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Disintossicarsi

Quando, nel 2000, entrai nel mondo della rete mi sembrava tutto meraviglioso. Fino a quel momento avevo ammorbato solo parenti e amici con le mie analisi prolisse di film e libri. All’improvviso potevo metterle per iscritto – cosa che mi dava una soddisfazione n volte maggiore – e discuterle con gente flashata almeno quanto me, se non di più. Ricordo i lunghi post scritti offline sul forum dei Cavalieri dello Zodiaco, l’ora online che mi concedevo col 56K, per evitare di spendere troppo, il primo “radical chic” che mi beccai sul forum di Repubblica, nel 2001, perché ero contraria all’intervento in Afghanistan.
Se guardo il rapporto che ho oggi con la rete, mi domando come può essere andata a finire così. La rete, nella mia vita, ha sostituito la tv. Non che la guardassi così tanto, ma l’ho spesso usata per svuotarmi la testa, riposarmi quando ero troppo stanca. Ho smesso di farlo quando ha iniziato a farmi incazzare per la pochezza devastante dei programmi che seguivo, e poi era appunto arrivato il nuovo giocattolino, quel web che prometteva meraviglie. Adesso, uso Internet sostazialmente per abitudine, e perché è l’unica cosa che mi vuoti davvero la testa. Stop. Non riesco più a ricordare quand’è stata l’ultima volta che ho fatto un uso proficuo della rete. Sì, qualche articolo interessante prontamente linkato su Facebook o Twitter, ma poi? Per il resto vuote discussioni infinite, in cui ognuno tiene il suo punto fino alla morte, senza che una volta, una sola, abbia visto qualcuno cambiare idea, o l’abbia fatto io. Oppure bufale a tonnellate, “condividi se hai un cuore”, così tante e in giro da così tanto tempo che occorrerebbero quattro vite per confutarle tutte. E poi sempre le stesse dinamiche ripetute all’infinito, prima gli applausi, poi gli sputi, le conventicole, il cinismo…ma pure basta.
Adesso, lo so, parte l’ovvia contestazione: che senso ha dire tutte queste cose su un blog, prodotto, se pure un po’ obsoleto, del web 2.0? È il solito snobismo da sinistra sempre perdente, che sputa nel piatto in cui mangia.
Lo confesso: sono dipendente. Non riesco più a immaginare la mia giornata senza la mia dose quotidiana di rete. Anche se ormai è più il tempo che passo ad incazzarmi e ad avvolgermi in discussioni inutili – e soprattutto ripetute all’infinito in tutte le salse – che a divertirmi. Come uno che fuma 40 sigarette al giorno, e non se ne gode più neppure una.
Probabilmente è colpa mia. Del carattere egocentrico di scrittrice, convinta che se si ha un’opinione la si debba condividere, o forse del lato di Internet sul quale mi sono concentrata con gli anni, quello dei forum prima, dei blog in mezzo, e dei social network poi. Ma inizio a credere di dover ripensare completamente il mio rapporto con la rete. Che così non funziona più, che così non mi diverto più e non mi è più neppure utile. Vorrei ritrovare il piacere dei primi tempi, in cui il tempo che si trascorreva connessi era limitato, e forse per questo le parole misurate, gli insulti meno onnipresenti, la banalità sotto il livello di guardia. Forse è un passato mitico che non è mai esistito, e sono io che con gli anni, invece di smussarmi, di diventare una placida riformista, divento sempre più radicale e intollerante verso un mondo in cui non mi riconosco più. Boh.
Restp convinta che un buon 80% del problema sono io e il mio modo di usufruire della rete, ma che sotto c’è anche un problema più generale dell’uso che abbiamo deciso di fare di questo strumento. Non sto invocando le leggi speciali, la chiusura del web e tutte le accuse che in genere si muovono a chi dice quel che ho appena detto io. Vorrei solo più consapevolezza, più riflessione, più educazione all’uso del mezzo. Tutte cose che non nascono né si sviluppano online, ma che si conseguono prima fuori, nella vita di tutti i giorni, e poi nel web.
Nel frattempo…non lo so. Si accettano consigli. Secondo voi come ne esco?

P.S.
Sì, lo so, sarà l’ottordicesimiliardesimo post su questo blog sull’argomento. È che devo avere dei problemi alla memoria a breve termine, perché, nonostante sia a contatto con la pochezza dei cintenuti di certi web da svariati anni, resto basita ogni volta. Starò invecchiando male…

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Contro la rete

Che palle, un altro post autoreferenziale sulla rete. Sì, avete ragione. Probabilmente avrei dovuto tirar dritto col mio post su Falling Skies, ma il telefilm è così noioso che mi stavo annoiando anche a scriverne. Comunque.
Continua la querelle Vasco Nonciclopedia, ma, come osservato da Valberici su Twitter, tra due giorni nessuno se ne ricorderà più. Però val la pena fare qualche osservazione su cosa questa storia ci sta mostrando, anche se, ça va sens dir, non saranno osservazioni originali. La ha già fatte Lipperatura, per dire.
La cosa che trovo più interessante di tutta la faccenda è la mutevolezza della rete, che è direttamente mutuata dalla mutevolezza delle folle. Il web, d’altronde, è una folla 2.0, costituita da una piazza virtuale di milioni di individui. Appena scoppiato il caso, la rete si è divisa tra pro e contro. L’hashtag #vascomerda è stato il terzo più citato su Twitter nella giornata di ieri. L’hashtag in sé fa immediatamente capire che il confronto non è stato per niente civile, e che anzi la prima reazione della rete è stata trovare un colpevole: Vasco Rossi per alcuni, Nonciclopedia per altri. Tra l’altro, si è osservato il solito fenomeno, quello che ho visto riprodursi in miliardi di post e su un numero spropositato di forum. La cosa va così:
1. Caio dice la sua
2. una serie di persone commentano dicendo quanto ha ragione, lodando Caio
3. passati quei primi commenti di fisiologico apprezzamento, arrivano quelli che sono contrari
4. i primi messaggi contrari sono pacati, poi, man mano che il confronto procede, va tutto in vacca, si fa fuori tema e ci si inizia ad insultare.
Fateci caso. Succede sempre così. Ieri è successo allo stesso modo.
Altra cosa che ho osservato: fino a ieri sui blog era un profluvio di link contro la Legge Ammazzablog, tutti lì a copiare il post esplicativo di Valigia Blu. Poi, ieri, d’improvviso ci si accorge che, ehi, ma in rete c’è anche la diffamazione. E tutti giù allora a dire che la libertà di parola non è diritto di offendere, che c’è libertà e libertà. Forse ho capito male io, ma la legge Ammazzablog vuole proprio questo: limitare la diffamazione a mezzo web equiparandola a quella a mezzo stampa. Se qualcuno ha capito diversamente e vuole spiegare, ben venga nei commenti. Comunque, qui il fatto interessante è che si è passati da una crociata all’altra con grande disinvoltura.
Che conclusioni traggo da queste osservazioni? Che la rete è un mezzo, un mezzo potenzialmente potente, ma che ne stiamo facendo un uso veramente limitante. È come avere una Ferrari e andarci nel cortile di casa.
La rete innanzitutto semplifica, sempre, e lo fa perché tutti hanno voglia di parlare e nessuno di ascoltare. Meglio: perché tutti hanno voglia di sentirsi parte di qualcosa, di una fazione, di una petizione, di un movimento d’opinione. La rete ti dà la possibilità di sentirti un intellettuale impegnato con un semplice click: a volte basta il “Mi Piace” su Facebook. Ormai per molti è diventato un riflesso pavloviano, come quando ti inoltrano una catena di Sant’Antonio senza domandarsi se il bambino in pericolo di vita da due anni perché gli è caduta la televisione in testa sia poi sopravvissuto o meno. Per cui è molto più facile scrivere #vascomerda o #Nonociclopediafascista piuttosto che star lì a domandarsi il perché delle cose. E, pensateci, questo è quel che succede in una qualsiasi manifestazione di piazza, che sia la festa della parrocchia o uno sciopero. Le ragioni e gli intelletti dei singoli si sciolgono nella ragione della folla, che per forza di cose deve semplificare e tagliare con l’accetta.
La seconda osservazione è che a fronte dei due miliardi di mezzi utili per i quali la rete potrebbe essere usata, l’80% degli utenti la usa come sfogatoio personale. Io in primis, eh? Certo, cerco di interrogarmi sull’utilità di quel che scrivo qua sopra, ma oggettivamente ci sono miei post che non vanno oltre la mera narrazione del fatterello quotidiano. La gente va online per provare il sottile piacere di sfottere uno che per una qualsiasi ragione (fama, soldi, bellezza) nella vita reale ti sarebbe “superiore” (le virgolette non sono a caso). Vuoi mettere dirne quattro al Vasco? Non ha prezzo. E così, lentamente, le informazioni davvero utili affondano nel rumore bianco. Perché questa è la legge universale del web: troppe informazioni uguale nessuna informazione. Non siamo ancora arrivati al punto in cui l’informazione non è più “subita” come accade coi media tradizionali, ma “agita”, e non ci siamo arrivati perché la maggior parte di noi non è educata a cercare in rete le notizie vere nel mare magnum di gattini, insulti vari e bufale. Ogni volta che mi arriva la richiesta di parlare di un argomento particolare, entro in crisi: la notizia che mi è stata segnalata è vera? Ne so a sufficienza per parlarne? E via con le ricerche, cercando online informazioni dotate di una qualche autorità. Ma mi rendo conto che sono una mosca bianca: tanti prendono per vero qualsiasi cosa venga loro segnalata. Perché non ho mai parlato della legge sugli sconti sui libri? Perché non ne so a sufficienza, perché non sono riuscita a farmi davvero un’idea. Però mi rendo conto che dar fiato alla bocca e firmare una petizione online è più divertente.
La rete è stata indicata negli ultimi anni come la panacea ad ogni male. Ci hanno detto che è la culla della democrazia, che avrebbe cambiato il mondo. Così com’è adesso, e per l’uso che ne fa la gente, non è né democratica né rivoluzionaria. Vorrei aver fiducia nell’uomo e credere che in futuro le cose cambieranno, ma non vedo nessuno che cerchi di fare il primo, fondamentale passo per cambiare: educare all’uso della rete. I professori più illuminati al massimo leggono i quotidiani in classe (azione più che meritoria, ci tengo a sottolinearlo), figurarsi educare all’uso della rete. E con cosa, poi, visto che tutti sappiamo come sono combinate a livello di alfabetizzazione informatica le nostre scuole?
Per cui, nulla, perdonatemi se continuo ad essere scettica su questa rivoluzione dal basso, che finora ha prodotto solo un irritante baccano, una notte in cui tutte le vacche sono nere.

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Nonciclopivasco

Oggi, apro Facebook, e scoppia la bomba: chiude Nonciclopedia. Meglio. Chiude Nonciclopedia perché Vasco Rossi si è risentito per la sua voce, “gravemente diffamatoria”.
Ora. Non ho mai trovato Nonciclopedia particolarmente divertente. Ok, la mia voce mi piaceva, mi sembrava carina, ma ce n’erano altre livorose e inutilmente offensive. Ma il punto non è questo. Non è neanche che la voce di Vasco Rossi mi sembrava fin troppo moderata (se la cercate, si trova ancora, perché internet è eterno). Il punto è che la chiusura della Nonciclopedia perché una persona s’è sentita offesa non è per niente un bel segnale.
Qui c’è gente di sessanta e passa anni che non sembra aver capito una cosa che è evidente ai ragazzini: internet è il Bar Sport del XXI secolo. Sì, ok, la potenza del mezzo, l’accessibilità dell’informazione, blablabla, tutte cose vere. Ma non possiamo neppure negare che per almeno l’80% il web è costituito da chiacchiere come quelle che si fanno, appunto, al bar. Il web 2.0 alla fine è questo: tutti convinti di avere qualcosa da dire, e dunque lo dicono, e nessuno che ritenga si debba ascoltare. Esattamente come la maldicenza e le chiacchiere da bar, quel che si dice su internet è inarrestabile. Chiudi un sito che dice che sei una donna di facili costumi e ne aprono altri tre che dicono la stessa cosa. La maldicenza in rete è assolutamente inarrestabile. E, come dicevo prima, virtualmente eterna. Questa è una cosa che farebbero bene a ricordare quelli che a cuor leggero diffondono contenuti sensibili online. Le vostre foto a quindici anni ubriachi resteranno lì a darvi problemi per sempre, anche quando sarete cinquantenni astemi. Comunque, prima ragione per cui quella di Vasco è stata una mossa stupida è che non basta chiudere Nonciclopedia. Quel contenuto, che prima probabilmente hanno letto solo i frequentatori della Nonciclopedia e qualche lettore occasionale, adesso rimbalzerà ovunque, sarà noto urbi et orbi, si diffonderà peggio di un virus. L’azione legale del Blasco è stata inutile. Peggio, controproducente, anche perché adesso è lui che fa la parte del fascista che non sa stare al gioco. E poco importa se la voce era davvero offensiva o meno: per il pubblico tu sarai sempre Golia che si incazza contro un povero Davide qualsiasi.
Ora, io non dico che uno non abbia il diritto di incazzarsi per le prese in giro. Sapete che non è così che la penso. Ma so anche che fa purtroppo parte del gioco. Ognuno ha il suo livello di tolleranza (la mia voce nonciclopedica mi divertiva, quelli che mi danno della donna di facili costumi facendo ovvi giochi di parole col mio cognome magari meno), e se non vuole ridere assieme a quelli che ridono di lui, ne è tutto in diritto. Ma quale reale danno d’immagine ognuno di noi riceve quando qualcuno parla male di lui online? Quale danno ne aveva Vasco dalla sua voce su Nonciclopedia? Ve lo dico io. Nessuno. L’unico danno è il fegato grosso che ti fai ad andare appresso a tutti quelli che parlano male di te. Perché per il resto, i tuoi fan continueranno a comprarsi i tuoi dischi, la gente continuerà a venire ai tuoi concerti e via così. Il danno che ti viene operazioni di questo tipo è limitato a quanto te la prendi. Il virtuale nel reale conta meno di zero. A parte, ovviamente, il caso del nostro cinquantenne che a quindici anni si faceva le foto ubriaco alle feste. Lì non sono i “si dice”, lì sei te che hai messo in piazza cose che avresti dovuto tenere per te.
Per altro, uno non va su Nonciclopedia se vuole le ultime notizie su Vasco. Nonciclopedia è un sito di satira (tanto, poco o per nulla riuscita non ha importanza), chi legge sa perfettamente che i contenuti non rispecchiano la realtà, ma ne sono una deformazione grottesca. E allora proprio non vedo il punto, ripeto. Vasco, bastava che cambiassi pagina, come fanno ogni giorno migliaia di utenti. Io lo faccio da dieci anni, se ritengo non valga la pena.
Ma c’è qualcosa di più grave. Ossia che basta che uno alzi la voce, e si oscura un sito. Perché non è che è stata cancellata la pagina di Vasco. È proprio tutta Nonciclopedia, anche le voci che non insultavano nessuno, anche quelle di chi come me non s’era mai lamentato, che è offline. Pensateci. Un bel giorno scrivete qualcosa su qualcuno sul vostro blog, tipo che a Berlusconi piacciono le minorenni. Berlusconi legge, si offende, e vi minaccia di querela. Non conta se quel che stavate dicendo fosse vero o meno. Conta la minaccia di denuncia. E andate offline. Nel mio piccolo, è capitato anche a me. Mi hanno chiesto una rettifica su una cosa che avevo scritto. Considerandola una sciocchezza, e non andando la modifica ad alterare significativamente il contenuto del post, ho fatto la modifica. E se dall’altro lato dello schermo c’era qualcuno di meno civile? Se invece di una garbata mail da parte dell’interessato mi fosse arrivata una bella lettera di un avvocato?
La censura passa da strumenti del genere. Ora, il fatto che su internet la diffamazione la faccia da padrona è sicuramente un aspetto che andrebbe indagato, sociologicamente più che altro, e chi ritiene di essere danneggiato deve poter avere gli strumenti per difendersi. Ma così, francamente, mi sembra che si spari con un cannone ad una mosca, per spolverare una metafora che mi piaceva molto del mio prof di analisi del primo anno. I mezzi messi in campo, a fronte di un danno, come spiegavo, minimo, sono da inquisizione spagnola. Del resto, se non erro l’idea dei nostri governanti è quello di applicare le leggi per la diffamazione a mezzo stampa anche alla rete, quando, in tutta onestà, non mi sembra proprio che le due cose siano paragonabili.
Per il resto, secondo voi posso fare causa a Vasco Rossi per il danno di immagine che mi viene dalla cancellazione della mia pagina di Nonciclopedia?

Aggiornamento:
a me sembra che i contenuti della Nonciclopedia siano tutti più o meno visionabili…e per altro l’oscuramento si è miracolosamente trasformato in “sciopero”, misteriosamente avversato dal server…Mah, la cosa inizia a puzzare…

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Il bello della rete

Questo post credo di averlo già scritto in passato. E neppure una volta sola. Perché lo riscrivo? Perché l’argomento è tornato di attualità di recente, perché a furia di autocensurarmi finisce che qui sopra non ci scriverò più per un sacco di tempo, e allora…
La rete, dunque. Il recente raggiungimento del quorum al referendum ha fatto gridare un po’ tutti al miracolo. È la rete che ci salva, è la potenza della libertà di circolazione di idee del web che ha permesso questa grande vittoria della democrazia!
Ora, ok, sì, forse l’asse dell’informazione si sta spostando. Sempre più persone non la fruiscono più a livello meramente passivo (media generalisti), ma in forma più attiva: si vanno a cercare le notizie online, diffondono quelle che gli interessano. E questa è cosa buona e giusta. Ma.
Ma innanzitutto è andato a votare il 54 % circa degli aventi diritto. Che non mi sembra una stratosferica vittoria della democrazia. Resta il consueto zoccolo duro di un 30% di elettori che non vota mai. Perché non gli interessa, perché so’ tutti uguali, perché è domenica e vado al mare.
Poi, dubito che il quorum sarebbe stato raggiunto con quesiti referendari con minore impatto emozionale: voglio dire, qui si parlava di nucleare, il Satana dei nostri tempi, e dell’acqua pubblica. Nessuno mi toglie dalla testa che tanta gente è andata a votare convinta che se poi passava il no sul quesito del nucleare avremmo avuto esplosioni atomiche come se piovesse in Italia.
La gente poi si è fatta un’idea anche dallo sproposito di manifesti in giro per le città, dal volantinaggio della gente…insomma, anche coi metodi “vecchi” della politica.
Ma veniamo alla rete. Cos’è la rete? La rete, per usare l’efficace metafora che lessi nella firma di un utente di un forum qualche tempo fa, è quel posto che ha dato voce a gente che altrimenti non avresti ascoltato neppure in fila al cesso. Purtroppo temo sia vero. E mi ci metto anch’io nel mucchio.
Facciamoci un esame di coscienza. Andiamo online per cercare notizie, per divertirci leggendo, o per poter dire la nostra? Io non ho alcuna remora a dichiarare che ho iniziato ad interessarmi ad internet quando ho scoperto i forum: non mi sembrava vero di poter postare da qualche parte le mie lunghissime e deliranti recensioni dei film de Il Signore degli Anelli, o le disamine puntuali delle puntate dei Cavalieri dello Zodiaco. A volte neppure leggevo le opinioni degli altri. Postavo la mia e aspettavo: che qualcuno mi dicesse “cavoli, hai proprio ragione, bel post”, e aggiungesse una sua riflessione. Siccome non credo di essere l’unica a pensarla così, sono convinta che parecchie altre persone sono online per la stessa ragione: esprimersi. Senza contare che un buon 80% degli italiani ha ambizioni letterarie, perché è sostanzialmente convinto che mentre per dipingere ci vogliono anni di studio, e qualsiasi altra attività artistica richieda competenze specifiche, scrivere no: cavoli, ce lo insegnano a scuola, a scrivere!
I blog, da questo punto di vista, sono il massimo. Anche il blogger più improponibile trova almeno dieci o venti utenti che lo leggono con piacere e plaudono a quel che dice. Perché la rete si organizza così, per cluster: persone simili si ritrovano assieme, e fanno amicizia, beandosi di far parte di un gruppo in cui la si pensa più o meno tutti allo stesso modo. E ovvio, però, che appena si forma un cerchio, come spiegava efficacemente Frate Guglielmo ad Adso ne Il Nome della Rosa – lo so, lo so, ho sempre gli stessi riferimenti culturali – qualcuno ne resta tagliato fuori. E il bello sta proprio lì. Che la comunità appena formata si sente diversa, migliore da tutti quelli che ne restano tagliati fuori. È una dinamica che ho osservato in tutti i forum che ho frequentato, e che alla fine mi ha spinto ad abbandonarli tutti.
Pian piano ci si trasforma in una piccola accolita di persone che hanno in mano la verità. L’affermazione del gruppo passa anzi proprio attraverso il formarsi di una consapevolezza di essere un insieme delle persone con delle specificità che differenziano dalla massa, e dare addosso a chi non la pensa allo stesso modo è un modo per rinsaldare l’appartenenza al gruppo.
Succede ovunque online, pensateci. Basta fare un giro su un qualsiasi forum che parla, che so, di musica. I nuovi arrivati spesso vengono direttamente respinti e sbeffeggiati. Chi ama, invece dei Pinco Pallo, i Pallo Pinco è automaticamente uno che non capisce un cazzo di musica e via così.
L’attrattiva di un mondo fatto così è evidente. Nella vita reale la spinta all’omologazione è fortissima: siamo tutti soggetti al bombardamento da parte di modelli pervasivi, ai quali tutto sommato cerchiamo di omologarci. Vogliamo essere come gli altri, e non lo siamo mai. Online, protetti anche dall’anonimato, che ci permette di rifarci una verginità, di mostrarci del tutto diversi da quel che siamo, se vogliamo, possiamo sentirci diversi, appartenenti ad un’accolita di esseri superiori che sanno, che hanno capito.
Tutto quello cui stiamo assistendo in questi giorni non è altro che questo. Piccoli gruppi che rivendicano la loro diversità, e per farlo, come succede in tutte le comunità umane, si devono trovare un nemico, qualcuno da sbeffeggiare. E non illudiamoci. Senza blog e senza forum la rete sarebbe morta. A parte per il porno, certo. Vogliamo parlare, parlare, parlare, senza prenderci la briga di ascoltare. Proprio come vogliamo scrivere, senza doverci annoiare a leggere.
Io, alla fine, mi sono sottratta. Ho abbandonato tutti i forum che ho frequentato perché dopo un po’ non ne potevo più della gente che faceva il bullo coi newbies, perché non sentivo il bisogno di far parte di nessun gruppo, e soprattutto non volevo prendermela con nessuno. Mi sono rintanata nel mio blog. Dove posso dar sfogo alla mia voglia di scrivere, che resta la pulsione più forte della mia esistenza. Parlare, dire, raccontare. Certo, leggo altri blog, ma non intervengo mai. Perché praticamente sempre finisce che c’è qualcuno contro qualcun’altro, e il qualcun’altro è tipicamente quello estraneo, che non sta alle regole, che semplicemente ha detto “ma io non sarei d’accordo”. E i linciaggi di massa non mi piacciono neanche un po’.
Voi direte, anche noi siamo un gruppo. Probabile. Ma io non credo mai molto a quel che di bene dice la gente di me. So che domani verrà fuori qualcun’altro che gli piacerà più di me, e tutto quel che dico, tutti i post su cui avrete assentito, saranno dimenticati. E poi, siamo un gruppo aperto, via. C’è gente che va e gente che viene, e tutto sommato ho cercato di non dire mai “noi contro loro”. È poco? Probabilmente sì, ma, sapete, si comincia dal piccolo, o almeno io sono convinta che sia così.

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