Per lungo tempo, soprattutto quando ero ragazzina, ho avuto una specie di idiosincrasia per la saggistica. A quindici, sedici anni, non riuscivo a considerare i saggi esattamente “libri”: ok per i testi divulgativi di Asimov, che aprirono la strada alla passione per l’astrofisica, ma il resto ai miei occhi era ammantato di una patina di generale noia. Io volevo storie. Non spiegazioni.
Ecco, se a quindici, sedici anni mi fossi imbattuta in ZeroZeroZero, che all’epoca, ovviamente, non esisteva neppure nella mente dell’autore, avrei cambiato idea radicalmente. Lo pensai di Gomorra, la prima volta che lo lessi – e in quel caso fu una vera e propria folgorazione – lo penso di ZeroZeroZero: Saviano ha trovato il modo di fare una sintesi perfetta tra la letteratura e la saggistica. Ha inventato un nuovo genere. I suoi libri sono appassionanti come la narrativa, ma ti spiegano cose del mondo come la saggistica. Sta in questo la loro forza, sta in questo la loro grandezza.
Confesso che mi sono avvicinata a ZeroZeroZero, qualche tempo fa, con un certo timore. Credo sia la sindrome da opera seconda, solo che mentre io non ce l’ho avuta come scrittrice (anche perché vai a capire qual è la mia opera seconda…La Missione di Sennar? Le Guerre del Mondo Emerso? Nashira?), a volte ce l’ho come lettrice. Quando il primo libro di un autore mi folgora, poi ho paura che il secondo non mi farà lo stesso effetto. Se poi tra il primo e il secondo passano anni, mi intimorisco ancora di più. Anche perché non è che io sia tipo tanto da amare gli scrittori, quanto i singoli libri. Tranne luminose eccezioni, ovviamente.
Ecco, ho aperto ZeroZeroZero con questo timore in fondo al cuore, e già dopo le prime tre pagine mi sentivo a casa. Era un tipo di narrazione che riconoscevo, che avevo amato, e nella quale sprofondo. Storie nuove, prospettive più ampie, ma la stessa capacità di sporcarsi con quelle vicende, e al tempo stesso sporcare il lettore, avvincerlo, fargliele sentire proprie.
Breve riassunto per chi non sapesse: ZeroZeroZero parla di cocaina, come si intuisce anche dall’eloquentissima copertina. E per parlare di questo gigantesco elefante che ci troviamo nel salotto, ma che schiviamo come non ci riguardasse, sceglie al contempo l’unità e la molteplicità: da un lato, il filo conduttore è l’idea che la cocaina sia il lato oscuro dell’esistenza. Sta dietro. Basta guardare in trasparenza, e appare: dietro la crisi, dietro il benessere, dietro il funzionamento delle nostre società. La molteplicità sta nella via scelta operata per raccontare questa realtà altra: le storie. ZeroZeroZero inanella quadretti, che nella loro specificità, e al tempo stesso universalità, dicono più di mille analisi. Ho sempre pensato che raccontare sia un atto seminale, nato insieme all’uomo, in qualche modo fondante e demiurgico: il racconto ci resistuisce a noi stessi, ci definisce, e al tempo stesso, con la sua capacità di avvincere, è il sistema migliore per veicolare un contenuto. Le storie di ZeroZeroZero ti incollano alla pagina come la miglior narrativa popolare, ti restano dentro quando hai chiuso il libro, ti spingono a cercare facce, volti e corpi, dopo (per dire, una mattina mi sono chiesta che faccia avesse Natalia Paris). E proprio per questa loro straordinaria capacità di restarti dentro, sono più efficaci di qualsiasi dibattito, di qualsiasi dossier nel farti penetrare questo lato oscuro della vita. Capisci delle cose, molte cose, cose importanti, leggendo ZeroZeroZero, ma al tempo stesso ti diverti, ove con la parola, al solito – lo ripeto sempre, perché mi rendo conto che essere fraintesi è facile – non intendo “ci facciamo due risate”, quanto piuttosto ti appassioni, hai voglia di leggerne ancora, sei catturato dalla narrazione. È una lettura – entro i limiti di questa definizione di divertimento che ho appena dato – piacevole. Nel senso che ci entri dentro, e non ne esci fino all’ultima pagina, e poi qualcosa ti resta comunque appiccicato addosso, e non andrà mai più via.
Intendiamoci, è un libro che colpisce allo stomaco e colpisce duro. Ci sono cose che non avrei voluto leggere, orrori inenarrabili che avvengono nel mondo, e la coca che finisce sui nostri tavoli gronda morte e sangue, ma la verità è così: dura, scomoda, e quando la sai, pensi che forse sarebbe stato meglio non sapere affatto. Ma senza verità non c’è libertà. Come puoi essere libero se non sai quali meccanismi guidano l’economia che ti dà da mangiare e ti affama? Come puoi essere libero se non sai il vero potere dove sta, chi lo amministra e in base a quali logiche?
E la cosa che mi ha stupita è che gran parte di queste storie sono roba vecchia, almeno dieci o venti anni. Non tutte, ovvio, ma molte sì. Storie che di sicuro saranno state già raccontate, che sono in dossier polverosi che però nessuno legge mai. La forza di ZeroZeroZero è di metterle in una forma tale che ci appaiano come quel che sono: cose che ci riguardano. Siamo noi. È il nostro mondo.
Un’osservazione collaterale che mi è venuta spesso alla mente leggendo il libro. È incredibile – anche se non particolarmente sorprendente, a pensarci bene – quanto l’economia criminale sia sostanzialmente il capitalismo portato alle sue estreme conseguenze: l’economia della cocaina segue esattamente le regole dell’economia “pulita”, ma scevra di tutti i legacci etici e di tutte le leggi. È capitalismo nella sua essenza più vera, nudo e crudo. L’economia criminale dice tanto, tantissimo, di quella legale. E infatti non c’è crisi, nel mondo della cocaina. Si può quasi dire che l’economia criminale è un liberismo davvero senza regole, è il capitale che obbedisce solo a se stesso, e si alimenta da solo, senza vincoli e legami.
Fin qui, direi, la parte meramente saggistica. Ma ZeroZeroZero è anche letteratura. C’è una ricerca stilistica, ad esempio, che a me è parsa evidente soprattutto nei capitoletti “Coca #”, che in qualche modo intercalano la narrazione, permettono di tirare il fiato e sono, sostanzialmente, riflessioni. Ma, soprattutto, c’è un continuo tentativo di ricavare una riflessione generale dalle storie particolari, una riflessione sulla nostra natura di uomini. Probabilmente è proprio per questo che le storie di ZeroZeroZero sembrano riguardarci così tanto: perché l’autore ci scava dentro alla ricerca di quel seme di umanità che è comune a tutti noi. Che sia l’oscurità che abita nel profondo di ogni individuo, che si tratti di un meschino bisogno di potere, di una disperata ricerca di rivalsa, o all’opposto il tentativo di essere migliori, la voglia di riscattare il mondo, o anche solo poter guardare la verità in faccia. È una galleria di personaggi umani, troppo umani, nei quali, spesso con sgomento, ci rispecchiamo. Sarei finito così anch’io se la mia storia fosse stata diversa? Avrei fatto la stessa scelta, io, in quella sitauzione? Da dove vengono il male, la ferocia, questo spasmodico bisogno di potere?
Insomma è un libro bello. È un libro necessario, per carità, ma soprattutto è bello. E ve lo consiglio per questo. Perché io me lo sono centellinato, perché a mezzanotte, dopo una delle mie giornate tipo piene di roba fino ai capelli, mi dicevo “vabbeh, dai, un altro capitolo”, e non è una cosa che mi capiti spesso, ormai, perché in fila dal dottore, leggendo, sono finita per venti minuti in un altro mondo, e non sentivo la gente intorno a me. E non vi fate scoraggiare dalla prima cinquantina di pagine forse un po’ ostica: io, almeno, ho fatto fatica a orientarmi con tutti quei nomi e quei fatti che si rincorrevano tra le righe, ma la cocaina è così, è labirintica e tentacolare. E comunque, quello è il prezzo da pagare per l’ingresso, e vi assicuro che vale completamente la pena.