, che ha portato alla luce una realtà che non si conosce o si preferisce ignorare. Infinite sono le declinazioni della discriminazione della donna sul lavoro, qualsiasi esso sia, che sia tra le mura di casa o fuori. E c’era una tale rabbia, in quell’elenco, che l’ho trovato adeguato persino a me, che tutto sommato sul lavoro mi sono sempre trovata bene, ma comunque devo fare i conti col tempo che manca, con l’estrema difficoltà di conciliare il mio essere madre, moglie e donna con tutto il resto.
Splendido anche l’elenco letto dalla Morante. Verissimo. Mi odio quando mi capita di uscire la sera e ho paura di prendere la macchina. Mi odio quando rientro, e non ho il coraggio di mettere l’auto in garage per la paura di quei pochi metri del sottoscala, chiusi tra due porte, dove se uno vuole farti del male può farlo indisturbato. Mi odio ogni volta che penso che certi vestiti posso metterli solo con Giuliano, perché così so che la gente non mi guarderà troppo, non mi considererà una puttana. Vorrei essere libera, vorrei essere abbastanza forte da non aver paura, ma non ci riesco. Perché gli stupri esistono, perché gli uomini spesso ti guardano come un oggetto. E sono sicura che questi pensieri li facciamo tutte, che ciascuna di noi ha paura e non vorrebbe. Quando finirà? Non lo so. Ma presentarci per quel che siamo, come persone dotate di talenti e capacità, non come meri corpi che esauriscono le loro attrattive in un paio di tette e due chiappe, è un passo. Per questo ieri sera è stato importante.
Capitolo Maroni. I politici in quella trasmissione ci azzeccano come i cavoli a merenda. Finora l’unico che mi è piaciuto è stato Vendola, come ho già avuto modo di dire. Gli altri si rifiutano di parlarne il linguaggio, non vanno lì a indurre riflessioni, vanno lì a dare stantie risposte preconfezionate con lo sterile stile del comizio. Maroni ha detto la sua, una sua che aveva già ripetuto nei tg e in duecento trasmissione diverse in una settimana. A Vieni via con Me è andato sostanzialmente a vincere il suo braccio di ferro vigliacco con uno scrittore di trent’anni che dalla sua ha solo la forza delle sue parole. E il bello è che l’ha anche perso. Innanzitutto perché non c’era nulla di efficace nel suo discorso, tranne un tardivo apprezzamento per l’operato di magistratura e forze di polizia. Poi perché Fazio non s’è voluto far mancare un accenno alla polemica, e perché Saviano non s’è fatto mettere i piedi i testa, e ha ribadito, nel suo secondo monologo, la “parola dello scandalo”, quell’interloquire che a Maroni proprio non va giù. Comunque, contento il ministro…
Infine, Guzzanti. Io Guzzanti lo adoro. Io sono cresciuta con l’Ottavo Nano, Pippo Chennedy Show, Il Caso Scafroglia. Io Guzzanti l’ho visto dal vivo, ed è straordinario. Secondo me Guzzanti si magna tranquillamente l’ultimo Benigni, Rossi e Luttazzi. E non mi ha delusa per niente. Intanto, ho apprezzato molto che decidesse anche lui di presentarsi con un elenco. Peccato per la brevità del tutto, ma sono state risate a scena aperta. Un grande. Trentatré battute tutte memorabili, ma credo che “La camorra contro Saviano: la scorta ci impedisce un contraddittorio” sia da antologia.
E per quella storia dei senza voce, per una volta abbiamo ascoltato questi tremendi immigrati che vengono qui a far nulla, a rubarci lavoro e donne. E non mi dite che queste sono voci che ascoltiamo, perché in genere uno o ha il vicino di casa di colore, o raramente in tv vede un clandestino o un rifugiato. Vende poco a livello politico, diciamo così.
Insomma, un altro lunedì in cui è valsa davvero la pena. Meno male che non tutta la tv è così, o non riuscirei più a scrivere dopo cena :P .

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