Questo post credo di averlo già scritto in passato. E neppure una volta sola. Perché lo riscrivo? Perché l’argomento è tornato di attualità di recente, perché a furia di autocensurarmi finisce che qui sopra non ci scriverò più per un sacco di tempo, e allora…
La rete, dunque. Il recente raggiungimento del quorum al referendum ha fatto gridare un po’ tutti al miracolo. È la rete che ci salva, è la potenza della libertà di circolazione di idee del web che ha permesso questa grande vittoria della democrazia!
Ora, ok, sì, forse l’asse dell’informazione si sta spostando. Sempre più persone non la fruiscono più a livello meramente passivo (media generalisti), ma in forma più attiva: si vanno a cercare le notizie online, diffondono quelle che gli interessano. E questa è cosa buona e giusta. Ma.
Ma innanzitutto è andato a votare il 54 % circa degli aventi diritto. Che non mi sembra una stratosferica vittoria della democrazia. Resta il consueto zoccolo duro di un 30% di elettori che non vota mai. Perché non gli interessa, perché so’ tutti uguali, perché è domenica e vado al mare.
Poi, dubito che il quorum sarebbe stato raggiunto con quesiti referendari con minore impatto emozionale: voglio dire, qui si parlava di nucleare, il Satana dei nostri tempi, e dell’acqua pubblica. Nessuno mi toglie dalla testa che tanta gente è andata a votare convinta che se poi passava il no sul quesito del nucleare avremmo avuto esplosioni atomiche come se piovesse in Italia.
La gente poi si è fatta un’idea anche dallo sproposito di manifesti in giro per le città, dal volantinaggio della gente…insomma, anche coi metodi “vecchi” della politica.
Ma veniamo alla rete. Cos’è la rete? La rete, per usare l’efficace metafora che lessi nella firma di un utente di un forum qualche tempo fa, è quel posto che ha dato voce a gente che altrimenti non avresti ascoltato neppure in fila al cesso. Purtroppo temo sia vero. E mi ci metto anch’io nel mucchio.
Facciamoci un esame di coscienza. Andiamo online per cercare notizie, per divertirci leggendo, o per poter dire la nostra? Io non ho alcuna remora a dichiarare che ho iniziato ad interessarmi ad internet quando ho scoperto i forum: non mi sembrava vero di poter postare da qualche parte le mie lunghissime e deliranti recensioni dei film de Il Signore degli Anelli, o le disamine puntuali delle puntate dei Cavalieri dello Zodiaco. A volte neppure leggevo le opinioni degli altri. Postavo la mia e aspettavo: che qualcuno mi dicesse “cavoli, hai proprio ragione, bel post”, e aggiungesse una sua riflessione. Siccome non credo di essere l’unica a pensarla così, sono convinta che parecchie altre persone sono online per la stessa ragione: esprimersi. Senza contare che un buon 80% degli italiani ha ambizioni letterarie, perché è sostanzialmente convinto che mentre per dipingere ci vogliono anni di studio, e qualsiasi altra attività artistica richieda competenze specifiche, scrivere no: cavoli, ce lo insegnano a scuola, a scrivere!
I blog, da questo punto di vista, sono il massimo. Anche il blogger più improponibile trova almeno dieci o venti utenti che lo leggono con piacere e plaudono a quel che dice. Perché la rete si organizza così, per cluster: persone simili si ritrovano assieme, e fanno amicizia, beandosi di far parte di un gruppo in cui la si pensa più o meno tutti allo stesso modo. E ovvio, però, che appena si forma un cerchio, come spiegava efficacemente Frate Guglielmo ad Adso ne Il Nome della Rosa – lo so, lo so, ho sempre gli stessi riferimenti culturali – qualcuno ne resta tagliato fuori. E il bello sta proprio lì. Che la comunità appena formata si sente diversa, migliore da tutti quelli che ne restano tagliati fuori. È una dinamica che ho osservato in tutti i forum che ho frequentato, e che alla fine mi ha spinto ad abbandonarli tutti.
Pian piano ci si trasforma in una piccola accolita di persone che hanno in mano la verità. L’affermazione del gruppo passa anzi proprio attraverso il formarsi di una consapevolezza di essere un insieme delle persone con delle specificità che differenziano dalla massa, e dare addosso a chi non la pensa allo stesso modo è un modo per rinsaldare l’appartenenza al gruppo.
Succede ovunque online, pensateci. Basta fare un giro su un qualsiasi forum che parla, che so, di musica. I nuovi arrivati spesso vengono direttamente respinti e sbeffeggiati. Chi ama, invece dei Pinco Pallo, i Pallo Pinco è automaticamente uno che non capisce un cazzo di musica e via così.
L’attrattiva di un mondo fatto così è evidente. Nella vita reale la spinta all’omologazione è fortissima: siamo tutti soggetti al bombardamento da parte di modelli pervasivi, ai quali tutto sommato cerchiamo di omologarci. Vogliamo essere come gli altri, e non lo siamo mai. Online, protetti anche dall’anonimato, che ci permette di rifarci una verginità, di mostrarci del tutto diversi da quel che siamo, se vogliamo, possiamo sentirci diversi, appartenenti ad un’accolita di esseri superiori che sanno, che hanno capito.
Tutto quello cui stiamo assistendo in questi giorni non è altro che questo. Piccoli gruppi che rivendicano la loro diversità, e per farlo, come succede in tutte le comunità umane, si devono trovare un nemico, qualcuno da sbeffeggiare. E non illudiamoci. Senza blog e senza forum la rete sarebbe morta. A parte per il porno, certo. Vogliamo parlare, parlare, parlare, senza prenderci la briga di ascoltare. Proprio come vogliamo scrivere, senza doverci annoiare a leggere.
Io, alla fine, mi sono sottratta. Ho abbandonato tutti i forum che ho frequentato perché dopo un po’ non ne potevo più della gente che faceva il bullo coi newbies, perché non sentivo il bisogno di far parte di nessun gruppo, e soprattutto non volevo prendermela con nessuno. Mi sono rintanata nel mio blog. Dove posso dar sfogo alla mia voglia di scrivere, che resta la pulsione più forte della mia esistenza. Parlare, dire, raccontare. Certo, leggo altri blog, ma non intervengo mai. Perché praticamente sempre finisce che c’è qualcuno contro qualcun’altro, e il qualcun’altro è tipicamente quello estraneo, che non sta alle regole, che semplicemente ha detto “ma io non sarei d’accordo”. E i linciaggi di massa non mi piacciono neanche un po’.
Voi direte, anche noi siamo un gruppo. Probabile. Ma io non credo mai molto a quel che di bene dice la gente di me. So che domani verrà fuori qualcun’altro che gli piacerà più di me, e tutto quel che dico, tutti i post su cui avrete assentito, saranno dimenticati. E poi, siamo un gruppo aperto, via. C’è gente che va e gente che viene, e tutto sommato ho cercato di non dire mai “noi contro loro”. È poco? Probabilmente sì, ma, sapete, si comincia dal piccolo, o almeno io sono convinta che sia così.